In Pace Christi

Fortuna Giovanni sr.

Fortuna Giovanni sr.
Data di nascita : 22/02/1909
Luogo di nascita : Castelgomberto
Voti temporanei : 07/10/1930
Voti perpetui : 07/10/1933
Data ordinazione : 26/05/1934
Data decesso : 27/07/2003
Luogo decesso : Verona

P. Giovanni Fortuna fa parte di quella eletta schiera di seminaristi che hanno lasciato il seminario diocesano di Vicenza, affascinati dalla vocazione missionaria, facendo provare “ire funeste” al loro vescovo che si vedeva spopolare il seminario degli elementi migliori. Ma poi il buon vescovo si lasciò convertire all’idea missionaria e… il diario della casa di Venegono, alla data del 20 giugno 1928, dice: “Un telegramma annuncia la visita di Mons. F. Rodolfi, vescovo di Vicenza, che viene a trovare le sue “pecorelle smarrite” che però non può e non vuole riportare all’ovile. Il vescovo celebra la Messa della comunità e fa un discorsetto ai novizi. Riparte il giorno 21 accompagnato da P. Alceste Corbelli portando con sé un’ottima impressione dell’Istituto”.
A questa data, però, Giovanni Fortuna non era ancora a Venegono perché la lettera con la quale chiede di entrare tra i Comboniani è di tre mesi e mezzo dopo. Probabilmente il vescovo di Vicenza aveva voluto rendersi conto di persona dove andavano a finire i suoi seminaristi che, alla spicciolata, chiedevano di farsi missionari come toccati da un contagio… benefico.
La lettera di Fortuna è del 7 ottobre 1928 e dice: “Io Fortuna Giovanni di Giuseppe e di Tovo Maria, nato a Castelgomberto il 22 febbraio 1909, studente di terza liceo nel Seminario di Vicenza, dopo molte riflessioni e preghiere, dietro indicazione e col consenso del mio padre spirituale, domando di essere accettato nell’Istituto dei Figli del Sacro Cuore per le Missioni dell’Africa. Sarei grato a vostra Paternità se mi indicasse il giorno preciso della partenza e il luogo dove recarmi, se a Verona o a Venegono ove già sono parecchi miei compagni”.
In calce alla lettera Don Angelo Celadon aggiunse: “Ecco che le presento un altro fiore del seminario da trapiantarsi nell’Istituto dei Figli del Sacro Cuore per le Missioni Africane. Sono convinto che è il Cuore adorabile di Gesù che lo sceglie. Lo accolga, Padre, con piena fiducia. Io spero assai bene di lui…”.

Una crisi per maturare
Giovanni apparteneva ad una famiglia numerosa e cristiana. Papà Giuseppe gestiva una trattoria, portata avanti dalla mamma, ed era anche mediatore di animali. Inoltre, la famiglia possedeva buoni appezzamenti di terra.
Quando il piccolo Giovanni chiese di entrare in seminario, la cosa non suscitò nessuna meraviglia. Ci sarebbe stato da meravigliarsi del contrario, cioè che da una famiglia come la sua nessuno abbracciasse lo stato sacerdotale. Nel Veneto, un tempo, era così.
In seminario Giovanni si era sempre comportato bene. Ad un certo punto aveva avuto una crisi vocazionale: non era sicuro che il Signore lo volesse sacerdote. La crisi lo aiutò a valutare meglio la sua vocazione e a riscoprirne le motivazioni profonde. Il rettore, Mons. Scaleo, scrisse in data 12 ottobre 1928: “Sono ben lieto di poterle dare di Fortuna Giovanni le migliori informazioni. Nei vari anni della sua educazione in seminario ci apparve sempre giovane buono, disciplinato e diligentissimo, di buon ingegno e riuscì sempre tra i primi. Riguardo alla sua vocazione sacerdotale avevamo qualche dubbio in passato e per questo gli abbiamo fatto fare gli esami di maturità classica. Ora riteniamo ben ponderata la sua vocazione e degnissima di ogni appoggio”. La pagella che Giovanni portò con sé in noviziato aveva qualche “8”, il resto erano tutti “9” e “10”. Tra i documenti non manca il consenso dei genitori: “Noi intendiamo dare al figlio Giovanni il permesso di entrare tra i Figli del Sacro Cuore per le missioni dell’Africa centrale”.

Lo spirito del Cuore di Gesù sia il mio spirito
Il 13 novembre 1928, festa di S. Stanislao Kostka, fece la vestizione insieme ad altri nove compagni e il 7 ottobre 1930 emise i voti temporanei. Suo padre maestro è stato P. Giocondo Bombieri che era al suo primo anno di esperienza come padre maestro e veniva a prendere il posto di P. Fausto Bertenghi che era in ospedale.
“Nel tempo del mio noviziato mi pare di aver capito di quale spirito sia animata la Congregazione. Del medesimo spirito desidero vivere anch’io, soprattutto dello spirito di carità e di obbedienza che tanto ho osservato brillare nei membri della Congregazione. Offro a Dio tutto me stesso per la conversione degli infedeli… Ho piena fiducia che il Cuore di Gesù mi riempia il cuore dei suoi sentimenti, così potrò andare sicuro nel cuore dell’Africa a portare il suo Vangelo… Nonostante tante mie miserie io desidero davvero continuare, sicuro che la grazia di Dio non mi abbandonerà mai e mi aiuterà ad essere fedele ai miei impegni…” sono alcuni pensieri tolti dalle lettere con le quali chiedeva di rinnovare i voti.
Dopo la professione passò a Verona per la prima teologia, ma intanto era stato costruito il seminario diocesano di Venegono Inferiore (la prima pietra era stata messa il 6 gennaio 1928 e per quell’occasione era presente il Superiore Generale e tutti i novizi. Nel discorso ufficiale il Card. Tosi ebbe parole di elogio per l’Istituto Comboniano). Ebbene, ad un certo punto il seminario di Venegono si aprì ad accogliere anche quegli studenti Comboniani che erano stati indicati dai superiori per conseguire i gradi accademici. Giovanni, che si era rivelato un’intelligenza superiore alla media, fu dirottato da Verona a Venegono Inferiore proprio per frequentare la seconda, la terza e la quarta teologia.
Il Card. Ildefonso Schuster, che aveva fatto il suo ingresso a Milano l’8 settembre 1929 (il Card. Tosi era morto in gennaio), gli firmò il grado di “Baccalaureum in teologia” e il 26 maggio 1934 lo ordinò sacerdote nel duomo di Milano.

In Sudan meridionale
Nel 1935 P. Fortuna era già nel Sudan meridionale, precisamente nella missione di Mupoi (Bahr el Ghazal), con l’incarico di insegnante nella “scuola superiore”. La missione era in pieno sviluppo. L’anno prima c’era stata la visita del nuovo vicario apostolico, Mons. Orler, che aveva insistito particolarmente sulla scuola.
P. Fortuna, appena messo piede in missione poté assistere ad una cerimonia commovente e significativa nello stesso tempo: il battesimo di 70 neofiti e la benedizione di 32 stendardi, preparati per i catechisti principali. Questi stendardi consistevano essenzialmente in un’asta portante un quadro-stendardo, con sopra una tabella con il nome del santo protettore del villaggio al quale era destinato e il nome della cappella.
I lavori erano molti e i progetti ancora di più: già si parlava di ingrandire la casa dei sacerdoti e per questo si impastavano e cuocevano migliaia e migliaia di mattoni. Fr. Guido Giudici, Fr.Carlo Simoni e Fr. Virginio Taglioretti avevano il loro bel d’affare. A questo lavoro materiale si affiancava quello spirituale per cui, a scadenze fisse, nutriti gruppi di catecumeni si accostavano al battesimo. Nella missione centrale e nelle cappelle di periferia c’era un grande movimento e anche un grande fervore se si pensa che venivano predicati gli esercizi spirituali anche al popolo che interveniva abbastanza numeroso. Nel giorno della prima Pasqua passata in missione, P. Fortuna distribuì 1200 comunioni. “In un semestre – registra il diario – sono stati dati 530 battesimi e l’Azione Cattolica è già avviata e fa un gran bene”. Insomma, la vita cristiana si diffondeva e si consolidava.
Poco lontano da Mupoi c’era una località che si chiamava Tivo, un posto incantevole, ricco di verde, di acqua e di selvaggina. P. Fortuna, con i suoi giovanotti della scuola vi andava per trascorrere splendidi giorni di vacanza. P. Fortuna era un uomo sempre contento, ricco di sano umorismo, pieno di iniziative per cui i giovani, con lui, si trovavano a loro agio. Gli impegni della scuola erano intercalati dal ministero sacerdotale-missionario. Il diario del 29 dicembre 1936 dice: “Il padre superiore e P. Fortuna vanno a Yambio, per dare la possibilità a tutti quei cristiani di celebrare il Santo Natale. Nel villaggio di Ndorma danno il battesimo a 16 ragazzi. Sono di ritorno dopo nove giorni, contenti come pasque per i buoni frutti raccolti”.
Mupoi era anche meta di vacanze per i seminaristi di Wau. P. Fortuna si prestava per assisterli e far loro compagnia. Dal suo repertorio sapeva trarre sempre nuove cose per rendere sereni i loro giorni. Amante della musica e del bel canto, sapeva organizzare cori che attiravano molte persone, anche i pagani.
Il complesso della scuola s’ingrandiva: “La normale avrà quest’anno 52 allievi, le elementari 124 interni più 75 esterni, le ragazze con le catecumene sono 124”. Responsabile della scuola era proprio lui, P. Fortuna che aveva molto da fare per organizzare i programmi, preparare le lezioni, pagare i maestri e fare in modo che tutto funzionasse bene. Quando, il 5 maggio 1936, Mr. Hartley, ufficiale governativo, andò da Wau a Mupoi per visitare la scuola restò bene impressionato, non solo dell’ordine e della pulizia, ma anche del profitto degli scolari”.

Prigioniero in Inghilterra
Dopo cinque anni di attività, P. Fortuna venne inviato dai superiori in Inghilterra per approfondire la lingua inglese e prendere il diploma del Colonial Course. Insomma, non si poteva insegnare e tanto meno dirigere una scuola nei territori inglesi senza aver conseguito un titolo di studio in Inghilterra. Così, nel 1940, andò in Inghilterra dove studiò e conseguì il diploma ma, quando stava per ripartire, scoppiò la guerra e fu trattenuto nel Regno Unito, in particolare nell’isola di Mann, dove rimase fino al 1944 come prigioniero insieme a tanti altri giovani di molte nazionalità e religioni diverse (l’Italia era in guerra con l’Inghilterra). Fu arrestato alle quattro del mattino in modo piuttosto rude e fu sempre trattato in maniera arrogante dai custodi del campo.
La prigionia, però, non fu inutile: P. Fortuna, insieme ad altri confratelli che condividevano la stessa sorte, divenne cappellano dei prigionieri italiani, organizzò incontri, corali e corsi di studio in modo da rompere la monotonia di quel riposo forzato, diventando per molti soldati padre, fratello ed amico. Inoltre, ebbe la possibilità di perfezionare la lingua inglese e di allargare il cerchio delle conoscenze. Con alcune di queste persone conosciute allora, mantenne una corrispondenza epistolare fino agli ultimi giorni della loro vita (non posso dire della sua vita, perché morirono tutti prima di lui).
Dal 1944 al 1956 troviamo P. Fortuna ancora a Mupoi sempre come professore. Se dovessimo riassumere i ruoli da lui ricoperti nella sua vita di missione in Sudan meridionale, potremmo fare questo schema: direttore della Scuola Normale di Mupoi (1935-1939); supervisore dell’educazione nelle scuole di Mupoi (1945-1955); contemporaneamente era: parroco di Mupoi e Meridi (1949-1955). Come si vede, i compiti e le responsabilità spesso si sommavano.
Cosa hanno detto i superiori di lui nel periodo sudanese? Cito il suo superiore provinciale, P. Domenico Seri: “I confratelli, specie quelli della sua casa, giudicano questo sacerdote pieno di carità e di buon senso. Il giudizio degli esterni e delle autorità nei suoi confronti è buono. Per carattere è un po’ asciutto e schivo da qualsiasi complimento. Si confida e si consiglia all’occorrenza, è un uomo equilibrato in tutte le cose, fedele alla vita comunitaria e alla preghiera, si adopra molto per aiutare chi è nel bisogno. Anche il suo zelo per la salute delle anime è notevole. Nei momenti liberi dalla scuola percorre i villaggi per esercitare il ministero sacerdotale sembrandogli questo un giusto compimento della sua vocazione. Conosce bene la lingua zande e l’inglese. La sua salute è buona salvo qualche febbretta causata dal troppo lavoro. È paterno con i confratelli, giusto con gli esterni, stimato da tutti”.

40 anni in Uganda
Nel 1956 P. Giovanni Fortuna tornò in Italia per le meritate vacanze e per mettere a punto la salute. I superiori lo mandarono a Gozzano come aiutante del padre maestro, P. Pietro Rossi. P. Fortuna univa allo spirito religioso anche l’esperienza di missione per cui fu di grande aiuto ai giovani che si preparavano alla vita missionaria. Dopo due anni, però, sentì impellente il richiamo della missione. I superiori lo esaudirono e gli aprirono le porte dell’Africa.
Non andò in Sudan, questa volta, perché in questa nazione, che era arrivata all’indipendenza dall’Inghilterra il primo gennaio 1956, già si percepivano fermenti di rivoluzione e di persecuzione contro la Chiesa, con forti restrizioni alla vita e al ministero dei missionari, la nazionalizzazione delle scuole, l’abolizione della domenica come giorno festivo e qualche espulsione di missionari, specialmente quelli più in vista e che avevano avuto influsso nella scuola.
In Uganda P. Fortuna fu responsabile della scuola tecnica di Laibi (1959); insegnante nel seminario di Lacor (1960-1966); cancelliere del vescovo (1963-1966). Alla domanda su come si era trovato nella scuola, ha risposto “Bene, specialmente durante l’insegnamento di matematica nel seminario di Lacor, mia materia preferita”.
Nel 1962 anche l’Uganda divenne indipendente dall’Inghilterra e, poco dopo, cominciarono le restrizioni alla Chiesa e alle missioni. Ci furono anche delle espulsioni, sia sotto il primo ministro Milton Obote, protestante, sia sotto il generale Idi Amin, musulmano, che scatenò il terrore nel territorio. Anche i Comboniani ebbero i loro martiri. E guerra e martirio continuano fino ai nostri giorni.

Finalmente prete prete
Nel 1969 P. Fortuna mise da parte i libri scolastici e i registri per iniziare una nuova attività, quella che aveva sognato quando aveva lasciato il seminario di Vicenza per farsi missionario, cioè fare il pastore d’anime. Lasciato il seminario di Lacor andò a Kalongo come addetto al ministero, trovandosi nella stessa comunità nella quale c’era P. Giuseppe Ambrosoli. Il rapporto tra i due fu cordiale e costruttivo. Nel 1971 fu nominato parroco di Namokora, una missione che egli stesso aveva iniziata, e vi rimase fino al 1986, ma intanto cominciarono a manifestarsi dei disturbi agli occhi, “una fastidiosa infezione” che minacciava di renderlo cieco anche all’unico occhio che gli restava. Il 7 marzo 1976 - si trovava in Italia per cure - scrisse al Superiore Generale in questi termini: “Le scrivo per manifestarle la mia disponibilità per un eventuale ritorno in Uganda. P. Ambrosoli mi ha scritto già due volte per invitarmi a tornare, qualora gli occhi fossero a posto. Namokora è chiusa come parrocchia; P. Antonio Dutto l’assiste da Kalongo. Praticamente è quasi sempre solo a Namokora. Altre parrocchie si trovano in grande necessità. Forse per qualche anno ancora potrò fare qualcosa. Il professore oculista, nell’ultimo controllo, mi ha trovato bene e dice che potrei tornare. So che, alla mia età non potrò fare quello che potrebbe fare un giovane. Ad ogni modo non recuso laborem. Se in Uganda perdurasse il clima di… alleggerimento del personale, non le avrei presentato questa mia petizione”. L’anziano e acciaccato sacerdote, insomma, era pronto a partire per amore degli africani che rischiavano di rimanere senza sacerdoti. E difatti partì.
Al suo rientro in Uganda andò a Kitgum, come vice parroco (1987-1989), quindi ancora a Namokora (1989-1991) e Kitgum (1991-1997) come addetto al ministero.

La testimonianza di P. Tarcisio Pazzaglia
P. Tarcisio Pazzaglia ha trascorso con P. Fortuna 10 anni di missione, una missione contrassegnata da guerriglie e sofferenze. Alla notizia della morte del confratello ha preso la penna in mano e ha scritto: “Sono stato con P. Fortuna dal 1982 al 1992 a Namokora. Ebbi così modo di conoscerlo sufficientemente come uomo leale, riflessivo, con una grande maturità umana nei suoi giudizi e nella valutazione dei vari eventi.
Era un uomo culturalmente vivo, un matematico amante della musica e compositore di canti liturgici molto interessanti. Aveva imparato alla perfezione, l’inglese, il francese, lo zande e anche l’acholi, la lingua del luogo. Non solo la lingua, ma anche gli usi, i costumi, la mentalità fin nelle pieghe più profonde della gente. Ciò lo aiutava indubbiamente a interpretare con la musica i loro sentimenti, il loro modo di rivolgersi a Dio.
Amava la storia dell’Istituto e della missione; era attento ai documenti della Chiesa sui quali si teneva sempre aggiornato, rivelando in questo il suo amore alla Chiesa, al Papa e a Comboni (si sentiva Comboniano fino all’osso). La sua mentalità logico-matematica lo rendeva particolarmente capace nell’ordinare e custodire i documenti dell’ufficio. A questa univa una capacità pratica nella manutenzione della casa e dei mezzi di trasporto.
Nelle nostre conversazioni parlava sovente del Sudan e delle sue prime esperienze missionarie. Là fu anche direttore diocesano dell’Educazione e si trovò sempre a suo agio sia con le autorità inglesi e arabe, sia con quelle diocesane.
Assegnato all’Uganda nel 1969, dopo anni di insegnamento, fu incaricato della pastorale dove rivelò doti particolari nei rapporti con la gente ed in modo speciale con gli ammalati che assisteva non solo spiritualmente, ma coinvolgendo anche l’ospedale di Kalongo (lontano 60 km) e il personale medico.
Il suo soggiorno a Namokora coincise con gli ultimi tre colpi di stato in Uganda. Specialmente il periodo della guerriglia tuttora in atto, cominciò proprio nella zona di Namokora il 15 agosto 1986. Ciò condizionò l’attività pastorale. Ci furono periodi che obbligarono i missionari a vivere a domicilio coatto, costretti ad uno stile di vita spartano. Qui sperimentò la sua seconda deportazione quando il governo di Museveni ordinò la chiusura della missione. Fu prelevato alle tre di notte insieme a me. L’unica sua preoccupazione in quel momento fu di salvare l’Eucaristia dal tabernacolo e mettere in salvo i registri parrocchiali.
La salute robusta e sana gli permise un’intensa attività missionaria e la possibilità di visitare continuamente le varie comunità di cristiani sparsi nei villaggi del territorio. Sostava una settimana nella cappella principale e da lì raggiungeva i vari villaggi. Era così preciso nei suoi spostamenti che ormai la gente sapeva quando sarebbe arrivato per la santa Messa e per l’amministrazione dei sacramenti, specie agli anziani e malati.
In comunità si mostrò sempre fedele alla preghiera in comune e alle pratiche comunitarie. Spesso commentava con me ciò che aveva letto e meditato. La gente lo apprezzava e lo ricorda tuttora come un padre che condivideva la loro vita, i loro problemi, le loro sofferenze”.

Le ultime battute
Ormai gli anni erano tanti e anche gli acciacchi si facevano sentire. Il “servo fedele” aveva compiuto la sua giornata, e nel 1997 rientrò definitivamente in Italia. Il superiore provinciale d’Uganda, P. Elia Pampaloni, si affrettò a scrivergli “Appena ti sarai rimesso in salute, se lo desideri, torna con noi, noi ti aspettiamo sempre con affetto e gratitudine. Intanto prendi la faccenda con calma e libertà”.
Dal 1997 alla morte fu a Thiene come confessore nella rettoria tenuta dai Comboniani. Ben presto i fedeli scoprirono questo missionario saggio e santo e facevano la coda al suo confessionale. A Thiene fu colpito da paralisi e fu ricoverato all’ospedale. Appena si riebbe un po’, fu trasferito al Centro Ammalati di Verona. Era il 2 febbraio 2003. Trascorse gli ultimi mesi nella preghiera e nel ricordo della vita di missione insieme ad altri confratelli. Poi intervennero altri disturbi cardiaci e respiratori e soprattutto c’erano i 94 anni che pesavano. La morte lo colse il 27 luglio 2003 alle ore 19.30. Dopo i funerali in Casa Madre, la salma fu tumulata nel cimitero di Verona, accanto agli altri confratelli.
Nell’omelia della Messa funebre ci furono delle toccanti testimonianze. Il parroco di Castelgomberto volle sottolineare l’amore di P. Fortuna alla vita comunitaria sacerdotale, preferendo rimanere il più possibile, durante le sue vacanze, con i sacerdoti della parrocchia. Amava pregare con loro e intrattenersi sui problemi della Chiesa e delle missioni. Mise in risalto il suo spirito artistico. P. Fortuna era un esperto di arte, in particolare di arte sacra e, per la chiesa, voleva sempre le cose più belle. Era anche un amante della musica, sia di quella liturgica che di quella classica. Ascoltando musica, il suo spirito si elevava. “Insomma il nostro missionario ha lasciato in parrocchia un’impronta profonda e indelebile, perché è l’impronta dell’amore di Dio per la gente”, ha concluso il parroco.
Una volontaria che lavora al Centro Ammalati ha voluto sottolineare la forza interiore e l’amore che emanavano dallo spirito di questo missionario, ormai così debole e fragile fisicamente. P. Fortuna aveva anche l’abitudine di benedire, appoggiando delicatamente la mano sul capo, coloro che lo servivano. Questo gesto, ispirato da affetto e riconoscenza era il suo grazie per le cure che riceveva.
P. Giovanni Fortuna ha lasciato in tutti il ricordo di un missionario contento, ottimista, entusiasta del suo lavoro e della sua vocazione. Anche gli africani lo ricordano e lo venerano come un padre della loro fede e come uno che li ha amati davvero mettendo più volte a rischio la vita per stare con loro anche nel momento della guerra, della sofferenza delle fughe nella savana quando arrivavano i guerriglieri. “Quando noi avevamo paura - ha detto un catechista durante la Messa di suffragio a Kitgum - tu non sei scappato al tuo paese, ma sei rimasto accanto a noi. Questo non ce lo dimenticheremo mai”.
(P. Lorenzo Gaiga, mccj)
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Da Mccj Bulletin n. 222 suppl. In Memoriam, aprile 2004, pp. 26-36
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