Lunedì 21 luglio 2025
Il 24 luglio, 40° dell’uccisione di padre Ezechiele Ramin [padre Lele], sono in programma tre appuntamenti presso la parrocchia di San Giuseppe a Padova: alle 17, conversazione sul “valore pastorale” del martirio di padre Lele; alle 18.30, ricordo civico del Comune di Padova al monumento dedicato al comboniano; alle 19, messa presieduta da padre Fabio Baldan, provinciale dei comboniani in Italia.

Ezechiele non stava zitto

Quarant’anni fa, il 24 luglio, veniva ucciso il comboniano padre Ezechiele Ramin. La sua figura, l’impegno e il martirio sono più che mai attuali e profetici.
Non solo a Padova, dove è cresciuto. «Lele – sottolinea il fratello Antonio – non era un politico come qualcuno lo vuole ancora etichettare,
anche se aveva ovviamente le sue idee, era semplicemente un prete innamorato degli ultimi e della missione».

«Se quel giorno non si fosse recato nella fazenda ci sarebbe stato un vero e proprio massacro». La testimonianza è di un contadino, uno dei tanti senza terra minacciati dai latifondisti, all’indomani dell’assassinio di padre Ezechiele Ramin, avvenuto quarant’anni fa in Brasile. Ucciso da sicari che dovevano far «tacere quel prete» che non stava zitto.

È il 24 luglio 1985. Padre Lele sta rientrando da una missione pacificatrice nella fazenda Catuva, nel Mato Grosso. A pregarlo di andare le donne del villaggio di Aripuana. Mogli e madri dei contadini sono preoccupate: i loro uomini stanno per imbracciare le armi, vogliono far valere i loro diritti. Ezechiele li raggiunge assieme a un sindacalista. «La strada da percorrere non è quella del sangue, ma della pace - dice loro, riuscendo a calmarli -. Porterò avanti le vostre istanze, parlerò io con i latifondisti».
Sulla strada del ritorno lo aspettano a un crocevia, nel mezzo della foresta. Sette sicari e cinquanta colpi.
«Vi perdono», le sue ultime parole. Il corpo viene ritrovato il giorno dopo, i sandali a piedi, l'orologio ancora al polso come la piccola collana di cocco regalo degli indios Suruì.

La forza delle parole

Quarant’anni dopo la figura, l’impegno e il martirio del missionario padovano sono più che mai attuali e profetici. Di padre Ramin, nato e cresciuto nella parrocchia di San Giuseppe, comboniano, tra i “protettori” del Sinodo per l’Amazzonia, Servo di Dio, è tuttora in corso la causa di beatificazione e canonizzazione.

«È incredibile come, a distanza di decenni, padre Lele abbia ancora tanto da dirci - sottolinea padre Gaetano Montresor, superiore della comunità dei missionari comboniani di Padova -. Penso solo alle parole che ci ha affidato. Le sue lettere sono una fonte di continua scoperta. Lele amava scrivere, e per tutti noi è una fortuna: i pensieri, le riflessioni, le omelie rappresentano un patrimonio di continua, palpitante attualità. Ci interrogano, come comunità ma non solo, sull’essere missionari, in questo tempo ancora segnato da ferite sanguinanti e disuguaglianze, e “testimoni di carità” (dalla definizione che diede di Ramin papa Giovanni Paolo II, ndr). Ezechiele aveva posto il bene altrui al di sopra del proprio bene. In una lettera del 5 agosto 1984 a suor Giovanna Dugo, aveva scritto: “Le spine finiranno per tessere una corona al Signore. Tanta deve essere la forza della Parola divina che senza tagliare le spine, nasce tra queste. La semente nasce tra pietre che riconosceranno il Signore nella sua potenza. Nulla impedirà alla Parola di poter nascere. Giovanna, non ti meravigliare: tutto quello che il frumento patisce e soffre, lo patisce e soffre anche chi lo semina. Qui da noi è ancora più duro».

Padre Montresor ha conosciuto Ezechiele Ramin a Troia (Foggia). «Eravamo nella nostra comunità, fondata quasi cento anni fa, in un ambito che stava cuore a entrambi: l'animazione e la formazione dei ragazzi. Posso dire che il suo impegno non fu la decisione sprovveduta o impulsiva di un giovane prete, ma una missione di pace, il segno di una chiesa presente al fianco dei poveri, un messaggio potente ancora oggi».

Il punto in cui padre Ramin fu ucciso è al centro di un crocicchio, nel ventre della foresta, a 100 km da Cacoal. Qui venne piantata una croce di legno, poi divelta. Qualche anno dopo, a un centinaio di metri, grazie al proprietario che rese disponibile il terreno, furono erette una croce in cemento e una cappellina. In questo luogo il 27 luglio i pellegrini padovani si uniranno ai fedeli delle Diocesi di Ji-Paranà e del Mato Grosso a 40 anni dal martirio. Durante la commemorazione verrà affissa una targa portata dall’assessora Francesca Benciolini «per ricordare, a nome della città di Padova, la vita e l’operato di padre Ezechiele, messaggio vivente di impegno e dedizione totali di cui la nostra città è orgogliosa».

Pellegrini di speranza

Ricordare padre Lele e rendergli omaggio, visitando i luoghi dove ha operato, in Rondonia a Cacoal e in Rondolandia nel Mato Grosso dove fu ucciso, è il significato del viaggio- pellegrinaggio in Brasile “Pellegrini di speranza sulle orme di… padre Ezechiele Ramin”, dal 19 luglio al 20 agosto, organizzato da don Fernando Fiscon, prete diocesano, parroco di Codiverno, già missionario fidei donum in Brasile per 12 anni e poi parroco, dal 2002 al 2013, nella parrocchia di San Giuseppe, la stessa dove crebbe padre Ramin.

Oltre ad accompagnare i pellegrini don Fiscon porterà un messaggio del vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, al vescovo della Diocesi di Ji-Paranà che ha accompagnato l’operato e la morte di padre Ezechiele.

Tra i momenti più intensi l'incontro con quanti, religiosi e persone del posto, lo conobbero e operarono con lui, e poi nelle varie tappe con i missionari di oggi. «Abbiamo pensato a un viaggio che, nell’anno giubilare, potesse essere un pellegrinaggio di speranza, ravvivato dalla testimonianza di tanti missionari e tante realtà che incontreremo, vicine agli ultimi e agli scartati - spiega don Fernando Fiscon -. Tra loro i nostri missionari padovani fidei donum in servizio in varie realtà del Brasile: a Roraima, nel nord, al confine con il Venezuela, don Mattia Bozzolan, don Mario Gamba, don Massimo Valente e don Mattia Bezze; mons. Lucio Nicoletto, da un anno vescovo della prelatura di São Felix don Araguaia, nel nordest del Mato Grosso; don Benedetto Zampieri, che opera in una comunità terapeutica nella periferia di Manaus. Sempre a Manaus visiteremo la parrocchia dove, il 19 settembre 2009, venne don Ruggero Ruvoletto. Ci sarà poi una tappa nella periferia di Rio de Janeiro, nella Diocesi di Duque de Caxias, che ha visto la presenza di missionari fidei donum padovani fino al 2018 e dove tuttora è presente don Severino Alessio».

Un prete che non stava zitto

Fra i trenta pellegrini anche Antonio e Fabiano, fratelli di padre Ramin. «Lele era espressione di una Chiesa impegnata e profetica, la Chiesa delle comunità ecclesiali di base che investiva nei laici, che assumeva la causa dei poveri. Era già una Chiesa in uscita - sottolinea Antonio -. In famiglia nessuno si aspettava che si facesse prete. La sua vocazione fu una sorpresa, ma non un caso. Nasceva da nostra madre Amabile, dalla sua fede semplice e concreta, e poi da varie esperienze. Da liceale Lele era diventato coordinatore del movimento Mani Tese a Padova, nelle vacanze estive partecipava ai “campi di lavoro” organizzati dai giovani».

E ancora: «Non era un politico come qualcuno lo vuole ancora etichettare, anche se aveva ovviamente le sue idee, era semplicemente un prete innamorato degli ultimi e della missione. Per il resto, ci ripeteva: “Io in questa Chiesa mi trovo molto bene. Non invento niente, sto all’interno della pastorale diocesana. Poi, sul campo, era ovviamente il “nostro” Lele: nel dialogo incessante con le persone, quando tutti i giorni si recava nelle comunità ecclesiali di base, nell’approfondimento ostinato della realtà, nella lettura e nella conoscenza attenta dei documenti, in una scelta di campo anche comunicativa, parlare in radio e nelle omelie scegliendo di non stare zitto».

Nicoletta Masetto,
in “La Difesa del Popolo”,
Settimanale della Chiesa di Padova,
Domenica 20 luglio 2025