«In questo periodo sono solo qui a Messina, ma sono tanto tranquillo e contento ugualmente. In realtà non sono solo: dal mio tavolo di studio vedo il tabernacolo. Il trovarmi in un cantuccio nascosto d'Italia in questa... tristizia di tempi, mi dà tanta pace e consolazione».
È la frase di una lettera che padre Rizzi scrisse al padre generale da Messina nel 1973 ed esprime molto bene lo stato d'animo dello scrivente.
Padre Rizzi si sentiva come un naufrago che aveva trovato finalmente uno scoglio sicuro cui aggrapparsi. La tempesta che lo aveva squassato per anni, era stato il periodo durante il quale aveva coperto la carica di superiore della seconda comunità di Casa madre, quella cioè del Centro Attività Comboniane. «Anni duri, esperienza da dimenticare» afferma uno che si trovò in quella comunità.
È logico che la pace di Messina, lo sgravio da ogni obbligo derivante dal suo ruolo di superiore dessero a padre Giulio un senso di relax.
Uomo rettissimo, onesto, nemico dei compromessi, attaccato all'istituto e alle costituzioni e tradizioni, padre Rizzi possedeva in modo eminente il senso delle responsabilità inerenti agli uffici che ebbe a coprire nei suoi 55 anni di vita religiosa. Molti che vissero con lui affermano che era «un muro di fronte al quale non c'era possibilità di dialogo, quando questo dialogo avrebbe potuto intaccare minimamente le regole o le tradizioni della Congregazione». Ma come temperamento non era così.
Superiore a vita
A chi lo osservava dall'esterno, padre Rizzi dava l'impressione dell'uomo nato per comandare. Il suo portamento caratterizzato da una certa fierezza, la sua statura fisica alta e armoniosa, perfino la sua voce calda e sonora inducevano a ritenerlo un «capo nato». A ciò si aggiungano le doti di intelligenza, di prudenza, di capacità di discernimento, e si ha l'identikit del padre.
In realtà padre Rizzi non aveva nessuna voglia di fare il superiore. Questa carica, che gli gravò sulle spalle per quasi tutta la vita, fu per lui un peso e motivo di tanta sofferenza. Egli avrebbe voluto essere un semplice missionario. A prova dì ciò ci restano parecchie lettere scritte ai superiori maggiori.
Una vocazione difficile
Padre Giulio Rizzi era nato a Fiesso, nel comune di Castenaso (Bologna) il 17 settembre 1902.
Era un ragazzo robusto, dall'intelligenza viva e dal temperamento allegro. I genitori gli fecero frequentare le elementari presso una scuola privata. Sinceramente, più che lo studio, il ragazzetto prediligeva la vita libera dei campi, le corse con gli amici e, soprattutto, le gare di nuoto. In questo sport era un campione.
Terminate le elementari al paese, il ragazzino espresse il desiderio di farsi sacerdote. I genitori lo accontentarono inviandolo al seminario di Bologna.
Terminato il ginnasio (1919), in ottobre apriva i battenti il nuovo Seminario Regionale, destinato ad accogliere alunni di liceo-filosofia e teologia da Bologna e dalle diocesi della Romagna: ormai troppo poco numerosi per una formazione conveniente in loco. Qui, sotto la guida di formatori competenti e un folto gruppo di insegnanti scelti da tutta la regione, si sarebbe potuto venire incontro ai bisogni dei tempi nuovi: il dopo della prima guerra mondiale.
Il Rettore, mons. Mimmi (che fu poi arcivescovo di Bari e Napoli, e cardinale), era aperto ai nuovi problemi della chiesa.
Fra l'altro aprì le porte del seminario alla prima pacifica «invasione» di missionari, promotori di vocazioni, felice della cordiale accoglienza che incontravano fra gli allievi. Primissimo fu P. Beduschi, che poi si fece rivedere, e lasciò un'impronta indimenticabile nel cuore di tutti. Seguirono membri di vari istituti: i pp. Manna (PIME), Sales (Consolata), Vignato, Molinaro, Abbà. Se ne videro presto i frutti: quattro seminaristi partirono per le «missioni», due dei quali fra i comboniani (Dardi e Muratori). Rizzi, scosso fin da principio, avrebbe voluto seguirli: ne parlava con il compagno di classe (ora padre Santandrea...). Si dicevano a vicenda: Bologna, la Romagna, l'Italia... è troppo piccola; andare in Africa.
Ma nel 1921 un fatto inaspettato lo fermò. Quell'anno si riaprivano, dopo la parentesi della guerra, i concorsi per i posti vacanti al Seminario Lateranense di Roma. Ogni diocesi dell'ex-stato pontificio ha diritto a un posto gratis (tutto spesato: perfino libri, vestiti...) per il liceo, teologia (fino alla laurea); poi, dopo l'ordinazione sacerdotale, per lo studio del diritto, fino alla laurea. Quasi sicuramente dietro suggerimento del vice-rettore, che molto stimava e amava Rizzi, il card. Gusmini gli rifiutò il permesso di partire per Venegono, e così fu invitato a prender parte al suddetto concorso. Naturalmente vinse.
Un po' a malincuore, ma con la segreta speranza di poter riuscire in futuro, Giulio partì per Roma dove iniziò il terzo anno di liceo e filosofia.
Intanto arrivò il tempo della leva militare. Rizzi dovette deporre la talare per indossare la divisa militare. Fu assegnato al corpo di artiglieria con sede a Roma.
A Bologna intanto le cose erano cambiate. Il cardinal Gusmini era morto e al suo posto era arrivato Nasalli Rocca; anche il vicerettore era stato sostituito. Il chierico Rizzi era ritornato alla carica. Senza entusiasmo, il nuovo cardinale gli dette il suo consenso.
Non sappiamo la data esatta dell'entrata di padre Rizzi in noviziato.
Sappiamo che era la fine del 1923 e che si presentò con la divisa militare indosso. «Dalla caserma al noviziato» dice mons. Ferrara. Il 13 novembre del 1923 fece la vestizione e il primo novembre 1925 la professione religiosa. Durante il secondo anno di noviziato aveva fatto la prima teologia.
I giudizi del maestro dei novizi: «Di ottime disposizioni, si diporta molto bene in tutto. Buono, pio, obbediente, umile, promette molto bene. Ha sempre dimostrato ottima volontà. È facilmente tentato di superbia (anche per motivo dei frequenti incarichi che ebbe in noviziato, per necessità di circostanze) ma combatte bene. È di carattere mite, generoso, schietto, aperto e docile. È un po' smemorato. Qualche volta manifesta delle idee un po' strane in fatto di vita religiosa. Ingegno e salute molto buoni».
Quanto al suo carattere, può essere illuminante, sotto certi aspetti, riportare quanto più volte disse, anche a lui stesso, p. Santandrea. «Sarà una mia impressione personale, ma, dopo il suo noviziato, io stentai per tutta la vita a riconoscere in Rizzi il vecchio compagno di scuola di Iª e IIª liceale. Era così allegro, così aperto! Capo-banda del gruppo bolognese, ne combinava spesso di sue... Capo-coro, cantava magnificamente. Attore incomparabile, nelle commediole che recitavamo per festeggiare il carnevale. Compagno sempre pronto a entusiasmi generosi: esplodeva con gli altri»... E dopo?... Forse il noviziato incise «troppo» duramente sulla sua anima così recettiva, da lasciarne una traccia che mai più si cancellò».
Ordinato sacerdote a Verona il 15 giugno 1928, dove aveva frequentato la teologia, si disponeva a partire per l'Africa. La sua destinazione era il Bahr el Gebel. Egli, preso dall'entusiasmo, aveva già inviato le valigie e perfino i volumi del breviario (eccetto quello che usava), invece un contrordine lo dirottò su Troia. Il diario di quella casa annota: «16 ottobre: padre Rizzi, in partenza per il Bahr el Gebel sbaglia rotta e capita al Bahr el ...Ilion! L'accogliamo con viva esultanza. Auguri di lunga permanenza». Erano gli anni in cui a Troia fervevano i lavori per la ristrutturazione della casa. Corsi di predicazione, assistenza ai ragazzi, aiuto per i lavori in casa erano le attività che maggiormente occupavano i padri della comunità.
In Egitto e in Etiopia
Finalmente venne l'ora dell’Africa. Insieme ai fratelli Enrico Ceriotti e Felice Bonomi, il 10 ottobre 1931 padre Rizzi s'imbarcò a Venezia alla volta del Cairo. Una attività intensa lo attendeva. Dopo poco tempo, infatti, divenne superiore e procuratore delle attività comboniane in quella città. Ma la vera Africa, quella che padre Rizzi aveva sognata da giovane seminarista, doveva ancora arrivare.
Il 26 luglio 1936 era a Napoli, di ritorno dall'Egitto. La sua vera missione stava per cominciare.
Con una lettera del 10 agosto 1936 la Sacra Congregazione Orientale assegnava ai comboniani un territorio in Etiopia con facoltà di erigere subito una casa a Gondar.
Padre Giulio Rizzi fu nominato superiore della nuova missione e degli altri cinque missionari (Giovani Audisio, Leone Zanni, Amleto Accorsi, Giovanni Nannetti e Giovanni Giordani) che partirono con lui. Il governo italiano concesse loro il trattamento economico di cappellani militari, lasciandoli però liberi di attendere al lavoro apostolico tra i nativi.
Partirono tutti insieme da Verona la sera del 5 ottobre 1936, dopo una commovente benedizione col Santissimo. Il 7 poterono baciare la mano al Santo Padre, che li benedisse sorridendo paternamente. Il giorno dopo vennero ricevuti dal cardinal Tisserant, segretario della Sacra Congregazione Orientale, che li accolse amorevolmente e disse loro, tra l'altro, che le missioni dell'Etiopia sono sempre state le più difficili, e che tutte sono finite nel sangue. Fu profeta.
I sei missionari salparono da Napoli l'1 ottobre sul «Calabria». Il 4 novembre i padri Rizzi e Nannetti arrivarono a Gondar.
Per padre Rizzi, quella etiopica fu una vera epopea e come tale la descrisse, sarebbe più giusto dire la cantò, in una serie di articoli su La Nigrizia e in un fitto epistolario scritto ai suoi familiari.
Qualche volta padre Rizzi si lascia portare sulle ali «delle ferree aquile imperiali», ma sempre palpita in lui il missionario, il salvatore di anime... «Siamo dunque sul campo del nostro lavoro. È qui dove dovrà esplicarsi il nostro zelo, dove dovrà forse consumarsi tutta la nostra vita; qui dove dovrà realizzarsi quel desiderio di dedizione e di apostolato che ci strappò un giorno dalla nostra famiglia per consacrarsi totalmente a Lui, all'amore dei fratelli più infelici di noi.
Entriamo commossi nella piccola cappella dell'ospedale fatto di teli da tenda, dove ci aspetta il Signore Gesù, e là, davanti a quel povero altare, rinnoviamo la nostra consacrazione a Lui, gli diciamo che lavoreremo solo per Lui, solo per farlo conoscere, per farlo amare da chi non lo può ancora amare perché non lo conosce... O Signore, ecco qui la nostra povera vita, la offriamo, la sacrifichiamo a Te perché tante lacrime siano asciugate, perché la parola di Gesù e del suo Vicario sia udita e tutte le pecorelle ritornino all'unico ovile».
I progetti di padre Rizzi a Gondar erano grandi. Voleva mettere in piedi una scuola di arti e mestieri e ottenere dal governo una concessione agricola per insegnare ai nativi a lavorare la terra in maniera moderna.
Con decreto del 25 marzo 1937 la Sacra Congregazione della Chiesa Orientale, eresse la prefettura apostolica di Gondar affidandola ai missionari comboniani nella persona di monsignor Pietro Villa, eletto prefetto apostolico il 28 luglio seguente.
Nel 1941 cominciarono a piovere bombe sulle conquiste italiane in Etiopia, anche a Gondar.
Il 26 aprile padre Alfredo De Lai venne ucciso a Socotà... In un baleno le missioni furono saccheggiate e i missionari deportati.
La Nigrizia del marzo 1942 annunciava: «Padre Rizzi e padre Di Francesco si trovano in un campo di prigionia in Sudan».
In seguito, dal Sudan venne trasferito in Inghilterra. Egli ne approfittò per imparare l'inglese che gli sarebbe venuto buono tra poco.
Negli Stati Uniti
Infatti, ritornato dall'Inghilterra nel gennaio del 1946, si disse disponibile per la missione. Invece, il 5 aprile di quello stesso anno s'imbarcò a Livorno, diretto negli Stati Uniti dove dal 1940 si trovavano già mons. Mason, mons. Ferrara e padre Amleto Accorsi.
Scrive mons. Ferrara: «Fummo felicissimi quando alla fine della guerra vedemmo arrivare fra noi padre Rizzi. Ammirevole fu il suo spirito di adattamento ad una vita americana così diversa da quella vissuta per anni in Africa.
Con la sua abile discrezione e valentia si cercò subito e fu trovato un bel posto a Forestville, non lontano dal seminario diocesano di San Gregorio. Nel dicembre del 1946 padre Rizzi procedette alla compera. Si trattava di un'area di 22 ettari di terreno con casa e rustico in una bellissima posizione. Vi prendemmo possesso il primo febbraio 1947.
Non tardò molto e ci trovammo in grado di accettare le prime vocazioni che si presentarono, frutto della sua attività con l'aiuto del nuovo personale che venne dall'Italia».
In occasione del Capitolo della congregazione del 1947 padre Rizzi fu chiamato in Italia per dare relazione sulle nostre opere d'America. Vi arrivò nell'aprile e riparti nel luglio per svolgere l'incarico di superiore regionale affidatogli dal nuovo padre generale, Antonio Tedesco.
Vicario Generale
Dal luglio del 1953 al luglio 1959 padre Rizzi fu a Verona come Vicario generale nel secondo sessennio di padre Tedesco, e come Regionale della circoscrizione di Casa madre. Fu il tempo dei lavori di sistemazione della casa: la vecchia Tea scomparve per lasciare il posto alla parte nuova della casa. Venne risistemata la redazione di Nigrizia e del Piccolo Missionario; il vigneto scomparve per far spazio al campo sportivo. Anche la grotta della Madonna cambiò sede. Scadendo il 75° della morte di monsignor Comboni, vennero eretti i monumenti di Piazza Isolo e quello del parco.
In tutte queste innovazioni, padre Rizzi si sentiva protagonista. La permanenza americana gli aveva allargato le idee dandogli il gusto delle cose belle, grandi e moderne.
Superiore a Khartoum
La nostalgia dell'Africa si faceva ancora sentire. Padre Rizzi avrebbe voluto tornare sulle aspre montagne d'Etiopia, invece il nuovo padre generale, Gaetano Briani, lo inviò a Khartoum come superiore regionale e superiore locale della scuola tecnica. Il suo nuovo mandato cominciò l'8 agosto 1959 e sarebbe terminato nel luglio del 1964.
Il Sudan aveva ottenuto l'indipendenza da appena tre anni, e all'arrivo di padre Rizzi cominciavano già i torbidi che sarebbero sfociati nell'espulsione in massa di tutti i missionari dal Sudan meridionale.
In data 23 dicembre 1964, quando ormai il padre non era più superiore regionale, esprime in una lettera al generale la situazione tesa in cui si trovava la missione di Khartoum: «La cosa più brutta e più pericolosa è la calunnia che ci hanno affibbiato di essere stati, e di essere, noi ad incitare i neri contro gli arabi. Questa prevenzione si è diffusa e tiene gli animi tesi contro di noi, sì che qualunque scintilla potrebbe far scoppiare un incendio. Da parte mia le dico che sono contento di trovarmi qui e non partirei se non dietro un ordine. Se un dubbio mi inquieta è quello di non possedere bene la lingua araba e di non poter quindi esercitare il ministero come vorrei. Se non servo qui sarei tanto contento di esercitare il ministero sacerdotale in un confessionale di San Tornio o altrove. Su un punto di tanta importanza per l'anima mia desidero solo di fare l'obbedienza e che i superiori siano completamente liberi di disporre come credono meglio, senza nessun riguardo».
A Verona: superiore del Centro Nigrizia
Dopo una fugace visita negli Stati Uniti, padre Rizzi approdò a Verona. Ma non per fare il confessore in un buio confessionale di San Tornio, come avrebbe desiderato. Bensì per lasciarsi «perseguitare» ancora una volta dalla responsabilità di superiore. Dal 6 luglio del 1965 alla fine del 1969 fu incaricato - come abbiamo detto all'inizio - della seconda comunità di Casa madre. Capitò male, trattandosi dì un uomo come padre Rizzi. Erano gli anni della contestazione, anni che per padre Rizzi furono senza dubbio i più difficili della sua vita, perché egli non seppe capire i nuovi tempi.
Ed è una cosa assai strana questa! Non si riesce proprio a capire come mai padre Rizzi, uomo per altri lati aperto, moderno e intelligente non sia riuscito ad afferrare il cambiamento di un'epoca. Intanto si prestava per assistere spiritualmente le Missionarie Secolari Comboniane e gli studenti africani in Italia.
La destinazione di Messina (4 gennaio 1970) gli apparve come una liberazione, un riposo in un'oasi di pace. Anche se in Sicilia c'era tutto da fare.
Insieme a padre Russo gli parve di rivedere gli anni gloriosi di Gondar e poi quelli di Forestville. Prima a Minissale, poi a Messina dove sorse un Centro di animazione che proprio padre Rizzi volle moderno, ampio e funzionale. Egli prestò la sua opera come economo e come aiutante del CAM.
Anche la sua spiritualità si andava maturando. Egli che un giorno disse: «Dobbiamo corrispondere alla nostra vocazione ogni giorno, perché non siamo mai degli arrivati», non si fermò un istante nel cammino verso la perfezione cominciato in noviziato.
Fratel Dusi afferma: «Da quando l'ho conosciuto la prima volta a Verona come vicario generale, ho notato in lui un grande cambiamento. Prima era piuttosto duro, intransigente; a Messina sembrava un altro: era tenero, paterno, comprensivo, elastico e si adattava ai tempi e alle persone che venivano per casa».
Padre Naponelli precisa: «Sapeva accettare le situazioni contrarie alla sua formazione, come certi scherzi e come certi modi di agire e di vestire (dei confratelli e dei giovani e delle giovani del GIM). Solo qualche gesto del volto, del resto subito domato, faceva capire che non era d'accordo su certe cose.
Nelle sue prediche era davvero suadente e piaceva immensamente ai fedeli, sia per la sua evidente convinzione di quanto diceva, come per il modo di dirlo; aveva un tono di voce piacevolissimo. Anche il Clero lo stimava assai. Fra i laici c'è una grandissima venerazione per la sua memoria al punto di autotassarsi perché venga tumulato in luogo più accessibile (ora è tumulato fra i sacerdoti diocesani). Con padre Rizzi ho perduto un confidente e un amico degni di questo nome».
Sereno tramonto
Già dall'inizio del 1982 le forze cominciarono ad abbandonare padre Rizzi. Tuttavia egli si sforzava di vivere la vita comunitaria con regolarità, e senza lamentarsi.
Negli ultimi tempi diceva, avvertendo la presenza degli anni, che la vecchiaia è veramente una fatica e un peso da portare, tuttavia sapeva aggiungere espressioni di conformità alla volontà del Signore che, nella sua infinita misericordia, dà ai suoi figli il tempo e il modo di purificarsi. La sua disponibilità fino all'ultimo fu di esempio e di stimolo ai giovani.
A metà gennaio si mise a letto per un po' d'influenza che degenerò presto in broncopolmonite con complicazioni cardiache.
Domenica 13 gennaio 1983, al suono dell'Angelus si è spento serenamente. Era rimasto cosciente fino all'ultimo momento e aveva dato segni di pace interiore e di fede, senza mai esprimere rammarico per dover lasciare questa vita.
Sulla immaginetta per il 50° di sacerdozio aveva scritto: «Ora, da 50 anni sacerdote e missionario, io fisso ancora il tuo volto o Gesù, e prego: accetta o Gesù il mio grazie e dammi sempre il tuo perdono. E se il cammino non è del tutto al suo termine, Gesù, ogni mio passo sia ancora per te, ed ogni mia Messa rinnovi la gioia della mia consacrazione al tuo amore ed al servizio dei fratelli più abbandonati».
P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 139, ottobre 1983, pp. 62-68