In Pace Christi

Rizzi Giulio

Rizzi Giulio
Data di nascita : 17/09/1902
Luogo di nascita : Castenaso BO/I
Voti temporanei : 01/11/1925
Voti perpetui : 01/11/1928
Data ordinazione : 15/07/1928
Data decesso : 13/02/1983
Luogo decesso : Messina/I

«In questo periodo sono solo qui a Messina, ma sono tanto tranquillo e contento ugualmente. In realtà non sono solo: dal mio tavolo di studio vedo il tabernacolo. Il trovar­mi in un cantuccio nascosto d'Italia in questa... tristizia di tempi, mi dà tanta pace e consolazione».

È la frase di una lettera che padre Rizzi scrisse al padre generale da Messina nel 1973 ed esprime molto bene lo stato d'animo dello scrivente.

Padre Rizzi si sentiva come un naufrago che aveva trovato finalmen­te uno scoglio sicuro cui aggrap­parsi. La tempesta che lo aveva squassato per anni, era stato il perio­do durante il quale aveva coperto la carica di superiore della seconda comunità di Casa madre, quella cioè del Centro Attività Comboniane. «Anni duri, esperienza da dimenti­care» afferma uno che si trovò in quella comunità.

È logico che la pace di Messina, lo sgravio da ogni obbligo derivante dal suo ruolo di superiore dessero a padre Giulio un senso di relax.

Uomo rettissimo, onesto, nemico dei compromessi, attaccato all'istitu­to e alle costituzioni e tradizioni, padre Rizzi possedeva in modo emi­nente il senso delle responsabilità inerenti agli uffici che ebbe a co­prire nei suoi 55 anni di vita religio­sa. Molti che vissero con lui affer­mano che era «un muro di fronte al quale non c'era possibilità di dialogo, quando questo dialogo avrebbe potuto intaccare minimamen­te le regole o le tradizioni della Con­gregazione». Ma come temperamen­to non era così.

Superiore a vita

A chi lo osservava dall'esterno, padre Rizzi dava l'impressione del­l'uomo nato per comandare. Il suo portamento caratterizzato da una certa fierezza, la sua statura fisica alta e armoniosa, perfino la sua vo­ce calda e sonora inducevano a ri­tenerlo un «capo nato». A ciò si aggiungano le doti di intelligenza, di prudenza, di capacità di discer­nimento, e si ha l'identikit del padre.

In realtà padre Rizzi non aveva nessuna voglia di fare il superiore. Questa carica, che gli gravò sulle spalle per quasi tutta la vita, fu per lui un peso e motivo di tanta soffe­renza. Egli avrebbe voluto essere un semplice missionario. A prova dì ciò ci restano parecchie lettere scrit­te ai superiori maggiori.

Una vocazione difficile

Padre Giulio Rizzi era nato a Fiesso, nel comune di Castenaso (Bo­logna) il 17 settembre 1902.

Era un ragazzo robusto, dall'intel­ligenza viva e dal temperamento al­legro. I genitori gli fecero frequen­tare le elementari presso una scuola privata. Sinceramente, più che lo studio, il ragazzetto prediligeva la vita libera dei campi, le corse con gli amici e, soprattutto, le gare di nuoto. In questo sport era un cam­pione.

Terminate le elementari al paese, il ragazzino espresse il desiderio di farsi sacerdote. I genitori lo accon­tentarono inviandolo al seminario di Bologna.

Terminato il ginnasio (1919), in ottobre apriva i battenti il nuovo Seminario Regionale, destinato ad accogliere alunni di liceo-filosofia e teologia da Bologna e dalle diocesi della Romagna: ormai troppo poco numerosi per una formazione conve­niente in loco. Qui, sotto la guida di formatori competenti e un folto gruppo di insegnanti scelti da tutta la regione, si sarebbe potuto venire incontro ai bisogni dei tempi nuovi: il dopo della prima guerra mondiale.

Il Rettore, mons. Mimmi (che fu poi arcivescovo di Bari e Napoli, e cardinale), era aperto ai nuovi problemi della chiesa.

Fra l'altro aprì le porte del semi­nario alla prima pacifica «invasione» di missionari, promotori di vocazio­ni, felice della cordiale accoglienza che incontravano fra gli allievi. Primissimo fu P. Beduschi, che poi si fece rivedere, e lasciò un'impronta indimenticabile nel cuore di tutti. Seguirono membri di vari istituti: i pp. Manna (PIME), Sales (Conso­lata), Vignato, Molinaro, Abbà. Se ne videro presto i frutti: quattro se­minaristi partirono per le «missio­ni», due dei quali fra i comboniani (Dardi e Muratori). Rizzi, scosso fin da principio, avrebbe voluto se­guirli: ne parlava con il compagno di classe (ora padre Santandrea...). Si dicevano a vicenda: Bologna, la Romagna, l'Italia... è troppo piccola; andare in Africa.

Ma nel 1921 un fatto inaspettato lo fermò. Quell'anno si riaprivano, dopo la parentesi della guerra, i con­corsi per i posti vacanti al Semina­rio Lateranense di Roma. Ogni dio­cesi dell'ex-stato pontificio ha diritto a un posto gratis (tutto spesato: per­fino libri, vestiti...) per il liceo, teo­logia (fino alla laurea); poi, dopo l'ordinazione sacerdotale, per lo stu­dio del diritto, fino alla laurea. Qua­si sicuramente dietro suggerimento del vice-rettore, che molto stimava e amava Rizzi, il card. Gusmini gli rifiutò il permesso di partire per Venegono, e così fu invitato a pren­der parte al suddetto concorso. Na­turalmente vinse.

Un po' a malincuore, ma con la segreta speranza di poter riuscire in futuro, Giulio partì per Roma dove iniziò il terzo anno di liceo e filosofia.

Intanto arrivò il tempo della leva militare. Rizzi dovette deporre la talare per indossare la divisa mili­tare. Fu assegnato al corpo di arti­glieria con sede a Roma.

A Bologna intanto le cose erano cambiate. Il cardinal Gusmini era morto e al suo posto era arrivato Nasalli Rocca; anche il vicerettore era stato sostituito. Il chierico Rizzi era ritornato alla carica. Senza en­tusiasmo, il nuovo cardinale gli det­te il suo consenso.

Non sappiamo la data esatta del­l'entrata di padre Rizzi in noviziato.

Sappiamo che era la fine del 1923 e che si presentò con la divisa mili­tare indosso. «Dalla caserma al no­viziato» dice mons. Ferrara. Il 13 novembre del 1923 fece la vestizione e il primo novembre 1925 la pro­fessione religiosa. Durante il secondo anno di noviziato aveva fatto la pri­ma teologia.

I giudizi del maestro dei novizi: «Di ottime disposizioni, si diporta molto bene in tutto. Buono, pio, obbediente, umile, promette molto bene. Ha sempre dimostrato ottima volontà. È facilmente tentato di su­perbia (anche per motivo dei fre­quenti incarichi che ebbe in novizia­to, per necessità di circostanze) ma combatte bene. È di carattere mite, generoso, schietto, aperto e docile. È un po' smemorato. Qualche volta manifesta delle idee un po' strane in fatto di vita religiosa. Ingegno e salute molto buoni».

Quanto al suo carattere, può esse­re illuminante, sotto certi aspetti, ri­portare quanto più volte disse, an­che a lui stesso, p. Santandrea. «Sa­rà una mia impressione personale, ma, dopo il suo noviziato, io sten­tai per tutta la vita a riconoscere in Rizzi il vecchio compagno di scuola di Iª e IIª liceale. Era così allegro, così aperto! Capo-banda del gruppo bolognese, ne combinava spesso di sue... Capo-coro, cantava magnificamente. Attore incomparabi­le, nelle commediole che recitavamo per festeggiare il carnevale. Compa­gno sempre pronto a entusiasmi ge­nerosi: esplodeva con gli altri»... E dopo?... Forse il noviziato incise «troppo» duramente sulla sua anima così recettiva, da lasciarne una trac­cia che mai più si cancellò».

Ordinato sacerdote a Verona il 15 giugno 1928, dove aveva frequen­tato la teologia, si disponeva a par­tire per l'Africa. La sua destinazio­ne era il Bahr el Gebel. Egli, preso dall'entusiasmo, aveva già inviato le valigie e perfino i volumi del bre­viario (eccetto quello che usava), invece un contrordine lo dirottò su Troia. Il diario di quella casa annota: «16 ottobre: padre Rizzi, in partenza per il Bahr el Gebel sbaglia rotta e capita al Bahr el ...Ilion! L'accogliamo con viva esultanza. Au­guri di lunga permanenza». Erano gli anni in cui a Troia fervevano i lavori per la ristrutturazione della casa. Corsi di predicazione, assisten­za ai ragazzi, aiuto per i lavori in casa erano le attività che maggior­mente occupavano i padri della co­munità.

In Egitto e in Etiopia

Finalmente venne l'ora dell’Afri­ca. Insieme ai fratelli Enrico Ceriotti e Felice Bonomi, il 10 ottobre 1931 padre Rizzi s'imbarcò a Venezia al­la volta del Cairo. Una attività in­tensa lo attendeva. Dopo poco tem­po, infatti, divenne superiore e pro­curatore delle attività comboniane in quella città. Ma la vera Africa, quella che padre Rizzi aveva sognata da giovane seminarista, doveva an­cora arrivare.

Il 26 luglio 1936 era a Napoli, di ritorno dall'Egitto. La sua vera mis­sione stava per cominciare.

Con una lettera del 10 agosto 1936 la Sacra Congregazione Orien­tale assegnava ai comboniani un ter­ritorio in Etiopia con facoltà di eri­gere subito una casa a Gondar.

Padre Giulio Rizzi fu nominato superiore della nuova missione e degli altri cinque missionari (Gio­vani Audisio, Leone Zanni, Amleto Accorsi, Giovanni Nannetti e Gio­vanni Giordani) che partirono con lui. Il governo italiano concesse lo­ro il trattamento economico di cap­pellani militari, lasciandoli però li­beri di attendere al lavoro apostolico tra i nativi.

Partirono tutti insieme da Verona la sera del 5 ottobre 1936, dopo una commovente benedizione col San­tissimo. Il 7 poterono baciare la mano al Santo Padre, che li bene­disse sorridendo paternamente. Il giorno dopo vennero ricevuti dal cardinal Tisserant, segretario della Sacra Congregazione Orientale, che li accolse amorevolmente e disse lo­ro, tra l'altro, che le missioni del­l'Etiopia sono sempre state le più difficili, e che tutte sono finite nel sangue. Fu profeta.

I sei missionari salparono da Na­poli l'1 ottobre sul «Calabria». Il 4 novembre i padri Rizzi e Nannetti arrivarono a Gondar.

Per padre Rizzi, quella etiopica fu una vera epopea e come tale la descrisse, sarebbe più giusto dire la cantò, in una serie di articoli su La Nigrizia e in un fitto epistolario scritto ai suoi familiari.

Qualche volta padre Rizzi si la­scia portare sulle ali «delle ferree aquile imperiali», ma sempre palpita in lui il missionario, il salvatore di anime... «Siamo dunque sul campo del nostro lavoro. È qui dove dovrà esplicarsi il nostro zelo, dove dovrà forse consumarsi tutta la nostra vita; qui dove dovrà realizzarsi quel de­siderio di dedizione e di apostolato che ci strappò un giorno dalla no­stra famiglia per consacrarsi total­mente a Lui, all'amore dei fratelli più infelici di noi.

Entriamo commossi nella piccola cappella dell'ospedale fatto di teli da tenda, dove ci aspetta il Signore Gesù, e là, davanti a quel povero altare, rinnoviamo la nostra consa­crazione a Lui, gli diciamo che la­voreremo solo per Lui, solo per far­lo conoscere, per farlo amare da chi non lo può ancora amare perché non lo conosce... O Signore, ecco qui la nostra povera vita, la offriamo, la sacrifichiamo a Te perché tante lacrime siano asciugate, perché la pa­rola di Gesù e del suo Vicario sia udita e tutte le pecorelle ritornino all'unico ovile».

I progetti di padre Rizzi a Gondar erano grandi. Voleva mettere in pie­di una  scuola di arti e mestieri e ottenere dal governo una concessione agricola per insegnare ai nativi a lavorare la terra in maniera mo­derna.

Con decreto del 25 marzo 1937 la Sacra Congregazione della Chiesa Orientale, eresse la prefettura apo­stolica di Gondar affidandola ai missionari comboniani nella persona di monsignor Pietro Villa, eletto pre­fetto apostolico il 28 luglio seguente.

Nel 1941 cominciarono a piovere bombe sulle conquiste italiane in Etiopia, anche a Gondar.

Il 26 aprile padre Alfredo De Lai venne ucciso a Socotà... In un baleno le missioni furono saccheg­giate e i missionari deportati.

La Nigrizia del marzo 1942 an­nunciava: «Padre Rizzi e padre Di Francesco si trovano in un campo di prigionia in Sudan».

In seguito, dal Sudan venne tra­sferito in Inghilterra. Egli ne appro­fittò per imparare l'inglese che gli sarebbe venuto buono tra poco.

Negli Stati Uniti

Infatti, ritornato dall'Inghilterra nel gennaio del 1946, si disse di­sponibile per la missione. Invece, il 5 aprile di quello stesso anno s'imbarcò a Livorno, diretto negli Stati Uniti dove dal 1940 si trova­vano già mons. Mason, mons. Fer­rara e padre Amleto Accorsi.

Scrive mons. Ferrara: «Fummo fe­licissimi quando alla fine della guer­ra vedemmo arrivare fra noi padre Rizzi. Ammirevole fu il suo spirito di adattamento ad una vita ameri­cana così diversa da quella vissuta per anni in Africa.

Con la sua abile discrezione e va­lentia si cercò subito e fu trovato un bel posto a Forestville, non lontano dal seminario diocesano di San Gregorio. Nel dicembre del 1946 pa­dre Rizzi procedette alla compera. Si trattava di un'area di 22 ettari di terreno con casa e rustico in una bellissima posizione. Vi prendemmo possesso il primo febbraio 1947.

Non tardò molto e ci trovammo in grado di accettare le prime vocazio­ni che si presentarono, frutto della sua attività con l'aiuto del nuovo personale che venne dall'Italia».

In occasione del Capitolo della congregazione del 1947 padre Rizzi fu chiamato in Italia per dare rela­zione sulle nostre opere d'America. Vi arrivò nell'aprile e riparti nel luglio per svolgere l'incarico di su­periore regionale affidatogli dal nuo­vo padre generale, Antonio Tedesco.

Vicario  Generale

Dal luglio del 1953 al luglio 1959 padre Rizzi fu a Verona come Vi­cario generale nel secondo sessennio di padre Tedesco, e come Regionale della circoscrizione di Casa madre. Fu il tempo dei lavori di sistema­zione della casa: la vecchia Tea scomparve per lasciare il posto alla parte nuova della casa. Venne risi­stemata la redazione di Nigrizia e del Piccolo Missionario; il vigneto scomparve per far spazio al campo sportivo. Anche la grotta della Ma­donna cambiò sede. Scadendo il 75° della morte di monsignor Comboni, vennero eretti i monumenti di Piaz­za Isolo e quello del parco.

In tutte queste innovazioni, pa­dre Rizzi si sentiva protagonista. La permanenza americana gli aveva allargato le idee dandogli il gusto delle cose belle, grandi e moderne.

Superiore a Khartoum

La nostalgia dell'Africa si faceva ancora sentire. Padre Rizzi avrebbe voluto tornare sulle aspre montagne d'Etiopia, invece il nuovo padre ge­nerale, Gaetano Briani, lo inviò a Khartoum come superiore regionale e superiore locale della scuola tecnica. Il suo nuovo mandato cominciò l'8 agosto 1959 e sarebbe terminato nel luglio del 1964.

Il Sudan aveva ottenuto l'indipen­denza da appena tre anni, e all'ar­rivo di padre Rizzi cominciavano già i torbidi che sarebbero sfociati nel­l'espulsione in massa di tutti i missionari dal Sudan meridionale.

In data 23 dicembre 1964, quan­do ormai il padre non era più su­periore regionale, esprime in una lettera al generale la situazione tesa in cui si trovava la missione di Khartoum: «La cosa più brutta e più pericolosa è la calunnia che ci hanno affibbiato di essere stati, e di essere, noi ad incitare i neri contro gli arabi. Questa prevenzione si è diffusa e tiene gli animi tesi con­tro di noi, sì che qualunque scin­tilla potrebbe far scoppiare un in­cendio. Da parte mia le dico che sono contento di trovarmi qui e non partirei se non dietro un or­dine. Se un dubbio mi inquieta è quello di non possedere bene la lin­gua araba e di non poter quindi eser­citare il ministero come vorrei. Se non servo qui sarei tanto contento di esercitare il ministero sacerdotale in un confessionale di San Tornio o altrove. Su un punto di tanta im­portanza per l'anima mia desidero solo di fare l'obbedienza e che i superiori siano completamente liberi di disporre come credono meglio, senza nessun riguardo».

A Verona: superiore del Centro Nigrizia

Dopo una fugace visita negli Sta­ti Uniti, padre Rizzi approdò a Ve­rona. Ma non per fare il confessore in un buio confessionale di San Tornio, come avrebbe desiderato. Bensì per lasciarsi «perseguitare» an­cora una volta dalla responsabilità di superiore. Dal 6 luglio del 1965 alla fine del 1969 fu incaricato - come abbiamo detto all'inizio - della seconda comunità di Casa madre. Ca­pitò male, trattandosi dì un uomo come padre Rizzi. Erano gli anni della contestazione, anni che per padre Rizzi furono senza dubbio i più difficili della sua vita, perché egli non seppe capire i nuovi tempi.

Ed è una cosa assai strana que­sta! Non si riesce proprio a capire come mai padre Rizzi, uomo per al­tri lati aperto, moderno e intelligente non sia riuscito ad afferrare il cam­biamento di un'epoca. Intanto si pre­stava per assistere spiritualmente le Missionarie Secolari Comboniane e gli studenti africani in Italia.

La destinazione di Messina (4 gen­naio 1970) gli apparve come una li­berazione, un riposo in un'oasi di pace. Anche se in Sicilia c'era tutto da fare.

Insieme a padre Russo gli parve di rivedere gli anni gloriosi di Gondar e poi quelli di Forestville. Prima a Minissale, poi a Messina dove sorse un Centro di animazione che pro­prio padre Rizzi volle moderno, am­pio e funzionale. Egli prestò la sua opera come economo e come aiu­tante del CAM.

Anche la sua spiritualità si andava maturando. Egli che un giorno dis­se: «Dobbiamo corrispondere alla nostra vocazione ogni giorno, perché non siamo mai degli arrivati», non si fermò un istante nel cammino verso la perfezione cominciato in noviziato.

Fratel Dusi afferma: «Da quando l'ho conosciuto la pri­ma volta a Verona come vicario ge­nerale, ho notato in lui un grande cambiamento. Prima era piuttosto duro, intransigente; a Messina sem­brava un altro: era tenero, paterno, comprensivo, elastico e si adattava ai tempi e alle persone che venivano per casa».

Padre Naponelli precisa: «Sape­va accettare le situazioni contrarie alla sua formazione, come certi scherzi e come certi modi di agire e di vestire (dei confratelli e dei gio­vani e delle giovani del GIM). Solo qualche gesto del volto, del resto subito domato, faceva capire che non era d'accordo su certe cose.

Nelle sue prediche era davvero suadente e piaceva immensamente ai fedeli, sia per la sua evidente convinzione di quanto diceva, come per il modo di dirlo; aveva un tono di voce piacevolissimo. Anche il Cle­ro lo stimava assai. Fra i laici c'è una grandissima venerazione per la sua memoria al punto di autotassarsi perché venga tumulato in luogo più accessibile (ora è tumulato fra i sa­cerdoti diocesani). Con padre Rizzi ho perduto un confidente e un ami­co degni di questo nome».

Sereno tramonto

Già dall'inizio del 1982 le forze cominciarono ad abbandonare padre Rizzi. Tuttavia egli si sforzava di vivere la vita comunitaria con rego­larità, e senza lamentarsi.

Negli ultimi tempi diceva, avver­tendo la presenza degli anni, che la vecchiaia è veramente una fatica e un peso da portare, tuttavia sapeva aggiungere espressioni di conformità alla volontà del Signore che, nella sua infinita misericordia, dà ai suoi figli il tempo e il modo di purificarsi. La sua disponibilità fino all'ultimo fu di esempio e di stimolo ai gio­vani.

A metà gennaio si mise a letto per un po' d'influenza che degenerò presto in broncopolmonite con complicazioni cardiache.

Domenica 13 gennaio 1983, al suo­no dell'Angelus si è spento serena­mente. Era rimasto cosciente fino all'ultimo momento e aveva dato segni di pace interiore e di fede, senza mai esprimere rammarico per dover lasciare questa vita.

Sulla immaginetta per il 50° di sa­cerdozio aveva scritto: «Ora, da 50 anni sacerdote e missionario, io fisso ancora il tuo volto o Gesù, e prego: accetta o Gesù il mio grazie e dammi sempre il tuo perdono. E se il cammino non è del tutto al suo termine, Gesù, ogni mio passo sia ancora per te, ed ogni mia Messa rinnovi la gioia della mia consacra­zione al tuo amore ed al servizio dei fratelli più abbandonati».

P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 139, ottobre 1983, pp. 62-68