In Pace Christi

Mantovani Mario

Mantovani Mario
Data di nascita : 18/12/1919
Luogo di nascita : Orzinuovi
Voti temporanei : 07/10/1940
Voti perpetui : 07/10/1945
Data ordinazione : 29/06/1946
Data decesso : 14/08/2003
Luogo decesso : Kapedo/UG

P. Mario Mantovani, 84 anni, è caduto sotto i colpi di un fucile alla vigilia della solennità dell’Assunzione, verso le 10.30, ora locale, mentre passava per Lobel, una località ad una quarantina di chilometri dalla missione di Kanawat. Accanto a lui, ha perso la vita Fr. Godfrey Kiryowa, 29 anni, di nazionalità ugandese. Una terza persona che era con loro, un ragazzo della zona, è uscito illeso dall’agguato.

“I due Missionari Comboniani - ha scritto l’agenzia missionaria MISNA - sono stati uccisi dai guerrieri Karimojong. L’auto sulla quale viaggiavano, alla guida della quale c’era Fr. Godfrey, si è trovata tra una banda di guerrieri Dodoth e una di guerrieri Jie. Il religioso ugandese, a quanto risulta, è stato colpito per primo con un colpo alla testa e successivamente da altri due proiettili. P. Mario quando ha visto che non c’era più niente da fare per il confratello, è sgusciato fuori dall’auto ancora incolume, ed è riuscito a nascondersi nell’erba alta. L’assassino, timoroso di essere stato riconosciuto da P. Mario, ha voluto eliminare ogni testimone. Lo ha inseguito nel sentiero tra l’erba e lo ha freddato senza pietà con un colpo alla spalla, uno al torace e un terzo alla gamba. Poi gli ha preso le scarpe e altri piccoli oggetti personali e se li è portati nella sua capanna”.

È stato proprio per il ritrovamento di questi oggetti che le autorità locali hanno identificato il presunto uccisore di P. Mantovani e Fr. Kiryowa. Si tratta di un certo Oyela appartenente al gruppo Dodoth, che ha rischiato di essere linciato dai fedeli di P. Mario, conosciuto e amato da tutti per la lunga permanenza nella regione, ed è stato poi portato in stato di fermo a Kanawat in attesa di nuovi accertamenti.

I due Comboniani erano partiti da Kanawat diretti a Kapedo per amministrare i sacramenti e celebrare la liturgia della festa dell’Assunzione. Ma il loro viaggio si è concluso in cielo. L’uccisore era un cristiano, battezzato proprio da P. Mantovani, che aveva lavorato come meccanico alla missione. Commesso l’eccidio, ha gettato il corpo di Fr. Godfrey sulla strada, dopo avergli preso i vestiti, e ha portato via la macchina che è stata trovata quattro chilometri più avanti, senza una ruota e senza batteria (quando è stato fermato, l’assassino la stava smontando). Il corpo di P. Mantovani è stato rinvenuto alle ore 13.00 del giorno dopo, 15 agosto, a circa 300 metri dalla strada. Per trovarlo, un centinaio di persone, tra cui alcuni soldati, hanno dovuto battere la savana palmo a palmo.

Il ritrovamento dell’assassino è avvenuto in questo modo: seguendo le orme delle scarpe di P. Mantovani, si pensava di ritrovarlo, invece si è giunti alla capanna dell’assassino che aveva rubato e indossato quelle scarpe. La polizia lo ha portato in prigione, ma qualche giorno dopo è riuscito a fuggire (o lo hanno lasciato fuggire). È stato inseguito ed ucciso. In Karamoja, come in altre zone dell’Africa, la legge della tribù impone che chi uccide uno del proprio clan deve essere a sua volta ucciso. Il fatto che abbiano ucciso il presunto assassino in cambio della vita del missionario, significa che P. Mario era ormai considerato un Karimojong a tutti gli effetti.

Dalla lima all’altare

Dopo la quinta elementare il piccolo Mario si era iscritto alla scuola di avviamento professionale. Aveva scelto le specializzazioni di meccanica e falegnameria. Sulla pagella dell’anno scolastico 1932-1933, alla voce “lavorazione del ferro” corrisponde un “6”, mentre alla voce “lavorazione del legno” figura un “8”. Dopo il primo anno, quando stava per passare al secondo corso, Mario lasciò il paese e la famiglia per entrare nell’Istituto Comboniano.

La vocazione alla vita missionaria di P. Mario affonda le radici nella sua famiglia profondamente cristiana e nella parrocchia. In un foglietto trovato tra i suoi documenti c’è scritto: “In famiglia siamo otto fratelli, due maschi e sei femmine. Il papà fa il mediatore, ma è povero. La mia vocazione è nata mentre servivo la Messa e ascoltavo un padre missionario dell’Istituto Comboni di Brescia che era venuto al mio paese a parlarci di missione”.

“A sei anni era già chierichetto zelante, pronto a servire le funzioni fin dalla Messa Prima che a quel tempo si celebrava alle 5.30 - ricorda la sorella Caterina -. A 13 anni decise di entrare tra i Comboniani. Purtroppo la nostra famiglia non era in grado di procurargli il corredo necessario, così pensò a tutto la signora Laura Nolli, una grande benefattrice di Orzinuovi, alla quale è intitolato il centro diurno anziani.”

Nella lettera al Superiore Generale, scritta dal parroco, leggiamo: “Le raccomando vivamente il giovinetto Mario Mantovani che arriverà tra voi sabato 14 ottobre 1933. Abbiamo preparato il corredo con l’aiuto di buone persone. Confidiamo che faccia buona riuscita e diventi un buon apostolo della cara istituzione di Mons. Comboni”.

Concluse le medie nel piccolo seminario comboniano di Padova, e passò poi nell’Istituto Comboni di Brescia per il ginnasio. Mario dimostrò subito le sue doti di esuberanza, di allegria, di ottimismo e di fantasia, doni che lo hanno caratterizzato per tutta la vita. P. Luigi Cordone, il superiore, si era detto contento di questo ragazzo, e anche P. Giambattista Cesana che lo aveva avuto come alunno durante l’anno di quinta e gli aveva aperto le porte del noviziato. Ecco quanto ha scritto di lui: “Mantovani è un giovane di buone qualità. È animato da buona volontà, generoso, ha saputo compiere dei veri sacrifici per conservarsi buono. La sua condotta a Brescia è stata sempre di un buon seminarista, osservante e diligente nei suoi doveri. Il suo carattere ha avuto degli accenni di permalosità, con scatti di impazienza, ma è stato sempre schietto, aperto, sincero. Riesce bene negli studi”.

Nella domanda di ammissione al noviziato, Mario esprime questi sentimenti: “Le chiedo di esaudire l’ardente mio desiderio di poter essere ammesso al noviziato dei Figli del Sacro Cuore per poter far tanto bene all’anima mia, ai miei neretti, ed essere di consolazione, e non di inciampo, alla mia cara Congregazione. Conosco la mia indegnità per tanta grazia: nel mio cuore v’è gioia e timore, non paura, tuttavia mi rincuora il pensiero d’essere sotto il manto della mia cara Madonna di Lourdes”.

Verso il sacerdozio

È entrato nel noviziato di Venegono Superiore l’8 agosto 1938. P. Antonio Todesco è stato il suo padre maestro che lo ha aiutato a progredire nella virtù e nelle doti richieste ad un missionario. “Si lascia un po’ trasportare dalla fantasia e dal sentimentalismo poetico. Il suo spirito di preghiera è buono e la sua generosità notevole, la sincerità a tutta prova. Gli piace chiacchierare anche durante il tempo di silenzio…”. Dopo due anni di noviziato il padre maestro poteva registrare: “Il progresso nella virtù è stato notevole. Dimostra in tutto tanta buona volontà, impegno e senso di responsabilità. Nella sua pietà è quasi esagerato; comunque è molto amante della preghiera e del sacrificio. Dovrà sempre combattere contro la fantasia e il sentimentalismo. Ama la vocazione e l’Istituto. Può essere ammesso ai voti”.

È interessante notare le espressioni che Mario usa per esternare i suoi sentimenti nel suo cammino verso il sacerdozio. Ne citiamo qualcuna: “Qui nella cappella, sotto lo sguardo di Gesù le chiedo di poter rinnovare i miei voti. La mia coscienza è calma e sono certo che con l’aiuto di Dio misericordioso e della Vergine di Lourdes avrò la forza di osservare i miei santi Voti e imbevermi sempre di più nello spirito della cara Congregazione” (1941). “Sì, voglio che il Cuore di Gesù sia il centro di ogni mia azione. Che io realizzi ogni giorno la parola profetica di Gesù: omnia traham ad meipsum”, che io attiri ogni cosa a me (1944). “I miei pensieri, il mio animo sono orientati al sacerdozio. Sono felice e tranquillo perché confido nella mia cara Madonna di Lourdes. La prego sempre di darmi tanto e tanto spirito di fede e di umiltà. Con queste due armi unite alla preghiera la cara Madonna mi ha sempre fatto superare tutte le tentazioni e ha tenuto quieto questo mio povero cuore, così da dire col salmo 103: composui et pacavi animam meam sicuti parvulus in gremio matris meae, sono in pace come un bambino in braccio a sua madre (1945).

“Non penso ad altro che a prepararmi bene per l’altare e per le anime sulle quali incomincio ad invocare dal Sacro Cuore ogni grazia di conversione e di perseveranza. La grazia di Gesù mi attira ogni giorno di più e voglio vivere per Lui e servirlo il meno indegnamente possibile” (1945). “È con un sentimento di gioia e di confusione che mi accosto all’ordine del Presbiterato. Tanta divina altezza mi fa venire le vertigini, ma io confido totalmente nel Cuore di Gesù e nell’Immacolata. Mi aiuteranno loro a realizzare il progetto di Dio nella mia vita. Caro Padre, vorrei realizzare ciò che P. Agostino Capovilla disse ai sacerdoti novelli: la grazia maggiore che può avere il Superiore è questa: ut audiam filios meos in veritate ambulare” (1946).

Emise la prima professione il 7 ottobre 1940, poi passò a Verona, in Casa Madre, per concludere il liceo e la teologia. Ma, nel 1943, a causa della guerra, dovette emigrare con gli altri compagni a Rebbio di Como dove rimase fino al 1945.

“Mostra risoluta volontà di diventare sacerdote - ha scritto P. Agostino Capovilla, e poi - egli assicura che conosce gli obblighi inerenti particolarmente al celibato e alla perpetua castità, e che è risoluto, con l’aiuto della divina grazia, di adempierli fino all’ultimo della sua vita. Attesta pure che accede agli Ordini Sacri di sua spontanea volontà, senza esservi spinto da persone o da riguardi umani”. Fu ordinato sacerdote a Brescia, nel Santuario del Sacro Cuore officiato dai Comboniani (oggi parrocchia del Buon Pastore) da Mons. Giacinto Tredici il 26 giugno 1946.

Ad ogni giorno il suo slogan

P. Mario era un tipo brillante, intelligente, dalla parola facile. Il suo volto sprizzava serenità, era la serenità che aveva in cuore e che si rifletteva su chi gli stava vicino. Dopo l’ordinazione sacerdotale i superiori pensarono di mandarlo a Crema (1946-48) come insegnante dei ragazzi di quel seminario e come propagandista o predicatore nelle giornate missionarie. Erano gli anni durissimi del dopoguerra, quando non era facile trovare il modo di riempire i piatti del centinaio di seminaristi. P. Mario si lanciò nelle parrocchie contagiando sacerdoti e fedeli col suo prorompente entusiasmo. E i frutti non tardavano a farsi vedere.

Dal 1948 al 1951 fu mandato a Venegono, totalmente addetto alla propaganda o animazione missionaria. Indubbiamente, in quel lavoro P. Mario si trovava molto meglio che sulla cattedra dell’insegnante. Nel 1951 passò a Padova con lo stesso incarico, e l’anno dopo andò nel noviziato di Gozzano come insegnante di greco, latino e inglese, dove rimase dal 1952 al 1954.

Entrava in classe sempre contento e sorridente. Salutava, recitava una preghiera e poi lanciava lo “slogan del giorno”. Nessuno ha mai saputo da dove tirasse fuori quelle brevi sentenze: “Pane per chi ha fame, fame per chi ha pane”. “Fate il pieno e sentirete la differenza”. “Guarda le stelle ed esse ti guideranno”. “Non è la croce che ha reso glorioso Gesù, ma è Gesù che ha reso gloriosa la croce”… Sono alcune di quelle che i suoi vecchi alunni ancora ricordano e che li facevano pensare.

Sollecitato dagli studenti, naturalmente ne dava anche la spiegazione, ad esempio: “Fate il pieno di amor di Dio e di amor del prossimo ogni mattina e vedrete come la vita diventa bella”. Certamente era grazie a questo “pieno” che egli appariva sempre sorridente.

La scuola di P. Mario non era oppressiva. Sembrava che dicesse: “Dovete imparare queste cose, ma guardate che c’è qualcosa di più importante nella vita”. Se qualcuno si trovava in difficoltà di fronte ad una traduzione più difficile, gli andava vicino e gli suggeriva in un orecchio: “Pensa alla missione che ti aspetta”.
Bisogna riconoscere che, se la scuola di P. Mario non è stata il “top” quanto ad insegnamento, è stata una validissima “scuola di vita”.

Vita di missione

Nel 1954 i superiori lo mandarono in Inghilterra per perfezionarsi nella lingua inglese, in vista di una sua prossima partenza per l’Uganda. Frequentò il “Pitman Examinations Institute” dove, nel 1957, conseguì il diploma.

Racconta la sorella: “Un giorno è venuto a casa raggiante. ‘Parto - ha detto - ci vedremo tra dieci anni’. E così è stato. Poi siamo stati altri cinque anni senza vederlo e infine ha cominciato a tornare in Italia regolarmente, ogni tre anni, ma nel frattempo se ne erano andati il papà, la mamma, quattro sorelle e il fratello. Della numerosa famiglia restiamo in due…”.

P. Mario ha lasciato l’Italia nel luglio del 1957. La sua prima missione è stata quella di Morulem, fondata nel 1949. Si trovava, allora, nella diocesi di Gulu, a nord-est dell’Uganda e, come tutte le altre in cui andrà, in piena zona Karimojong. Recentemente il Karamoja è stato smembrato in varie diocesi: Morulem appartiene alla diocesi di Moroto. P. Mario vi è rimasto un anno per apprendere i primi elementi di quella difficile lingua. Poi è passato a Kaabong (1958-1960), a Nabilatuk (1960-1965), a Kotido (1966-1970), a Karenga (1971-1975) come superiore, e poi sempre come superiore e parroco a Matany (1976-1978), a Karenga (1978-1981), a Kaabong (1982-1983), a Karenga (1983-1985) a Naoi (1986-1995) (come viceparroco e insegnante) e poi superiore e parroco a Loyoro (1996-2002). Ormai era anziano, quindi fu mandato a Kapedo (2002-2003) come addetto al ministero.

“Ogni volta che tornava a Orzinuovi - continua la sorella - ripartiva carico di qualsiasi cosa potesse essere utile nella sua missione dove c’era bisogno di tutto, persino della semente dell’insalata… Sì, padre Mario riusciva a trasformare in missionari tutti quelli che avvicinava, a tutti comunicava il suo entusiasmo, la sua gioia di essere missionario… Nel 1995, approfittando di una sua visita al paese natale, il comune e la parrocchia di Orzinuovi hanno organizzato una grande festa in suo onore per celebrare i 50 anni di sacerdozio”.

Catechisti e malati di lebbra

P. Mario ha passato i suoi 46 anni di missione nel medesimo territorio vasto come una regione italiana, il più duro, il più aspro, il più pericoloso tra le missioni dei Comboniani e del mondo.

“Reverendo Padre Generale, le espongo il piano che ho meditato nella preghiera e che ho messo nel Cuore di Gesù, di Maria e di Giuseppe. Ho scelto 25 capi-catechisti, uno lontano dall’altro 10 chilometri. Ad ognuno di essi ho affiancato cinque collaboratori. Ogni collaboratore deve assistere i cristiani adulti e bambini e catechizzare i pagani di questi piccoli villaggi che contano 50-60 persone l’uno. Devo pur dare qualcosa a questi bravi catechisti che hanno famiglia e che, per dedicarsi al catechismo, non possono lavorare il loro campo. Mi dà una mano? Grazie” (Nabilatuk 13.8.1964).

“Ho costruito nei vari villaggi una casetta per il catechista, quasi fosse il parroco, con una graziosa cappella. Così la gente si abituerà ad avere, un domani, il loro sacerdote. Questi catechisti mi hanno dato la possibilità di amministrare 500 battesimi” (Kotido 28.4.1967).

“Qui a Kotido non piove, il raccolto è stato miserabile, e ciò che dispiace è l’aria di lotta politica tra chi comanda e quelli che vorrebbero comandare. Noi missionari siamo mal visti dalle autorità perché pensano che siamo favorevoli all’altra parte, mentre noi ci teniamo completamente fuori dalla politica. Siamo nelle mani del Signore e si va avanti con fede. Se può, o quando potrà, si ricordi dei miei 43 catechisti, cioè mi mandi un po’ di soldi per dar loro qualcosa, e così per questi affamati. Nel circondario ho scoperto tanti lebbrosi. Bisogna aiutare anche questi” (Kotido 16.10.1969).

P. Mario non si faceva riguardo ad avvicinare i malati di lebbra. Entrava nelle loro capanne, medicava le loro ferite (senza mettersi i guanti), portava loro un po’ di cibo, qualche coperta, del sapone e un po’ di tabacco, anzi, prendeva il tabacco con loro, rompendo così ogni barriera, e s’intratteneva a parlare affabilmente come fossero dei sani.

Un’altra categoria da lui prediletta erano gli anziani. Poteva capitare che qualche anziano, che non era più in grado di badare a se stesso, trovandosi, il suo clan in tempo di carestia, venisse lasciato da solo nel deserto a morire. Le iene sarebbero state la sua tomba. P. Mario mise in piedi un’organizzazione di cristiani che dovevano avvisarlo quando questo succedeva. Allora, partiva immediatamente e andava a prenderlo, lo portava alla missione e lo accudiva con amore. La gente era molto riconoscente per queste cose che costituivano una testimonianza fondamentale a favore dei missionari e della religione che predicavano.

Seminare nel pianto

“Per anni - ha scritto su ‘Dialogo’ la rivista della parrocchia di Orzinuovi - sono stato in varie missioni ove non ho mai dato ai bambini né il battesimo, né la prima comunione, perché i genitori non sapevano nulla e i ragazzi, dai 4 anni fino ai 15 dovevano custodire ogni giorno pecore, capre e mucche. Sono stati gli anni della semina nel pianto. Durante questi anni, però, ho cercato di aprire tante piccole scuole, ma rimanevano vuote.

Dopo 10 anni, col parere dei catechisti si invitarono i pastorelli a venire alla sera in missione per imparare il catechismo e poi mangiare un po’ di polenta. Pian piano hanno cominciato a frequentare la missione. Dopo 20 anni c’erano giovani di 16-17 anni che cominciavano a frequentare la prima elementare. Dopo tre anni di istruzione ricevevano il battesimo e la prima comunione. Ora i giovani ricevono la cresima all’età di 18-20 anni. Dopo non se ne vanno più. Molte volte, quando passo con la macchina per la visita alle cappelle, mi vedono e mi corrono incontro per salutarmi. Sono tutti miei fratelli che avvicino sulla strada, nel campo, al pascolo, alla missione. E così la Chiesa cresce e si consolida con i fedeli, i catechisti e anche i sacerdoti, tutti di questa terra dove sembrava non crescessero che spine, sabbia e sassi”.

“P. Mario era cosciente del pericolo rappresentato dai ribelli - continua la sorella. - In una lettera del marzo scorso al gruppo missionario del paese aveva scritto che i guerriglieri lungo la strada fermano le macchine, rubano tutto e uccidono le persone. Aveva aggiunto: ‘Si viaggia ancora adesso con il cuore in gola, perciò, prima di affrontare un viaggio, ma anche durante il viaggio stesso, si prega e ci si prepara anche alla morte’. Per questo sono sicura che mio fratello era pronto ad incontrarsi col Signore… Eppure, nonostante questi pericoli non perdeva occasione per parlare dell’amore per la sua Africa”.

Ho cancellato dal vocabolario la parola “pessimismo”

P. Mario intratteneva con i gruppi missionari italiani un’intensa corrispondenza epistolare. In una lettera in occasione della Pasqua del 2003 ha scritto: “Cristo risorto è l’unica nostra speranza e quindi, anche qui in Karamoja, anche se la nostra vita è sempre in pericolo, ho cancellato la parola pessimismo dal mio dizionario. Il Signore ci vuole bene: è testimone il mistero del suo sangue sparso per tutti. Ieri è venuto un giovane guerriero e mi ha chiesto una tazza di acqua perché aveva una grande sete. Gli ho risposto: ‘Beviamola insieme!’ Ho visto i suoi occhi illuminarsi. Ha capito, anche se era ancora pagano, che ero a disposizione della persona, di ogni persona”.

“Una settimana fa una povera donna, che aveva perso sei figli colpiti da una strana malattia, forse colera, mi ha detto: ‘I miei figli li hai visti tu. E anch’essi ti hanno visto e i loro occhi sono diventati belli come le stelle. Ogni notte guardo il cielo stellato e riconosco i loro occhi che brillano e mi rasserenano’”.
Già nel 1957 P. Mario era un profondo conoscitore della cultura Karimojong, tanto da aver scritto una grammatica nella lingua locale. Tuttavia ha continuato a perfezionare i suoi scritti fino a farli diventare gli unici libri di testo per le scuole del Karamoja. Era stimato a tal punto dalla popolazione che poteva trascorrere lunghi periodi nei loro villaggi. Peccato che le razzie di bestiame tra i Karimojong rappresentino un triste fenomeno, alimentato dal fiorente commercio di armi.

Un ritorno mancato

P. Mario sarebbe tornato a Orzinuovi ai primi di settembre 2003 per sottoporsi ad alcuni accertamenti clinici al cuore, ma a dicembre sarebbe senz’altro ripartito per l’Uganda. A chi gli faceva notare che i suoi anni non erano pochi, rispondeva che era sempre stato suo desiderio morire in Africa, e portava come esempio il suo grande amico, P. Giuseppe Ambrosoli, il quale era rimasto in prima linea fino all’ultimo.

La sorella Caterina, mostrando le ultime lettere del fratello missionario commenta: “P. Mario ripeteva che Dio perdona settanta volte sette; per lui non esistevano peccati eccetto l’omicidio, ma anche in questo caso bisogna perdonare sempre. Sono perciò convinta che ha perdonato anche al suo uccisore… Diceva che il Karamoja è una delle regioni più difficili per l’evangelizzazione. I pastori nomadi che vi abitano praticano da secoli il furto di mandrie di bestiame alle tribù confinanti. Questo costume selvaggio di sopravvivenza fa scoppiare spesso vere e proprie battaglie tra clan confinanti, innescando uno spirito di violenza che non si è mai fermato”.

Molti bresciani sono andati a trovare il loro missionario, cominciando dal direttore diocesano dell’ufficio missionario Don Flavio Saleri, giornalisti come Pino Murgioni e laici come Walter Pezzoli che è andato più volte a trascorrere le ferie con P. Mario e a dargli una mano per costruire le sue opere: “L’ultima - ha detto - è stata una delle cappelle di Kapedo, a pochi chilometri dal confine con il Sudan”.

Le loro testimonianze riempirebbero pagine e pagine. “Sapevamo che la zona era pericolosa perché il giorno prima un bandito aveva sparato una raffica di kalashnikov in una stanza della missione, ferendo ad una spalla P. Walter Vidori. Tuttavia P. Mario, sempre allegro, spiritoso, ci incoraggiava a non aver paura.

Terminata la funzione s’intratteneva con i suoi fedeli. Molte mamme, con i bambini legati dietro la schiena, gli si stringevano attorno facendo tante domande… Mi colpì un giovane che era venuto a Messa con un kalashnikov a tracolla. ‘Una volta i pastori Karimojong - ha spiegato P. Mario - avevano lunghe lance. Oggi vanno al pascolo con il fucile mitragliatore: il governo li ha distribuiti gratuitamente, avendo interesse a tenere i Karimojong armati ai confini col Sudan. Per questo viviamo in una continua insicurezza… Anche noi dobbiamo seguire l’esempio di Comboni che ha dato la vita per gli africani…’
Mi ha stupito il suo interesse, la sua curiosità nel conoscere i fatti della sua città, Brescia, del paese e dell’Italia. Durante il pranzo ci ha mostrato la grammatica Karimojong da lui raccolta in tanti anni di studi e ricerche. Ho constatato che P. Mario era un missionario ‘santo e capace’, una di quelle mille vite che avrebbe desiderato avere Comboni per donarle all’Africa. La sua morte è avvenuta in circostanze simili a quella della Suora Comboniana Liliana Rivetta di Gavardo, uccisa in un’imboscata nel mese di agosto del 1981, nella stessa regione. Io non so se P. Mario avesse paura. Alla mia domanda ha fatto un sorriso e un gesto della mano che non sono riuscito a decodificare. Un confratello mi ha detto che forse non aveva paura perché aveva una fede troppo grande che gli faceva da scudo… Poi ci ha mostrato il suo piccolo orto accanto alla missione. ‘Lo coltivo nei momenti liberi, anche se è difficile salvare qualcosa dalla rapacità degli uccelli o degli insetti’…”.

“In agosto del 1989 ha avuto un forte attacco di colecisti e ha ricevuto le prime cure nell’ospedale missionario di Matany, poi è stato trasferito per esami più approfonditi all’ospedale cattolico di Nsabuga (Kampala). Da qui è passato a Verona per l’operazione. In ottobre era nuovamente al suo posto di lavoro, perfettamente ristabilito…”.

P. Mario, essendo un profondo conoscitore della cultura Karimojong, era stato incaricato dai superiori di accompagnare i giovani missionari nel periodo di inculturazione (conoscenza della lingua, degli usi, dei costumi e della cultura locale). Ed egli eseguiva questo incarico con passione e con amore, tanto più che proprio alcuni mesi prima era venuto a mancare un altro confratello, P. Bruno Novelli, anche lui uno specialista della cultura Karimojong. Ottimista per natura, non aveva mai perso la speranza che la sua terra adottiva potesse un giorno trovare pace e stabilità.

Funerali da martire

Lo hanno sepolto come un eroe, un martire, un papà, un maestro. Lo hanno fatto riposare accanto alla chiesa di Kanawat, quella stessa chiesa dalla quale la domenica prima aveva tuonato: “Ormai la terra è stanca di bere sangue”, riferendosi alle troppe vittime della guerriglia e dei banditi che razziano il bestiame nelle lande desolate del Karamoja, zona fra le più povere dell’Africa. P. Mario batteva la zona dal 1957, cosciente dei rischi ma desideroso di aiutare la gente a riscattarsi da una vita di stenti.

La barba bianca, il corpo minuto e i modi gentili, avevano fatto di P. Mario un uomo venerato da tutti. Quando passava per le strade polverose o infangate del Karamoja veniva acclamato come un grande capo della tribù. Questo spiega perché la salma sia stata vegliata da centinaia di fedeli. Il feretro di Fr. Godfrey è stato trasferito nella missione di Kasaala, sua parrocchia d’origine.

I funerali di P. Mario hanno avuto luogo a Kanawat alle ore 14.00 (in Italia erano le 13.00) del 16 agosto in un’apoteosi di fedeli, canti, preghiere e lacrime. A celebrare le esequie di P. Mario c’erano Mons. Denis Kiwanuka Lote, vescovo della diocesi di Kotido, uno dei due distretti nei quali è diviso il Karamoja (l’altro è Moroto). È stata una cerimonia toccante nella quale sono state ricordate le doti di P. Mario che aveva fatto dell’Africa la ragione della sua vita e del Karamoja la sua missione.

Il suo lavoro, e quello dei missionari in questa zona è difficile sia per il clima arido e secco, sia per le guerre dimenticate che attraversano di continuo la regione, sia per la violenza cruda che ha già tolto la vita a quattordici Comboniani. P. Mario e Fr. Godfrey sono solo gli ultimi di una lunga lista di martiri. “Il loro sacrificio - ha detto il Superiore Generale P. Manuel Augusto Lopes Ferreira - è il segno più eloquente di amore alla missione, a Cristo e al popolo ugandese”. P. Mario si è preparato al martirio con una vita sacerdotale integerrima, tanta preghiera e l’esercizio della carità. Quando un confratello partiva per la visita ai villaggi, si alzava prestissimo, verso le 2.30 del mattino, per viaggiare di notte onde evitare gli assalti dei guerriglieri e P. Mario aveva già preparato il caffè e un po’ di colazione. E quando i confratelli rincasavano era lui che si metteva al fornello per preparare il pranzo (era un bravo cuoco). Non era autoritario né rigido nei principi e si adattava a tutte le situazioni. Non si è mai scoraggiato di fronte alle difficoltà della missione. Era un ottimista, ed è sempre stato una contagiosa fonte di incoraggiamento e di speranza per gli altri missionari.

Apoteosi ad Orzinuovi

Non meno solenni sono stati i funerali celebrati al suo paese, Orzinuovi, martedì 19 agosto 2003. Nonostante il caldo asfissiante, la chiesa parrocchiale era zeppa di persone e sul presbiterio c’erano una cinquantina di sacerdoti tra Comboniani e diocesani, con il rappresentante del vescovo. P. Mario era conosciutissimo non solo al suo paese ma anche in diocesi.

Dopo il canto “Nobile e santa Chiesa” una lettrice ha dato il tema della celebrazione: “Il Dio dell’amore e della pace, ci ha radunati attorno a questa Mensa eucaristica per celebrare i santi Misteri e per contemplare, con animo commosso e grato, le meraviglie del suo amore. È in virtù di questo amore che P. Mario ha detto il suo sì al sacerdozio e ha accolto con generosità l’invito di Gesù ad annunciare il Vangelo, la buona novella, fino agli estremi confini della terra. Egli ha scelto di vivere povero tra i poveri per far conoscere ai Karimojong il segreto della nostra vita e il mistero del Padre: la sua tenerezza e sollecitudine infinita.
Proprio per l’amore di Dio e dei fratelli, P. Mario ha accettato i rischi dell’odio e della violenza umana fino a pagare con la propria vita. La comunità di Orzinuovi rende grazie al Signore per questo suo figlio, cristiano, sacerdote ed apostolo esemplare e si dispone a pregare per lui e per l’Istituto dei Comboniani nel cui seno ha maturato l’offerta di sé come missionario in terra d’Uganda”.

Nella preghiera dei fedeli si è anche chiesto che qualche giovane di Orzinuovi riempisse il vuoto lasciato da P. Mario.

Una strada a suo nome

Il 5 settembre sarebbe dovuto rientrare in Italia per mettere a punto la salute, per un periodo di vacanza, per riallacciare i rapporti con tanti amici e benefattori e per assistere, il 5 ottobre, alla solenne canonizzazione del Beato Daniele Comboni.

“P. Mario è stato un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio del prossimo e che ha creduto fino in fondo nella bontà della sua scelta a ha commentato il sindaco Ambrogio Paiardi - certamente l’amministrazione comunale dedicherà alla sua memoria una via del paese che lui ha tanto amato e i cui abitanti l’hanno sempre sostenuto nella sua opera missionaria”.

Il parroco di Orzinuovi, Don Franco Bertanza, nell’omelia ha invitato tutti i parrocchiani ad unirsi nella preghiera, sicuri che l’esempio del martirio di P. Mario produrrà i suoi frutti nella comunità parrocchiale. In una lettera del settembre 2001 aveva scritto: “Caro Don Franco, sono giunto a Loyoro accolto dai Karimojong con canti e grida di gioia, sollevato sulle loro spalle. Ho benedetto il Signore che mi ha fatto constatare che ‘chi semina nel pianto miete nella gioia’. Gesù è il seminatore, io il mietitore. Dobbiamo ridipingere le cappelle costruite nel 1970 perché nel 2002 i sacerdoti Karimojong verranno ad abitarle. Ed io andrò in un’altra missione dove c’è un solo Comboniano. Così abbiamo realizzato anche in mezzo a questo popolo il ‘salvare i Karimojong con i Karimojong’ come auspicava il Beato Comboni”.

P. Mario ha condiviso la vita nomade priva delle minime comodità, la povertà e anche le malattie dei Karimojong. Tante volte è stato ricoverato per attacchi di tifo e di amebiasi. Ma non si lamentava perché si sentiva africano con gli africani. Per questo voleva morire ed essere sepolto in quella terra.

Il secondo martire del paese

Durante il funerale, il parroco di Orzinuovi ha detto, non senza commozione: “Un mese e mezzo fa un altro missionario del paese è stato ucciso; ora è toccato a P. Mario. La parrocchia ha sempre pregato per P. Mario perché fosse preservato dai gravi pericoli che incombevano su di lui… Lo aspettavamo per ascoltare il suo entusiasmo prorompente per la missione e per accogliere le sue richieste d’aiuto. Pochi giorni fa ha scritto: ‘Aiutatemi a perdonare i miei Karimojong, ad accoglierli, a confortarli’.

P. Mario ci ha fatto capire che anche morire per i fratelli è bello. Per questo dobbiamo ringraziarlo. E dobbiamo ringraziarlo perché è sempre stato unito alla nostra comunità che è orgogliosa di lui. Egli ci aveva sempre nel cuore: ‘Leggo Dialogo perché mi arricchisce spiritualmente. Il tuo scritto sulla Pasqua mi è servito per preparare i miei cristiani... Stiamo uniti nella preghiera, nostra forza e debolezza di Dio. Dal cielo continuerò ad essere missionario, continuerò a volervi bene…’.

Conserveremo la tua passione missionaria e la convinzione che tutti siamo stati redenti dal sangue di Cristo e che tutti siamo chiamati ad essere figli di Dio in Cristo e per Cristo - ha concluso il parroco. - Tu hai fatto tanto bene all’Africa perché le hai dato tutti i tuoi doni di mente e di cuore, lasciando su quel suolo il tuo sudore, le tue fatiche, il tuo sangue di martire, il tuo stesso corpo… Conserveremo nel cuore il tuo spirito di povertà evangelica. Abbiamo notato il tuo distacco totale dai beni terreni e da te stesso, per dare un po’ di vita e un po’ di cultura ai più dimenticati del mondo…

Hai fatto tue le parole di San Vincenzo de’ Paoli: ‘I poveri sono i miei padroni’. La tua vita non ha avuto che uno slancio: tutto per gli altri. Non dimenticheremo la tua cordialità, schietta, immediata, calorosa, attenta… Non dimenticheremo la tua devozione a San Rocco. Tutte le mattine gli baciavi la piaga chiedendogli di darti buone gambe per camminare ancora a lungo in Africa e che ti tenesse lontana la febbre malarica che tante volte ti colpiva… Accetteremo le tue sofferenze accolte sempre con dolcezza e le tue grandi fatiche…

La tua memoria sarà imperitura nella nostra comunità. Quando tornavi da noi o ripartivi, eravamo soliti salutarti con un grande applauso. Oggi te lo vogliamo fare ancora più fragoroso perché vogliamo che arrivi fino al cielo”. E la volta della chiesa ha vibrato come in un fremito.

Il grazie dei Karimojong

Il provinciale dei Comboniani d’Uganda, P. Guido Oliana, che ha presieduto la celebrazione, ha chiesto ad Orzinuovi di dare un giovane che sostituisca P. Mario come missionario.

Ha parlato anche il missionario che, il 9 settembre 2003, rientrerà in Karamoja per prendere il posto di P. Mario. È P. Pietro Ciaponi. “Porterò il saluto del suo paese che tanto amava. Il martirio di P. Mario è maturato in un contesto d’amore. Molti Karimojong oggi vorrebbero essere qui per esprimervi il loro grazie per la vita di P. Mario. In Karamoja ci sono già i primi giovani che diventano Comboniani, e questo grazie anche a P. Mario. Questo fatto ci fa guardare al futuro con fiducia e con amore. E per questo parto contento”.

La comunità di Orzinuovi ha sempre ricordato, anche concretamente, il suo missionario. “E così, di anno in anno, di commedia in commedia, di cosine ne abbiamo mandate in Africa, dai letti per l’ospedale, ai pannelli solari, ad un sistema per l’irrigazione… L’ultimo acquisto qualche mese fa, un bel mulino per macinare il grano, operazione che in Uganda viene ancora fatta a mano…”.

La parola del Papa

Rattristato per il tragico assassinio dei due missionari, il Papa, in un telegramma inviato a suo nome dal Segretario di Stato Angelo Sodano al Nunzio apostolico in Uganda, Mons. Christophe Pierre, dice: “Profondamente rattristato per la drammatica notizia, il Santo Padre offre ferventi preghiere per le anime dei due missionari, mentre invia le sue sincere condoglianze ai fedeli della diocesi ugandese di Kotido, in particolare ai familiari e agli amici delle vittime.

Affidando i fedeli colpiti da questo grande dolore alla protezione di Maria Assunta in Cielo, Giovanni Paolo II prega perché possano trovare consolazione, e affinché tutti siano confermati nella loro testimonianza per l’amore e la riconciliazione sulle forze dell’odio e della violenza”.

Al Superiore Generale dei Comboniani è pervenuto il seguente messaggio: “Appresa con tristezza notizia tragica uccisione anziano e benemerito P. Mario Mantovani e giovane Fr. Godfrey Kiryowa, membri di codesta Congregazione, Sua Santità partecipa al dolore intera famiglia religiosa mentre affida a Dio anime cari Comboniani drammaticamente scomparsi, prega perché anche loro sacrificio insieme a quello altri sacerdoti e suore morti in questi anni in Uganda contribuisca a diffondere il Vangelo della pace fra la popolazione dell’amata nazione ugandese e invia speciale confortatrice benedizione apostolica ai familiari, confratelli, quanti hanno conosciuto et apprezzato loro zelo apostolico. Unisco le mie personali condoglianze assicurando per i defunti missionari speciale ricordo all’altare”. Angelo Card. Sodano, segretario di Stato di Sua Santità.

Alla luce della fede, P. Mario ha trovato in quella morte cruenta, in quel suo sacrificio, la gloria, la corona più bella della sua avventura missionaria. Egli ha realizzato ciò che Comboni aveva detto: “Noi siamo disposti ai più duri patimenti, alle più ardue fatiche, ed alla stessa morte per raggiungere il grande scopo di ben consolidare queste missioni dell’Africa centrale, e chiamare questi popoli alla fede”. E poi c’è la parola del Vangelo che dà senso ad ogni martirio, anche a quello di P. Mario: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto”. Questo si è realizzato in maniera realistica per P. Mario. Ogni volta che si metteva in viaggio su quelle strade insicure del Karamoja, faceva la sua scelta di Cristo, dichiarandosi pronto a dare la vita per Lui. Oggi quella vita donata, l’ha ritrovata nella gloria del Cielo, e il sacrificio suo e del giovane Godfrey saranno certamente in benedizione per il popolo Karimojong. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

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“Non poteva concludere in maniera più efficace la sua missione tra i Karimojong”.

P. Mario partecipa della vittoria di Cristo. Speriamo e preghiamo affinché il suo sangue versato fecondi l’opera difficile di evangelizzazione in Karamoja.

Bresciano d’origine, Mario Mantovani entra nel noviziato dei Comboniani nel 1938 ed è ordinato sacerdote nel 1946. Dopo 11 anni di servizio in Italia, nel 1957 parte per l’Uganda, ove, lavora ininterrottamente per 46 anni nella regione del Karamoja fino alla sua tragica morte, avvenuta il 14 agosto 2003. Ha, prestato servizio nelle missioni di Morulem, Kaabong, Nabilatuk, Losilang (Kotido), Karenga, Matany, Naoi, Loyoro, Kapedo.

P. Mario è soprannominato dai Karimojong Apalongor, che significa “bue dal colore grigio-cenere”. Infatti, i Karimojong, popoli nomadi e pastori, danno il nome alle persone a seconda delle caratteristiche delle loro vacche. P. Mario era una persona gentile, cordiale, generoso, zelante e molto umano. È anche un buon cuoco. In occasioni speciali sta normalmente lui ai fornelli della missione, per preparare qualcosa di buono. Il suo pesce e la sua pastasciutta al pesto sono piatti prelibati.

È un uomo di preghiera, sempre disponibile e molto comprensivo. Con lui ci si trovava bene. Si adatta a tutte le situazioni. Si trova bene con tutti, in particolare con coloro che sono aperti e non troppo esigenti. Sta bene specialmente con i giovani. Ultimamente a Kapedo ha creato un bel rapporto di stima e fiducia con il Fratello comboniano ugandese, Godfrey Kiryowa, ucciso con lui, quasi espressione ultima della capacità di P. Mario di creare comunione con tutti.

P. Mario conosce bene la lingua Karimojong. Ha scritto anche due grammatiche e uno studio sui verbi karimojong. Gioisce nell’insegnarla ai nuovi arrivati. Quando predica si entusiasma e alza la voce con ardore. In quelle occasioni i Karimojong lo guardano incuriositi, sorridendo per la sua maniera faceta di comunicare. Doveva apparire strana per loro tale ardente passione per Gesù Cristo.

La sua capacità di amicizia con la gente la dimostra usando lo stesso tabacco dei Karimojong, ai quali ne offre spesso, rompendo così ogni barriera. Ne porta sempre una scatola con sè. Sa anche gustare un buon bicchiere di vino o di birra. P. Mario non si scoraggia mai di fronte alle difficoltà della missione tra i Karimojong. È un ottimista, fondamentalmente. Per i giovani missionari del Karamoja è una contagiosa e permanente fonte di incoraggiamento e di speranza. P. Mario è disponibile ad andare dove c’è bisogno, anche se, umanamente parlando, non è del tutto entusiasta. La sua ultima destinazione: Kapedo, gli sembra lontana, ma accetta l’ultima sfida.

…fino al sacrificio della vita

La zona dove P. Mario lavora è al confine con il Sudan, fra la etnia Dodoth. Nel Sud del distretto stanno i Jie, etnia tradizionalmente in conflitto con i Dodoth per i pascoli e per il bestiame. P. Mario ha trascorso tre settimane a Kanawat (vicino a Kotido), la missione madre dei Jie, per curarsi da una malaria. Fr. Kiryowa Godfrey lo viene a riprendere da Kapedo il 14 agosto 2003 per riportarlo a casa. Partono da Kanawat alle 9 del mattino. Nella zona Kopoth, al confine tra Dodoth e Jie, è in corso una razzia di bestiame con più di 300 guerrieri armati di fucile. I Dodoth sono alleati con un gruppo di sudanesi. Pare che la razzia sia andata male per i Dodoth. Verso le 10 circa, arrivati nella zona di Kopoth, sembra che un gruppo di Dodoth in ritirata colpisca dapprima l’autista, Fr. Godfrey Kiryowa, che muore sul colpo. Un ragazzo che viaggia con loro cerca di tenere il controllo della macchina finché questa si ferma. Poi spacca il vetro di un finestrino e riesce a scappare, lasciando in macchina P. Mario ancora vivo. P. Mario esce dalla macchina nel tentativo di nascondersi nel bosco.

Il giorno dopo, 15 agosto, i missionari ritrovano la macchina con il corpo esamine di Fr. Godfrey Kiryowa che viene subito portato in missione a Kanawat. Nessuna traccia, invece, di P. Mario. Con una scorta di soldati, ripartono alla sua ricerca. Dal luogo dell’imboscata seguono le orme degli scarponcini, che sembravano quelle di P. Mario, ma le orme portano alla capanna del presunto uccisore, che, dopo averlo ucciso, si sarebbe messo gli scarponi del missionario. Poco dopo trovano anche il corpo di P. Mario crivellato di pallottole. I giorni seguenti il presunto uccisore, nel tentativo di scappare dalla prigione di Kotido, dove era stato messo dalla polizia, viene pure ucciso da un poliziotto. P. Mario è sepolto vicino alla chiesa di Kanawat.

Non poteva concludere in maniera più efficace la sua missione tra i Karimojong. Che il suo sangue versato fecondi l’opera difficile di evangelizzazione in Karamoja. La cultura Karimojong crede al sacrificio. Per questo, prima di partire per le razzie, i Karimojong fanno dei sacrifici di bestiame, talvolta anche di persone umane. Nella prospettiva della fede e del Vangelo, ora è il sacrificio di P. Mario che farà guadagnare ai Karimojong non bestiame, ma la loro adesione a Cristo e alla Chiesa.

(Dalla serie “I Martiri” preparata a Verona da P. Romeo Ballan, 14.9.2010)