Sabato 6 dicembre 2025
L’Africa è un continente ormai pienamente parte del sistema criminale globale. È questo il quadro delineato dal Africa organised crime index 2025, realizzato da Enact e che mostra un’Africa sempre più integrata nell’economia criminale globale e, allo stesso tempo, strutturalmente impreparata a contenerne gli effetti economici e politici. [Andrea Spinelli Barrile – Rivista Africa]

Il cuore del problema, a sud del Sahara, non è solo la presenza di mercati illeciti, ma il modo in cui questi mercati si ibridano con lo Stato, l’economia formale e l’informalità che regge la sopravvivenza di milioni di persone: tra il 2019 e il 2025 tutti i macro–blocchi subsahariani hanno visto crescere la “criminalità” complessiva, con l’Africa orientale diventata oggi la regione più esposta del continente alle attività del crimine organizzato, seguita da Africa occidentale, centrale e australe. Quello che emerge dal rapporto di Enact per il 2025 è che in media, i sistemi istituzionali, economici e sociali africani sono troppo deboli e impreparati per reggere l’urto di mercati criminali sempre più strutturati e diversificati: i mercati più pervasivi sono crimini finanziari, tratta di esseri umani, crimini su risorse non rinnovabili, commercio di beni contraffatti e traffico d’armi. Reati difficili da contrastare: l’economia criminale ha più spazio e più incentivi a espandersi dell’economia regolare, soprattutto nei settori con rendite elevate e bassa probabilità di sanzione (oro artigianale, fauna, flora, narcotraffico, frodi finanziarie, cybercrime) e i passi avanti fatti dagli Stati e dai sistemi legislativi in materia di anti–riciclaggio, capacità regolatoria economica, integrità del sistema giudiziario e ruolo degli attori non statali non sono sufficienti a dotare le economie legali dei dovuti sistemi di protezione e di resilienza.

L’Indice è molto chiaro: in Africa, e in particolare nel Sud del Sahara, il principale motore della criminalità sono gli attori incorporati nello Stato: dove la politica è più amica dei gruppi criminali, la criminalità di Stato è più pervasiva e in Paesi come Nigeria e Kenya, ad esempio, gli attori statali e le reti criminali hanno generato alleanze direttamente nei processi elettorali, tra intimidazioni, violenze e uso selettivo della forza. La tipologia di relazione Stato–crimine va dalla competizione alla cooperazione ibrida fino alla vera e propria fusione e “state capture”, in cui le politiche pubbliche sono scritte per proteggere interessi criminali. A questo fenomeno si somma la crescita del ruolo di attori stranieri e del settore privato “grigio”, riconosciuti da Enact come categorie autonome dal 2023 in poi: investitori, compagnie di sicurezza privata, intermediari finanziari internazionali che operano nello spazio tra formale e informale, spesso come veicolatori di capitali illeciti verso giurisdizioni offshore o hub immobiliari.

Inoltre, in gran parte dell’Africa subsahariana conflitto armato e criminalità si auto–alimentano: nelle aree di guerra l’economia criminale non è un effetto collaterale, bensì una componente strutturale del finanziamento dei gruppi armati (oro, bestiame, droghe, extortion, traffico d’armi) e, sul fronte della risposta, i Paesi africani hanno privilegiato per anni strumenti istituzionali “di facciata”, come leggi, ratifica di convenzioni, cooperazione internazionale sulla carta, a scapito di politiche di prevenzione, sostegno alle vittime e rafforzamento di media e società civile.

Le risorse

Il report di Enact colloca i crimini su risorse non rinnovabili (oro, diamanti, platino, minerali) al terzo posto tra i mercati più pervasivi in Africa, subito dopo crimini finanziari e tratta degli esseri umani: si stima infatti che oro per “decine di miliardi di dollari” venga contrabbandato ogni anno fuori dall’Africa, erodendo entrate fiscali, distorcendo i mercati locali e consolidando sistemi economici paralleli controllati da reti politico–criminali. In particolare, i principali hub di transito dell’oro illegale, Mali e Ghana in Africa occidentale, Repubblica democratica del Congo in Africa centrale, Kenya in Africa orientale, Zimbabwe in Africa australe, combinano tre fattori: vicinanza alle aree estrattive, logistica (porti, aeroporti, confini porosi) e regolazione debole o catturata. Qui l’effetto macroeconomico è duplice: drenaggio di valuta pregiata e minori entrate fiscali e consolidamento di élite politico–imprenditoriali che hanno interesse a mantenere opaca l’estrazione, impedendo la formalizzazione del settore artigianale e la tassazione effettiva delle rendite.

Oltre ai minerali, anche flora, fauna e rendite ambientali sono mercati interessanti per l’economia criminale: tra il 2015 e il 2021 circa un quinto dei sequestri mondiali di fauna selvatica è avvenuto in Africa (in particolare elefanti, pangolini, rinoceronti, coccodrilli e pappagalli). Questi mercati non sono solo “ambientali”: generano flussi finanziari illeciti verso Asia, Europa e Golfo, sostengono economie di guerra (come nella Casamance in Senegal ma sono fonte di entrate anche per i gruppi armati nel bacino del Congo e per le milizie nel Sahel) e spiazzano l’economia formale del legno, della pesca e del turismo, riducendo l’attrattività degli investimenti legali e i ritorni di lungo periodo sulla biodiversità.

Gli esseri umani, merce e mercanti

Nel 2024 il report di Enact stima 40 milioni di africani sfollati con la forza, di cui quasi l’80% all’interno del proprio Paese e il 96% ancora nel continente: il 64% proviene da cinque Paesi altamente criminalizzati o in conflitto, ovvero Sudan, Somalia, Rdc, Nigeria e Burkina Faso. Tra 2019 e 2025 la migrazione irregolare è uno dei mercati in crescita più rapida; la correlazione tra smuggling e trafficking è molto stretta, a dimostrazione del passaggio frequente dalla migrazione “organizzata” al vero e proprio sfruttamento: la tratta, in particolare, è definita dall’Indice Enact come “il principale ostacolo allo sviluppo umano”. Ma come funziona questo mercato dal punto di vista economico? Si crea un settore di servizi criminali (trasporto, alloggio, documenti falsi, protezione) che intercetta i risparmi di intere famiglie, la precarietà dei rifugiati diventa serbatoio di lavoro forzato e ultra–sottopagato in agricoltura, miniere, cantieri e prostituzione e lungo rotte critiche come il Sahel, il Corno d’Africa–Golfo e il Mediterraneo centrale, la gestione dei “pedaggi” controlla l’accesso a intere porzioni di territorio e genera rendite che competono, ma spesso superano, con quelle dello Stato.

Le droghe

I mercati della droga più rilevanti dal punto di vista economico sono l’Africa occidentale per quanto riguarda la cocaina e l’asse Africa orientale-Sudafrica per quanto riguarda il traffico di eroina, mentre i traffici di cannabis e droghe sintetiche (ma anche farmaci) sono in crescita trasversale nell’intero continente: già nel 2016 si stimava il transito di 20 tonnellate di cocaina all’anno via Africa occidentale, per un valore all’ingrosso di 1 miliardo di dollari, un ordine di grandezza compatibile con i numeri attuali e sufficiente a “catturare” interi Stati, come mostra il caso Guinea–Bissau.

I crimini finanziari e le tecnologie

La digitalizzazione delle economie africane sta producendo nuove frontiere di rendita criminale con costi iniziali bassissimi, margini alti e rischio percepito limitato, soprattutto nei Paesi dove l’infrastruttura investigativa digitale non esiste o è obsoleta. Dal 2023 al 2025 i crimini finanziari sono, insieme alla contraffazione, il mercato in crescita più rapida di tutta l’Africa: accanto alle pratiche “classiche” (come riciclaggio e frodi bancarie) il report registra un forte sviluppo di cyber–dipendent crimes e cyber–enabled financial crimes. Nello specifico, si tratta di frodi online, ransomware, furto di identità, schemi Ponzi digitali che sfruttano la debole capacità di risposta e una scarsa cooperazione giudiziaria transfrontaliera.

Andrea Spinelli Barrile – Rivista Africa