Martedì 15 luglio 2025
Padre Alessio Geraci, comboniano, è alla sua seconda esperienza in Perù, terra tanto cara a Papa Leone XIV. Parroco a Chorrillos, nella periferia Sud di Lima, cammina accanto alla sua gente perché la strada verso la speranza si percorre insieme. Un Paese in profonda crisi, tra povertà, corruzione e violenza. Ma c’è chi semina…
Un pellegrino di speranza nella terra di Papa Leone XIV, dove la speranza stenta ma resiste. Padre Alessio Geraci, comboniano, è arrivato in Perù nell’ottobre 2024 ma, prima di una pausa in Italia, ci era già stato dal 2014 al 2019. “Un Paese totalmente diviso, che la notizia dell’elezione di padre Roberto – come lo chiamano qui – ha unito nella gioia”, dice il missionario palermitano, classe 1983. “Il Papa non è nato qui, ma vi ha vissuto buona parte della sua vita sacerdotale e missionaria, inculturandosi e portando la luce del Vangelo. Ha amato questo popolo, fino a prendere la cittadinanza peruviana; ne ha conosciuto la fatica, il sudore, le difficoltà”.
Instabilità politica, povertà sociale. Per padre Alessio, è una di quelle belle notizie che servivano. Non solo alla (finora) sconosciuta diocesi di Chiclayo, che si è sentita rivolgere il saluto in spagnolo dal loggione di San Pietro, ma a tutto il Perù “che sta vivendo una crisi politica, sociale ed economica drammatica”. Anche a causa della pandemia che, soprattutto fra i giovani, ha lasciato diversi strascichi: “Fatica a uscire di casa, pensieri suicidi, difficoltà a relazionarsi con gli altri”.
L’insicurezza e la corruzione sono oggi le piaghe più grandi. Basti pensare che, tra il 2019 e il 2023, si sono succeduti quattro presidenti della Repubblica; poi, il 7 dicembre 2022, il tentativo di colpo di Stato da parte di Pedro Castillo, il suo arresto e l’insediamento dell’attuale presidentessa. “Il Perù, nel 2023, ha vissuto un’ondata di violenza e repressioni; le proteste hanno fatto almeno 60 morti; in più, a fronte di una classe politica corrotta e incompetente, si è acutizzato il fenomeno del sicariato (che spesso arma i ragazzini), per cui la gente ha paura a stare per strada per via dei furti e delle estorsioni. Nella zona al Nord, devi pagare per poter rientrare a casa e la polizia sembra non contrastare la delinquenza in alcun modo”.
Gesù el caminante. Il quadro che padre Alessio presenta a Popoli e Missione è forse lontano dall’immaginario del bambino di otto anni che già coltivava il pensiero della missione, o dello studente universitario iscritto a Lingue per amore delle altre culture. Era il 2007 quando, grazie ad un’esperienza estiva di Missio Giovani (che gli ha fatto anche conoscere i comboniani), dai locali della parrocchia in cui era cresciuto si è ritrovato tra i poveri del Togo. “La scintilla è scoccata vedendo come un missionario si spezzava ogni giorno per gli altri, e nel 2010 sono entrato in Istituto. Avevo capito che quello era il sogno che Dio mi aveva messo nel cuore e che volevo semplicemente camminare con la gente”. E oggi, cammina con i suoi fratelli peruviani, sulla scia di “Gesù che è el caminante per eccellenza, un Dio nomade che accampa la sua tenda in mezzo a noi”.
“Fare strada insieme”. Citando il poeta spagnolo Antonio Machado – Caminante no hay camino, se hace camino al andar (Viandante, non esiste il cammino, lo si fa camminando, ndr) – il missionario riconosce l’importanza del “fare strada insieme, in uno spirito di sinodalità” come “sacerdoti e profeti in virtù del Battesimo, come Chiesa in uscita che si schiera dalla parte degli ultimi e diventa luogo di speranza”. Da qui una presa di coscienza: “Essere pellegrini (e non solo per l’anno giubilare) è una responsabilità, perché significa portare Gesù, che per il popolo del suo tempo, schiacciato dalle tasse e dal potere, era la bussola. Come dare speranza, quindi, al popolo peruviano? Trasformando il nostro cuore, per riconoscere l’altro come qualcuno da amare”.
Laici protagonisti. Che sia sulla costa (con la pastorale parrocchiale urbana, nelle periferie di Lima, Arequipa e Trujillo), nella selva (tra i 250 villaggi sparsi del mondo indigeno) o nella sierra (a 4.000 metri sul mare, dove gli andini vanno raggiunti casa per casa). “La mia parrocchia, alla periferia della capitale, conta 100mila abitanti ed è divisa in 13 piccole comunità, accompagnate da me ed altri due sacerdoti, ma gestite prevalentemente dai laici, che si formano costantemente ed hanno una profonda sete di Dio”.
Non dà i numeri, padre Alessio, ma la misura di una fede che diventa vita vissuta e che rende palpabile la speranza perché si realizza attraverso l’annuncio della lieta notizia. La speranza nonostante tutto, in un Paese che soffre ma che negli ultimi mesi si rallegra per il Papa peruviano. “È uno di noi – mi diceva un’anziana signora che ho visitato qualche giorno fa, prima di darle l’unzione degli infermi. Ecco, questo popolo, che sa aprire le porte di casa e del cuore, vede in Papa Leone XIV qualcuno che li conosce e che ha dimostrato di essere dalla parte di chi nella quotidianità cerca di vivere la vita come può”.
Loredana Brigante, Popoli e Missione – SIR