P. Enzo Canonici, quinto di sette figli, quattro maschi e tre femmine, era nato ad Alviano, Terni, il 30 giugno 1931 da Fortunato e da Leontina Caneponi. Il papà lavorava in una ditta che si occupava della manutenzione delle Ferrovie dello Stato, la mamma era casalinga. In famiglia si viveva la fede e si pregava tutti i giorni, e tutti frequentavano la chiesa.
La sorella Eleonora ci assicura che, fin da piccolo, Enzo mostrava una naturale propensione per la chiesa e le cose di Dio. Nei momenti liberi dalla scuola e dallo studio, andava preferibilmente in chiesa, tanto che il papà un giorno lo rimproverò perché “sei sempre in chiesa!”. Al piccolo Enzo piaceva tenere in ordine l’altare, procurare fiori freschi che disponeva davanti all’altare della Madonna, togliere con lo straccio la polvere in modo che tutto fosse sempre in ordine. Ma anche in casa aveva queste piccole attenzioni: si lucidava le scarpe da solo, spazzava il pavimento e si prestava in mille piccoli servizi, tutto per sollevare la mamma dalla sua fatica quotidiana.
Questa sua passione per le piccole cose, lo ha portato ad imparare a destreggiarsi in cucina e a fare il cuoco, cosa che venne grandemente utile a lui e alla comunità fino a pochi giorni prima di morire quando, in mancanza della cuoca, sapeva preparare pranzo e cena per tutti.
Ogni mattina andava alla messa con la mamma e, quando crebbe un po’, volle diventare chierichetto. L’ordine, la precisione, la minuziosità che aveva nelle sue cose, si rifletteva anche nella sua vita. Se questa era una virtù, a lungo andare poté diventare un difetto perché, si sa, le cose perfette non sono di questo mondo, e allora si rischia di infastidire qualcuno. Anche nella scuola e nello studio riusciva bene, sia perché era intelligente, sia perché si applicava molto. Tuttavia con i compagni era vivace e allegro.
Nel seminario diocesano
Il primo a partire per il convento dei Francescani di Assisi fu il fratello Luciano. Enzo era naturalmente disposto a seguirlo, ma il suo parroco lo ha indirizzato al seminario diocesano di Amelia. Frequentava la seconda media quando, il 15 marzo 1943, la notizia della morte della sua mamma quasi lo schiantò. Sensibile com’era, soffrì moltissimo, ma i superiori gli furono vicini e riuscirono ad attenuargli il dolore. P. Enzo ricordò sempre la sua mamma e, ogni anno alla data della sua morte, celebrava la messa per lei e invitava la comunità a ricordarla nella preghiera.
Nel seminario minore di Amelia c’erano anche le suore. Una di esse, vedendo quel piccolo seminarista (era proprio piccolo, mingherlino e tanto delicato) che soffriva per la mancanza della mamma, si offrì a fargli da mamma. P. Enzo ricorderà per tutta la vita quella buona suora e dedicherà gran parte del suo ministero sacerdotale alla direzione spirituale e alla predicazione di esercizi, ritiri e conferenze alle suore quasi come un debito di riconoscenza nei suoi confronti.
Missionario Comboniano
Per il liceo il nostro giovane passò al seminario regionale di Assisi. Qui il Signore lo aspettava per chiamarlo alla missione. “Il desiderio di farmi missionario cominciò a sorgere nel mio cuore durante il secondo anno di liceo, cioè tre anni fa (quest’anno ho fatto la prima teologia). Più che un desiderio, però, era una congettura. Vedendo i bisogni delle missioni mi dicevo: ‘E se anch’io dovessi farmi missionario?’, ma subito risolvevo la faccenda pensando che anche nella nostra Umbria, non più verde, ma rossa, c’era molto bisogno di sacerdoti.
Dietro insistenti richiami della grazia, la congettura divenne vera e propria vocazione. Fino ad alcuni mesi fa dicevo: ‘Se conoscessi che questa è volontà di Dio, partirei subito!’. Ora ho conosciuto che questa è la volontà di Dio (in che modo potrò accennarlo in altre occasioni) ergo non rimane altro che partire. Ma quando? È consapevole del mio desiderio solo il padre spirituale ed una santa religiosa che Dio mi ha voluto dare come seconda mamma, dopo la morte della mia mamma terrena. Appena mi recherò in vacanza ne parlerò con il vescovo. In seguito poi avviserò mio fratello Luciano (che sarà ordinato sacerdote quest’anno) e poi gli altri membri della famiglia” (1° luglio 1951).
L’uragano in famiglia
Quando parlò del suo progetto in famiglia, scoppiò l’uragano. Il papà, i fratelli (anche il Francescano) e le sorelle gli furono tutti contro e in maniera decisa, quasi violenta. Le numerose lettere di P. Enzo su questo argomento sono molto eloquenti. “Se qualche anno addietro ho allontanato dal cuore il pensiero della vocazione missionaria, la causa principale è stata la condizione di papà. Trovandosi a casa solo, non fa che soffrire, non avendo nemmeno chi gli fa un po’ di minestra e tirando avanti la vita con il pane bagnato di lacrime. Devo partire lasciando così un padre ed affidandolo alla provvidenza di Dio, oppure devo attendere che si mutino le circostanze?” (2.8.’51).
Col passare delle settimane, la lotta si faceva più ardua (e le lettere la registrano). “Mio fratello ferroviere e mio fratello sacerdote mi hanno chiamato in disparte e hanno cominciato a rimproverarmi perché sono senza coscienza, ho lasciato voltarmi la testa dal padre spirituale senza pensare alla famiglia che ha bisogno di me. Mi hanno chiamato traditore della famiglia, poi si è aggiunto anche mio padre che ha continuato a trattarmi da traditore, dicendo che io ho deluso tutte le speranze, ho rovinato l’avvenire suo e della sorella minore che da 6 anni è all’orfanotrofio…
Io traditore, io vigliacco, io rinnegato dalla famiglia, io il più indegno dei figli, io infame, io maledetto dai miei fratelli… Allontanandomi da loro non potei fare a meno di scoppiare in pianto anch’io. Padre mio, immagini che cosa sta passando dentro di me! Eppure ho giurato al Signore di essere pure traditore della mia famiglia, ma non voglio esserlo della sua volontà. Continuamente mi vien da dire al Signore: ‘Mio Dio, perché non mi hai lasciato in pace nel mio seminario?’. E la risposta è sempre la stessa: ‘Perché ti amo’. ‘Signore mio, ma quanto è crudele il tuo amore! Quanto cara vuoi farmi pagare la mia vocazione?’” (27 agosto 1951).
Perfino il padre spirituale ad un certo punto gli suggerì di andare avanti negli studi fino all’ordinazione sacerdotale, intanto sarebbero maturate le cose. Ma Enzo non era il tipo da far attendere Dio fuori dalla porta. Quanto pregò e quanto fece pregare in quel periodo, lo sa solo il Signore.
Finalmente il 16 settembre 1951 ha potuto scrivere: “A casa la grazia di Dio ha molto lavorato. Quel fratello che mi insultò e maledisse, mi ha chiesto scusa e mi ha detto di seguire pure la mia idea. Non vuole avere alcun rimorso per me. Mio padre piange sempre, tuttavia quando l’ho salutato mi ha augurato di trovarmi un milione di volte meglio di come io penso. Mio fratello religioso si è scusato. Le sorelle piangevano perché sapevano che ci saremmo rivisti ben poco.
Dopo tanto soffrire e tante lotte si è affacciata anche la tentazione. Mi sembra che la mia decisione sia stata un sogno, una follia… Dove andrò ora? Cosa mi attenderà? Una risposta torna insistente: ‘Ho fatto ciò perché ti amo! La mia volontà ti attende: niente altro’. Ogni volta che prego mi sento rasserenato, rinforzato, tuttavia soffro, soffro molto”.
Il migliore
Il 2 ottobre 1951 poté entrare in noviziato a Firenze. Portava con se le lettere del suo rettore e del suo vescovo, Mons. Vincenzo Lojali, che davano le migliori informazioni su di lui. Suo maestro fu P. Giovanni Audisio. Visse il noviziato con lo stesso impegno che aveva avuto per raggiungere quella meta. Ed ecco la risposta del padre maestro: “Elemento ottimo sotto tutti gli aspetti. È entrato molto preparato al noviziato e deciso ad impegnare questo tempo al progresso della vita spirituale, convinto della necessità della santità personale per la conversione delle anime nella vita apostolica. Criterio ottimo e ingegno superiore alla media. Come carattere è molto sensibile, gentile, delicato con i compagni, ubbidiente e aperto con i superiori. Ha sofferto tanto nel lasciare il papà da solo, ma lo spirito di fede e di generosità verso Dio gli fa superare questi ostacoli”.
Passarono alcuni mesi e il padre maestro registrò: “È senza dubbio il migliore tra i novizi del primo anno. Amante della pietà, desidera progredire nella virtù. È pieno di zelo che ha avuto modo di esercitare facendo il catechismo domenicale ai bambini di una parrocchia di città. Sarà un ottimo elemento per le sue doti di spirito e anche intellettuali. Spicca la sua devozione alla Madonna. Non devozione di sentimento, ma di opere. Eroico nella lotta contro i parenti che si oppongono alla sua vocazione. Un po’ ostinato nelle sue convinzioni ma, per virtù, si adegua a quelle degli altri. Sono decisamente favorevole alla sua ammissione ai voti”.
Durante il secondo anno di noviziato ha frequentato la seconda teologia nel seminario diocesano di Fiesole. Il 9 settembre 1953 ha fatto la sua professione religiosa “intendendo, con l’aiuto del Signore e la protezione della Madonna, di consacrare la mia vita alla maggior gloria di Dio, mediante la conversione dei popoli infedeli, come membro della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore di Gesù”. Chi ricevette i voti fu Mons. Agostino Baroni che aveva fatto gli esercizi con i novizi per prepararsi alla consacrazione episcopale.
Scrive P. Giovanni Battista Bressani: “Ho conosciuto P. Canonici a Firenze nel 1953. Abbiamo vissuto insieme un anno di noviziato. Più tardi abbiamo passato sei anni nella stessa casa di Spagna, ambedue come formatori. Ci siamo ritrovati in Messico per altri sei anni, anche se in comunità distinte. E poi finalmente, tre anni fa, ci siamo ritrovati in Italia: lui a Brescia, io ad Arco. Siamo stati amici per tutta la vita e non abbiamo mai tralasciato di scriverci o parlarci al telefono anche se lontani.
Di P. Enzo devo dire anzitutto una cosa essenziale che ha caratterizzato tutta la sua vita: era un uomo di Dio, cioè di una spiritualità profonda, di un amore a Dio che partiva dal fondo del suo cuore e permeava tutta la sua vita e attività.
Aveva un carattere fortemente emotivo e affettivo. Spesso, parlando di Gesù crocifisso, lo si vedeva emozionato. Una mattina di Natale l’ho visto davanti alla culla di Gesù Bambino in lacrime. Non parliamo poi del suo amore e devozione filiale alla Madonna. La Madonna era per lui una vera e tenerissima mamma”.
Dopo il noviziato Enzo passò a Venegono Superiore per il terzo e quarto anno teologico. I giudizi sulla sua persona e sulla sua spiritualità negli ultimi anni di formazione ricalcano quelli del padre maestro. Fu ordinato sacerdote a Milano dall’arcivescovo Mons. Giovanni Battista Montini il 26 giugno 1955.
Addetto alla formazione
Subito dopo l’ordinazione viene inviato a Brescia come insegnante di latino, tra il 1955 e 1958. Dal 1958 al 1965 è a Sulmona come padre spirituale dei seminaristi. Dal 1965 al 1970 i superiori lo mandano in Spagna, a Moncada, come direttore spirituale, confessore dei novizi e poi vice padre maestro insieme a P. Giovanni Battista Bressani, padre maestro.
Dal 1970 al 1988 è in Messico: parroco a Ciudad Insurgentes (1970-1973); superiore locale del seminario minore di Guadalajara (1973-1976); corso di rinnovamento a Roma (1976-1977); redattore della rivista Esquila Missional e addetto all’animazione missionaria a Città del Messico (1977-1979); addetto al ministero alla Virgencitas (1979-1981): segretario provinciale in Messico (1981-1982); in convalescenza a Città del Messico (1982-1983) come conseguenza del primo infarto, ancora segretario provinciale (1983-1985); superiore locale nel seminario di San Francesco del Rincón (1986-1988); anno sabbatico a Roma (1989); superiore della Curia a Roma (1989-1994); a Roma in cura (1994-1995); addetto all’animazione missionaria a Pesaro (1996); animazione missionaria a Brescia (1996-2003).
Guardando queste scarne date, ci rendiamo conto di come P. Enzo abbia passato buona parte della sua vita nella formazione dei futuri missionari. Alla domanda: “Come ti sei trovato in queste occupazioni?”, rispondeva: “Bene con i piccoli, meno bene con i grandi, specie a Moncada, perché non mi sentivo preparato a quell’ufficio e mi mancava l’esperienza di missione”. “Per quale tipo di lavoro ti credi meglio adatto?”. “Ora per l’apostolato missionario; dopo un’esperienza di missione, anche nel campo della formazione, soprattutto come padre spirituale”. “Ti piacciono altri tipi di lavoro?”. “Ho molta affezione alla liturgia, al canto, alla predicazione, soprattutto esercizi spirituali e ritiri. Mi sembra di scoprire in me energie nuove e iniziative anche in altri campi. Ordinariamente: quando mi affidano un lavoro, mi vengono anche iniziative insospettabili. Mi piace anche scrivere. Ho editato due libretti e vari articoli”. Vorrei dire una parola su queste “iniziative insospettabili” di cui parla. Quando era in Messico, sia a Villa Insugentes, sia alla Virgencita seppe capire così bene la psicologia del popolo che, dopo poco tempo, riuscì a riempire la chiesa più e più volte ogni domenica e anche nei giorni feriali. La gente amava le processioni con le immagini dei santi? Ed egli organizzava processioni che poi sapeva trasformare in ottime catechesi. La gente amava i simboli? Egli si adeguava e cercava di vitalizzarli con la spiegazione della parola di Dio.
Direttore spirituale
“Forse per la sua forte obbedienza e spirito ecclesiale – scrive P. Bressani - i superiori gli hanno spesso affidato l’ufficio di padre spirituale nella nostre case di formazione, sia in Italia, come in Spagna e in Messico. E questo incarico gli piaceva e lo svolgeva bene. Anzi alle volte era lui che cercava l’opportunità di predicare ritiri ed esercizi spirituali a sacerdoti, religiosi, religiose, che poi lo cercavano come loro confessore e direttore spirituale.
Non per questo sottovalutava l’apostolato tra la gente, anzi lo fece sempre volentieri, soprattutto quando gli fu assegnato questo tipo di lavoro nelle nostre missioni. Spontaneamente, poi, seguiva gruppi apostolici come Cursillos di cristianità, Legione di Maria, Laici Comboniani, ecc.
Per non dilungarmi sorvolo molti altri aspetti caratteristici di P. Enzo come, per esempio, il suo amore alla liturgia e al canto sacro. A questo proposito voglio ricordare che in Messico compose un libro di canti liturgici che ebbe un’enorme diffusione a livello nazionale. Non saprei quante decine di edizioni furono fatte e quante centinaia di migliaia di esemplari furono distribuiti!
Dal punto di vista umano era un tipo che sapeva apprezzare e gustare le cose belle e buone del creato: dalla bellezza della natura alle passeggiate, dalle conversazioni piacevoli ad un buon pranzo. Anche in questo era molto simile a Comboni e a San Francesco che chiamava fratello e sorella le cose belle che il Signore ci ha donato.
Un po’ scherzando, un po’ sul serio, un sacerdote spagnolo che lo conosceva disse di lui: ‘P. Canonici è un uomo felice di vivere’”.
La malattia
Ma veniamo ad un elemento che lo ha segnato profondamente negli ultimi decenni della sua vita e che ha rivelato a noi tutti il suo grande spirito di fede, l’autenticità del suo amore a Dio ed il suo vero spirito religioso e missionario. Questo elemento si è concretizzato nella malattia e nel dolore.
Il 20 febbraio 1981, mentre si trovava in Messico, ebbe un infarto al miocardio che, oltre ai dolori, ospedali, tempi lunghi di ricupero… lo obbligò a ridurre il ritmo della sua attività. Il 2 febbraio 1982 fu operato ad Houston, USA e gli vennero inseriti tre by-pass. Soffrì molto. In un primo tempo sembrava quasi smarrito. Lentamente si riprese e, pur riducendo la sua attività, continuò a lavorare con lo spirito sacerdotale e missionario di sempre.
Nella sua vita, obbligatoriamente più tranquilla, ha avuto modo di meditare sul dolore e, per aiutare altri ad accettarlo e valorizzarlo come strumento di purificazione e di redenzione (come era riuscito a fare lui), scrisse e pubblicò in Messico nel 1983 il libro: “Amigo del enfermo” e poi in Italia, 10 anni dopo, il libro che molti di noi conoscono e apprezzano: “Il dolore che salva”. Lui stesso ha messo come spiegazione al titolo la frase di San Paolo: ‘Completo nella mia carne quello che manca alla passione di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa’”.
Superiore dei Superiori
Nel 1989 è rientrato in Italia e gli venne affidato l’incarico di superiore della comunità della Curia dei Comboniani di Roma. Ha accettato quel compito per obbedienza e lo ha portato avanti bene. La salute, però, era sempre più precaria. Alla fine di marzo del 1994 è stato ricoverato all’ospedale di Albano Laziale e il 30 agosto al Gemelli di Roma per un nuovo intervento chirurgico che doveva aver luogo tra il 3 e il 5 settembre, ma non si è potuto effettuare per il sopraggiungere di un nuovo infarto. La sorella ci assicura che P. Enzo ha avuto quella crisi causa un grosso dispiacere: proprio in ospedale si era imbattuto in un uomo che aveva cominciato a vomitare ingiurie contro il Papa, la Chiesa e i sacerdoti. P. Enzo non ha retto ed è stato colpito da infarto.
Tra settembre e ottobre 1994 è seguita una lunga degenza al Gemelli. Qui si è trovato vicino alla stanza dove era ricoverato Papa Giovanni Paolo II, e con lui ha celebrato la messa. Scrivendo ad un confratello sacerdote, constatando che la salute stava venendo meno un’altra volta, ha detto: “Prega per me: Il demonio sta tentando tanto di entrare nel mio cuore per la porta dello scoraggiamento, del fallimento, della preoccupazione, della paura del ‘che succederà? e poi? e poi? e poi?’.
Finora con l’aiuto della Madonna ho resistito e sono riuscito a tenerlo fuori. Aiutami anche tu a tenergli sempre la porta chiusa. Sento che il Signore e la Madonna mi sono vicini e mi vogliono bene…
Rileggendo la frase di Sant’Ignazio di Antiochia, che parlando delle sue catene e del martirio ormai prossimo diceva: ‘Adesso incomincio ad essere vero discepolo di Cristo’, anch’io mi sono detto: ‘Che fallimento e fallimento! È adesso che comincio ad essere vero missionario e vero Comboniano! Perbacco, ci credo o non ci credo?’. La meditazione che ho dato prima a te e dopo al Papa dice molto, credo, su questa logica che non è di questo mondo”.
Gli ultimi anni a Brescia
Nei disegni di Dio era scritto che P. Enzo dovesse terminare il suo ministero sacerdotale missionario là dove lo aveva iniziato. Nel 1996 ha cessato dal suo ufficio di superiore a Roma ed è andato a Brescia (dopo alcuni mesi a Pesaro) come incaricato del ministero e dell’assistenza spirituale ai religiosi e alle religiose della città. Faceva parte della segreteria della CISM. Con molta frequenza teneva esercizi spirituali, ritiri e conferenze, si prestava per celebrazioni liturgiche, messe e confessioni negli istituti religiosi.
Trovava anche il tempo di dare lezioni di italiano ai giovani confratelli che venivano da altre nazioni, oppure dava lezioni di greco o latino a qualche studente, e lavorava molto come traduttore di libri dallo spagnolo all’italiano, curava la corrispondenza con i benefattori della casa e si interessava del giardino e dei fiori. Era incaricato di aprire il cancello di casa alle cinque e mezzo del mattino e poi s’intratteneva in adorazione fino all’ora della Messa. Durante il giorno lo si vedeva spesso in cappella e, alla sera, quando tutti si ritiravano, egli era ancora in chiesa con il suo Amico. Dalla mole di lavoro che faceva, nessuno avrebbe detto che fosse malato. E quando i confratelli lo invitavano a moderarsi un po’, rispondeva: “Se devo morire è meglio che muoia sulla breccia”.
Amico e consigliere
P. Enzo, che era stato così criticato dalla sua famiglia per la sua scelta, ha finito per diventare il primo consigliere dei nipoti. Di tanto in tanto scriveva ai familiari bellissime lettere piene di buoni sentimenti e di suggerimenti religiosi per aiutare tutti a vivere nell’amore di Dio e nella sua grazia. Prima di ripartire per la missione mandava a tutti il suo saluto e il suo ringraziamento… “Riconoscenza e gratitudine ai miei cari fratelli e sorelle, cognati e cognate e anche nipoti che tanto volentieri mi hanno rivisto, hanno mostrato tanta gioia di avermi con loro nelle loro case, e mi hanno colmato di attenzioni. Grazie, miei cari familiari! Dio ve ne ripaghi come meritate”.
Scrive uno di essi: “Ci siamo conosciuti un po’ di anni fa. Sono andato al suo primo incontro con un po’ di trepidazione e di noia: un prete, un missionario… certamente avrei dovuto sorbirmi un pistolotto, sarei stato giudicato e catalogato. Il mio entusiasmo era proprio a terra.
Non è andata così… Tu mi hai abbracciato e guardato e poi abbiamo parlato e io… mi sentivo bene, al punto di aver voglia di approfondire la tua conoscenza. Non mi hai né giudicato, né catalogato; non mi hai fatto pesare la tua grande cultura con discorsi difficili. Hai parlato con semplicità, con umiltà e ti sei messo a disposizione facendomi venire una gran voglia di diventare un uomo migliore. Non so se sarò capace, ma so che ci voglio provare. Grazie di tutto questo, caro zio Enzo. Sergio”.
Prima di lasciare l’Italia salutava anche il vescovo della sua diocesi, i sacerdoti, gli amici, i benefattori e i conoscenti. In pochi anni P. Enzo ha visto sette lutti nella sua famiglia. Erano tutti colpi alla sua sensibilità, ma egli risolveva tutto nella fede. Anima francescana, vedeva la morte come una sorella che ci introduce nel Regno di Dio, e poi lo ha dimostrato quando è toccato a lui.
Era pronto all’incontro col Signore
A Brescia è stato ricoverato più volte all’ospedale, sempre per il cuore che gli lanciava segnali dolorosi. A metà febbraio è stato colpito da un forte raffreddore con bronchite. I confratelli lo hanno ricoverato all’ospedale sapendo quanto fosse delicato, ma è stato subito mandato a casa perché “era solo una bronchite”. Allora lo hanno accompagnato a Milano dove poteva essere maggiormente curato. Partendo disse a P. Lorenzo Gaiga: “Preparami il necrologio, perché questa volta vado”.
Quando pareva essersi rimesso e già pensava di tornare a Brescia (lo aveva comunicato al telefono proprio la domenica 9 marzo a un confratello) la sera, prima di cena, ha avuto un altro infarto. Questa volta gli è stato fatale. La comunità era in refettorio e vedendo che lui non arrivava (ed era sempre puntuale agli atti della comunità), l’infermiere è andato in stanza e lo ha trovato già morto.
P. Enzo si era preparato per tutta la vita all’incontro col Signore. Parlando della sua morte con la sorella – questo è capitato pochi giorni prima della morte – le ha proibito di piangere “perché – ha detto – non bisogna piangere per una cosa bella. La morte mi fa finalmente incontrare la mamma, il papà, il fratello P. Luciano e gli altri, senza dire della sorpresa di incontrare Comboni, tanti confratelli che ho conosciuti… ma ciò che sarà più bello sarà vedere il volto della Madonna, di Gesù… Siamo vissuti col desiderio di vedere queste realtà, ed ora ti sembra giusto rammaricarci o piangere perché si stanno realizzando?”.
Martedì la salma è stata portata a Brescia e deposta nella cappella della comunità per la veglia. P. Enzo così è rimasto in “adorazione” per tutta la notte. Mercoledì mattina c’è stato il funerale nella vicina chiesa del Buon Pastore, dove P. Enzo si recava spesso a celebrare e a confessare. Poi la salma ha proseguito per Verona. P. Enzo è stato sepolto nella cappella dei Comboniani della città scaligera. In comunità ha lasciato un vuoto terribile anche perché poco prima era morto improvvisamente P. Bruno Novelli e non era ancora trascorso l’anno dalla morte di P. Antonio Giudici.
Un uomo giusto
Durante l’omelia della messa funebre, il vice provinciale d’Italia, P. Teresino Serra, ha detto:
“Uomo integro, giusto, autentico, a Brescia lo chiamavano ‘il padre maestro’, ed era un termine appropriato perché era veramente un maestro di vita spirituale e missionaria, maestro di bontà, di semplicità, di fede e di misericordia, e maestro di obbedienza.
Dove è stato si è sempre comportato bene e ha lasciato in tutti un ottimo ricordo, soprattutto per la sua autenticità. Formava con la sua vita e il suo esempio. La coerenza della sua vita con gli impegni presi davanti a Dio gli ha dato sempre autorità nelle comunità nelle quali è stato.
In Messico, quando gli è stato chiesto di fare il formatore ha detto: ‘Ho 35 anni più dei ragazzi; come faccio a capirli?’ Tuttavia, dopo un’ora di preghiera, si è recato dal superiore e ha detto: ‘Se mi ritenete idoneo, io accetto’. È stata un buona scelta perché è riuscito a mettere a posto tante cose.
P. Enzo è stato anche pastore: missionario nella Bassa California e poi in una parrocchia satellite della Città del Messico, che oggi conta 2 milioni di abitanti, e in una parrocchia di poveri, la Virgencita. Come pastore aveva tre direttive: formare il leader, curare il catecumenato e animare i gruppi biblici. Credeva nella Parola di Dio e sapeva che era in grado di cambiare le persone rendendole migliori. Predicava bene, anche se era un po’ lungo. Si preparava scrupolosamente, tutto scritto, ma poi non leggeva, traeva dal cuore.
Poi c’è P. Enzo missionario con i suoi quattro amori: amore alla missione, all’Istituto, a Comboni (era un lettore avido di Comboni e di Comboni scrisse parecchio soprattutto su Esquila Missional, la rivista dei Comboniani in Messico), amava i confratelli e si sacrificava volentieri per venire in loro aiuto.
Aveva una grande nostalgia della missione e chiese, fino a tre mesi prima di morire, di tornare, almeno per morire”.
L’apostolato della malattia
L’apostolato della malattia è stato per P. Enzo l’impegno di questi ultimi dieci anni. Ogni giorno era a rischio. Ogni giorno Dio poteva bussare alla sua porta. Ha saputo trasformare la malattia in apostolato. Ha scritto il libro Dolore che salva e la recensione è apparsa sull’Osservatore Romano e su Avvenire.
“Amo la vita, sono felice anche nella malattia e nella sofferenza, e nel dolore incontro sempre di più colui che mi dà gioia, che mi dà forza”. Poi cita il Papa che chiede ad ogni ammalato di trasformare la propria malattia in apostolato, in evangelizzazione.
Vent’anni di malattia sono stati un inno alla bontà di Dio. “Io credo che quando uno è giunto a questo grado di accettazione serena ed apostolica del dolore vissuto nella propria carne – scrive P. Bressani - è una persona matura per il cielo. E così il Signore se l’è preso in un momento per noi impensato e improvviso; ma comunque all’inizio di questo anno comboniano. Parecchie altre cose si potrebbero dire di P. Enzo, ma ciò che si è detto credo basti per avere di lui l’immagine di un ottimo missionario e di uno stupendo figlio di Comboni che ora può vedere Dio faccia a faccia”.
I fiori di P. Enzo
Abbiamo detto che P. Enzo amava molto i fiori, e aveva un anima francescana. Era lui che si preoccupava di raccogliere le briciole dalle tavole per darle agli uccellini che si posavano sul davanzale della finestra.
P. Enzo era della terra di San Francesco, e lo sottolineava spesso. “I fiori sono i baci quotidiani di Dio”, soleva dire. E lui li coltivava con amore. Ma ci sono altri fiori che P. Enzo ha coltivato.
Il primo fiore era quello dell’ottimismo e della speranza. P. Enzo non è mai stato triste, non si è mai fermato in 20 anni di malattia. È sempre andato avanti con ottimismo, sempre disponibile, sempre obbediente.
Il secondo fiore è quello della bontà e della generosità. È stato uomo di un’immensa tenerezza soprattutto con chi soffriva. Lui, malato, condivideva le preoccupazioni e le sofferenze degli altri. Ad un confratello sottoposto a dialisi disse più volte: “Se muoio prima di te, ti dono i miei reni che sono buoni”. E lo ha lasciato scritto. Anzi, ogni anno inviava una lettera ai superiori ricordando il suo desiderio di donare gli organi. Per le circostanze della sua morte ciò non è stato possibile.
Verso i confratelli e i collaboratori aveva uno speciale spirito di accoglienza. Per la festa di San Pietro del 1994, trovandosi lontano dalla sua sede, scisse a un suo confratello di nome Pietro: “Carissimo Pietro, l’affetto fraterno che ci lega non conosce distanze, e la preghiera vicendevole ne conosce ancora meno. Eccomi a te per farti i migliori auguri di buon onomastico. Che il caro santo di cui porti il nome ti faccia sempre più un innamorato di Gesù ed un entusiasta suo messaggero come lo fu lui. Dal silenzio e dalla pace di questa stupenda villa dove mi sono raccolto in preghiera, ti sono vicino”.
Il terzo fiore è quello dell’umiltà. In una delle sue lettere fa sua una “beatitudine aggiunta” che dice: “Beati gli inutili perché sono necessari”. Questa umiltà lo ha reso disponibile ai progetti di Dio nella sua vita. Sempre desideroso di tornare in missione, ha saputo fermarsi in Italia per eseguire ciò che i superiori gli chiedevano. E sempre gioiosamente, dicendo che va bene così, convinto che anche nella malattia, anzi proprio attraverso la malattia, avrebbe potuto fare del bene.
Il quarto fiore è l’attenzione alle persone. Seppe soffrire con chi soffre e gioire con chi gioiva. Soffriva quando vedeva qualche confratello mediocre, con una spiritualità insufficiente, e che pregava poco. Si sentiva crocifisso quando veniva a sapere che qualche religioso o sacerdote abbandonava la vocazione. Soffriva quando sentiva che si parlava male della Chiesa o del Papa. Ne soffriva anche fisicamente. Ci teneva a dire che era stato ordinato da Papa Montini, quando era arcivescovo di Milano, e raccontava volentieri la messa celebrata con Papa Giovanni Paolo II quando era ricoverato al Gemelli. “Io ho fatto da celebrante principale e il Papa ha concelebrato con me e ha voluto che gli facessi anche la predica. Gliel’ho fatta e mi ha ascoltato”. Lo diceva con semplicità mentre gli brillavano gli occhi dalla commozione.
L’amore alla Chiesa e al Papa si è trasformato in totale e incondizionata obbedienza alla Gerarchia ed ai superiori religiosi. Procurava per la comunità tutti i documenti della Chiesa, li leggeva, li meditava e invitava i confratelli a fare altrettanto. In questo aspetto si era identificato perfettamente con Daniele Comboni il quale aveva fatto dell’obbedienza al Papa un punto fondamentale della sua vita missionaria. Ma l’obbedienza di P. Enzo non era passiva, era creativa.
Carattere attivo, cercava di entrare nello spirito della Chiesa e poi lo attuava con tutta la creatività di cui era capace. Solo per fare un esempio: è stato lui che, dopo il Concilio, ha insistito per la concelebrazione quotidiana nelle comunità con vari sacerdoti e per la comunione quotidiana sotto le due specie, quando la cosa sembrava ancora insolita. È stato lui a suggerire a P. Aldo Gilli di aiutarlo a preparare la Via Crucis comboniana.
Il quinto fiore è la preghiera. Questa è stata la forza di P. Enzo. Quando era in chiesa non si stancava mai, proprio come quando era bambino. Con la preghiera ha forgiato i confratelli e i suoi seminaristi nei vari seminari dove è stato formatore. Anche ultimamente, quando era malato, al mattino presto era in cappella ed era l’ultimo ad uscirne. In chiesa ci stava volentieri.
Il sesto fiore è stata la devozione alla Madonna. Il fatto di aver perso la sua mamma in tenera età, lo aveva spinto ad adottare Maria Santissima come la sua vera mamma. Volle aggiungere al suo nome di battesimo quello di Maria, Enzo-Maria. Non mancavano mai immagini della Madonna nella sua stanza, nei suoi libri di devozione, di studio o di lettura. E sapeva scegliere immagini belle, a volte artistiche. Aveva buon gusto.
L’anello di P. Enzo
P. Enzo portava al dito un anello, una fede, non preziosa ma significativa. Egli stesso ne ha dato la spiegazione scrivendo a un confratello. “Per me la festa dell’Immacolata non è solo una delle feste più belle della Madonna, ma è anche la ricorrenza della mia totale consacrazione a lei, secondo la dottrina di San Luigi Grignon di Montfort. Dopo due anni di preparazione leggendo il Trattato della vera devozione, Il segreto di Maria e vari altri libri, feci la mia consacrazione a lei. Era l’8 dicembre 1949 nel seminario di Assisi. Ero in terza liceo. Fu per la mia vita spirituale una pietra miliare. La rinnovo ad ogni festa grande della Madonna e più volte al giorno con la formula breve: ‘Tuus totus ego sum et omnia mea tua sunt: depositum custodi. Praebe mihi cor Iesu fili tui’. Puoi immaginare quanta gioia provai quando vidi nello stemma del Papa Giovanni Paolo II quelle stesse parole. Subito pensai (e lui lo ha confermato più volte): ‘Giovanni Paolo II deve aver fatto la consacrazione alla Madonna secondo il Montfort. L’anello-rosario che io porto al dito da quando nel 1989 si compivano 40 anni di consacrazione, vuole essere un ricordo e un richiamo continuo a questa mia totale appartenenza a lei”.
Nell’adornare gli altari, i quadri, le statue della Madonna a qualcuno sembrava addirittura esagerato. Voleva sempre gli ornamenti più belli, i fiori abbondanti e freschi. Nel suo entusiasmo per la Madonna rischiava perfino di parere un po’ ingenuo. Invece no: egli lo faceva con tutto l’entusiasmo e l’amore di un bambino verso la sua mamma. E chi non ricorda P. Enzo con la corona in mano a recitare ogni giorno tanti rosari: in chiesa o passeggiando e, quando poteva, invitando altri a pregare con lui?
Venerava la Madonna, parlava di lei, studiava i documenti della Chiesa che ad essa si riferivano, approfondiva la sua devozione alla luce della Parola di Dio. Insomma, la sua non era una devozione pietistica, ma saldamente fondata sulla teologia. Era uno specialista specialmente nella devozione alla Madonna di Guadalupe.
Voci amiche
Alla fine della Messa funebre hanno parlato un rappresentante dei Laici Comboniani ricordando ciò che P. Enzo ha fatto per animare il loro gruppo, di cui per anni era stato coordinatore, consigliere ed amico.
Mons. Orsatti, vicario episcopale della Vita religiosa per la diocesi di Brescia, ha detto: “È doveroso un ringraziamento di tutta la diocesi e del vescovo Giulio perché a Brescia P. Enzo ha concluso l’ultimo segmento della sua vita apostolica e missionaria. Non solo era membro della Vita consacrata, ma era anche consigliere nella segreteria diocesana con la sua parola illuminata e la sua discrezione. Dio lo abbia in gloria, noi in grata memoria”.
Le parole di ringraziamento di P. Alberto Pelucchi, superiore della comunità comboniana di Brescia, hanno concluso la cerimonia che, pur nella sua mestizia, ha avuto un tono pasquale.
Ora P. Enzo riposa nella tomba dei Comboniani nel cimitero di Verona ma i suoi buoni esempi rimarranno a lungo nel cuore tu tutti coloro che l’hanno conosciuto, stimato ed amato. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)
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The confreres of his community in Brescia affectionately called him “master.” And a master he was. Fr. Enzo Canonici was a master because he left us many instructions and examples of the Comboni Missionaries’ life. He was a teacher of spirituality and missionary spirit, of goodness and understanding, of humility and prayer. He was a master of obedience, humble obedience, but intelligent and creative at the same time. It was exactly this spirit of obedience that prompted his superiors to ask of him a variety of services. Fr. Enzo accepted all of these appointments and discharged them with determination.
He was spiritual director and formator in Italy, Spain and Mexico. He formed people by example and his authenticity gave him authority.
He was a shepherd. The years he remembered with great joy and nostalgia were those he spent in pastoral work in Baja California and in Netzahualcoyotl, in the heart of Mexico. As a good shepherd he loved the people and his love was returned. In his pastoral approach he gave priority to the formation of leaders, to a serious and deep catechumenate experience, and to groups of Bible meditation and study. “The word – he wrote – is life; the word changes hearts and minds; the word draws to Christ even the most hardened lives. The word changes water into good wine.”
Perhaps his most significant witness for us was his way of being a Comboni Missionary. He was proud of being a Comboni Missionary and as such he had four loves: Comboni, the mission, the Institute and his confreres.
He loved the mission, not only as a geographical place, but above all as “a privilege that he had received from Christ, the evangeliser of the Father.” He loved the missions with the availability of the Virgin Mary in serving God in all things and always. In his notes we often read his favourite sentence: “totus tuus sum et omnia mea tua sunt.”
Even during his service as superior of the Curia in Rome (1989-1995), a service which he always considered a heavy cross, his real dream was to return to the missions. Eventually in 1998 Fr. Enzo received the joyous obedience that all Comboni Missionaries await: to return to the missions. A heart failure dosed his dream, but not his hope. In 1999 he was definitely assigned to the Italian province. He wrote: “I bow to obedience. Fiat, fiat!” A few months before his death he again asked to go to the missions. His desire always was to die on the battlefield like a good soldier. But God had different plans. His heart began again to play tricks and Fr. Enzo accepted everything as a sign of God’s will. He concentrated all his energies on carrying on his missionary program in Italy by transforming his illness into a form of apostolate.
As an instrument, beside the Bible, he used the book he had written for the sick: “The suffering that saves.” The book was well received by the sick and the elderly and has already reached the fifth printing. Fr. Enzo stuck to this apostolate till the end. Death did not surprise him, because he had been waiting for it for a long time: “Each day – he used to say – could be the beautiful day of the meeting with the Father.” The meeting took place in Milan on 9 March. Fr. Enzo was 72 and had been a priest for 48 years, as he was born on 30 June 1931 and had been ordained priest on 26 June 1955.
Fr. Enzo loved flowers. But we have seen the best flowers in the garden of his lifelong witness. Without doubt, the most abundant were the flowers of simplicity and humility. He was humble, in a Marian way that had helped him to transform himself into availability and service to God and his brothers. He added a beatitude to those proclaimed by Jesus: “Blessed are the useless, because they are needed. God works wonders through the humility of his servants.” This is the beatitude that is often quoted in his letters.
And next to humility we find the flower of prayer. By his prayer, faithful constant and extensive, he became a reminder to the confreres of the importance of taking nourishment from that daily bread that Comboni had offered to his missionaries.
Dear Fr. Enzo, we thank you for the goodness you have sowed in our hearts. God is happy with you. And so are we.”
Da Mccj Bulletin n. 220 suppl. In Memoriam, ottobre 2003, pp. 111-127