In Pace Christi

Antoniazzi Igino

Antoniazzi Igino
Data di nascita : 26/01/1911
Luogo di nascita : Montecchio Maggiore
Voti temporanei : 07/10/1931
Voti perpetui : 07/10/1937
Data decesso : 24/01/2003
Luogo decesso : Verona/I

Dopo 46 anni di Mozambico, Fr. Igino ha capito che era arrivato il momento di lasciare quella terra che ormai era diventata la sua terra. La salute perdeva colpi, la respirazione era difficoltosa, le gambe stentavano a reggerlo in piedi… Sapeva che, restando in missione, avrebbe aggravato il lavoro degli altri. Per lui, che aveva sempre messo la missione al primo posto, questo suo limite era un peso troppo grosso.

Così, con la morte nel cuore, decise di ritornare in patria accettando di mettersi da parte definitivamente. In questo è stato guidato da una logica che è stata quella di tutta la sua vita: umiltà, disponibilità, servizio. Quando quest’ultimo – il servizio – per forza maggiore è venuto meno, non gli restava che ripiegare.

Ai limiti fisici, ultimamente si erano aggiunti anche quelli morali, in particolare la morte di Fr. Carlos Díaz Perez che doveva essere il suo successore nella scuola, ed invece lo ha preceduto nella Casa del Padre. Questa morte gli ha inciso profondamente l’anima. Tuttavia non gli è mai venuta meno la speranza e la fiducia nella Provvidenza.

Missionario fino alla morte

Fr. Igino Antoniazzi, figlio di Giulio e di Emilia Cortivo, è nato a Montecchio Maggiore, Vicenza, il 24 gennaio 1911. A 16 anni è entrato nella scuola apostolica per Fratelli di Thiene, previo consenso dei genitori.

P. Rodolfo Orler, poi vescovo del Bahr el Ghazal (Sudan meridionale), ha scritto di lui: “È entrato il 25 aprile 1927. Ha fatto un po’ il sarto, ma poi è passato alla falegnameria dove ha imparato assai bene. È un po’ pallido all’aspetto, però è sempre stato bene. È pronto per il noviziato”.

In data 10 giugno 1929 Igino ha presentato la domanda per essere ammesso tra i Comboniani. “Come potrò io ricambiare tanto amore? Solo con la mia buona volontà. Da tante tempo desidero ardentemente entrare in noviziato. Sono già due anni che mi trovo in questa santa casa di Thiene, e sono contento perché ho potuto imparare tante cose utili sia riguardo lo spirito come per tutto il resto… Il mio desiderio è quello di perseverare nella vocazione fino alla morte e così essere strumento utile nella mani di Dio per salvare tante anime”.

Tra il 1929 e il 1931 è stato novizio a Venegono Superiore, sotto la guida di P. Giocondo Bombieri. Ha emesso i voti il 7 ottobre 1931 insieme a 14 studenti e 4 fratelli tra i quali anche Fr. Umberto Saggin che poi sarà suo compagno a Troia. Aveva 20 anni ed è stato immediatamente mandato a Troia dove P. Bernardo Sartori stava restaurando il vecchio convento delle Clarisse che accoglieva già i primi seminaristi comboniani.

Il primo lavoro di Fr. Igino a Troia è stata la cornice di un quadro della Madonna… “inaugurato il 29 novembre, lo esponiamo prima in chiesa pubblica e poi lo portiamo, verso sera, in cappellina”, recita il diario della casa.

Fr. Igino ha costruito i serramenti, i banchi per lo studio, i tavoli e i tavolini… ma ha dato una mano anche a Fr. Saggin per i lavori in muratura. Nel 1932 hanno dato inizio alla costruzione del campanile della chiesa e… “il 23 febbraio sono arrivate da Treviso le nuove campane salutate da grida ed applausi. Oggi ha luogo la solenne consacrazione di esse. Per tutto il tempo della lunghissima funzione migliaia di persone hanno circondato il vescovo consacrante, Mons. Farina… Il 17 marzo ci allieta l’arrivo del nuovo altare marmoreo con tutti gli annessi e connessi per la nostra chiesa decorosamente restaurata e abbellita…”.

Fr. Igino si è trovato bene a Troia, tra un popolo che amava le missioni e i Comboniani, animato dallo zelo del Servo di Dio P. Bernardo Sartori. Anche con i ragazzi si trovava a suo agio. Ogni giovedì li accompagnava alla passeggiata che era diventata quasi un rito, s’intratteneva con loro, ne condivideva i problemi e le difficoltà. Insomma era quasi uno di loro data anche la sua giovane età.

Intanto si era ulteriormente impratichito nell’arte del falegname per cui i superiori pensarono di richiamarlo a Thiene perché fosse istruttore di altri giovani che aspiravano a diventare fratelli.

È stato a Thiene dal 1932 al 1936 come capo officina dei falegnami e assistente degli aspiranti Fratelli. In quel periodo i superiori pensavano di costruire una casa per villeggiatura a Fai della Paganella, Trento. Fr. Igino vi è stato mandato per sistemare porte, finestre e altre parti in legno. Il Bollettino dell’Istituto, alla data 26 giugno 1936 registra: “Il Rev.mo P. Generale, con alcuni Fratelli, si porta a Fai per l’allestimento della nuova casa estiva. È iniziata solo ai primi di maggio ed è già al termine”.

Dall’Etiopia al Mozambico

La Provvidenza, intanto, preparava un nuovo campo di lavoro per i Comboniani: l’Etiopia, e Fr. Igino è stato uno dei prescelti per la missione di Gondar che doveva diventare il centro della Prefettura e delle attività comboniane nel nuovo Impero.

Il lavoro in Etiopia si presentava pieno di promesse. In poco tempo i Comboniani che erano andati in quella terra come cappellani militari al seguito delle truppe italiane, ma con facoltà di svolgere un lavoro missionario autonomo, fondarono nove missioni. L’avventura si concluse con la sconfitta dell’esercito italiano nel 1941, l’uccisione di P. Alfredo Delai a Socotà e l’espulsione o la prigionia dei missionari.

Fr. Igino tornò in patria e, nel 1943, lo troviamo a Como, poi a Padova e a Trento sempre come addetto ai lavori della casa, specialmente per quanto concerneva i lavori di falegnameria.

Intanto è finita la guerra e le vie della missione si sono aperte. Fr. Igino è stato destinato al Mozambico, ma prima di entrare in quella colonia portoghese bisognava fare una lunga tappa in Portogallo. È stata una cosa opportuna perché, proprio in quel periodo, stavano sorgendo le opere comboniane in Portogallo. Il nostro Fratello ebbe l’incarico di costruire i serramenti del seminario di Viseu.

Nel 1957, partì per il Mozambico con destinazione Carapira dove i Comboniani avevano dato vita ad una scuola tecnica. Quella missione fu la base del suo lavoro missionario durante la sua lunga vita. Vi rimase fino al 2002. In 46 anni di missione ne ha viste tante di cose in quella terra: ha visto la nazione passare dalla condizione di colonia portoghese a repubblica indipendente a prezzo, purtroppo, di feroci guerre e terribili carestie; ha assistito all’instaurazione del regime marxista che ha nazionalizzato anche i prodotti dell’orto e le galline del pollaio; ha visto cadere attorno a sé confratelli e consorelle, è stato testimone dell’abbandono del Mozambico da parte di altri missionari, ma lui con i suoi confratelli, ha resistito, sicuro che gli avvenimenti si sarebbero evoluti e le cose si sarebbero messe a posto.

Dalle sue mani e dal suo cuore, intanto, scaturivano generazioni di giovani che, alla sua scuola, imparavano un mestiere rendendosi capaci di un lavoro dignitoso e, in molti casi, autonomo. In questo modo Fr. Igino contribuiva a costruire il nuovo Mozambico fondato sulla pace, sulla giustizia e sulla dignità umana.

Il suo lavoro

Per tutta la vita Fr. Igino ha fatto l’istruttore nella Scuola tecnica e lì, a contatto con generazioni di scolari ha profuso il meglio di se stesso. Tra le sue carte troviamo un foglio sul quale vi sono alcune domande con altrettante risposte. Alla domanda: “Quali attitudini credi di avere?”, Fr. Igino ha risposto: “Continuare a fare il falegname”. All’altra domanda che recitava: “Per quali tipi di lavoro ti credi meglio adatto?”, ha detto: “Data l’età penso sia meglio prepararsi all’ultimo mestiere: morire bene”.

Fr. Igino è stato un missionario che, pur non avendo fatto grandi opere esterne, è stato capace di costruire gli uomini partendo dal loro interno. Alla mattina era il primo che partiva con la moto (che si portava in stanza durante la notte) per andare nella scuola o nella altre missioni ad eseguire dei lavori quando era chiamato. Ma la sua giornata era già cominciata da un pezzo: alle 4,30 del mattino era in chiesa, insieme agli altri fratelli come Mario Metelli, Antonio Schiavon, ecc.

“O preghiamo al mattino o non lo facciamo più”, soleva dire. Ed aveva ragione perché il lavoro della scuola, della segheria e della falegnameria con decine e decine di persone cui badare, impegnava tutta la giornata.

Ma non è stato solo un istruttore; è diventato il consigliere, l’amico della gente, delle loro famiglie. Quando i suoi operai avevano problemi anche di famiglia (con i figli o con la moglie) preferibilmente andavano dal Fr. Igino per avere una parola sicura che per loro diventava norma.

C’è stato un periodo di sofferenza, quando ci sono state le nazionalizzazioni. La scuola, requisita dal governo, ha cominciato a decadere perché si privilegiava la politica all’efficienza nell’educazione. E i ragazzi ne soffrivano. Comunque lui ha ottenuto di restare nella scuola anche se era diventata proprietà dello stato. Era il tempo in cui bisognava stare zitti, perché comandavano i marxisti che non vedevano di buon occhio i cattolici. E lui è stato zitto, ma non ha mai smesso di aiutare, di amare e di aspettare tempi migliori.

“Passerà, passerà, noi andiamo avanti”, diceva. E dalle sue labbra uscivano solo parole di speranza, di incoraggiamento. La storia gli ha dato ragione.

Uomo di pace

Fr. Igino in comunità è stato uomo di pace. Non ha mai alimentato fuochi o discordie. Ha sempre tentato di vivere lo spirito di pace e di alimentarla, sia tra la gente, sia in comunità con buone parole ed esempi costruttivi. Aiutava i giovani missionari, anche se li trovava diversi da lui e dai missionari della sua epoca. Avrebbe voluto che pregassero di più. Appellandosi alla sua esperienza, e alla sua sapienza, diceva: “Guardate che si è sempre visto che coloro che pregano poco combinano anche poco”. Tuttavia ha stimato i giovani fratelli anche se aveva delle osservazioni da fare.

Ha sentito molto la scomparsa dei fratelli della prima ora, quelli che con lui avevano aperto i primi solchi, fondato le prime missioni; qualche volta si è sentito un poco solo, perché, insieme a quella degli anziani, ha percepito anche la perdita dei giovani come P. Cornelio Prandina, Fr. Alfredo Fiorini, Fr. Carlos Diaz Perez. “Se uno campa un po’ a lungo – diceva – si trova solo”. Vedeva che attorno a sé si creava il vuoto. Allora bisognava avere un forte riferimento in Dio per non cadere nella depressione e diventare musoni e brontoloni.

“Igino è un Fratello Comboniano classico – scrive P. Cusini Firmino - che ha vissuto nella radicalità la sua vita missionaria. Di spirito amichevole e comunitario, era molto attento e servizievole coi confratelli, con gli altri missionari e con la gente. Difendeva la sua idea, ma in lui non c’era spazio per rancori e trovava sempre la parola giusta per ridere ancora… o ci pregava sopra.

Grande lavoratore e animatore di sviluppo, è stato sempre attivo fino agli 89 anni e solo per impossibilità fisica ha lasciato il lavoro. Dalla sua stanza, comunque, ci seguiva ed era felice di dare il suo consiglio. Per lui non c’era tempo di ferie o di riposo. Faceva coincidere le sue ferie in Italia con le cure necessarie e allo stesso tempo si preoccupava di preparare nuovo materiale per la missione.

Un aspetto bello della sua vita è stata la grande amicizia con la sua famiglia, i suoi fratelli, le cognate e i numerosi nipoti. Con zelo incredibile animava missionariamente la famiglia e la parrocchia d’origine…”.

La scuola tecnica di Carapira

Scrive P. Giacomo Palagi che è stato suo compagno di missione e suo provinciale:

“Della sua lunga vita missionaria ricordo gli anni in cui ero a Nampula come provinciale. Ho visitato spesso Carapira in quel periodo: con il ritorno di Fr. Giovanni Grazian e nuovi investimenti stavamo risollevando la scuola tecnica, da sempre il fiore all’occhiello della provincia del Mozambico e dei Fratelli Comboniani. La nazionalizzazione della scuola dieci anni prima da parte del governo di ispirazione marxista e la cattiva gestione della stessa, l’avevano ridotta alla pura sopravvivenza. Solo due Fratelli erano rimasti al loro posto: Fr. Antonio Schiavon, meccanico e Fr. Igino Antoniazzi, falegname.

Come semplici subalterni della nuova direzione, cercavano di portare avanti il meglio possibile i loro settori di lavoro, pur ingoiando lacrime e rabbia per lo sfacelo al quale stavano assistendo senza poter fare niente. La gente, i lavoratori soprattutto, sono stati sempre loro alleati, fiduciosi che la tempesta sarebbe passata e la scuola sarebbe rifiorita. Per la fine degli anni ottanta e poi negli anni successivi la scuola tecnica di Carapira è tornata ad essere una delle prime in Mozambico e chi usciva da quei corsi aveva sbocchi sicuri nel mondo del lavoro.

Ho parlato di Carapira, perché la vita missionaria in Mozambico di Fr. Igino si è svolta tutta qui: è stato presente al nascere della scuola e l’ha sempre sentita come parte di sé, accompagnandola col suo impegno professionale e con sua preghiera costante. La sua missione è stata tra la segheria, i tronchi, i banchi di falegname, i mobili prodotti, le macchine…, ma soprattutto tra le persone: gli alunni, i lavoratori, le loro famiglie… i lavoratori, soprattutto. E ne ha avuto molti: li conosceva tutti e bene, li ha aiutati a diventare maestri nella loro professione, a farsi una vita decente, a utilizzare bene quello che guadagnavano; li riprendeva quando ce n’era bisogno. Soprattutto ha dato a loro il senso del lavoro, del tempo, della puntualità, della precisione di esecuzione.

Al mattino era il primo in officina, dopo aver pregato per ore prima dell’alba. La sera si ritirava presto, ma gli piaceva anche la compagnia e il sedersi sotto la veranda della casa dei missionari e scambiare le notizie del giorno, magari irrigate da qualche bicchierino: lui era il “cantiniere” fedele della comunità e il custode… delle bottiglie.

Ha desiderato avere dei fratelli giovani che lavorassero con lui e che dessero la garanzia della continuità e del buon livello della scuola. Mi confessava a volte, però, la sua perplessità su qualcuno di questi: “Padre, non pregano… Padre, saranno anche preparati, ma mi sembra che non vogliano bene agli africani… Padre speriamo che la scuola possa andare sempre avanti…”.

Forse il suo metro per la preghiera era quello di voler vedere tutti in cappella alle 4 del mattino. Si è sentito bene quando nel suo settore è venuto Fr. Carlos Diaz Perez. Me ne parlava come si parla di un figlio, che stava crescendo, e che stava venendo su bene. E quando Fr. Carlos lo scorso anno è morto in un incidente stradale, lo ha pianto, e ha pregato perché la sua perdita non gettasse la scuola nel caos”.

Tra i suoi

Col primo gennaio 2003 gli è arrivata la destinazione definitiva all’Italia, ma aveva lasciato il Mozambico già da un po’. Respirava a fatica. “È la polvere della falegnameria”, diceva, ma lo diceva quasi con orgoglio, con la consapevolezza di aver lavorato per il Signore e per gli africani. Era consapevole di aver realizzato il Piano di Comboni: salvare l’Africa con gli africani.

A Verona ha vissuto ugualmente la missione. La sua stanza era diventata luogo di incontro per i mozambicani, bianchi e neri. La sua mente e il suo cuore, sempre attivi e vivaci, accompagnavano la realtà del Mozambico con la sua preghiera e l’offerta giornaliera della vita.

Carico di meriti e di anni, è spirato serenamente nella Casa Madre di Verona il 24 gennaio 2003 quando mancavano due giorni al suo 92° compleanno, e già in casa si preparava la festa per lui.

Durante la Messa funebre, giustamente sono state scelte le letture che parlavano di carità. Nella prima è stato proclamato “l’inno alla carità”, perché Fr. Igino non ha scritto, non ha predicato, ha solamente amato dandosi completamente agli altri. Questo amore ha vivificato la sua preghiera, il suo lavoro e i suoi sacrifici.

Il Vangelo ha messo la carità al centro del Regno: avevo fame, avevo sete… e Fr. Igino è andato in Mozambico e si è fermato con i fratelli per tutta la vita. I funerali a Carapira hanno coinciso con l’assemblea diocesana annuale per la diocesi di Nacala, che ha visto raccolti una sessantina di sacerdoti. Celebrante principale è stato il vescovo di Nacala che ha ringraziato il Signore per il dono della vita di Fr. Igino e per la sua testimonianza di vita missionaria. Ha evidenziato il desiderio di Fr. Igino di morire in Africa e di essere sepolto a Carapira se ciò non avesse creato qualche impedimento al lavoro degli altri.

Ora Fr. Igino continua a intercedere per la Chiesa e il popolo mozambicano che ha tanto amato. Dopo il funerale in casa madre la salma è stata portata a Ronco all’Adige dove abitano i suoi parenti.

P. Lorenzo Gaiga, mccj

------------------------

24 January, the day of Bro. Igino Antoniazzi’s birth into heaven, was also the day of the yearly diocesan assembly for the diocese of Nacala, attended by 60 missionaries.

They all gathered in the large church of Carapira to thank God for the gift of Bro. Igino’s life and witness, enlivened by the Word of God and the words of the bishop of Nacala.

Here are the main stages of his life. Bro. Igino was born in Montecchio Maggiore, Vicenza, in 1911, and took his first vows in Venegono in 1931. From 1931 to 1937 he served in Italy, in the houses of Troia and Thiene. From 1937 to 1943 he was a builder in Gondar, Ethiopia. Then back in Italy, at Rebbio, Padova and Trento (1943-1948). From 1948 to 1956 he minded the building of the seminary of Viseu in Portugal. In 1956 he left for Mozambique, where he stayed until 2001, mostly assigned to the carpentry workshop of Carapira. Back in Italy in August 2001, he was admitted at the C.A.A. of Verona.

Bro. Igino, a classic example of a Comboni Brother, lived his missionary life in a radical way. Daily he devoted a large amount of time to prayer, arriving in church early in the morning, much ahead of the other members of the community.

Being very friendly and sociable, he was very attentive and helpful with his confreres, other religious and laypeople.

He stuck by his ideas, but, because he loved peace, he was understanding with all and never left room for divisions and grudges. He always found the right word by having a good laugh or… praying over it.

He was a great worker and a promoter of development, and spent most of his energies in doing manual work. He was always quite active up to age of 89 when he stopped working because it was physically impossible for him to do so. Nevertheless, from his sickbay, he kept in touch with all and was always happy to offer advice.

He did not know what rest or time off was and rarely took time to relax. He always planned his holidays to Italy with times when he needed medical care or for one of the several operations he had to undergo. Even then he was busy getting what was needed for his work in the missions.

A charming aspect of his life was the deep relationship he had with his family, his brothers, his sisters-in-law and his many nephews and nieces. With great zeal he spoke to all about his missionary concerns and encouraged his native parish to contribute generously to the missions.

When in Carapira, he was proudly talking about his work as a young Brother, building new houses for the Institute. As soon as he finished a house, he was sent to build another, then another: Verona, Padova, Troia, Fai, and so on. It cost him a lot, because all this work was delaying his going to the missions, but he always obeyed and worked with good will.

Then came the mission assignment, but it was in Ethiopia and during the colonial war. There he had to start alone and in difficult places, with few supplies to work with. Because of his total commitment to his work he had recurring bouts of illness, but always bounced back and his will power made him move ahead. Having returned to Italy to recover, he gave much of his time and service to the scholastics, who had moved to Rebbio on account of the war. At that time he used to drive around on a steam vehicle.

Finally there was hope that he could go to Mozambique, but he was derailed to Viseu, Portugal, to build the seminary. In 1956 he eventually arrived in Mozambique where he remained until 2001, when, for health reasons, he was convinced to return to Italy and go to Verona. It cost him a lot because he wanted to leave in Carapira not only his 44 years of missionary service, but also his body, his heart and love, as a generous and lasting gift to Africa.

In Verona he continued to live for the missions. His room became the meeting place of anyone connected with Mozambique, white or black. His mind and his heart, always active and alive, helped him follow the events of the Mozambican people with his prayer and the daily offering of his life.

Bro. Igino will also now continue from heaven to care about and intercede for the Church and the people of Mozambique, whom he loved so much.

Da Mccj Bulletin n. 220 suppl. In Memoriam, ottobre 2003, pp. 69-78

****

Fr. Gino Antoniazzi, comboniano

L’ho conosciuto quando sono stato parroco a Ronco all’Adige; me ne avevano parlato fin da subito, perché, credo che poco prima del mio arrivo in parrocchia (settembre '82) avesse celebrato il 50' di Professione Religiosa.

Il suo ritorno periodico in famiglia ci dava modo di approfondire la nostra fraterna amicizia, grazie anche ai suoi famigliari che da sempre coltivavano una rete di conoscenze e amicizie "missionarie"' per cui Fr. Gino, anche se di fatto in Africa, era sempre presente. Far visita alla famiglia del fratello Augusto e della cognata Rosina, e alle "glie dei suoi nipoti era come fare un'immersione nello spirito missionario più genuino ed evangelico, fatto di conoscenza, affetto, stima, preghiera e tanta carità.

Era un carattere schivo, di poche parole. Ricordo la fatica di fargli leggere un suo messaggio alla comunità in uno dei suoi ritorni in parrocchia.

Ma aveva una tempra forte; era determinato nel portare avanti il suo lavoro missionario. L'ho scoperto quando sono stato a trovarlo nel giugno del '94, con il nipote Giuliano e Antonella. A quel tempo mi ero riproposto di andare a visitare i missionari di Ronco e volevo iniziare da lui, in Monzambico. Era il più anziano e quello che da più anni era in missione.

Era stata firmata la pace tra le due fazioni, in lotta, da anni: la Renamo e la Frelimo; nel '92, grazie anche all'intermediazione della Comunità di S. Egidio, a Roma. La lunga guerra aveva fatto centinaia di migliaia di vittime, qualcuno ha scritto un milione. Fr. Gino era rimasto là con la sua gente. Non aveva voluto andarsene. I  Conboniani avevano dato anche il loro contributo di testimoni uccisi: Sr. Teresa Dalle pezze, veronese, e Fr. Fiorini romano.

Fr. Gino mi raccontava che quando avvenivano le incursioni notturne alla missione di Carapira, dove è sempre stato, i confratelli e l'altro personale della missione scappava nella foresta, lui “scappava" in chiesa e si rifugiava dietro l'altare, attaccato al tabernacolo.

A proposito della sua spiritualità, quando sono stato a trovarlo, mi è stato di grande edificazione l'esempio ricevuto da lui e da tutta la comunità; la giornata iniziava puntualmente, in chiesa, alle 5; apriva sempre lui ed era il primo ad entrare. Poi c'era la colazione, quattro chiacchiere e quindi via, con la moto ' al Centro professionale, la scuola di meccanica e la falegnameria, Ma la giornata si concludeva ancora in chiesa, davanti al SS.mo, con l'adorazione , ì Vesperi e la Messa.

Grande fedeltà! Da Il Fr. Gino, vero figlio del Beato, prossimo Santo Fondatore, Daniele Comboni attingeva forza, serenità, tenacia, spirito apostolico.

A volte, mostrandoci con orgoglio la sua officina e la sua falegnameria (il Centro più attrezzato e apprezzato di tutto il Monzambico) si lasciava andare a qualche espressione di sconforto perché le “cose" (diceva lui) non andavano come "una volta"; anche in Africa il mondo cambiava.

Sono rimasto colpito ed edificato dal suo spirito giovanile, dal suo slancio. Ha dato tutto per la sua missione. Anche quando lo visitavo in Casa Madre, negli ultimi tempi, il discorso andava là; rivedevo, parlando con lui, le varie stazioni missionarie dov'ero stato anch'io; si riparlava di persone, suore o missionari conosciuti o incontrati. Il suo spirito era là.

Grazie Fr. Gino! A me hai insegnato che il servizio nella chiesa va fatto fino in fondo, con dedizione, gioia, semplicità. li Signore ti dia il premio riservato ai suoi figli.

Ronco non lo dimentichi, ne sia orgoglioso. La sua memoria alimenti lo spirito missionario della parrocchia e faccia germogliare qualche vocazione che prenda il suo posto.

Don Carlo