Messa di ringraziamento presieduta da Mons. Raphael p’Mony Wokorach

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Lunedì 8 luglio 2024
Dopo essere stato nominato arcivescovo dell’arcidiocesi di Gulu, in Uganda, lo scorso 22 aprile, mons. Raphael p’Mony Wokorach si è recato a Roma per ricevere il pallio benedetto da Papa Francesco il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo. Il giorno successivo, 30 giugno, mons. Raphael ha celebrato una messa di ringraziamento presso la casa generalizia dei Missionari Comboniani a Roma. [Nella foto: P. Patrick Benywanira, mons. Raphael Wokorach e P. David Domingues]

Alla celebrazione hanno partecipato un buon numero di confratelli, un gruppo di cristiani delle diocesi ugandesi di Nebbi e Gulu, come pure alcuni rappresentanti delle ambasciate di Uganda in Italia e presso la Santa Sede.

Messa di ringraziamento presieduta da Mons. Raphael p’Mony Wokorach.

Nell’omelia, commentando il testo di Marco 5,21-43, mons. Raphael ha detto: «Tutti i cristiani sono chiamati a servire coloro che non hanno voce e a intercedere per loro, come ha fatto Giairo, che si è rivolto a Gesù intercedendo per la figlia malata. Spesso la preghiera di intercessione è l’unico mezzo utile che abbiamo per aiutare gli altri».

L’arcivescovo ha anche detto che, oltre alla preoccupazione per l’evangelizzazione, la sua missione pastorale dovrà comprendere «la promozione della pace e il rafforzamento della coesione sociale in un territorio che sta ancora soffrendo le conseguenze di una guerra durata più di 20 anni».

L’arcivescovo ufficialmente verrà insediato il prossimo 12 luglio, con una cerimonia nella Cattedrale di St. Joseph, nella città metropolitana di Gulu, nel nord dell’Uganda.

Accompagniamo il nostro confratello Raphael nella sua nuova missione, sostenendolo con le nostre preghiere.

Chi è mons. Raphael Wokorach?

Mons. Raphael p’Mony Wokorach è nato il 21 marzo 1961 a Ojigo/Nebbi, nel nord-ovest dell’Uganda. È il quarto di una famiglia di 11 figli. È stato ordinato sacerdote il 25 settembre 1993. Come missionario comboniano, si è sempre dedicato alla formazione dei giovani candidati alla vita comboniana: per i primi otto anni a Kisangani (RD Congo), poi a Cacavelli (Togo), quindi ancora negli scolasticati di Chicago (USA) e Nairobi (Kenya).

Su richiesta del Vaticano, dal 2015 al 2018 è stato visitatore apostolico presso la Congregazione Apostoli di Gesù e, dal 2018 al 2021, commissario pontificio della stessa Congregazione, che ha sede a Nairobi, in Kenya.

Il 21 marzo 2021, mons. Raphael è stato nominato vescovo della diocesi di Nebbi ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 14 agosto 2021, diventando il quarto vescovo della sua diocesi di origine.

Dopo la sua consacrazione, mons. Raphael ha iniziato un vasto programma di ristrutturazione delle istituzioni ecclesiastiche della sua diocesi e si è preoccupato di migliorare i servizi dell’ospedale cattolico di Angal e delle scuole e collegi della diocesi, quali il Nyapea College, la Warr Girls’ School, la Daniel Comboni Secondary School, l’Adraa Agricultural College, la Comboni Technical School, e molte altre.

Durante i tre anni di episcopato, mons. Raphael ha attuato alcune riforme, ha nominato consigli di amministrazione per una migliore gestione delle scuole, e ha aiutato Radio Maria a diventare una stazione radio molto ascoltata in gran parte della diocesi di Nebbi.

Nei primi due anni di ministero episcopale ha visitato più di una volta tutte le 21 parrocchie sparse nei tre decanati che compongono la diocesi (Jonam, Padyere e Okoro).

Oltre all’intensa attività di evangelizzazione, ha varata anche numerose iniziative di promozione umana e di tutela dell’ambiente nelle aree amministrative di Pakwach, Nebbi e Zombo-Okollo. Tra le altre iniziative da lui varate, spiccano le campagne di piantumazione di alberi in varie zone della diocesi ed altre mirate a incoraggiare la popolazione a dedicarsi all’agricoltura per ridurre la povertà e l’insicurezza alimentare.

Il 22 aprile 2024, mons. Raphael è stato nominato Arcivescovo di Gulu, succedendo al settantaseienne mons. John Baptist Odama.

Il 3 giugno 2024 ha presieduto la commemorazione nazionale dei Martiri dell’Uganda a Namogongo, il luogo dove 22 giovani cattolici ugandesi furono martirizzati nel 1886. Questa è stata la sua ultima attività ufficiale come vescovo di Nebbi.

P. Patrick Benywanira
Missionario comboniano

Il Papa celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo apostoli, patroni di Roma
L’omelia durante la messa nella basilica Vaticana

Una Chiesa dalle porte aperte per portare a tutti
la speranza del Vangelo

Essere «pastori zelanti che aprono le porte del Vangelo» e contribuiscono a «costruire una Chiesa e una società dalle porte aperte»: questa l’esortazione rivolta da Papa Francesco ai 42 arcivescovi metropoliti, tra i quali un cardinale, dei quali ha benedetto il pallio nella mattina di sabato 29 giugno, durante la messa nella solennità dei santi Pietro e Paolo, presieduta nella basilica Vaticana. Alla celebrazione ha preso parte anche una delegazione del Patriarcato ecumenico. Pubblichiamo di seguito l’omelia del Pontefice.

Foto L’Osservatore Romano.

Guardiamo ai due Apostoli Pietro e Paolo: il pescatore di Galilea che Gesù fece pescatore di uomini; il fariseo persecutore della Chiesa trasformato dalla Grazia in evangelizzatore delle genti. Alla luce della Parola di Dio lasciamoci ispirare dalla loro storia, dallo zelo apostolico che ha segnato il cammino della loro vita. Incontrando il Signore, essi hanno vissuto una vera e propria esperienza pasquale: sono stati liberati e, davanti a loro, si sono aperte le porte di una nuova vita.

Fratelli e sorelle, alla vigilia dell’anno giubilare, soffermiamoci proprio sull’immagine della porta. Il Giubileo, infatti, sarà un tempo di grazia nel quale apriremo la Porta Santa, perché tutti possano varcare la soglia di quel santuario vivente che è Gesù e, in Lui, vivere l’esperienza dell’amore di Dio che rinvigorisce la speranza e rinnova la gioia. E anche nella storia di Pietro e di Paolo ci sono delle porte che si aprono.

La prima Lettura ci ha raccontato la vicenda della liberazione di Pietro dalla prigionia; questo racconto ha tante immagini che ci ricordano l’esperienza della Pasqua: l’episodio accade durante la festa degli Azzimi; Erode richiama la figura del faraone d’Egitto; la liberazione avviene di notte come fu per gli israeliti; l’angelo dà a Pietro le stesse disposizioni che furono date a Israele: alzarsi in fretta, mettersi la cintura, indossare i sandali (cfr. At 12, 8; Es 12, 11). Quello che ci viene narrato, dunque, è un nuovo esodo. Dio libera la sua Chiesa, libera il suo popolo che è in catene, e ancora una volta si mostra come il Dio della misericordia che sostiene il suo cammino.

E in quella notte di liberazione, dapprima si aprono miracolosamente le porte del carcere; poi, di Pietro e dell’angelo che lo accompagna si dice che si trovarono davanti «alla porta di ferro che arriva alla città; la porta si aprì da sé davanti a loro» (At 12, 10). Non sono loro ad aprire la porta, essa si apre da sé. È Dio che apre le porte, è Lui che libera e spiana la strada. A Pietro — come abbiamo ascoltato dal Vangelo — Gesù aveva affidato le chiavi del Regno; ma egli fa esperienza che, ad aprire le porte, è per primo il Signore, Lui sempre ci precede. Ed è curioso un fatto: le porte del carcere si sono aperte per la forza del Signore, ma Pietro poi farà fatica ad entrare nella casa della comunità cristiana: colei che va alla porta, pensa che sia un fantasma e non gli apre (cfr. At 12, 12-17). Quante volte le comunità non imparano questa saggezza di aprire le porte!

Anche il cammino dell’Apostolo Paolo è anzitutto un’esperienza pasquale. Egli, infatti, dapprima viene trasformato dal Risorto sulla via di Damasco e poi, nella continua contemplazione del Cristo Crocifisso, scopre la grazia della debolezza: quando siamo deboli — egli afferma — in realtà è proprio allora che siamo forti, perché non ci aggrappiamo più a noi stessi, ma a Cristo (cfr. 2 Cor 12, 10). Afferrato dal Signore e crocifisso con Lui, Paolo scrive: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). Ma il fine di tutto ciò non è una religiosità intimista e consolatoria — come oggi ci presentano alcuni movimenti nella Chiesa: una spiritualità da salotto —; al contrario, l’incontro con il Signore accende nella vita di Paolo lo zelo per l’evangelizzazione. Come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, alla fine della sua vita egli dichiara: «Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero» (2 Tm 4, 17).

Proprio nel raccontare di come il Signore gli ha donato tante possibilità per annunciare il Vangelo, Paolo usa l’immagine delle porte aperte. Così, del suo arrivo ad Antiochia insieme a Barnaba, si dice che «appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14, 27). Allo stesso modo, rivolgendosi alla comunità di Corinto dice: «Mi si è aperta una porta grande e propizia» (1 Cor 16, 9); e scrivendo ai Colossesi li esorta così: «Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della Parola per annunciare il mistero di Cristo» (Col 4, 3).

Fratelli e sorelle, i due Apostoli Pietro e Paolo hanno fatto questa esperienza di grazia. Hanno toccato con mano l’opera di Dio, che ha aperto le porte del loro carcere interiore e anche delle prigioni reali dove sono stati rinchiusi a causa del Vangelo. E, inoltre, ha aperto davanti a loro le porte dell’evangelizzazione, perché sperimentassero la gioia dell’incontro con i fratelli e le sorelle delle comunità nascenti e potessero portare a tutti la speranza del Vangelo.

E anche noi quest’anno ci prepariamo ad aprire la Porta Santa.

Fratelli e sorelle, oggi gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno ricevono il Pallio. In comunione con Pietro e sull’esempio di Cristo, porta delle pecore (cfr. Gv 10, 7), sono chiamati ad essere pastori zelanti, che aprono le porte del Vangelo e che, con il loro ministero, contribuiscono a costruire una Chiesa e una società dalle porte aperte.

E voglio dare, con fraterno affetto, il mio saluto alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico: grazie di essere venuti a manifestare il comune desiderio della piena comunione tra le nostre Chiese. Invio un sentito saluto cordiale al mio fratello, al mio caro fratello Bartolomeo.

I Santi Pietro e Paolo ci aiutino ad aprire la porta della nostra vita al Signore Gesù, intercedano per noi, per la città di Roma e per il mondo intero. Amen.

L’Osservatore Romano