Le sfide alla Missione derivano da trasformazioni storiche e cosmiche sempre più accelerate

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Lunedì 12 novembre 2018
L’articolo riguarda i principali cambiamenti avvenuti nel corso della storia mondiale e della storia della Chiesa e che ne hanno influenzato l’attività di evangelizzazione. In coda all’articolo, gli autori – p. Francesco Pierli e p. Franco Moretti – sfidano i lettori a partecipare al presente “documento di lavoro”, aggiungendo i propri contributi e le proprie riflessioni personali. Questo articolo, infatti, non pretende di essere completo poiché l’argomento discusso è molto più ampio della lunghezza del testo. Nel corso della storia sono avvenute molte altre “trasformazioni epocali”, quali le trasformazioni socio-politiche (ovvero quelle governative), le trasformazioni culturali e quelle economiche. Ognuna di esse, richiede particolare attenzione.

Le sfide alla Missione
derivano da trasformazioni storiche e cosmiche
sempre più accelerate

L’articolo riguarda i principali cambiamenti avvenuti nel corso della storia mondiale e della storia della Chiesa e che ne hanno influenzato l’attività di evangelizzazione.

Il testo si compone di sezioni. Nelle sezioni che vanno dalla numero 1 alla numero 4 [1. Il peso del numero 40 nelle trasformazioni bibliche; 2. “Maranatha!” Tensioni missionarie tra il ‘già’ e il ‘non ancora’; 3. “L’Era Ecozoica” La dimensione cosmica della missione; 4. Il Concilio Vaticano II Trasformazione radicale dell’obiettivo e della metodologia missionaria] gli autori presentano una sorta d’introduzione generale all’argomento.

La sezione 5 tratta delle “Trasformazioni Epocali della Chiesa”: 5.1 - Da Cristianità a Cristianesimo; 5.2 - Da Chiesa mediterranea a Chiesa mondiale; 5.3 - Da ministero esclusivamente maschile a ministero pluralista e aperto ai generi.

La sezione 6 include le tre più importanti “Trasformazioni Epocali nelle Religioni”: 6.1 - Unendo la dimensione verticale a quella orizzontale e cosmica; 6.2 - Rinunciando a ogni tipo di violenza; 6.3 Da una Religione che è “Oppio dei Popoli” a una Religione che si fa “Motore della Trasformazione Sociale” - La Missione Sociale della Chiesa.

In coda all’articolo, gli autori aggiungono la ‘Sezione 7’, all’interno della quale sfidano i lettori a partecipare al presente “documento di lavoro”, aggiungendo i propri contributi e le proprie riflessioni personali. Questo articolo, infatti, non pretende di essere completo poiché l’argomento discusso è molto più ampio della lunghezza del testo. Nel corso della storia sono avvenute molte altre “trasformazioni epocali”, quali le trasformazioni socio-politiche (ovvero quelle governative), le trasformazioni culturali e quelle economiche. Ognuna di esse, richiede particolare attenzione.

Foto_oneworld_James Cridland.

UN QUADRO COMPLESSO

La nostra società sta affrontando cambiamenti rapidi e radicali dovuti al processo di globalizzazione, alla forte integrazione e all’espansione delle unioni locali e continentali (quali l’Unione Europea, l’Unione Africana e l’Unione delle Nazioni Sudamericane, solo per menzionarne alcune), alla crisi economica, al progresso della tecnologia e all’innovazione sociale, ai flussi migratori, alla mutazione dei tradizionali sensi d’identità e dei gruppi di appartenenza e via dicendo.

All’interno del “mondo permeabile” di oggi, il cambiamento è infatti una categoria sociologica - e addirittura teologica - predominante che riguarda ogni cosa: dalla cultura alla religione, dall’assetto  mondiale e dal governo globale all’amministrazione, dalla sicurezza (considerata in termini di “potere forte”, quali potenza militare e indicatori economici) alla pace (intesa come ‘shalom’, cioè non semplicemente assenza di conflitti o guerre, bensì come senso interiore di completezza o pienezza)[1] a un’istruzione basata sulla memorizzazione degli eventi o su di una comprensione superficiale degli stessi, priva dell’elaborazione di informazioni concrete e di un pensiero critico, a un’istruzione ‘etica’ che prepara il singolo ad affrontare il proprio futuro lavorativo e personale, formato dal potenziale ‘potere di persuasione’ delle idee o dei valori troppo spesso trascurato.[2]

Già nell’Enciclica del 1990, Redemptoris Missio - Sulla validità permanente del mandato missionario della Chiesa, Giovanni Paolo II parlava di “un quadro religioso complesso e in movimento” del mondo moderno.

“Oggi affrontiamo una situazione religiosa estremamente varia e mutevole. I popoli sono in movimento; realtà sociali e religiose che un tempo erano chiare e ben definite oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni come l'urbanizzazione, le migrazioni di massa, l’ondata di rifugiati, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità, l'influsso emergente del Vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranza non cristiana, il pullulare di messianismi e di sette religiose. È un rivolgimento di situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. (…) La difficoltà di interpretare questa realtà complessa e mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si manifesta già nel «vocabolario missionario». Per esempio, c'è una certa esitazione a usare i termini «missioni» e «missionari», giudicati superati e carichi di risonanze storiche negative (…) Questo travaglio denota un cambiamento reale, che ha aspetti positivi”.[3]

Questo articolo ha un duplice obiettivo: identificare i cambiamenti principali e prevederne le ripercussioni sulle prospettive, sulle strategie e sulle attività della Missione. La necessità di individuare i numerosi cambiamenti specifici (o trasformazioni) attualmente in atto, è data dal fatto che molti alludono a “cambiamenti e trasformazioni” in termini generici, ma quando viene loro richiesto di definirli con chiarezza tramite dei riferimenti ben precisi, confusione e incertezza prendono il sopravvento.

1. IL PESO DEL NUMERO 40 NELLE TRASFORMAZIONI BIBLICHE

Citato ben 146 volte nelle Scritture, il numero 40 rappresenta in linea generale un periodo di prova o sperimentazione. Quaranta giorni, o quarant’anni, è il periodo necessario affinché avvenga una trasformazione radicale (la Nuova Creazione, l’Esodo e la Resurrezione). Nella Bibbia, il cambiamento principale si verifica infatti a livello personale, comunitario e cosmico e richiede quaranta giorni o quarant’anni.[4]

È necessario sottolineare un punto. In un determinato processo di trasformazione, ci sono sempre due forze all’opera ed entrambe devono essere percepite e prese in considerazione.

Questo aspetto viene esposto egregiamente nel capitolo 3 del Vangelo secondo Giovanni attraverso l’utilizzo dell’avverbio greco ἄνωθεν (anōthen) che ha un doppio significato: (a) “dall’alto” (o “dal cielo”; (b), ancora, di nuovo, una seconda volta.

“Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto (ἄνωθεν, ovvero ancora, di nuovo, una seconda volta) non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio»”. (Gv 3,3-5).

Crediamo che qualsiasi mutamento umano, sia, soprattutto, opera dello Spirito di Dio. Tuttavia, questo potere “dall’alto” incontra una realtà umana “al di sotto” (Nicodemo con i suoi desideri e aspettative). La presenza di Dio nel mondo è un dato di fatto per coloro che credono. L’elemento “dall’alto” è centrale, ma non pone rimedio a ciò che Dio stesso ha creato e che adesso vuole “trasformare”, “rinnovare”, far progredire verso la perfezione. C’è sempre una ‘convergenza’ dei due (vedi legge dell’Incarnazione). Il Dio trascendentale è sempre un Dio immanente. Il Dio dei Cieli, il Dio del Turbine, il Creatore dell’Universo, l’Onnipotente, il Padre Severo, è sempre “Dio-con-noi”, il nostro Padre Misericordioso, il Dio vivente, pronto a sporcarsi le mani con le nostre questioni, pronto a creare una vita migliore per noi - “vita nella sua pienezza” - che vuole che venga vissuta da noi qui e adesso.

2. “MARANATHA!” - TENSIONI MISSIONARIE TRA IL “GIÀ” E IL “NON ANCORA”

Questa riflessione si intreccia profondamente con la nostra storia personale. Siamo sempre stati attenti ai cambiamenti del passato e lo siamo tuttora. Vediamo un futuro pieno di sorprese. I cambiamenti, le trasformazioni, le nuove scoperte e i frutti dello sviluppo della creatività umana hanno sempre esercitato un certo fascino su di noi. Li abbiamo accolti come “parola di Dio” rivolta a noi, all’istituto, alla nostra comunità, alla Chiesa e al mondo intero. Il futuro ci attrae e ci affascina ancora, poiché ci sentiamo fortemente in comunione con Colui che, nel libro dell’Apocalisse, afferma: “Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Apocalisse 1,8).

Sì, in questa profonda comunione di fede e speranza, insieme con “lo Spirito e la sposa”, ogni “missionario” fedele al suo nome continua a gridare: “Maranatha!” (Apocalisse 22,17).[5] Egli o ella sono convinti del fatto che nessun secondo, nessun minuto, nessuna ora, nessun giorno né mese né anno siano privi della presenza di Dio. Il nostro Dio è sempre “Emanuele” (“Dio-con-noi”). Perciò, Maranatha! è un’espressione di speranza per qualcosa che deve ancora migliorare, nonché una canzone di gioia poiché la “presenza” è già visibile.

Ma è anche un’invocazione affinché la venuta del Regno acceleri. “Maranatha!” ricorda la supplica “Venga il tuo regno!”. La preghiera è un fattore importante all’interno di qualsiasi vera trasformazione (Apocalisse 7,9-17) e dev’essere costante nella vita di qualsiasi missionario impegnato a trasformare il mondo nel Regno di Dio. La sua preghiera non riguarda unicamente il futuro.

Ci sono troppe persone, oggi, che amano fare predizioni catastrofiche per il futuro, se - per esempio - alcuni capi continueranno a essere al potere, se alcuni candidati saranno eletti, se le cose non cambieranno... E demonizzano e incolpano chiunque: “Abbiamo dei problemi, ed è colpa di ‘quelle’ persone!”. “È colpa degli immigrati!”, “È colpa dei liberali”, “È colpa dei conservatori!”. Discorsi di questo tipo sono  chiaramente nocivi. Ci separano; irrigidiscono le divisioni religiose, politiche e sociali; disumanizzano il prossimo approfittando di paura e disperazione.

Quando preghiamo con e uniti in Cristo, ci rivolgiamo a lui per un progetto migliore per questo nostro mondo controverso che crea divisioni. Possiamo far riferimento al Libro dell’Apocalisse 7,9-17 in cui vediamo Gesù, l’Agnello di Dio vittorioso, accogliere coloro che “sono sopravvissuti  a fatiche di ogni genere”. Essi formano “una grande moltitudine che nessuno sarebbe in grado di contare”. Tutte le tribù, i popoli e le lingue sono innumerevoli, ma sono tutti qui. Anche noi siamo tutti qui. Non importa da dove veniamo o che lingua parliamo, a nessuno è precluso questo momento. Nessuno è escluso. Non ci sono muri né confini a dividere questi seguaci.

Questa è una visione di vita traboccante di diversità, grazia, gioia e amore. La fame ha cessato di esistere, così come la sete. Il calore del giorno non picchia più sulle nostre spalle mentre lavoriamo. Il dolore, la sofferenza, la disperazione e lo sconforto sono stati sconfitti con la stessa facilità con cui si potrebbe asciugare una lacrima dagli occhi di un bambino. La morte è stata sconfitta e così anche i molti modi che abbiamo inventato per dividere i nostri popoli.

È una visione di speranza e di abbondanza, che rende molto più difficile credere a una tale prospettiva in un mondo minacciato dalle crisi ambientali, economiche, politiche e personali. Viviamo sempre più in un mondo in cui la penuria è all’ordine del giorno e dove ciò che ci manca incombe su di noi.

“A che serve questa visione quando il livello degli oceani si sta innalzando, minacciando di inghiottire i più poveri tra noi? A che serve questa visione quando così tanti vengono spremuti da un'economia che pretende sempre di più ma paga sempre meno i lavoratori? A che serve questa visione quando i conflitti politici si trasformano in guerra alla minima provocazione? A che cosa serve questa visione quando le nostre vite sono allo sbando? A che cosa serve questa visione quando il mondo ha cessato di avere un senso? Forse potrebbe produrre degli effetti molto positivi. (…)

Ci sono due cose molto importanti da ricordare sull’Apocalisse. Innanzitutto, il libro non parla di fissare una scadenza per la fine dei giorni (…). Né è un invito a diventare profeti escatologici del momento esatto e delle persone specifiche che guideranno la fine del mondo.

L’Apocalisse riguarda Dio alla fine. L’Apocalisse ci indica un Dio Buono che mantiene le promesse, un Dio che assicura giustizia per gli oppressi e il giudizio contro i loro oppressori. L'Apocalisse parla di un Dio che crea il mondo e che lo rimette di nuovo in sesto. L’Apocalisse non riguarda la distruzione del mondo, ma il modo in cui Dio sistemerà nuovamente le cose. In breve, questo libro non parla di noi o di cosa ci riserva il futuro ma di un Dio in cui possiamo confidare nei nostri giorni peggiori così come nei nostri giorni migliori.

In secondo luogo, dunque, l’Apocalisse non riguarda propriamente il futuro. Non riguarda propriamente il domani. È un libro sull’oggi. L’Apocalisse riguarda il qui e ora. L’Apocalisse riguarda noi, tutti noi.

Quando, durante la preghiera, immaginiamo (e chiediamo) un mondo trasformato da Dio a tal punto che un'innumerevole folla di persone diverse provenienti da luoghi diversi, che parlano lingue diverse, si riuniscono come fossero un’unica cosa, dovremmo essere spinti all’azione, specialmente quando quella visione è così discordante con ciò che vediamo nella nostra vita quotidiana. Ma dovremmo essere mossi non a desiderare di diventare persone migliori, ma a credere che Dio ci stia già riunendo, che le Sue promesse sono già reali anche in un mondo che ha smesso di avere un senso. Sulla base delle promesse di Dio, non possiamo fare a meno di agire e sperare in qualcosa di meglio”.[6]

Un missionario è una persona che vive tra il “già” e il “non ancora”, accogliendo e lodando costantemente “il magnifico”, dal momento che crede che Dio sia già qui, presente in mezzo a noi.

In ogni parte del pianeta, tra le diverse nazionalità, i numerosi credo e le varie estrazioni sociali, a ogni parallelo e meridiano, il Signore è presente e il missionario è colui che proclama gioiosamente questa presenza, anche quando vede le tragiche inadeguatezze dell’assetto mondiale, la presenza e l’azione del male sia nel cuore degli esseri umani sia nelle strutture religiose, economiche, sociali e culturali. I missionari devono essere in grado di percepire “il già” e il “non ancora” della pienezza della presenza e della redenzione di Dio. Essi vedono la pienezza e la gioia della vita già presenti come potenti “semi” e come “promessa” di un raccolto abbondante.

La trasformazione finale del cosmos nel Regno di Dio è sia un’esistenza apprezzata sia un sogno e un ardente desiderio. San Paolo, il missionario più appassionante, sintetizzò le dinamiche del “già” e del “non ancora” nella parola greca μυστήριον (mustérion)[7], un piano caro Dio, ma da rivelare per poi essere realizzato dall’umanità. È un processo di realizzazione intervallato da oscurità e luce, avidità e generosità, fragore e shalom.

In Daniele Comboni, nostro “padre” del ministero missionario, contempliamo nella loro pienezza le dinamiche del già e del non ancora e il senso (τέλος, télos) della storia da portare a compimento nel mezzo di difficoltà a dir poco impressionanti. Egli percepiva (“era un’ispirazione dall’alto”) il suo Piano per la rigenerazione dell’Africa come parte di un grande μυστήριον di Dio per una parte precisa del cosmo ancora bisognosa di una “salvezza - rigenerazione” e dedicò tutta la sua vita al conseguimento di ciò, pienamente consapevole del fatto che il “seme” aveva un potere così formidabile (in quanto potere divino) in grado di garantirne la realizzazione nonostante tutte le “forze avverse”.

Le ultime parole che spirò sul letto di morte il 10 ottobre del 1881 furono: “Io muoio, ma il mio progetto non morirà... Coraggio per il presente e soprattutto per il futuro!”.

3. L’ERA ECOZOICA - LA DIMENSIONE COSMICA DELLA MISSIONE

Uno dei “guru” nei nostri primi anni di ministero missionario fu il teologo e padre Gesuita Bartolomeo Sorge. Oltre a essere stato benedetto tramite interazioni personali dirette, abbiamo sempre letto i suoi articoli, i suoi libri e ascoltato i suoi discorsi. Negli ultimi anni Settanta, sia nei discorsi sia nei suoi scritti, era solito ripetere questo ritornello: “Stiamo vivendo un’era di cambiamenti epocali”, spiegando che, con “cambiamenti epocali” intendeva “cambiamenti notevoli”. In seguito, si sarebbe affrettato a chiarire: “In realtà, invece di ‘cambiamenti epocali’, dovrei usare l’espressione ‘cambiamento di un’epoca’ o cambiamento di un’era nel corso della storia umana, che è molto più forte rispetto al termine cambiamento epocale”.

Per molti anni, queste parole hanno risuonato nelle nostre teste e sono effettivamente diventate il nostro modus pensandi, o modus cogitandi, e il nostro modus vivendi. Abbiamo letto, pregato e riflettuto molto sul significato dell’espressione “cambiamento d’epoca”, in cui l’enfasi è posta maggiormente sulla discontinuità piuttosto che sulla continuità. Sicuramente, la continuità non viene eliminata, è “qui”, garantita dalla fedeltà di Dio (è il “numero uno” della storia), dal soffio dello Spirito Santo, da Gesù Cristo (“Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine” - Apocalisse 22:13), dalla parola di Dio (“Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” - Matteo, 24:35). In questo modo, la continuità è assicurata “dall’alto”. “Dal basso”, tuttavia, ci scontriamo con una grande discontinuità, caratterizzata dai “cambiamenti radicali” che non rappresentano punti e virgole, ma al contrario sono dizionario, grammatica e sintassi; insomma, idee e concetti.

Padre Bartolomeo ha sviluppato quest’idea in un libro intitolato La traversata - La Chiesa del Concilio Vaticano II ad oggi[8] in cui approfondisce i vari cambiamenti e identifica i grandi trasformatori che stanno dietro di essi. Era Ecozoica è  un’espressione  che  viene  coniata  da  due  americani (Thomas Berry, scienziato e teologo, e Brian Swimme, cosmologo evoluzionista) nell’affascinante libro Il viaggio dell’Universo - Dalla scintilla primordiale all’Era Ecozoica - Una celebrazione dello sviluppo del cosmo[9].

Il libro non solo ricopre un periodo di diecimila anni, ma descrive le trasformazioni evolutive  dell’universo, partendo dal principio con il Big Bang e arrivando fino ai nostri tempi, che gli autori chiamano Era Ecozoica, e definiti pertanto: “Il periodo della vita emergente successivo al Cenozoico e caratterizzato, fondamentalmente, dal rafforzamento reciproco della relazione tra uomo e Terra. La parola deriva dalla tradizione scientifica che divide il Fanerozoico nelle ere Paleozoiche, Mesozoiche e Cenozoiche”.

Senza l’orizzonte dell’era ecozoica, la Missione sarebbe “proselitismo” anziché servizio del Regno.

4. IL CONCILIO VATICANO II - TRASFORMAZIONE RADICALE DELL’ OBIETTIVO E DELLA METODOLOGIA MISSIONARIA

Il giorno 11 ottobre 1962, nella Basilica di San Pietro, il Santo Papa Giovanni XXIII illustrò il suo progetto per il Concilio Vaticano II durante il discorso d’apertura ai vescovi. Le sue parole furono “rivoluzionarie” nel vero senso del termine.[10] Propose cinque punti per il raggiungimento di questo obiettivo:

1. Essere pieni di fede e speranza e non profeti di oscurità.

“La Provvidenza Divina ci conduce a un nuovo ordine di relazioni umane che, tramite i tentativi dell’uomo e addirittura al di là delle sue stesse aspettative, sono dirette verso il disegno superiore e imperscrutabile di Dio”.

2. Scoprire nuovi modi di insegnare la fede in maniera più efficace.

“La più grande preoccupazione del concilio ecumenico è questa: che il sacro deposito della dottrina cristiana venga custodita e insegnata in maniera più efficace”.

3. Approfondire la comprensione della dottrina.

La dottrina originale “dovrebbe essere studiata ed esposta attraverso i metodi di ricerca e le forme letterarie del pensiero moderno. La sostanza dell’antica dottrina e i depositi della fede sono una cosa, altra il modo in cui essi vengono presentati”.

4. Usare la medicina dell’indulgenza.

“Gli errori svaniscono così come compaiono, come la nebbia prima del sole. La Chiesa si è sempre opposta a questi errori e, ancor più frequentemente, li ha condannati con la maggiore severità possibile. Oggi, la Sposa di Cristo, preferisce far ricorso alla medicina dell’indulgenza invece che alla severità. Essa ritiene infatti che sia necessario incontrare le necessità dell’oggi dimostrando la validità del proprio insegnamento invece di utilizzare la condanna”.

5. Cercare l’unità all’interno della Chiesa, con i cristiani divisi dal cattolicesimo, con coloro che appartengono a religioni non cristiane e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

“Tale è lo scopo del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo che prepara, per così dire, e consolida il cammino verso l’unità dell’intera umanità, in cui regna la verità, la legge è dettata dalla carità e la dimensione è l’eternità”.

In effetti, quelle parole (e quello che rappresentavano) furono il vero inizio di una nuova epoca. Oggi, quelle stesse parole riecheggiano nelle parole di Papa Francesco. Entrambi insistono sulla parola gioire. La gioia è il frutto della Spirito Santo e il frutto della virtù della speranza. La gioia è la prova che percepiamo la presenza di Dio negli avvenimenti umani, anche quando tutto sembra buio e negativo.

Permetteteci di citare quel discorso che ha segnato il cambiamento di un’epoca.

“Capita spesso, come abbiamo imparato nell’esercizio quotidiano del ministero apostolico, che non senza offesa per le nostre orecchie, ci siano presentate le considerazioni di alcuni che, per quanto infiammati di ardore religioso, tuttavia non esaminano le cose con valutazione serena e giudizio sufficientemente ponderato. Questi infatti, non sono in grado di vedere altro se non rovina e disgrazia nello stato attuale della società umana; continuano a ripetere che il nostro tempo, se paragonato ai secoli passati, sta peggiorando; si comportano come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se, nel tempo dei Concili passati, tutto andasse bene e in maniera favorevole alla dottrina cristiana, alla moralità e alla libertà della Chiesa. A noi sembra di dover dissentire da questi profeti di sventura che predicono sempre il peggio, come se la fine del mondo fosse imminente. Nel corso attuale degli avvenimenti umani, attraverso il quale la società sembra entrare in un nuovo ordine di cose, dovremmo rilevare piuttosto i propositi reconditi della divina Provvidenza che, in larga misura e oltre la loro aspettativa, si pongono saggiamente qua e là per il bene della Chiesa”.[11]

Ciò che queste parole provocarono, venne  descritto  da  molti  come una “nuova  Pentecoste”. A dire il vero, l’espressione non si presentò all’interno della struttura di un’attribuzione diretta e inequivocabile che affermava categoricamente che “il Vaticano II sarà (o è, o è stato) una nuova Pentecoste”, sebbene presupponesse speranza e aspettativa in tal direzione. Senza alcun dubbio, lo Spirito soffiò sull’assemblea dei vescovi allora inaugurata. E quando lo Spirito soffia, il cambiamento e la trasformazione sicuramente avverranno.

Cambiamento e trasformazione divennero categorie teologiche, insieme all’espressione “i segni dei tempi” nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel Mondo Contemporaneo Gaudium et Spes, in particolare dal paragrafo 4 al paragrafo 10.[12]

La Costituzione Pastorale ebbe il coraggio di invocare i molti “cambiamenti radicali”, i “numerosi cambiamenti sociali” e addirittura i “cambiamenti nei comportamenti, nella morale e nella religione” osservati nei “segni dei tempi” mondiali e storici, avvalendosi di un’espressione biblica per una trasformazione sociale piena della presenza di Dio e portatrice del germe della venuta del Suo Regno.[13]

Fino ad allora, i sacramenti erano (e sono ancora) segni della presenza e dell’azione di Dio. Durante la celebrazione eucaristica, il pane e il vino sono segni della presenza reale di Cristo. Allo stesso modo, adesso i “cambiamenti storici” sono segni della presenza (o dell’assenza) e dell’azione di Dio. Di conseguenza, noi siamo chiamati a vederli, analizzarli, accettarne la “positività” o la sfida in essi contenuta e a collaborare con Dio portandone il loro potenziale alla pienezza.

Un missionario è una persona che crede alla presenza di Dio nella storia, in tutte le religioni, in tutte le situazioni umane e che proclama la “buona novella” che Dio è “lì”. Attraverso le parole e le azioni dei missionari, Dio rivela la sua presenza così come fece attraverso le azioni e le parole di Gesù, il suo primo missionario. San Paolo lo aveva capito perfettamente. Mentre viaggiava per la Licaonia «c’era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di esser risanato, disse a gran voce: «Alzati diritto in piedi!». Egli fece un balzo e si mise a camminare. La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaonio e disse: «Gli dei sono scesi tra di noi in figura umana!». (…) Sentendo ciò, gli apostoli Barnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: «Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori». (Atti, 14:8-17).

Paolo non dubita del fatto che il Dio vivente sia sempre stato tra gli abitanti di Iconio, attraverso i numerosi segnali della Sua presenza (per esempio la pioggia, il raccolto o il cibo) e riempiendo i loro cuori di gioia. Non porta con sé un nuovo dio. Il Dio vivente sta aspettando che egli riveli al popolo di Listra quanto fosse sempre stato vicino a loro. Il miracolo che Paolo compie, attraverso il potere dello Spirito, è un invito, un’esortazione a vedere e contemplare il Dio vivente che agisce nelle loro vite.

La Missione proclama la vita e i missionari sono persone che credono che il Dio da loro proclamato non venga per rubare, uccidere e distruggere ma per portare un cambiamento radicale, così che i suoi figli possano avere vita, e averla in abbondanza (Giovanni, 10,10). Sono testimoni, araldi e campioni dell’amore, della compassione e della tenerezza di Dio. Il risultato di ciò è sempre la “gioia” che sarà “piena”  in seguito alla sconfitta di qualunque cosa che neghi il diritto alla vita.

Noi tutti dovremmo considerare Papa Francesco un vero e proprio “segno del tempo” per il mondo contemporaneo, nella sua convinzione che l’Evangelium è sempre gaudium! Sbarazziamoci di questi “profeti di sventura” condannati da Giovanni XXIII. Se non porta con sé vita e gioia, il Vangelo che predichiamo e mettiamo in pratica nella vita è falso. Questa è la “prova del nove” della veridicità di un testimone di Cristo.

5. TRASFORMAZIONI EPOCALI DELLA CHIESA

È giunto il momento di elencare brevemente alcune di quelle che consideriamo “trasformazioni epocali”, ovvero quegli eventi della storia che negli ultimi 2.000 anni di Cristianesimo hanno caratterizzato un’era e che sono stati quindi riconosciuti come “segni dei tempi”.

Naturalmente, la missione è l’orizzonte costante che abbiamo in mente nonché il criterio per la selezione di un cambiamento invece di un altro. Ci sono state molte altre trasformazioni negli ultimi 2.000 anni di Cristianesimo rispetto a quelle che andremo a elencare, ma abbiamo intenzione di segnalarne solo alcune, che sono quelle che consideriamo più pertinenti alla Missione.

5.1 Da Cristianità a Cristianesimo

Prima dell’ascesa al potere dell’Imperatore Costantino, la conversione alla fede cristiana comportava una “trasformazione rischiosa” a causa della possibilità di essere perseguitati. In seguito all’Editto di Milano sottoscritto nel febbraio 313 (in cui l’Imperatore Romano Costantino I   e Licinio, che controllava i Balcani, acconsentirono tra le altre cose a cambiare politica verso i Cristiani e a trattarli con benevolenza all’interno dell’impero[14]) la conversione rappresentò il varco verso sicurezza e privilegi.[15]

La fede divenne a buon mercato e, da qui, vi fu l’aumento del monachesimo, uno stile di vita che accentuava il fatto che fede e conversione fossero questioni serie. Dobbiamo ammettere che, sin da allora, l’Editto di Milano rappresentò un’arma a doppio taglio per la Chiesa.

“Analizzato nei suoi aspetti positivi, l’Editto segnò finalmente la fine della persecuzione dei primi cristiani. Il sangue versato dei martiri era stato così significante che la loro testimonianza portò addirittura alcuni Imperatori a domandare quale tipo di amore avrebbe visto così tanti seguaci pronti a morire per le loro convinzioni. Lo stesso tipo di amore vide inoltre la Chiesa diventare un attore significativo nel plasmare i valori della società, specialmente in Occidente. Non c'è dubbio che il cristianesimo abbia moderato, coltivato e umanizzato alcuni dei peggiori eccessi romani. L’altro lato della medaglia, era rappresentato dal fatto che la Chiesa divenne molto potente in un brevissimo arco di tempo. I vescovi iniziarono a indossare le vesti viola dei senatori. Le chiese assunsero le sembianze delle Basiliche Romane, mentre il governo della Chiesa rispecchiava quello dell'Impero. La liturgia ereditò tutte le pratiche che erano popolari nei templi romani. Tragicamente, nei secoli successivi, la conversione venne imposta in punta di spada. Nessun dissenso o pluralismo religioso era tollerato. (…) Il problema di tutto ciò non è che il linguaggio imperiale terreno sia usato in riferimento a Gesù. Egli si descrisse come un re. Il cristianesimo iniziò a dimenticare che Gesù aveva inoltre sottolineato che il suo regno non era “di questo mondo” e che i suoi seguaci potevano riconoscersi dal modo in cui nutrivano gli affamati, davano da bere agli assetati, accoglievano gli estranei, vestivano i nudi, si prendevano cura degli ammalati e visitavano i prigionieri. Il regno di Gesù e dei suoi seguaci è di un ordine completamente diverso da quello solitamente apprezzato nei regni terreni”.[16]

Potrebbe essere opportuno prendere in considerazione una citazione di Sequela[17] di Dietrich Bonheoffer. Cosa può significare, oggi, la chiamata al discepolato e l’adesione alla parola di Gesù per un uomo d’affari, un soldato, un operaio o un aristocratico? Cosa intendeva dirci Gesù? Qual è la sua volontà per noi, oggi?

Attingendo al Discorso della Montagna, Bonhoeffer risponde a queste domande senza tempo dando un’interpretazione influente sulla dicotomia tra “grazia a poco prezzo” e “grazia costosa”.

“La grazia a poco prezzo è la grazia che concediamo a noi stessi, la grazia senza sequela. La grazia a caro prezzo è il Vangelo che deve essere cercato più e più volte, il dono per cui si deve di nuovo pregare, la porta a cui si deve di nuovo bussare. È a caro prezzo perché costa all’uomo il prezzo della vita, è grazia, perché proprio in tal modo gli dona la vita”.

Sequela è una testimonianza convincente delle richieste di sacrificio e della coerenza etica di una persona la cui vita e i cui pensieri furono assetti esemplari di un nuovo tipo di guida ispirata dal Vangelo, pervasa dallo spirito dell’umanesimo cristiano e da un senso creativo del dovere civile.

Un altro libro interessante scritto da Bonhoeffer è il postumo Lettere e scritti dal carcere, nel quale egli continuò la sua interazione con la tradizione filosofica e letteraria della civiltà occidentale, rendendo così le sue Lettere degne di essere considerate un testo fondamentale per la discussione sulla secolarizzazione. Il seguente passaggio è una perla preziosa:

“La nostra Chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole d’un tempo sono destinate a perdere la loro forza e a cessare, e il nostro essere cristiani oggi sarà limitato a due azioni: pregare e operare tra gli uomini secondo giustizia. Ogni pensiero, ogni parola e ogni misura organizzativa, per ciò che riguarda le realtà del cristianesimo, deve rinascere da questa preghiera e azione. (…) Non è nostro compito predire il giorno - ma quel giorno verrà - in cui gli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà trasformato e rinnovato. Sarà un linguaggio nuovo, probabilmente un linguaggio non del tutto religioso, ma liberatore e redentore, come fu quello di Gesù; le persone ne avranno spavento e saranno, tuttavia, sopraffatte dal suo potere; sarà il linguaggio di una nuova giustizia e verità, il linguaggio che annuncia la pace di Dio con gli uomini e l’avvicinarsi del suo regno… Fino a quel momento il dovere del cristiano sarà di restare silenzioso e appartato; ma ci saranno uomini che pregheranno e opereranno secondo giustizia e attenderanno il tempo di Dio”.[18]

La missione non è mai integrazione nell’assetto mondiale esistente, sia esso romano, europeo o americano.

5.2 Da Chiesa mediterranea a Chiesa mondiale

Questa è un’altra delle grandi trasformazioni avvenute nella storia della Chiesa, ampiamente analizzata da Karl Rahner in quanto frutto importante del Concilio Vaticano II. Egli divulgò le sue indagini in due articoli che divennero famosi - presenti in Preoccupazioni per la Chiesa - i cui contenuti sono stati recentemente rivisitati da Seán D. Sammon[19] in un articolo su America, la rivista gesuita americana.[20]

Quest’ultimo scrive: “Dal 1962 al 1965, gli occhi del mondo si sono  concentrati sulla città di Roma e sulla rivoluzione che sta avvenendo nell’interpretazione e nella messa in pratica del Vangelo, dal momento che un’istituzione così antica ha avuto difficoltà nel farsi spazio all’interno del mondo moderno. L’occasione di trovare questo posto all’interno di un mondo evidentemente cambiato, fu rappresentata dal Concilio Vaticano II e, quasi vent’anni dopo, nell’aprile del 1979, il teologo gesuita Karl Rahner cercò di misurarne l’impatto.

Parlando a Cambridge, in Massachusetts, Rahner sostenne che il Vaticano II era la prima assemblea ufficiale della Chiesa cattolica in qualità di chiesa mondiale. “Il consiglio”, affermò, ha dato inizio a un cambiamento che si è verificato un’unica volta prima d’ora nella sua storia, ovvero quando la chiesa è passata dal mondo del cristianesimo ebraico a occupare un posto nel più ampio mondo mediterraneo”.

Rahner divide la vita della chiesa in tre epoche. Il primo e più breve periodo fu quello del cristianesimo ebraico, un tempo durante il quale la morte e la risurrezione di Gesù di Nazareth fu proclamata in Israele e al suo popolo.

La seconda grande epoca della Chiesa fu avviata dal Concilio di Gerusalemme attraverso l’eliminazione della circoncisione per i Cristiani Gentili dando così vita a un cristianesimo che cominciò a crescere nel suolo della civiltà greco-romana.[21] Durante quest’epoca, che durò pressoché duemila anni (dal Concilio di Gerusalemme fino al Concilio Vaticano II), il Cristianesimo si identificò sempre più con la cultura europea. Tra la nascita di quello che può essere definito Cristianesimo Gentile e quello attuale, “si verificò un’evoluzione”.[22] Per quasi duemila anni, la Chiesa è sembrata strettamente legata alla civiltà europea e, come tale, esportata dai suoi missionari coloniali. La Chiesa dell’evangelizzazione era riluttante a offrire altro che non fosse una religione inserita nelle lingue, culture e civiltà europee che essa riteneva superiori.

Durante questa seconda epoca, la Chiesa “mediterranea” rappresentava sostanzialmente la parte settentrionale del “fenomeno mondiale”, le cui strutture e pensiero teologico erano radicati nella filosofia e nella visione del mondo greco-latina e il cui contesto istituzionale era plasmato dalle modalità dell’Impero romano. Gli unici due tentativi di ampliare l’idea della Chiesa vennero dapprima frustrati e poi soppressi: in un primo momento, con la separazione (lo scisma) e con la condanna (la scomunica) della Chiesa Ortodossa e del suo orizzonte nel 1054; in un secondo momento, con il fallimento del tentativo di riunire la Chiesa mediterranea e la Chiesa nord-europea, macchiata dalla Riforma Protestante del 1517 e dalla separazione della Chiesa inglese e del mondo anglosassone da Roma nel 1534.

Teologicamente ,“l’universalità” era intesa come “uniformità” con la Chiesa di Roma che dettava l’unica possibile forma di “comunione” e imponeva l’unico rito possibile (il rito latino-romano) e l’unica lingua possibile (il latino). La pluralità di teologie, riti e lingue, inizialmente molto presente, giunse al termine. Il concetto di chiesa locale scomparve e rimase vivo unicamente nella Chiesa ortodossa con i suoi svariati Patriarcati, riti e lingue.

Un diverso tipo di Concilio

Seán D. Sammon afferma che il Concilio Vaticano Secondo avviato da Papa Giovanni XXIII, fu completamento diverso nella sua formazione da qualsiasi altro tipo di concilio avvenuto in precedenza, e sicuramente diverso dal Vaticano I, dove gli episcopati di Asia e Africa erano costituiti da vescovi missionari di origine europea e nordamericana. Nel Vaticano II, invece, quelle stesse regioni furono rappresentate per lo  più da delegati nativi di Africa e Asia che non giunsero a Roma come visitatori insicuri. Durante il Vaticano II, abbiamo constatato l’incontro dei vescovi mondiali e non di un organo consultivo del Papa, ma piuttosto di un gruppo insieme a lui utilizzato come insegnamento finale e organo decisionale della Chiesa Cattolica. Per la prima volta nella  storia, nacque un consiglio mondiale formato da un episcopato autenticamente mondiale; una delle istituzioni più globalizzate al mondo stava finalmente assumendo un volto in grado di unire le sue complessità e diversità.

Per Rahner, il Vaticano fu un “evento sismico”. “Quando il polverone si calmò, eravamo ancora in piedi, ma ci trovavamo in un posto diverso”. Il Concilio ci presentò la possibilità di una Chiesa che avrebbe agito tramite l’influenza esercitata da tutti i suoi componenti. Indubbiamente, il pensiero di passare da una forma di cristianesimo europeo occidentale a una chiesa mondiale sollevò problemi  teorici tutt’altro che chiari. Per esempio, Rahner si domandò se l’etica matrimoniale dei Masai dell’Africa orientale avrebbe semplicemente continuato a riprodurre l’etica del cristianesimo occidentale. Se il sogno di una Chiesa davvero mondiale fosse divenuto realtà, ci sarebbero state senza dubbio sfide da affrontare, non ultima quella di mantenere l’unità nel mezzo della diversità.

Nel Vaticano II, avvenne la riscoperta del Cattolicesimo come “dinamicità inclusiva” in cui il pluralismo era possibile nell’ambito di un’unica Fede (da intendersi come pluralismo di codici, teologie, riti e così via). Durante l’Epoca Mediterranea, invece, il cattolicesimo era un concetto esclusivo: per appartenere alla Chiesa cattolica, si doveva diventare romani.[23]

Uno dei simboli di questa “pluralità in unione” fu rappresentato dai sinodi continentali (Africa, Asia, America Latina) alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo, in cui, sebbene la connotazione romana fosse ancora molto presente, la voce delle chiese locali, regionali e continentali ne costituiva il cuore.[24]

È ovvio che questo sia uno dei principali obiettivi del papato di Francesco. Per esempio, nei suoi documenti più importanti, Evangelii Gadium, Laudato Si’ e Gaudete et Exsultate, un terzo delle citazioni proviene dalle voci delle Chiese locali di tutto il mondo. Questi riferimenti sono stati quasi totalmente ignorati dai Papi precedenti. In altre parole, il Magistero Cattolico era prevalentemente romano: i Papi citavano se stessi e  i propri predecessori.

Questa evoluzione dovrebbe avere un esito strepitoso sul movimento missionario. In passato, “missione apostolica” significava andare e “costruire” la Chiesa Romana in varie parti del mondo. Il movimento era rigidamente controllato dalla Chiesa Romana che voleva estendere il proprio dominio. Oggi, invece, i missionari sono al servizio delle chiese locali, più radicati nelle culture locali, incarnati in queste realtà e più che mai pronti ad aiutare le comunità cristiane locali nell’evangelizzazione di ambiti della vita in cui il messaggio cristiano è ancora irrilevante o riguarda solo superficialmente la vita reale.

5.3 Da ministero esclusivamente maschile a ministero pluralista e aperto ai generi

Cristianità è il nome adatto a definire la “seconda epoca” di Rahner nella vita della Chiesa.

Fu il periodo in cui ministeri, governo e dirigenza della Chiesa furono profondamente dominati e condizionati dalla mentalità, dalla cultura e dalla filosofia dell’Impero Romano, in particolar modo dell’Impero Romano d’Occidente. Così come nell’Impero, anche il “ministero” della Chiesa era inteso come “dirigenza” (comando) ed era fortemente controllato dagli uomini. La cura particolare di Gesù nei confronti delle donne, l’attenzione di Paolo al ruolo della donna nelle prime comunità cristiane e il carattere “laico” della maggior parte dei ministeri della Chiesa (che, per inciso, rappresentava un’innovazione radicale ai tempi dell’Impero Romano) vennero presto scherniti e accantonati. Non appena la Chiesa divenne religione ufficiale dell’Impero, la ricchezza del ministero della Chiesa Apostolica scomparve.

La grande centralizzazione della responsabilità e la relativa terminologia giuridica dell’Impero Romano passarono alla Chiesa a tal punto che, quando l’Impero crollò nel 476, la sua struttura fu assunta e perpetuata dalla Chiesa, in quel momento maggiormente pronta a trovare giustificazioni bibliche e teoriche per questo mandato. Fu effettuata una reinterpretazione “forzata” e non sempre corretta del Nuovo Testamento. Per esempio, un semplice “presbitero” (un anziano) diventava automaticamente un “sacerdote ordinato”. La determinazione della Chiesa Ortodossa nel voler mantenere l’interpretazione tradizionale del Nuovo Testamento, in particolar modo per quanto riguardava la strutturazione delle varie chiese, venne vanificata dalla comunicazione del Patriarca di Costantinopoli da Roma (1054).

Il modo in cui era strutturata la Chiesa romana veniva considerato eterno e divino. Non sarebbe stata ammessa alcuna diversificazione da essa; così, il notevole sforzo di localizzare la Chiesa nell’Europa settentrionale e nel mondo anglosassone venne etichettato come “ribellione” contro Dio stesso e pertanto tali realtà vennero “scomunicate”. Oggi, in misura maggiore rispetto al passato, sappiamo che Martin Lutero non aveva nessuna intenzione di dividere la Chiesa ma intendeva solo riformarla.

Teologicamente, la Cristianità fu un periodo caratterizzato dalla logica del “anathema sit” (“Sia maledetto e dannato”, che tradotto concretamente sarebbe “sia enormemente vilipeso, odiato ed emarginato”). Le prospettive teologiche dei diversi concili ecumenici vennero gradualmente riformulate attraverso dichiarazioni teologiche e giuridiche, elaborate interamente secondo il linguaggio della cosiddetta theologia perennis, che scoraggiava ogni tipo di pluralismo e trasformava la cristianità occidentale in una religione eccessivamente moralista e legalistica, a spese della dimensione trascendentale.

Probabilmente, la decisione più rivoluzionaria adottata da Giovanni XXIII fu quella di pensare al Vaticano II come a “un concilio pastorale”, il cui scopo sarebbe stato rinnovare la Chiesa e non scomunicare chiunque.[25]Sappiamo che la Commissione romana aveva già preparato la documentazione completa da far firmare al vescovo, all’interno della quale ogni singolo documento rifletteva la vecchia visione. Ma quando l’allora Papa vide che tra la Curia romana e i vescovi del mondo c’era un abisso, respinse quanto i teologi della curia gli avevano presentato. Perciò, si impiegò la prima parte del Concilio elaborando una nuova metodologia e un processo che avrebbero consentito a tutti i vescovi, insieme al vescovo di Roma, di rappresentare il magisterium. Era già una bella riaffermazione di collegialità e sinodalità.

Teologicamente parlando, ciò fu reso possibile grazie a una delle più grandi intuizioni teologiche che il Concilio stesso avrebbe approvato: il concetto di episcopato come vero sacramento (in effetti, esso rappresenta la pienezza del sacramento dell’ordinazione).[26] I vescovi, che per secoli erano stati “rappresentanti” del Papa (che concedeva loro facoltà) tornarono a essere ancora una volta “rappresentanti di Cristo” e non del Papa, a capo delle chiese locali, luoghi in cui la Chiesa Universale di Cristo è pienamente presente.

I vescovi, insieme ai loro collaboratori (sacerdoti e diaconi) vennero visti come parte integrante del “popolo di Dio”,[27] “il popolo messianico che Cristo ha in mente”, “trasformato in regno e sacerdoti di Dio Padre”, “che condividono anche il mandato profetico di Cristo” e partecipano, ognuno a suo modo, all’unico sacerdozio di Cristo.

Nel “popolo di Dio” sono comprese anche le donne. Durante il Concilio, la lettera enciclica di Papa Giovanni XXIII Pacem in Terris, pubblicata nell’aprile 1963, aveva osato dire che, tra “i segni dei tempi”, cioè tra gli eventi particolarmente significativi per la conoscenza di Dio e della religione, c’era anche il ruolo crescente delle donne nella vita pubblica. Questa “trasformazione” sociale era da considerarsi fondamentale per l’istituzione del Regno di Dio nella storia. Il tema era - ed è ancora - la rivisitazione del ruolo della donna nella chiesa, incluse le misure da adottare per assicurare la loro presenza in posizioni di guida significative all’interno della comunità ecclesiastica.[28] È vero che esistono delle competenze di base attese per chiunque desideri essere oggi una valida guida religiosa (per esempio l’abilità di amministratore, l’inclinazione all’efficienza o la capacità di concettualizzare e pensare analiticamente). Eppure, ne sono necessarie altre e più importanti per chiunque possa essere giudicato in grado di portare con sé la trasformazione richiesta nel mondo intero e nella Chiesa cattolica contemporanea. Le guide religiose valide devono essere uomini e donne innamorati di Dio, profondamente radicati nei valori del Vangelo che sono chiamati a proclamare. In quale altro modo potrebbero altrimenti parlare in maniera convincente del significato spirituale degli eventi nel mondo che li circonda? Ugualmente importante è la capacità di dialogare con numerosi gruppi eterogenei e di sentirsi a proprio agio in mezzo alle divergenze d’opinione. Guide di questo tipo sono impegnate a costruire unità nel mezzo di importanti pluralismi. Sono contraddistinte dal forte desiderio di rendere le cose migliori,  e da un desiderio ugualmente forte di mettere in atto i cambiamenti necessari per far progredire la Chiesa e il suo popolo, senza badare alla resistenza che potrebbero incontrare. Oggi più che mai, abbiamo bisogno di guide religiose che abbiano una chiara percezione di ciò che sta accadendo tra il Popolo di Dio e nel mondo in generale, individui che possiedano la capacità di responsabilizzare i fedeli, ispirandoli a lasciare da parte l’interesse personale a favore di una prospettiva molto più ampia.

6. TRASFORMAZIONI EPOCALI NELLE RELIGIONI

Nella missiologia tradizionale, l’attenzione era incentrata su di una conversione personale attraverso la quale ci si inseriva nella Chiesa. Nel complesso, la fine di tutte le religioni non cristiane costituiva uno degli obiettivi dell’attività missionaria: il cristianesimo voleva sostituire tutte le altre confessioni.

Oggi c’è una percezione diversa, dovuta soprattutto all’interpretazione sociale e teologica delle religioni e del grande contributo del Vaticano II, in particolar modo in Nostra Aetate.[29] Le religioni mondiali non sono più “nemiche” del cristianesimo.

“La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.

Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è « via, verità e vita » (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose. Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi”.[30]

6.1 Unendo la dimensione verticale a quella orizzontale e cosmica

Questa nuova visione delle religioni mondiali fu evidenziata, fra gli altri, da Padre Yves Raguin della Compagnia di Gesù (1912-1998). Nato nel 1912, entrato nella Compagnia di Gesù nel 1930 e ordinato sacerdote nel 1942, massima autorità sulla religione cinese e sulla spiritualità d’Oriente e d’Occidente, Padre Raguin scrisse più di venti libri su tali argomenti, di cui la maggior parte in francese; vennero poi tradotti in cinese, inglese e molte altre lingue.

Padre Raguin studiò al Harvard-Yenching Institute dal 1946 al 1949[31] e visse a Shangai negli anni compresi tra il 1949 e il 1953. Dopo il suo arrivo a Taiwan, si orientò verso il progetto del Dizionario Gesuita[32], che è stato completato di recente. Insieme ad altri gesuiti, fondò il Taipei Ricci Institute nel 1966 nella capitale di Taiwan e ne rimase direttore fino al novembre del 1996. Più che uno studioso, fu un uomo e un sacerdote la cui benevolenza e saggezza aiutarono un numero incalcolabile di persone. La missione a cui dedicò la sua vita fu incentrata sull’acquisire una maggiore comprensione dell’opera dello Spirito Santo all’interno della cultura cinese e sull’incoraggiamento di una conoscenza più approfondita del contributo della spiritualità cinese a un ampliamento del pensiero cristiano.

Padre Raguin si considerava un “vero missionario”, ma in una maniera che differiva dalla classica idea del missionario. Era solito dire: “Il mio obiettivo principale è infondere in tutte le religioni asiatiche, e in particolar modo nell’Induismo, nel Buddismo, nel Taoismo e nello Shintoismo, un ‘elemento di trasformazione’ mettendole a contatto con la drastica esperienza religiosa di Gesù. Gesù è l’immagine perfetta di un Dio non solo degli Ebrei e dei suoi seguaci, ma di tutti i popoli”. Egli aveva riflettuto molto sull’esperienza di Mahatma Gandhi, che aveva accettato il ‘messaggio di Gesù’ pur riaffermando la propria identità Indù; era convinto che “Gandhi avesse arricchito il suo pensiero e la sua identità religiosa Indù attraverso l’incontro con Cristo e con tutto quello per cui Egli aveva lottato”.

Padre Raguin pensava che dopo il Vaticano II, l’accento della Missione non dovesse essere posto sulla conversione personale (sebbene rimanesse una componente importante dell’evangelizzazione cristiana) ma sulla trasformazione di ogni religione umana esistente, entrando in contatto - attraverso il dialogo e la condivisione della vita - per liberare l’umanità dai numerosi problemi sociali che essa affronta (vedi, per esempio,  le numerose ingiustizie che ancora oggi opprimono molti popoli).[33]

6.2 Rinunciando a ogni tipo di violenza

Senza dubbio, Padre Raguin stava cercando (e mettendo in pratica) un nuovo paradigma per la missione e pensava di averlo trovato nella “Missione come dialogo interreligioso”. Iniziando con una manifestazione di attenzione nei confronti delle altre culture e di una solidarietà effettiva nei confronti delle persone che appartenevano a quella religione, il tema del dialogo cambiò drasticamente con lui, soprattutto per quanto riguarda l’accettazione del pluralismo multi religioso e multiculturale del suo (e del nostro) tempo.

Riprendendo il filosofo religioso nonché teologo inglese John Harwood Hick, egli definirebbe questo dialogo multiculturale “una sorta di Rubicone teologico, che bisogna avere il coraggio di attraversare”. Per  lui, l’orizzonte della missione non era la costruzione di una Chiesa (plantatio ecclesiae) che accusava di ‘ecclesiocentrismo’ ma la diffusione del Regno nei luoghi in cui era già presente (seppur parzialmente) o la nascita di esso nei luoghi in cui non lo era ancora. In seguito all’inversione di marcia effettuata dal Vaticano II, come missionario - e come la Chiesa stessa - Padre Raguin vedeva se stesso a servizio del Regno.[34] Credeva che “la Chiesa sulla terra diventa il germoglio iniziale per la venuta Regno”.[35] Come Cattolico missionario e membro della Chiesa voleva essere messaggero del Regno di Dio che era già iniziato, segno rivelatore di esso o di un’esistenza di redenzione; un servo del continuo dispiegarsi del Regno. Assunse questo ultimo incarico dalla parte dei poveri, degli oppressi, dei vilipesi e dei perseguitati, così come fece Gesù e come lui stesso ci insegnò a fare come suoi discepoli (Matteo 5,1-12). Sarà la nostra reazione di fronte al prossimo in difficoltà a determinare se entreremo o meno nel Regno finale. Coloro che danno da mangiare agli affamati, da vestire ai nudi, che accolgono lo straniero e confortano l’ammalato sono gli eredi del Regno (Matteo 25,31-46), manifestando in questo modo la presenza redentrice di Dio su questa terra.[36]

Quando uno dei nostri confratelli incontrò Padre Raguin a Taipei, gli chiese di approfondire questo punto. Egli disse: “Qui a Taipei ci sono 2.000 templi indù. Quando arrivammo, essi erano unicamente ‘porte dei cieli’, luoghi in cui una persona avrebbe potuto incontrare Dio, che stava in Paradiso, al quale un povero poteva, al massimo, dare sfogo al suo spirito appeso. Oggi invece, almeno trenta di questi templi hanno aperto i loro locali ai poveri. Per la prima volta nella storia dell’Induismo, ci sono chiari segnali dell’interdipendenza tra l’amore di Dio (enormemente celebrato nel tempio) e la preoccupazione per i poveri, gli emarginati e i paria. Non è questa un’evidente evangelizzazione dell’Induismo? Questo tipo di trasformazione deve avvenire in tutte le religioni, inclusa quella cristiana. Oggi, alla vigilia del terzo millennio, un’era in cui le religioni sono spesso utilizzate come scusa per giustificare la violenza come se questo fosse il volere di Dio, tale trasformazione è tanto più importante. L’approccio tradizionale, che insisteva sulla conversione personale, ha maggiori probabilità di accrescere l’antagonismo tra religioni fino al punto di giustificare la violenza”.

Egli fece notare il grande ruolo “evangelizzatore” giocato dalla presenza di Madre Teresa in Asia, totalmente impegnata ad aiutare gli esseri umani più sfortunati senza mai vincolare l’aiuto che avrebbe offerto alla conversione. “Lavorare per una maggiore sicurezza per tutti, per la pace e l’integrità del creato rinunciando a ogni tipo di violenza, farà sì che le religioni mondiali lavorino insieme al servizio del Regno”.

6.3 Da una Religione che è “Oppio dei Popoli” a una Religione che si fa “Motore della Trasformazione Sociale” (La Missione Sociale della Chiesa)

L’evoluzione dell’impatto sociale delle religioni è una delle principali trasformazioni avvenute negli ultimi cinquant’anni. L’analisi sociale di Karl Marx si fondava sulla sua esperienza nella Germania luterana e nell’Inghilterra anglicana, dove la religione era totalmente parte dell’istituzione e al servizio di essa, secondo il principio “cuius regio, eius religio”.[37]

Tenendo in conto che Marx fu uno dei fondatori della sociologia (egli trasse infatti conclusioni da ciò che vedeva), la convinzione a cui giunse - ovvero, “la religione è l’oppio dei popoli”[38] - non era teologica né filosofica ma unicamente sociologica. Attraverso l’esame della situazione in Germania e in Inghilterra, egli “vide solamente” una religione che aiutava lo stato a controllare il popolo in un momento storico di grande trasformazione, caratterizzato dall’insorgere di un approccio democratico al governo (il potere è del popolo che sceglie i suoi rappresentanti). Egli aveva perciò ragione ad affermare che la religione era contraria  alla trasformazione in quei particolari contesti protestanti, mentre hanno avuto torto coloro che hanno generalizzato una conclusione specifica su di un contesto sociologico trasformandola in un’affermazione filosofica generale.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni, il cristianesimo (insieme ad altre religioni mondiali) è diventato il motore principale della trasformazione sociale. Basti ricordare ciò che accadde nelle Filippine e in America Latina, dove i cristiani aiutarono in maniera decisiva a determinare la fine dei sistemi governativi dittatoriali (all’interno di quei contesti, l’influenza della Teologia della Liberazione e il ruolo delle Comunità Cristiane di Base non possono essere sottovalutati). Il cristianesimo giocò un ruolo essenziale nel crollo dell’ideologia comunista in Russia e nell’Europa orientale. Ciò che era stato definito “oppio dei popoli” si rivelò una forza per il cambiamento. Questa inversione di marcia del cristianesimo difficilmente riesce a essere spiegata da un sociologo.

È importante distinguere il cristianesimo dalle altre religioni. Solo nel cristianesimo, attraverso il contributo delle encicliche sociali redatte dai Papi e le dichiarazioni del Consiglio ecumenico delle Chiese, i cristiani hanno sviluppato una forte Dottrina Sociale della Chiesa. È corretto affermare che il cristianesimo possiede “una fede dal potere sociale”. Sì, la fede cristiana ha il potere di trasformare il mondo e di renderlo sempre più simile al Regno promesso da Dio.

Questo insegnamento non è un’opzione dell’evangelizzazione e non è recente: risale a Rerum Novarum pubblicata da Papa Leone XIII nel maggio del 1891 e considerato oggi il testo fondante della Dottrina Sociale della Chiesa moderna.[39] Tuttavia, un documento della Chiesa cattolica di circa 47 anni fa si è rivelato ancor più autorevole per noi: La Giustizia nel Mondo, che tratta questioni di giustizia e liberazione per i poveri e gli oppressi, elaborato nel 1971 dal Sinodo dei Vescovi. Il testo invitava molti paesi a condividere il loro potere e a le nazioni più ricche a consumare meno. Fu scritto da molti vescovi provenienti dai paesi poveri e sottosviluppati e fu influenzato dalla Teologia della Liberazione. Scrissero che la giustizia è essenziale per la missione della Chiesa cattolica, che “l’amore cristiano per il prossimo e la giustizia non possono essere separati” e che “L’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo”.[40]

Un altro documento importante per la Dottrina Sociale della Chiesa fu Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, del 1991.[41] Il 1989 fu l’anno epocale della protesta civile contro il comunismo in tutta l’Europa centrale e orientale. Il comunismo, grande forza politica ed economica, era crollato sotto l’opposizione del governo monopartitico. Il clima  di quell’anno è forse meglio ricordato dal movimento Solidarność in Polonia e dalle immagini dei cittadini che abbattono il muro di Berlino, che troppo a lungo aveva diviso l’Est dall’Ovest. Nel 1991, Papa Giovanni Paolo II fece una riflessione sul rapido crollo del comunismo nella sua enciclica.

Citò tre “fattori decisivi” che contribuirono al crollo di questi regimi:

•          la violazione dei diritti dei lavoratori;

•          l’inefficienza del sistema economico che impediva l’iniziativa, la proprietà privata e la libertà economica;

•          il vuoto spirituale dell’ateismo che aveva  negato il significato e lo scopo della vita nelle generazioni più giovani (13, 22-24).

Ma Giovanni Paolo II continuò a nutrire preoccupazione per le persone di queste nazioni nel momento in cui esse si trasformarono in economie di mercato e affrontarono gravi difficoltà economiche durante tale processo. Era inoltre preoccupato per le popolazioni del “Terzo Mondo” che continuavano a essere povere e prive di uno sviluppo sociale e di una prosperità economica di mercato (26-29).

Per il tema di questo articolo, vogliamo evidenziare i paragrafi 5 e 58 del testo, in cui Giovanni Paolo II sottolinea la relazione che esiste tra religione e vita sociale umana, tra annuncio del Vangelo e interesse sociale della Chiesa, tra amore verso il prossimo e verso Dio e promozione della giustizia, e conferma che “insegnare e diffondere la sua Dottrina sociale appartiene alla missione evangelizzatrice della Chiesa ed è parte essenziale del messaggio cristiano”.

“Il Papa, e con lui la Chiesa, come anche la comunità civile, si trovavano di fronte ad una società divisa da un conflitto, tanto più duro e inumano perché non conosceva regola né norma. Era il conflitto tra il capitale e il lavoro, o - come lo chiamava l'Enciclica - la questione operaia, e proprio su di esso, nei termini acutissimi in cui allora si prospettava, il Papa non esitò a dire la sua parola. Si presenta qui la prima riflessione, che l'Enciclica suggerisce per il tempo presente. Di fronte ad un conflitto che opponeva, quasi come « lupi », l'uomo all'uomo fin sul piano della sussistenza fisica degli uni e dell'opulenza degli altri, il Papa non dubitò di dover intervenire, in virtù del suo « ministero apostolico »,(9) ossia della missione ricevuta da Gesù Cristo stesso di « pascere gli agnelli e le pecorelle » (cf Gv 21,15-17) e di « legare e sciogliere sulla terra » per il Regno dei cieli (cf Mt 16,19). Sua intenzione era certamente quella di ristabilire la pace, e il lettore contemporaneo non può non notare la severa condanna della lotta di classe, che egli pronunciava senza mezzi termini.(10) Ma era ben consapevole del fatto che la pace si edifica sul fondamento della giustizia: contenuto essenziale dell'Enciclica fu appunto quello di proclamare le condizioni fondamentali della giustizia nella congiuntura economica e sociale di allora.(11) In questo modo Leone XIII, sulle orme dei predecessori, stabiliva un paradigma permanente per la Chiesa. Questa, infatti, ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano. Ai tempi di Leone XIII una simile concezione del diritto-dovere della Chiesa era ben lontana dall'essere comunemente ammessa. Prevaleva, infatti, una duplice tendenza: l'una orientata a questo mondo ed a questa vita, alla quale la fede doveva rimanere estranea; l'altra rivolta verso una salvezza puramente ultraterrena, che però non illuminava né orientava la presenza sulla terra. L'atteggiamento del Papa nel pubblicare la Rerum novarum conferì alla Chiesa quasi uno «statuto di cittadinanza» nelle mutevoli realtà della vita pubblica, e ciò si sarebbe affermato ancor più in seguito. In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore. Essa costituisce, altresì, una fonte di unità e di pace dinanzi ai conflitti che inevitabilmente insorgono nel settore economico-sociale. Diventa in tal modo possibile vivere le nuove situazioni senza avvilire la trascendente dignità della persona umana né in se stessi né negli avversari, ed avviarle a retta soluzione. Ora, la validità di tale orientamento mi offre, a distanza di cento anni, l'opportunità di dare un contributo all'elaborazione della dottrina sociale cristiana. La « nuova evangelizzazione », di cui il mondo moderno ha urgente necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa, idonea tuttora, come ai tempi di Leone XIII, ad indicare la retta via per rispondere alle grandi sfide dell'età contemporanea, mentre cresce il discredito delle ideologie. Come allora, bisogna ripetere che non c'è vera soluzione della « questione sociale » fuori del Vangelo e che, d'altra parte, le « cose nuove » possono trovare in esso il loro spazio di verità e la dovuta impostazione morale”. (5)

“L'amore per l'uomo e, in primo luogo, per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia. Questa non potrà mai essere pienamente realizzata, se gli uomini non riconosceranno nel bisognoso, che chiede un sostegno per la sua vita, non un importuno o un fardello, ma l'occasione di bene in sé, la possibilità di una ricchezza più grande. Solo questa consapevolezza infonderà il coraggio per affrontare il rischio ed il cambiamento impliciti in ogni autentico tentativo di venire in soccorso dell'altro uomo. Non si tratta, infatti, solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società. Né si tratta di distruggere strumenti di organizzazione sociale che han dato buona prova di sé, ma di orientarli secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana” (58).

Nel Evangelii Gaudium[42] di Papa Francesco, l’intero capitolo 4 è dedicato a “La dimensione sociale dell’Evangelizzazione[43]. Francesco ribadisce “la profonda connessione tra evangelizzazione e progresso umano” e il diritto dei Pastori “di dare opinioni su tutto ciò che pregiudica le vite delle persone”. “Nessuno può pretendere che la religione venga relegata nel santuario interiore della vita privata, senza il diritto di dare un’opinione sugli eventi che colpiscono la società”. Cita Giovanni Paolo II che affermava che la Chiesa “non può e non deve rimanere ai margini nella lotta per la giustizia”. “Per la Chiesa, l’opzione per i poveri è prevalentemente una categoria teologica” piuttosto che sociologica. “Ecco perché voglio una Chiesa che sia povera e per i poveri. Hanno molto da insegnarci”. “Finché i problemi dei poveri non saranno completamente risolti, non si potrà trovare una soluzione ai problemi di questo mondo”. “La politica, sebbene spesso denigrata” afferma “rimane una nobile vocazione e una delle forme più alte di carità. Prego il Signore di concederci più politici che siano sinceramente turbati dalla vita dei poveri!”.

Aggiunge inoltre un monito: “Ogni comunità ecclesiastica, se crede di potersi dimenticare dei poveri, corre il rischio di “crollare”. Per quanto riguarda il tema della pace, il Papa afferma che “si deve alzare una voce profetica” contro i tentativi di finta riconciliazione per “silenziare o placare” i poveri, mentre altri “rifiutano di rinunciare ai loro privilegi”. Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi: “Il tempo è superiore allo spazio”; ciò significa “lavorare lentamente ma con fermezza, senza essere ossessionati dai risultati immediati”. “L’unità prevale sul conflitto” significa “un’unità variegata e vivificante”. “La realtà è più importante dell’idea” significa “evitare di ridurre la politica o la fede alla retorica”. “Il tutto è superiore alla parte” significa far convergere “globalizzazione e localizzazione”. “L’evangelizzazione implica anche il cammino del dialogo” che apre la Chiesa alla collaborazione con ogni sfera politica, sociale, religiosa e culturale. L’ecumenismo è un “cammino indispensabile per l’evangelizzazione”. L’arricchimento reciproco è importante: “Possiamo imparare così tanto l’uno dall’altro!”; per esempio “nel dialogo con i nostri fratelli e sorelle ortodossi, noi cattolici abbiamo l’opportunità di imparare di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza di sinodalità”. “Il dialogo interreligioso” che deve essere condotto “in maniera gioiosa e chiara all’interno della propria identità” è “condizione necessaria per la pace nel mondo e non offusca l’evangelizzazione. Ecco una delle molte perle disseminate da Francesco nel testo su quelle che lui chiama “le ripercussioni sociali e comunitarie del Kerigma”:

“La sua redenzione ha un significato sociale perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini». Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: «Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili» (…) Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice”.[44]

7. UN DOCUMENTO DI LAVORO

Lontani dall’idea di aver elencato tutti i “cambiamenti epocali” nel mondo e nella vita della Chiesa che hanno avuto un certo impatto sull’evangelizzazione, lo spazio limitato concesso al nostro articolo ci impedisce di continuare.

Ma perché non considerare questo nostro contributo solo come un “documento di lavoro” il cui obiettivo principale è quello di condividere idee sull’argomento scelto o di suscitare reazioni da parte di altri? Potrebbe essere un “inizio” per una più ampia riflessione portata avanti da tutti i Missionari Comboniani. Siamo certi che un simile esercizio sarebbe di grande vantaggio per molti.

Ci limiteremmo a menzionare solo poche altre importanti “trasformazioni”.

I. Da una proclamazione antropocentrica a un’evangelizzazione cosmocentrica.

Laudato si’ di Papa Francesco potrebbe guidarci nella riflessione su ciò che possiamo definire “una conversione ecologica”. L’interpretazione tradizionale del “Mandato di Cristo per la Chiesa di Evangelizzare e Insegnare a tutte le nazioni” potrebbe essere arricchita riconsiderandola a partire da Marco 16,15: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura”.

II. Dal Regno fatto coincidere con la Chiesa e la sua diffusione al Regno come frutto della collaborazione tra Chiesa e Mondo, tra Fede e Scienza.

III. Da una liturgia al servizio della preghiera a una liturgia che sia “forza” in grado di trasformare l’umanità e il mondo.

CONCLUSIONE – RIFLESSIONE INCOMPIUTA

Le esigue trasformazioni epocali che abbiamo cercato di sottolineare e le molte altre cui potremmo accennare dovrebbero convincerci, sempre più, che la storia è caratterizzata da una continuità radicale, con prevalenza di discontinuità epocale.

In passato, la mentalità della Chiesa e il suo approccio ai cambiamenti e alle trasformazioni sono stati fortemente condizionati dal noto principio di Vincenzo di Lerino:[45]Ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti è la fede cattolica del Cristianesimo”.[46]

La fede si riduceva a riprodurre il passato. Le dinamiche dei cambiamenti e delle trasformazioni (nonostante la sicurezza che lo Spirito Santo fosse sempre all’opera) furono ignorate. L’attenzione nei confronti dei “segni dei tempi” svanì.

La “realizzazione” della parola di Dio, invece, necessita di essere costante: la pienezza della verità è avanti, non indietro. “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Giovanni 16,13). Anamnesi (zikkaron in ebraico) è il memoriale del mistero celebrato: non solo una commemorazione del passato, ma piuttosto un rendere il passato presente. Il fondamento e la ragione per la confessione in un Solo Dio è la stessa azione salvifica di Dio, nella storia di redenzione che il credente, ricordando, rende presente, in cui viene coinvolto e a cui partecipa.

Padre Francesco Pierli
Ex Padre generale e fondatore dell’Istituto Social Ministry di Nairobi (Kenya)

Padre Franco Moretti
Ex direttore di “Nigrizia” e missionario Comboniano in Kenya

 

[1] Sebbene questo termine possa essere utilizzato per descrivere l’assenza di guerra, la maggior parte dei riferimenti biblici lo riferisce a un senso di completezza interiore e alla tranquillità. Oggi, in Israele, quando si saluta qualcuno o ci si congeda, si usa dire, ‘Shalom’. Letteralmente, con questa parola stiamo dicendo: “Che tu possa avere pieno benessere” oppure “Che salute e prosperità siano con te”. I ‘beati che si adoperano per la pace’ sono molto più che semplici mediatori o negoziatori politici; essi sono coloro che portano con sé un senso interiore di pienezza e salvezza, accessibile solo attraverso il rapporto di ‘figliolanza con Dio’.

[2] L’istruzione etica ha acquisito notevole importanza nel contesto contemporaneo e, insieme alla scienza, è diventata uno dei pilastri fondamentali dello sviluppo sociale. “In tal quadro l’etica, il dialogo interculturale e il ragionamento critico assumono un ruolo rilevante nella preparazione di una persona eticamente matura. L’etica sta alla base delle relazioni con gli altri e con noi stessi. Il suo scopo è sempre stato cercare di salvaguardare la personalità e la dignità dell’individuo e favorirne le condizioni per condurre una vita migliore. Il mondo e la cultura di oggi ci costringono a coesistere con un forte pluralismo, a vivere in mezzo a crisi e disordini, sotto gli effetti di mercati finanziari sempre più interconnessi tra loro, e - soprattutto - a lottare contro la relativizzazione dei valori. Quest’ultimo aspetto è frutto di una minore fiducia verso la società e di mancanza di risposte alle domande fondamentali della vita. L’etica ci fortifica e ci educa al dialogo. Viviamo in una continua relazione con il nostro prossimo: dare e ricevere significa prendersi cura e ricordarci che dipendiamo dagli altri. (Vedi Educazione all’Etica e ai Valori, Manuale per Insegnanti ed Educatori, in http://www.ethics-education.eu/resources/ManualTeachers_IT.pdf).

[3] Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio - Sulla validità permanente del mandato missionario della Chiesa, 7 Dicembre 1990, 32.

[4] 1. La pioggia del Diluvio Universale durò 40 giorni (Gen 7,12). 2. Isacco sposò Rebecca all’età di quarant’anni. 3. Esaù, figlio di Isacco, ha quarant’anni quando sposa Giuditta e Basemat. 4. L’imbalsamazione di Israele (Giacobbe) richiede 40 giorni. 5. Mosè, nel ricevere la Legge, trascorre 40 giorni con Dio sulla montagna. 6. Gli esploratori rimangono a Canaan per 40 giorni. 7. Caleb, l’unico esploratore che crede in Yhwh, entra nella terra di Canaan a quarant’anni; la sua vita solitaria è risparmiata da Dio. 8. Dio punisce gli Israeliti con quarant’anni di vagabondaggio nel deserto, così che l’intera generazione muoia prima che si compia il ritorno nella terra d’Israele. 9. La terra d’Israele conosce un periodo di quarant’anni di pace sotto la guida dei giudici Otniel, Debora e Gedeone. 10. Dio punisce Israele permettendo ai Filistei di sottomettere gli Ebrei per quarant’anni (durante l’epoca di Sansone). 11. Eli, l’ultimo giudice, regna per quarant’anni. 12. L’esercito filisteo si oppone all’esercito di Saul per 40 giorni fino a che Davide non uccide Golia, mettendo così in fuga i Filistei e lasciando presagire la sua successione a Saul come re d’Israele e di Giudea. 13. Il regno di Re Davide dura quarant’anni. 14. Il regno di Re Salomone dura quarant’anni. 15. Elia trascorre 40 giorni sulla Montagna di Dio, la stessa montagna su cui Mosè aveva trascorso i suoi 40 giorni con il Padre. Dio appare ad Elia e lo chiama a essere profeta. 16.  Dio ordina ad Ezechiele di giacere sul fianco destro per 40 giorni per scontare i peccati di Israele. 17. Ezechiele profetizza quarant’anni di desolazione per l’Egitto. 18. Giona profetizza il rovesciamento di Ninive in quaranta giorni. 19. Gesù digiuna nel deserto per quaranta giorni. 20. Secondo il libro degli Atti, Gesù appare ancora sulla terra alle persone per quaranta giorni dopo la sua risurrezione. 21. Negli Atti, Stefano afferma che Mosè ha quarant’anni quando fugge dall’Egitto e che passano altri quarant’anni prima che incontri con il roveto ardente. 22. Dio ordina a Esdra di scrivere per 40 giorni prima di essere portato in cielo (Apocrifi). Così i quarant’anni di peregrinazioni collegano l’evento dell’Esodo al Diluvio Universale di Noè, ai matrimoni di Isacco ed Esaù, alla sepoltura di Israele, alla Legge mosaica e alla terra di Canaan. In seguito, gli scrittori avrebbero collegato quegli eventi con i giudici, con la dinastia di Davide e Salomone, con la chiamata di Dio per Elia e con i lasciti profetici di Ezechiele, Giona e Gesù oltre che con la resurrezione di Gesù.

[5] “Nostro Signore è venuto!” o “Vieni, Nostro Signore!”. Entrambe le traduzioni sono vere; la prima serve a sostenere l’assoluta certezza della seconda, il che spiegherebbe il fatto che questa parola antica sia stata tradotta in entrambi i modi. Infatti, l’espressione Maranatha viene interpretata o come una preghiera (una supplica che rafforzi la presenza o l’azione nel mondo da parte di Dio) o come constatazione di un dato di fatto (“Il Signore è già arrivato” o “Egli continua ad arrivare” manifestandosi con le sue opere di salvezza).

[6] Dottor Reverendo Eric D. Barreto, https://www.huffingtonpost.com/rev-dr-eric-d-barreto/not-just-about-the-future-revelation-79-17_b_9663348.html

[7] “Il mistero nascosto da secoli e generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1,26). Paolo predica la parola di Dio per mettere in atto il piano divino (μυστήριον) di far conoscere Cristo ai Gentili.

[8] Mondadori Editori, 2010. La tesi del libro: La società di oggi è diventata irreversibilmente multiculturale, multietnica e multi religiosa. Per agire come fermento spirituale, sociale e culturale, la Chiesa deve comportarsi in modo diverso e del tutto nuovo, altrimenti non sarà più credibile né per quanto riguarda l’annuncio del Vangelo né nella sua lotta a favore dell’umanità e della sua dignità. A cinquant’anni dalla svolta decisiva rappresentata del Concilio Vaticano II, per portare l’annuncio del Vangelo in un mondo profondamente cambiato non ci resta che continuare con coraggio la “traversata” lungo la “rotta” tracciata in maniera chiara dal Concilio e fedelmente seguita dai “traghettatori”. La “traversata” post-conciliare si è rivelata senza dubbio tormentata e resa ancor più complessa dal turbinio di divisioni, contrasti e cambiamenti sociali che hanno attraversato il mondo cattolico. In questo fragile periodo, alcune figure carismatiche hanno giocato un ruolo decisivo che ha accompagnato la Chiesa e la nostra società nella transizione verso il terzo millennio. Attingendo alle sue numerose memorie pubbliche e private, Bartolomeo Sorge abbozza un ritratto intenso e appassionato, con la speranza che tali memorie possano essere d’esempio per una “nuova generazione di traghettatori” chiamati a portare a compimento il lungo cammino della Chiesa verso gli obiettivi indicati dal Concilio, vincendo incertezza e stanchezza, senza temere di affrontare nuove situazioni e nuove sfide. 

[9] Di HarperOne, New York, 1992.  Dopo 67 milioni di anni, l’era Cenozoica è terminata. Gli esseri umani stanno stabilendo una nuova relazione con il resto dell’universo. Questa sarà l’era Tecnozoica o l’era Ecozoica? Se sceglieremo di allearci con la natura, invece di combatterla, la nostra sarà la storia dell’universo. (Come canta Geddy Lee, se scegli di non scegliere, hai già fatto la tua scelta). L’universo ha già 13,7 miliardi di anni e ha ancora miliardi di anni davanti a sé. Cosa verrà dopo? Chi può saperlo? “Il cammino davanti a noi non è casuale né prestabilito, ma da creare” scrivono Swimme e Berry. Le nostre decisioni passate danno vita alle nostre opzioni future ormai già ridotte. Questa storia comune è la nostra mappa. Senza di essa, non sarebbero di alcuna utilità né le tracce del passato né la bussola del futuro.

[10] San Giovanni XXIII, La Madre Chiesa si rallegra (Gaudet Mater Ecclesia) - Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, 11 Ottobre 1962.

[11] Ibidem, 8-9.

[12] “È dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo, se essa vuole svolgere il suo compito” (4). “L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che si propagano gradualmente in ogni angolo del mondo” (4). “Possiamo così parlare di una vera e propria trasformazione sociale e culturale, le cui ripercussioni si fanno sentire anche a livello religioso” (4). “Il disagio spirituale di oggi e la struttura mutevole della vita fanno parte di uno sconvolgimento più ampio” (5). “La mentalità scientifica ha apportato cambiamenti nella sfera culturale e nel modo di pensare” (5). “La struttura tradizionale delle comunità locali - famiglie, clan, tribù, paesi, vari raggruppamenti e relazioni sociali - è soggetta a cambiamenti sempre più radicali” (6). “Il cambiamento di comportamenti e strutture mette spesso in discussione i valori tradizionalmente accettati” (7). “Un cambiamento così rapido e disomogeneo, unito a una sempre più viva presa di coscienza delle disuguaglianze esistenti nel mondo, generano o aumentano differenze e squilibri” (8). “Inoltre, la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta esistono realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli” (10).

[13] L’espressione biblica “segni dei tempi” è stata utilizzata per secoli e in molte lingue con significato generico di “eventi e fenomeni rilevanti”. A quest’espressione venne dato un preciso significato teologico durante il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes (art.4), all’interno della quale si specifica che essa viene riferita a quegli eventi nella storia caratteristici di un’epoca, che, se interpretati correttamente, possono rivelare la presenza o l’assenza di Dio. L’espressione “segni dei tempi” fu utilizzata per la prima volta in un contesto teologico da Papa Giovanni XXIII nella Bolla Humanae Salutis (25 Dicembre 1961) nella quale egli convocava il Concilio Vaticano a riunirsi l’anno successivo. Dopo aver preso le distanze da coloro che vedono unicamente il mondo avvolto dall’oscurità, il Papa dichiara: “Noi invece amiamo riaffermare la Nostra incrollabile fiducia nel divin Salvatore del genere umano, che non ha affatto abbandonato i mortali da lui redenti. Anzi, seguendo gli ammonimenti di Cristo Signore che ci esorta ad interpretare "i segni dei tempi" (Mt 16,3), fra tanta tenebrosa caligine scorgiamo non pochi indizi che sembrano offrire auspici di un’epoca migliore per la Chiesa e per l’umanità”.

Nella lettera enciclica di Papa Giovanni XXIII, Pacem in Terris (13 Aprile 1963), il termine “Segni dei Tempi” è utilizzato tre volte, anche se non nel corpo del testo ma come sottotitolo in tre diverse sezioni (paragrafi 29, 126, 142). Sotto questa voce, il Papa aveva annotato in particolare tre eventi significativi per la conoscenza di Dio e della religione: lo sviluppo progressivo della classe operaia, il ruolo crescente della donna nella vita pubblica e la graduale scomparsa del colonialismo. L’origine del termine “segni dei tempi” (semeia tou kairon) è da ricercarsi Vangelo. (Mt 16,1-4).

[14] L’editto di Milano conferiva al Cristianesimo uno status giuridico (religio licita) ma non  la rendeva religione ufficiale dell’Impero Romano; ciò avvenne sotto l’Imperatore Teodosio I nel 380 a.C.

[15] L’editto di Milano esigeva che i torti subiti dai Cristiani venissero riparati il più scrupolosamente possibile. Esso proclamava “ci è piaciuto eliminare del tutto le condizioni contemplate”. L’editto imponeva inoltre che i singoli Romani correggessero i torti nei confronti dei Cristiani rivendicando che “siano loro restituiti gratuitamente e senza richiesta di indennizzo, senza alcun inganno né sotterfugio, quei medesimi luoghi nei quali in precedenza erano soliti radunarsi”.

[16] Richard Leonard in https://www.americamagazine.org/content/good-word/legacy-constantine

[17] Dietrich Bonhoeffer, Sequela, Simon and Schuster, 1959. Bonhoeffer è uno dei più importanti teologi del ventesimo secolo che chiarisce la relazione tra di noi e gli insegnamenti di Gesù in questo testo classico sull’etica, l’umanismo e il dovere civile.

[18] Dietrich Bonhoeffer, Lettere e scritti dal carcere, curato da Eberhard Bethge (Londra: SCM Press / New York: The Macmillan Company, 1971), 300  (Maggio 1944).

[19] Karl Rahner, Preoccupazioni per la Chiesa, Saggi teologici (Vol 20), Crossroad, 1981.

[20] Seán D. Sammon, “La nascita della Chiesa mondiale”, America, 15 Ottobre 2012. La presente sezione è fortemente indebitata con questo articolo. Per l’edizione online “La nascita della Chiesa mondiale: l’epoca iniziata dal Vaticano II”, vedere: https://www.americamagazine.org/issue/100/birth-world-church.

[21] “Considerate per un momento i molti altri finali che si verificarono nel momento in cui i convertiti non furono più tenuti a praticare la circoncisione: il Sabbath ebraico fu abolito, vennero accettati nuovi scritti canonici, il centro della Chiesa si spostò da Gerusalemme a Roma e furono apportate modifiche alla dottrina morale. Queste evoluzioni rappresentano una rottura decisiva con il passato, un nuovo inizio per il Cristianesimo con Paolo in prima linea verso il cambiamento”.

[22] “I movimenti che diedero origine a questi cambiamenti furono nettamente meno decisivi  rispetto alla rottura tra il cristianesimo ebraico e quello gentile. Mentre Paolo e la Chiesa degli albori fecero del mondo intero il centro della loro attenzione, tale universalità è stata difficile da comprendere per gran parte della storia della Chiesa”.

[23] I legami che per secoli hanno vincolato il Cristianesimo alla civiltà europea si sono indeboliti in maniera considerevole negli ultimi cent’anni. John L. Allen sottolinea che, all’inizio del ventesimo secolo, il profilo etnico e culturale della Chiesa Cattolica Romana non era di molto differente rispetto a quello che era stato all’epoca del Concilio di Trento. Circa 200 milioni dei 266 milioni di Cattolici presenti nel mondo vivevano in Europa e in Nord America; i 66 milioni rimanenti, circa il 25%, erano sparpagliati per il resto del pianeta. Alla fine del ventesimo secolo, solo 300 milioni del miliardo e centomila Cattolici nel mondo erano europei e nord-americani, approssimativamente il 33%. La stragrande maggioranza, 750 milioni, viveva in Asia, Africa e America Latina. Questo mutamento rappresenta la trasformazione demografica più rapida e radicale mai avvenuta nel corso della lunga storia della Chiesa Cattolica Romana. Sfortunatamente, questi cambiamenti non sono ancora così evidenti nella classe dirigente della Chiesa.  Durante il conclave del 2005, per esempio, i cardinali italiani espressero 19 voti, equivalenti al numero totale di voti di Africa e Asia messi insieme. Tuttavia ci sono solo 55 milioni di cattolici in Italia, mentre Africa e Asia ospitano un numero di cattolici più grande di ben quattro volte. Anche la nomina dei cardinali da parte di Papa Benedetto XVI sembrò favorire l’emisfero settentrionale rispetto a quelle aree in cui la Chiesa Cattolica sta crescendo. Con Papa Francesco, questa tendenza è nettamente cambiata.

[24] Durante il Concilio Vaticano II, il teologo francese Yves Congar propose di rivisitare e riscoprire la categoria ecclesiologica del Patriarcato come strumento di “pluralità in unione” che era stata presente nel primo millennio.

[25] Fin dal 23 maggio 1923, Papa Pio IX aveva voluto convocare un Concilio ecumenico al fine di condannare gli errori moderni del Comunismo e del Modernismo. I cardinali, all’epoca, espressero una forte opposizione all’idea, affermando che molti vescovi erano stati talmente pervasi dagli ideali liberali e modernisti che un simile Consiglio avrebbe fatto più male che bene alla Chiesa.

[26] Lumen Gentium 26-28  - “Il vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell'ordine, è « l'economo della grazia del supremo sacerdozio»” (26); “I vescovi, come vicari e legati di Cristo, reggono le particolari Chiese a loro affidate” (27); “Cristo, santificato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo degli apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi. A loro volta i vescovi hanno legittimamente affidato a vari membri della Chiesa, in vario grado, l'ufficio del loro ministero” (28).

[27] Lumen Gentium, Capitolo II – “Il popolo di Dio” (9-17).

[28] Durante il consiglio, Paolo VI nominò inizialmente 15 “uditrici” nel settembre del 1964. Alla fine, 23 di queste donne (sia religiose sia laiche) prestarono servizio nel consiglio; i loro contributi sono stati documentati di recente in un libro scritto in lingua italiana dalla storica e teologa Adriana Valerio, Madri del Concilio. Il 14 settembre del 1962, Paolo VI tenne un discorso di benvenuto al consiglio nei confronti di queste donne; il che fu certamente un bel gesto, ma incorse in un piccolo incidente di percorso; le donne non erano ancora lì. La prima ad arrivare si unì al Consiglio solo diversi giorni dopo. Secondo i documenti, le uditrici non rivestivano alcun ruolo nelle delibere del Consiglio e, in effetti, le delegate donne erano lì in teoria solo per rintracciare questioni “di particolare interesse per le donne”. In pratica, trovarono modi originali per farsi ascoltare. Indimenticabile fu la reazione di Suor Mary Luke Tobin quando le fu detto il suo lasciapassare le avrebbe permesso di partecipare agli incontri di “particolare interesse” per le donne. “Bene” disse “vuol dire che non me ne perderò neanche uno”. Di fatto, le uditrici vennero trattate come periti da molti partecipanti, e parteciparono liberamente alle riunioni dei sottocomitati che lavoravano ai documenti del concilio, in particolare ai testi che riguardavano il laicato. Le donne si riunivano inoltre con cadenza settimanale per leggere le bozze dei documenti e commentarle. Queste donne valorose lavorarono all’interno delle strutture della Chiesa e solo per amore della Chiesa, spesso in maniera ancor più nascosta, operando sempre con grande umiltà, umorismo e integrità.

[29] Dichiarazione sulla relazione della Chiesa con le religioni di confessione non cristiana, Nostra Aetate, ottobre 1965.  “Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino”, 1.

[30] Ibidem, 2.

[31] Fondato nel 1928, l’Harvard-Yenching Institute è una fondazione indipendente dedicata alla promozione dell’istruzione superiore nelle scienze umane e sociali in Asia, con particolare attenzione allo studio della cultura cinese. Situata nel campus dell’Università di Harvard, l’Istituto si avvale tuttora della collaborazione di più di cinquanta università e centri di ricerca in Cina, Giappone, Corea, Singapore, Vietnam, Thailandia, Cambogia, Hong Kong e Taiwan.

[32] Un dizionario enciclopedico che è stato completato dopo 52 anni di lavoro. Il Dizionario Grand Ricci cura 13.500 ideogrammi singoli e 300.000 espressioni composte da multi-ideogrammi all’interno di 9.000 pagine suddivise in 7 volumi; fu compilato dagli Istituti Ricci (gestiti dai gesuiti) di Parigi e Taipei. Le voci comprendono circa 180 ambiti di conoscenza quali l’astronomia, il buddismo, la finanza e la medicina e utilizzano il vocabolario attualmente parlato nella Cina continentale, unito alle varianti regionali. Il dizionario fornisce sensi d’utilizzo arcaici e moderni e forme scritte dei ideogrammi cinesi. Circa 2.000 caratteri provenienti dalle iscrizioni profetiche trovati su gusci di tartaruga e su scapole di bue risalenti al lontano 1.500 a.C. sono presentati come l’origine del sistema di scrittura.

[33] I Padri del Concilio Vaticano osservarono che in ogni popolo si trova “una certa consapevolezza di un potere nascosto, che sta dietro il corso della natura e gli eventi della vita umana”, e a volte si trova persino il riconoscimento di un “essere supremo o ancor più di un Padre”. Questa consapevolezza e questo riconoscimento “si traducono in un modo di vivere intriso di un profondo senso religioso”. Di seguito sono riportati due esempi di questo tipo di religiosità elementare: l’Induismo, con la sua ricerca del mistero divino sia nel mito sia nella filosofia e il Buddismo che riconosce “la radicale insufficienza di questo mondo mutevole”. Entrambe le religioni offrono delle vie di fuga alle dure prove della vita in una sorta di illuminazione superiore. Cfr. Nostra Aetate, ibidem

[34] Vedi la Costituzione dogmatica Lumen Gentium, Novembre 1964.  “Siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale” (1).

[35] Lumen Gentium, 5.

[36] La Chiesa non corrisponde al Regno. Una cosa è insistere sul fatto che la Chiesa sia servitrice o strumento del Regno di Dio, mentre tutt’altra questione è suggerire la Chiesa sia essa stessa il Regno di Dio. Prima del Concilio Vaticano II, molti cattolici dicevano esattamente questo. Si supponeva automaticamente che, ogni qualvolta il Nuovo Testamento nominasse il Regno di Dio, come nelle molte parabole relative al Regno (la rete gettata nel mare, il granello di senape che cresce e diventa un grande albero e così via), esso si riferisse categoricamente alla Chiesa. In realtà non era così. Il Regno è molto più grande della Chiesa. Dopotutto, “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7,21). O, secondo le parole di Sant’Agostino riadattate dal gesuita Karl Rahner “Molti di quelli che Dio ha, la Chiesa non ha. E molti di quelli che la Chiesa ha, Dio non ha”. Cfr. Padre Richard P. McBrien, Cos’è il Regno di Dio?, in http://www.lovingjustwise.com/kingdom_of_god.htm.

[37] Cuius regio, eius religio è un’espressione latina che letteralmente significa “di chi è la regione, sua la religione”, ovvero i sudditi dovevano seguire la religione di chi li governava. Alla pace di Augusta del 1555, che sancì la fine di un periodo di conflitto armato tra i Romani cattolici e le forze Protestanti presenti all’interno dell’Impero Romano, i governatori degli stati di lingua tedesca e Carlo V, l’imperatore, convennero di accettare tale principio.

[38] La citazione completa di Karl Marx si traduce come: “La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito: è l'oppio dei popoli”. Appare nell’introduzione di Marx al suo lavoro Per la critica della filosofia del diritto di Hegel,  iniziato nel 1843 e pubblicato solo dopo la sua morte.

[39] Molti degli orientamenti presenti in Rerum Novarum furono integrati nelle encicliche successive, in particolare  Quadragesimo Anno di Pio XII (1931), Mater et magistra di Giovanni XXIII (1961) e Centesimus annus di Giovanni Paolo II (1991).

[40] La Giustizia nel Mondo, 6.

[41] Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, lettera enciclica nel centesimo anniversario di Rerum Novarum, 1 maggio 1991.

[42] Papa Francesco, Evangelii Gaudium (“La gioia del Vangelo”) sull’Annuncio del Vangelo nel Mondo Attuale, novembre 2013.

[43] Evangelii Gaudium, 176-258.

[44] Evangelii Gaudium, 178.

[45] Inizialmente Vincenzo prestò servizio come soldato ma abbandonò quella vita per diventare monaco sull’isola di Lerino, al largo della costa meridionale della Francia, vicino a Cannes. Lì fu ordinato sacerdote e intorno al 434 scrisse il Commonitorium sotto lo pseudonimo di Peregrinus (il Pellegrino). Morì lì tra il 434 e il 450. Sant’Eucherio di Lione lo definì un uomo santo, brillante nella sua eloquenza e conoscenza. Vincenzo tentò, così come fece San Giovanni Cassiano, di trovare un modo che evitasse sia gli estremismi di Pelagio sia quelli di Agostino. I suoi Commoniturium (promemoria) offrono una guida per distinguere l’insegnamento ortodosso dall’innovazione, la massima oggi nota come Canone Vincenziano: quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est (Ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti è la fede cattolica del Cristianesimo). Vincenzo insegnò che la fonte ultima della verità Cristiana era la Bibbia e che la tradizione della Chiesa avrebbe dovuto essere invocata per garantire la corretta interpretazione della Scrittura.

[46] Il testo latino: “In ipsa item Catholica Ecclesia magnopere curandum est ut id teneamus quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est”.