Martedì 21 ottobre 2025
«C’è una sola cosa con cui dobbiamo preoccuparci di riempire le nostre giornate e la nostra vita: l’amore. Detta così, sembra solo una bella frase fatta. Ma è la pura verità». Questa è la convinzione di mons. Giuseppe Franzelli, comboniano, vescovo emerito della diocesi di Lira in Uganda. Mons. Giuseppe, dopo aver lasciato l’incarico sei anni fa, ha scelto di rimanere in quello paese africano per continuare ad appoggiare la Conferenza episcopale e ad aiutare la popolazione locale. «Il lavoro in effetti non mi manca», scrive nella sua lettera che di seguito pubblichiamo.

Carissimi
Buona Giornata Missionaria Mondiale! Come vedete, scrivo dall’Uganda, dove sono tornato il 21 giugno scorso. Partendo per l’Italia a metà settembre dell’anno scorso, pensavo di fermarmi un paio di mesi per rimettermi in forma ma, per una serie interminabile di controlli medici e nell’attesa dei risultati dei vari esami a cui sono stato sottoposto, i mesi sono diventati nove! I dottori cercavano conferma al sospetto di una malattia rara del cuore, per adottare la terapia adeguata. L’esito dell’ultimo esame – la biopsia del cuore – si è fatto attendere così a lungo che alla fine ho deciso in ogni caso di partire e ho fissato il volo di ritorno! Tre giorni prima della partenza, i risultati sono finalmente arrivati, confermando la presenza della malattia, l’amiloidosi “wild-type”. Ho fatto giusto in tempo a farmi dare la medicina prescritta e sono partito.

Non so descrivere la gioia e il mio grazie al Signore per il dono di questo ritorno a casa! In particolare, a luglio, nell’ambito dell’anniversario dell’erezione della diocesi di Lira, ho avuto la gioia di celebrare anche il ventesimo anniversario della mia ordinazione episcopale!  La gente era felice di rivedermi… e io più di loro!

Avevo pensato di scrivere una lettera e aggiornare chi di voi non era al corrente delle mie ultime vicende. Poi… sono stato coinvolto ed assorbito dalle tante cose da fare, problemi accumulati durante la mia assenza, incontri con la gente… e la lettera è rimasta un pio desiderio. Mi trovo così a scrivervi ora, quattro mesi più tardi, per il solito appuntamento della Giornata Missionaria Mondiale.

Voglio innanzitutto rassicurarvi sulle mie condizioni di salute. Sto bene, compatibilmente con la mia età e malattia, e non ho avuto particolari problemi, eccetto un breve episodio di malaria.

Questi mesi sono stati densi di avvenimenti importanti a livello mondiale e locale, che ho vissuto con partecipazione e preoccupazione.  Sono arrivato il giorno dell’attacco americano all’Iran, ho seguito la tragica continuazione della guerra in Ucraina e il progressivo massacro e distruzione di Gaza, fino all’attuale firma di una pace molto fragile, ma che speriamo e preghiamo possa davvero durare in Palestina e venire ristabilita in vari paesi africani.

Qui da noi, in Uganda, ho trovato un paese in fermento. I vari partiti e movimenti politici si stanno preparando alle elezioni di gennaio 2026, scegliendo fin d’ora i propri candidati attraverso elezioni primarie, caratterizzate da tensioni e conflitti interni. Nonostante le attività di mobilitazione popolare dei partiti e movimenti di opposizione (il leader di un partito è in prigione da vari mesi, senza processo), sulla carta il risultato sembra scontato, a favore del NRM (National Resistance Movement), guidato dal Presidente Museveni, ottantunenne, che tiene saldamente in mano il potere da quasi 40 anni e si presenta come candidato. Lo slogan elettorale del governo è “Proteggere i risultati ottenuti” in questi anni. Naturalmente, c’è chi si domanda chi ha goduto in passato e chi godrà maggiormente in futuro di tali vantaggi. Sicuramente, non tutti gli ugandesi, soprattutto i più poveri…

Di fatto, i grandi raduni in vista delle prossime elezioni con l’utilizzo di ingenti somme di denaro per finanziarli, hanno fatto passare in secondo piano una realtà sociale ed economica in cui non mancano i problemi. Ne cito solo uno. Oggi siamo giunti al 30mo giorno di sciopero degli insegnanti di “arts”, cioè delle materie scolastiche di carattere non scientifico. Il motivo? Il governo ha stabilito che il paese ha bisogno di studenti preparati nelle materie scientifiche ed ha quindi aumentato del 300% il salario degli insegnanti di scienze, lasciando invariato quello degli altri insegnanti. Risultato? Da un mese migliaia di alunni sono senza maestri. Questo in un contesto in cui solo il 2,6% del prodotto lordo nazionale è destinato all’istruzione.

Non ho spazio qui per menzionare altri aspetti e problemi gravi, come quello della salute pubblica, gravemente colpita dai tagli agli aiuti decisi dal presidente Trump, che lasciano migliaia di ammalati d AIDS senza cure.

Qualche tempo fa – prima in una diocesi del Sud e più tardi anche qui, fra i Lango – è trapelata una lettera segreta delle autorità della Church of Uganda in cui viene ripetutamente raccomandato ai protestanti di non votare ed eleggere nessun candidato cattolico.  Di fronte alle reazioni dei cattolici, i responsabili della comunità anglicana hanno negato la paternità del documento. Comunque sia, ciò non ha certo contribuito a migliorare i rapporti già difficili fra cattolici e protestanti.  Ho esitato a riferirvi questo episodio, ma l’ho fatto per chiedervi di pregare perché il clima si rassereni, nel rispetto reciproco fra gruppi di appartenenza religiosa e politica diversa.

Cari amici, questo è dunque il contesto e la situazione in cui sono tornato a vivere la mia missione di “vescovo emerito”. Non sono più in grado di fare tutto ciò che facevo una volta, ma cerco di vivere con amore e in pienezza il presente. Il lavoro in effetti non mi manca: ricevo gente che ha bisogno di aiuto, sostituisco il vescovo per alcuni incontri, amministro la cresima dietro sua richiesta e do una mano in parrocchia. Inoltre, sono più che mai impegnato a cercare di risolvere i problemi della Televisione Cattolica nazionale, che soffre di una cronica mancanza di fondi… E così, giorno dopo giorno, arrivo alla sera stanco ma sereno e contento.

Quando, sei anni fa, mi sono ritirato a vivere nel convento ormai vuoto delle suore comboniane, ho trovato nel cortile interno della casa un albero di cui ignoro il nome, con tante spine e degli splendidi fiori bianchi. Mi ha fatto compagnia per tutto questo tempo. Al mattino, guardavo con gioia questo segno di vita e bellezza all’inizio di una nuova giornata. Qualche settimana fa, dopo un violentissimo temporale notturno, ho avuto la sorpresa e il dispiacere di vederlo completamente sradicato. Lo abbiamo rimesso in piedi, scavando e affondandolo nuovamente nel terreno e puntellandolo con vari sostegni. Qualcosa di simile era già accaduto un paio d’anni fa, e la pianta aveva ripreso. Stavolta non ha funzionato. Lascia uno spazio vuoto nel cortile e un vago senso di perdita nel mio cuore. Pianterò un nuovo albero. Con il tempo, crescerà e fiorirà, per la gioia di chi verrà dopo di me.

Ma questo semplice fatto mi ha ricordato l’importanza di imparare a lasciar perdere, lasciar andare, senza aggrapparmi a cose, situazioni e persone che passano. C’è una sola cosa con cui dobbiamo preoccuparci di riempire le nostre giornate e la nostra vita: l’amore. Detta così, sembra solo una bella frase fatta. Ma è la pura verità. Ce l’ha insegnato Papa Francesco nella sua ultima enciclica “Dilexit nos” (Ci ha amati) parlandoci dell’amore tenero e forte di Gesù per tutti noi, espresso nel simbolo del suo Cuore. Ce lo ha ricordato Papa Leone pochi giorni fa, con l’esortazione apostolica “Dilexi te” (Ti ho amato) continuando e sviluppando l’insegnamento di Papa Francesco. Sperimentando l’amore di Cristo che ha dato la vita per tutti gli uomini, e sentendoci amati personalmente da Lui, siamo chiamati a nostra volta ad amarlo, riconoscendo la sua presenza soprattutto nei poveri, gli emarginati, e tutti coloro che hanno più bisogno di amore.

In un mondo in cui mai come in questi tempi abbiamo visto diffondersi e prevalere l’odio, le guerre e la distruzione di troppe vittime innocenti, l’unico antidoto e rimedio efficace che può sconfiggere il male e sanare le ferite delle divisioni e dei conflitti è proprio e solo l’amore. Quello di Dio per noi in Cristo Gesù, e il suo amore che si incarna e moltiplica nella vita di ognuno di noi, chiamati e inviati ad offrirlo ai nostri fratelli.

È quanto hanno fatto Davide Okello e Jildo Irwa, i Beati martiri e catechisti di Paimol. Convertiti da poco, si sono offerti di andare a condividere il dono di questo amore a chi non conosceva Gesù, affrontando la morte per la diffusione del vangelo. Il 20 ottobre tornerò finalmente in pellegrinaggio a Paimol, per chiedere ai martiri di intercedere per me e per tutti i cattolici in Uganda il dono del loro stesso amore e il desiderio di condividerlo con tutti i nostri fratelli, specialmente gli ultimi, i poveri che hanno più bisogno di amore e di speranza.

“Missionari di speranza tra le genti” è appunto il motto con cui la Chiesa ci invita a celebrare, domenica 19, la Giornata Missionaria Mondiale. La nostra speranza è Gesù, il suo amore che non ci abbandona mai, non ci lascia soli e ci aiuta a vincere la paura e l’angoscia in un mondo sul cui presente e futuro gravano tante ombre.  Siamo tutti chiamati a tenere viva in noi questa speranza e al tempo stesso responsabili di comunicarla ai nostri compagni di viaggio. Cominciando con chiedere questo dono nella preghiera. “Pregare è la prima azione missionaria e al contempo ‘la prima forza della speranza’» (Papa Francesco).

Un’ultima notizia: tornerò brevemente in Italia l’8 novembre, dopo l’Assemblea Episcopale, per alcune visite di controllo. Ci risentiamo per Natale. Intanto, pregate per me e
BUONA MISSIONE A TUTTI!
P. Giuseppe Franzelli
Comboni2000