Venerdì 30 maggio 2025
Un report di ActionAid approfondisce gli effetti su alcuni settori chiave, tra cui insegnanti e operatori sanitari, dei tagli chiesti dal Fondo monetario internazionale ai paesi in stress debitorio. Bisogna modificare l’architettura finanziaria globale se si vuole arrivare a un cambiamento. [Credit photo: Awil Abukar for The African Union Mission in Somalia via RawPixel. Testo Nigrizia]
Chi si occupa di debito estero dei paesi del Sud globale si trova spesso davanti a dati mortificanti: miliardi di persone vivono in paesi dove i governi pagano più per il servizio del debito che per sanità e istruzione. Politiche spesso aggravate dai tagli alla spesa pubblica richiesti dal Fondo monetario internazionale (FMI) per erogare nuovi prestiti. Prestiti che serviranno in buona parte a ripagare quello stesso debito e che a questo si sommeranno. Ma le cifre e le dinamiche appena citate, che impatto hanno sulla vita quotidiana degli abitanti dei paesi coinvolti? L’ultimo report di ActionAid, pubblicato nei giorni scorsi, ci aiuta a dare un volto alle conseguenze del fardello del debito e dell’austerity che viene spesso richiesta per arginarlo.
Nello specifico, il volto è quella di centinaia di lavoratori dei settori della sanità e dell’istruzione in sei paesi dell’Africa. Negli ultimi cinque anni i loro stipendi sono diminuiti, le condizioni di lavoro peggiorate drasticamente. Le comunità in cui lavorano sono ogni anno più in difficoltà. La scelta di questi testimoni è tutt’altro che casuale. Salute e istruzione sono assi fondamentali del welfare e sono fra i settori più colpiti dalla crisi del debito e dai meccanismi politici ed economici che questa innesca.
Il report
Il dossier realizzato da ActionAid – The Human Cost of Public Sector Cuts in Africa (Il costo umano dei tagli al settore pubblico in Africa) si basa su interviste a 616 fra operatori sanitari, insegnanti ed esponenti delle comunità servite dai lavoratori ascoltati, provenienti in egual misura da città e zone rurali. Quasi il 65% del campione totale è rappresentato da donne, un riflesso della maggiore presenza di lavoratrici all’interno di questi settori e del fatto che sono soprattutto le donne a pagare il prezzo dei tagli, visto il loro ruolo di prima linea nella cura domestica.
Le persone intervistate provengono da sei paesi africani: Nigeria, Liberia, Etiopia, Ghana, Kenya e Malawi. Ad accomunare questi stati, il fatto di aver ricevuto negli ultimi anni il suggerimento di tagliare gli stipendi dei lavoratori statali da parte dell’FMI. Questo nell’ambito degli accordi necessari ad accedere a nuovi prestiti. Le mediazioni per ricevere risorse dall’istituto di base a Washington si svolgono spesso in parallelo ai negoziati per la ristrutturazione del debito. Non a caso, due dei sei paesi oggetto della ricerca – Ghana ed Etiopia – sono andati in default negli ultimi tre anni.
Privati di fondi essenziali
Il circolo vizioso fra tagli alla spesa pubblica e crisi del debito è uno dei punti focali di questo report e più in generale del lavoro di ActionAid, che solo dal 2023 a oggi ha dedicato diversi report al tema. In poche parole, i tagli alla spesa pubblica e agli stipendi dei dipendenti pubblici vengono suggeriti per poter garantire il pagamento del debito estero ma finiscono per peggiorare le condizioni di vita della popolazione e la possibilità di uno sviluppo sostenibile, oltre a essere precondizione per ricevere risorse che diventeranno a loro volta debito, anche se spesso a condizioni agevolate. L’FMI nega che le misure richieste portino a un deterioramento degli standard di vita dei lavoratori. Come nel caso del Ghana, si riporta anzi di nuove risorse destinate ad alcuni programmi sociali proprio grazie all’apertura di nuove linee di credito.
Eppure, in tutti i paesi approfonditi nel report eccetto che in Etiopia, la quota di entrate statali impiegata per rimborsare debito e interessi supera la quota destinata ad almeno uno dei settori fra istruzione e salute e agli stipendi pubblici. Il Kenya spende per il debito circa il triplo di quanto faccia per la salute, la Nigeria circa cinque volte in più di quanto viene sborsato per l’istruzione. Una dinamica comune a tutto il sud del mondo: 3,3 miliardi di persone vivono in paesi che si trovano in queste condizioni e sono tutte per lo più nel Sud globale. In Africa sono 750 milioni, più di un cittadino del continente su due.
Le testimonianze
Proporzioni che trovano un senso se calate nei territori, nelle scuole e negli ospedali. Degli operatori sanitari ascoltati da ActionAid, la quasi totalità (97%) dice in media di aver peggiorato la propria condizione salariale rispetto al 2020 e di percepire uno stipendio inadeguato. Per una media di quasi il 70% degli intervistati, il salario non riesce a coprire le spese di base come affitto e cibo. Circa l’84% degli insegnanti lamenta un calo nel proprio reddito fra il 10 e il 50% dal 2020 a oggi. Quasi nove insegnanti su 10 hanno riportato la mancanza di materiale scolastico utile a fare le lezioni, con 7 insegnanti su 10 che decidono di comprare a loro spese quanto necessario, mentre quasi il 90% degli operatori sanitari denuncia scarsità di materiale medico. Un terzo dei lavoratori della salute e quasi la metà degli insegnanti medita di cambiare lavoro.
L’impatto dei tagli è ampio e ricade sulla qualità dei servizi e quindi, su tutta la comunità. Dalle lunghe attese e i costi esorbitanti per la visite mediche alle classi sovrappopolate, con fino a 200 alunni ciascuna, le testimonianze di disfunzioni e disservizi sono infinite. «Nell’ultimo mese – ha riferito un’operatrice sanitaria in Kenya – ho visto quattro donne partorire in casa a causa del costo insostenibile del ticket ospedaliero. Le persone della comunità sono costrette a vaccinarsi negli ospedali privati, poiché i medicinali non sono disponibili negli ospedali pubblici. I nostri servizi sanitari [locali] sono limitati in termini di assistenza alle donne in gravidanza e in allattamento».
Cambiare tutto
ActionAid chiude il suo report con diverse raccomandazioni. La prospettiva è quella di cambiare gli equilibri di potere che informano l’intera architettura finanziaria globale. Un’istanza ormai storica dei paesi del Sud globale, a partire dal Sudafrica presidente di turno del G20 quest’anno. Il problema si ripresenta del resto almeno dall’inizio degli anni ’80 e dalla prima crisi del debito, a cui hanno fatto seguito i cosiddetti piani di aggiustamento strutturale. Iniziative delle grandi istituzioni finanziare internazionali queste, che prevedevano l’abbattimento della spesa pubblica, il contenimento dell’inflazione e l’apertura crescente ai privati.
Secondo ActionAid, le parole chiave dell’intervento dell’FMI – e anche della Banca Mondiale – non sono cambiate. E difficilmente potranno, visto che i paesi che maggiormente soffrono delle conseguenze di queste politiche hanno un peso decisionale minimo all’interno di queste istituzioni, come ben testimonia il 10% di voti di cui l’Africa (1,4 miliardi di abitanti, circa un quinto del totale nel pianeta) dispone nel board dell’FMI.
L’ong con sede in Sudafrica si appella però anche ai governi del Sud globale e nello specifico ai ministeri di Salute e Istruzione. Molti degli intervistati del resto, puntano il dito contro i loro governi, accusandoli di non riuscire a garantire i fondi necessari a salute e istruzione a causa di una tassazione a carico dei poveri, corruzione e malversazioni di fondi, incapacità di garantire i pagamenti e il monitoraggio nell’erogazione dei servizi.
Sicuro come le tasse…
Uno dei nodi centrali è in effetti quello delle tasse. ActionAid chiede ai governi di migliorare la loro capacità di raccogliere le imposte fino ad arrivare a una proporzione tasse-PIL del 5%. L’ong insiste anche sulla necessità di fare pressione affinchè si arrivi a una Convenzione delle Nazioni Unite sulla cooperazione fiscale internazionale.
Le negoziazioni per giungere alla stesura di questo documento sono in stallo, soprattutto a causa dell’ostruzionismo di paesi del Nord globale come gli Stati Uniti, che hanno abbandonato i negoziati, ma anche Giappone e Australia. Anche l’Unione Europea ha assunto una posizione che rischia di complicare il processo di mediazione. Secondo l’ong Tax Justice Network, l’Africa, un contribuente fiscale netto nell’economia mondiale, perde sempre più soldi a causa di flussi fiscali illeciti, fino ai 90 miliardi di dollari registrati l’anno scorso.
Più in generale, ActionAid chiede un cambio di filosofia nelle istituzioni finanziarie internazionali. La capacità dei paesi del Sud globale di ripagare i debiti e la crescita del PIL devono andare in secondo piano rispetto alla promozione di modelli economici basati sulla giustizia sociale, l’equità di genere, il rispetto dei diritti umani, la protezione dell’ambiente e la risposta alla crisi climatica.
Il ruolo dei privati e della Cina
Il tema è sicuramente complesso. Il ruolo di FMI e Banca Mondiale è cruciale. Negli ultimi anni comunque, se si limita l’analisi al solo debito estero, il peso specifico di questi attori è diminuito a beneficio dei creditori privati. Questi rappresentavano il 30% del totale dei creditori nel 2010 e oggi sono invece quasi il 45%. Si parla di enti molto più difficili da regolare, che esigono tassi di interesse più alti e legano il debito alla speculazione finanziaria.
Almeno a partire dalla prima decade dei 2000 poi, è cresciuto il peso specifico di alcuni paesi come la Cina, fino a poco fa esclusa dai più grandi meccanismi di ristrutturazione del debito in quanto ancora considerata un paese in via di sviluppo. Diversi report indicano Pechino come il maggior fornitore al mondo di debito bilaterale al momento (quando nel 2000 ne deteneva una quota minima).
Secondo una ricerca del think tank australiano Lowy Institute, il 2025 rappresenta in questo senso una soglia cruciale. Quest’anno 75 dei paesi più vulnerabili al mondo – dove si concentra il credito cinese – dovranno rimborsare a Pechino la cifra record di 22 miliardi di dollari. Un fardello maturato soprattutto nell’ambito della cosiddetta Nuova via della Seta, un grande piano di investimenti infrastrutturali a livello globale.
Pechino è spesso accusata di voler chiudere i paesi in via di sviluppo in una “trappola” dalla comunità internazionale occidentale. I governi del Sud globale hanno più volte espresso pareri contrari invece, ritenendo la Cina un partner più affidabile e dalla postura meno colonialista dei creditori tradizionali del Nord globale.
Brando Ricci – Nigrizia