In Pace Christi

Gasperoni Raffaello

Gasperoni Raffaello
Data di nascita : 29/09/1933
Luogo di nascita : Savignano sul Rubicone/FC/I
Voti temporanei : 09/09/1959
Voti perpetui : 09/09/1961
Data ordinazione : 07/04/1962
Data decesso : 05/01/2002
Luogo decesso : Rimini/I

Figlio di Paolo e di Elisabetta Zamagni, Raffaello (in seguito, sarà chiamato sempre Lello) nacque a Savignano sul Rubicone, provincia di Forlì e diocesi di Rimini. Al battesimo ricevette il nome di Raffaello Sanzio Adriano. Era il secondo di cinque figli, di cui due femmine.

A 9 anni rimase orfano del papà che, ammalatosi durante la guerra d’Africa, morì nel 1942, dopo sette anni di malattia. Aveva 35 anni. La mamma portò avanti la famiglia con una rivendita di frutta e verdura, abbandonando il negozio di macelleria. Il nostro giovinetto, dopo le elementari, frequentò l’avviamento, sempre a Savignano, ma, ad un certo punto, capì che il Signore lo chiamava sulla via del sacerdozio. Nel 1947 era nel seminario di Rimini, riparato alla buona dai danni di guerra, per le medie e il ginnasio. Senza riscaldamento, con il cibo razionato, una disciplina severa con puntuali punizioni per chi non rispettava le regole: fu un noviziato duro. Suo padre spirituale era Don Oreste Benzi che tutta Italia conosce. “Don Benzi ci puniva con cinque minuti di silenzio solo quando gli dicevamo che era una santo – dice un compagno di studi di Lello, Luigi Masini, e poi aggiunge – Lello aveva un’indole aperta, solare, direi; non sapeva fingere e per questo si attirava spesso, senza reagire, rimproveri per fatti di cui non era affatto responsabile. Dotato di grande comunicativa e facilità di parola, coltivava rapporti cordiali con tutti ed era di natura ottimista, per cui affrontava la vita col sorriso sulle labbra. Della vita religiosa lo attirava soprattutto la liturgia di cui studiava scrupolosamente gli atti, i gesti, le parole. Rispettoso dei superiori, non fu mai succube al punto di non accettare quell’ubbidienza perinde ac cadaver che allora veniva inculcata. Riconosceva serenamente i suoi limiti fino a giungere a sottovalutare le sue doti con una umiltà che non trova facilmente riscontri. Sensibilissimo anche verso gli animali, è stato l’unico, che io sappia, a tenere per qualche tempo un pappagallino nel severo studio del seminario regionale”.

Iniziò il suo cammino vocazionale nel seminario di Bologna, nel 1952, quando frequentava il liceo. Ad un certo punto dovette perdere un anno di seminario per scarsa salute. La mamma e la nonna lo curarono così bene che poté ritornare ai suoi studi.

Un giorno, ascoltando le parole di P. Enrico Farè, decise di farsi Comboniano. Scrisse in una lettera del 19 ottobre 1957: “Credevo davvero di aver trovato la mia via e di aver trovato anche me stesso. Da oggi in avanti mi sento completamente di Cristo. Sono sicuro che con l’aiuto di Dio, e con tutta la mia buona volontà, potrò attuare quella trasformazione che mi farà diventare un alter Christus nel senso pieno della parola”.

Lello era un seminarista che, quando andava a casa in vacanza, sapeva coalizzare attorno a sé tutti i giovani della parrocchia. Pareva che con i giovani avesse un carisma particolare. Ciò contribuì a rendergli più doloroso il distacco. “Domenica scorsa – scrisse il 28 ottobre 1957 – ho fatto la prima giornata missionaria in parrocchia. È riuscita bene… Le confesso sinceramente che provo un po’ di nostalgia nel lasciare i giovani di Azione Cattolica in mezzo ai quali ho lavorato… Il mio vescovo dice che si ricorderà di me al lavabo, io preferirei che si ricordasse al nobis quoque peccatoribus”.

Il vicerettore del seminario scrisse di Lello: “Posso attestare che nel periodo trascorso al seminario regionale di Bologna, si è dimostrato sempre molto pio, buono, studioso e disciplinato. Il giovane merita considerazione sotto ogni aspetto e mi auguro che possa realizzare in pienezza la sua vocazione missionaria”.

Il suo parroco, Don Riccardo Cesari, aggiunse: “Sono lieto di poterle dire che il giovane Gasperoni presenta doti positive di solida vocazione. Da quando lo conosco, e in particolare in questo anno e mezzo in cui per ragioni di salute è rimasto di continuo in parrocchia, ha collaborato al ministero parrocchiale nel catechismo, nel servizio liturgico, nell’assistenza alle Associazioni con la competenza e la pietà di un sacerdote.

Circa la serietà morale posso garantire l’assoluta prudenza nel trattare con le persone e nell’evitare tutto ciò che è profano e mondano. Sa parlare bene al popolo ed ha una spiccata passione per la liturgia e l’assistenza ai giovani. Tende un pochino allo scrupolo ed alla eccessiva sfiducia in se stesso. Passato un periodo di esaurimento fisico, di salute ora sta bene. La sua famiglia è religiosa e sana moralmente. A mio giudizio Lello potrà fare ottima riuscita e diventare buon missionario”.

La crisi

Il problema di lasciare la mamma vedova non era indifferente, anche perché Lello era un giovane molto sensibile. “Credo che sia un dovere di coscienza aiutare la mamma nella situazione attuale, prima di lasciarla completamente nelle mani di Dio e della Provvidenza”, scrisse a P. Leonzio Bano. In casa c’era anche la nonna molto anziana. Questa santa donna pregò intensamente per vedere il nipote sacerdote. Il Signore la ascoltò, non solo, ma le concesse ancora tanti anni di vita.

Incoraggiato dai superiori del seminario diocesano e con la benedizione del suo vescovo, entrò nel noviziato di Gozzano nel novembre del 1957, emettendo la prima professione il 9 settembre 1959. Aveva terminato il liceo con una bella promozione. “Prima della mia partenza, in casa si è pianto un po’ tutti, ma credo che le lacrime siano inevitabili. L’importante è che la mamma sia abbastanza rassegnata; certo che le dispiace tanto”.

Dopo pochi giorni dalla sua entrata a Gozzano (l’aspetto della casa era terrificante, simile più a un carcere che a una dimora per gente comune: muri poderosi e ammuffiti, inferriate alle finestre, pareti scrostate e umide, pavimenti di pietra grezza…) Lello scrisse a P. Bano: “Le scrivo con un tono un po’ diverso dalle precedenti lettere. Prima era la poesia, ora è giunta la prosa. Questa lettera è la prova esatta delle sue affermazioni che, dentro di me, pensavo esagerate o rituali. È già una settimana che mi dibatto in una nostalgia e in una malinconia spaventose. Esattamente come Ella prevedeva. Sento in me due forze: una che mi dice di amare Cristo fino in fondo, l’altra che mi fa rimpiangere il tempo passato pieno di soddisfazioni, di apostolato, di libertà. E qui si svolge la mia lotta con Dio. Sono sicuro che, passato un po’ di tempo, la vittoria sarà Sua. È ridicolo e fanciullesco aver paura a dire di sì a 24 anni. Eppure costa tanto il morire a se stessi. Spero, però, che presto passi tutto e ritorni il sereno. Mi saluti P. Farè, poi penserò io a dirgliene quattro quando lo incontrerò!…”.

Il padre maestro, P. Pietro Rossi, lo trovò “un carattere sentimentale, ma buono, generoso, di preghiera e di comunità. Certamente sarà un missionario capace di incontrare le persone. La sua salute è ottima. La sua compagnia è ricercata da tutti, appunto per la sua bontà e la capacità di dire una buona parola a ciascuno”.

Col trascorrere delle settimane, anche la crisi sfumò. La primavera a Gozzano porta tanto verde, fiori, aria buona, sole e stupendi panorami. I novizi, poi, potevano usufruire di bellissime passeggiate in luoghi incantevoli.

Nell’aprile del 1958, scrivendo a P. Bano, disse: “È passata la prima e la seconda crisi affettiva-nostalgica-sentimentale e tutto procede nella normalità anche se nuovi problemi non mancano di sorgere e la lotta continua senza tregua. Sono contentissimo di essere qui e sono grato a Dio per avermi indicato e aperto questa strada. Ciò non toglie che senta tutto il peso del mio limite, della mia pochezza e che tante cose mi tengono ancora legato alla terra. I miei rapporti col padre maestro sono ottimi; sa capirmi e aiutarmi. Da Savignano mi arrivano notizie che il lavoro in parrocchia va avanti bene anche senza di me. Sono convinto che l’apporto che do oggi valga più di quello passato… se non altro per tutte le patate che sbuccio qui in noviziato”.

Formatore di futuri missionari

Nella domanda di ammissione ai voti scrisse: “Sono convinto della mia pochezza e del mio limite, però l’amore che Cristo ha per me e la sua sete di anime mi spingono a riamarlo e a darmi a lui con tutte le mie forze”.

Fece lo scolasticato a Venegono Superiore e fu ordinato sacerdote il 7 aprile 1962 a Milano dall’allora Cardinale Montini, dopo aver chiesto la dispensa a Roma per emettere i voti perpetui dopo solo tre anni da quelli temporanei. Gli fu concesso.

Dal 1962 al 1968 fu formatore e animatore missionario nel seminario comboniano di Pesaro; nel 1968 fu mandato nel liceo di Carraia come padre spirituale. Fu lì che, con pazienza, cercò di vivere accanto a quei giovani un po’ bollenti, di ascoltarli, di camminare con loro, soprattutto di intravedere insieme ad altri confratelli il nuovo cammino della formazione nell’Istituto. Anche lì si dimostrò persona buona, disponibile, amico sincero dei giovani.

Dal 1969 al 1973 fu a Padova come formatore nel seminario liceale comboniano. “Nella nostra comunità c’è senz’altro un clima di serenità, di comprensione, di stima reciproca che cerchiamo di costruire ogni giorno e di conservare come un dono prezioso. Tra noi del gruppo dei formatori c’è vera intesa e piena comunione. Per quanto riguarda il lavoro con i giovani stiamo rivedendo e confrontando l’impostazione del sistema educativo. Possiamo dire di essere soddisfatti di aver portato avanti ciò che ci eravamo proposti. Nella formazione ci siamo sforzati di creare una comunità di fede, fondata sull’Eucaristia e sull’impegno missionario. Anche nella scuola i nostri giovani si sono fatti onore. Dei 16 di terza liceo 12 vanno in teologia; con gli altri abbiamo preferito essere chiari e distoglierli dal proposito di andare avanti su questa strada”.

Egli si trovò in pieno nella bufera scatenata dal “sessantotto” eppure riuscì a controllare la situazione attuando un nuovo metodo formativo basato sull’animatore unico che guidava il giovane alla maniera degli antichi maestri di spirito. Fino al quel periodo, infatti, per la formazione c’era il superiore per il foro esterno e il padre spirituale per quello interno. Alle volte tra i due non c’era identità di vedute riguardo a qualche giovane. Inoltre, anziché manovrare una massa, cosa assai difficile, ogni formatore aveva il suo piccolo gruppo. Nulla vietava che ci fosse uno scambio di pareri tra i vari formatori dei diversi gruppi.

Per due anni, 1973-1975, fu formatore dei postulanti a Napoli dove si era iniziata l’esperienza del secondo postulantado comboniano in Italia, oltre a quello già esistente a Firenze.

Destinandolo alla missione il Superiore Generale, P. Tarcisio Agostoni, gli scrisse: “Approfitto di questa lettera per ringraziarti del lavoro fatto in questi lunghi anni nella provincia italiana. Hai passato e sofferto tutto il travaglio formativo di questi anni e ti ho visto protagonista valido del processo di recupero dei valori formativi nella provincia italiana. Il Signore solo ti potrà ricompensare; la buona riuscita dei giovani da te formati sia il segno del compiacimento di Dio sulla tua azione educatrice”.

Nel Brasile Nord-Est

Nel 1976, dopo alcuni mesi di sosta a Lisbona e a Coimbra in Portogallo per apprendere la lingua, P. Lello poté imbarcarsi per il Brasile Nord-Est. Non potendo partire per l’Africa che aveva sempre sognata (gli richiamava anche la campagna d’Africa del papà) ebbe la soddisfazione di fare un viaggio in quella terra, particolarmente in Congo, ma toccò anche l’Uganda. “Il viaggio in Africa è stato per me una grazia straordinaria. Ho visto come cammina quella Chiesa. Ho raggiunto il massimo del peso minimo: 59 chilogrammi. Ho visto la vita dura dei confratelli che sono dei veri eroi. Per me basterà la cucina romagnola per rimettermi in sesto”. Il viaggio in Africa non era stato un’evasione turistica; anzi, P. Lello ne aveva approfittato per predicare alcuni corsi di esercizi spirituali ai confratelli e alle suore.

Prima che lasciasse l’Italia per la missione del Brasile, il responsabile dei missionari in Italia gli scriveva: “Grazie, caro Lello per tutto il bene che mi hai e ci hai fatto con la tua attività intelligente, generosa e carica di fede”.

Già dal 1972 P. Lello aveva cominciato a scrivere ai superiori che voleva partire per la missione, dato che gli anni passavano. Scrisse: “Mi sento pienamente disponibile ad intraprendere il cammino che Dio mi mostrerà. Vorrei che la scelta della missione fosse unicamente determinata dalla fede. Credo, tuttavia, di essere nella logica della fede se manifesterò la mia preferenza per l’Africa nella fedeltà totale allo spirito del Comboni”. Nel 1975, da Napoli scrisse al Superiore Generale: “Non mi pento di nessuno dei miei giorni passati in Italia dando il mio modesto contributo all’animazione missionaria e alla formazione. Oggi tuttavia credo che per me sia arrivato il tempo di non dilazionare ancora sia per il motivo della mia età, sia per una grande disponibilità alla missione che non si è mai affievolita in questi anni, anzi è sempre cresciuta. Inoltre la mia andata in missione in questo momento costituisce per me un’esigenza così determinante della mia vocazione, alla quale non posso non obbedire con risolutezza. Sa anche lei che la partenza per la missione è per noi un diritto e un dovere”.

Nel 1975 arrivò la destinazione per il Mozambico. Ma nel 1975 il Mozambico era anche diventato indipendente ed aveva chiuso le porte ai nuovi missionari, quindi P. Lello venne destinato al Brasile. Lì è rimasto fino a pochi mesi prima di morire. È morto in Italia, ma per la gente del Brasile è morto in Brasile e riposa nel cuore della sua gente.

Nei primi anni della sua presenza in Brasile si dedicò alla pastorale nell’interno del Maranhão: fu parroco a Paraibano dal 1976 al 1980 e, nello stesso tempo, insegnava filosofia ai giovani. “Io qui mi trovo bene – scrisse al Superiore Generale – mi pare anche di essere entrato in pieno ritmo di lavoro. Non ho la pretesa di fare grandi cose, ma di non perdere tempo preoccupandomi di conservare la mia pace interiore e di annunciare a questa gente il Signore risorto. Cerco di vivere nella carità e nella preghiera il mio ruolo di padre e responsabile di questa fraternità”. P. Lello cominciò subito a condividere con il popolo i problemi della terra, dei poveri che erano sfruttati dai latifondisti. Per questo “non era preoccupato di perdere la sua calma”, perché “la calma” poteva essere persa facilmente, soprattutto per riuscire ad equilibrare le giuste esigenze dei contadini con la prepotenza dei padroni, senza danneggiare l’attività missionaria.

Superiore provinciale

Nel 1978 venne eletto vice provinciale del Brasile Nord-Est. Contemporaneamente, dal 1980 al 1982 fu rettore del seminario diocesano di São Luís. Nel 1981 fu scelto dai confratelli come superiore provinciale, perciò dovette spostarsi nella casa provincializia, sempre a São Luís. Non furono anni facili. Furono anni anche di sofferenza. Il suo sogno era di essere “a servizio”, ma la realtà non sempre corrispondeva a questo suo sogno. In una lettera ad un amico scrisse: “La tentazione del potere non mi ha mai sfiorato. Questo mestiere non mi piace, ma vedo che debbo pur farlo”. Vi rimase fino al 1986, anno in cui passò a Santa Rita come parroco e rettore della Casa do menor. Fiducioso nei giovani brasiliani, nel 1986 aprì un postulantado a Timon.

Nel 1986 chiamò in Brasile le suore “Maestre Pie”, fondate a Rimini nel 1851 da Elisabetta Renzi, poi beatificata nel 1989, aprendo loro la missione di Timon.

Ma ecco che nel 1987, mentre si trovava in famiglia per le vacanze e per il 25° di sacerdozio, ricevette una lettera dal Superiore Generale nella quale gli veniva chiesto di fermarsi in Italia per la formazione. Fu una botta in testa per il nostro Lello: “Le chiedo di tenere conto dei 14 anni dati alla formazione in Italia prima della mia partenza per il Brasile; tenga conto anche del mio mandato di provinciale per quasi sei anni, che mi ha distolto dal ministero diretto tra la gente; tenga conto che, per stare con la gente ho rinunciato ad assumere il ruolo di rettore del seminario interdiocesano del Brasile Nord-Est; e infine tenga conto che ho 54 anni. Se mi fermo in Italia per sei anni, come riuscirò a inserirmi nuovamente nella pastorale del Brasile? A 62 anni sarò già un vecchietto”.

“Ho sentito che stai lavorando molto nei gruppi e nelle parrocchie, perciò ti lascio al Brasile che ha pur bisogno di missionari dedicati come te”, gli fu risposto.

Nel Brasile Sud

Terminato il suo apostolato nella Casa do menor nel 1989, venne trasferito alla provincia comboniana del Brasile Sud, precisamente a San Paolo. Fu parroco, formatore degli scolastici, economo provinciale e superiore locale praticamente dal 1990 al 1998. Anche se la formazione lo distoglieva un po’ dall’apostolato diretto, che era la sua passione, dato che allo scolasticato era annessa anche una parrocchia, trovò modo di darsi alla gente e di coinvolgere in questo i suoi allievi scolastici, spingendoli sulla strada buona del ministero diretto con il popolo, preparandoli ad affrontare i problemi concreti che avrebbero incontrato un domani.

Come formatore seppe costituire una perfetta comunione con l’altro formatore, P. Danilo Cimitan. Questo fu uno dei grandi valori che diede ai giovani brasiliani che si preparavano al sacerdozio. Attraverso la direzione spirituale seppe calare i valori del carisma comboniano nei suoi discepoli. Lo scolasticato di San Paolo, in quel periodo, stava vivendo una situazione particolare a causa del cambiamento della casa con alcune tensioni legate a questo fatto, la sostituzione di un formatore e la presenza, per la prima volta, di scolastici africani. Non era facile amalgamare tutti quei caratteri con culture diverse.

Nel 1999 passò a Carapina come addetto al ministero. Lavorò sodo per formare e animare comunità di base nelle quali i cristiani del luogo si preparavano con tanta buona volontà ad evangelizzare i loro fratelli, ma l’anno dopo fu dirottato nuovamente a San Paolo come addetto al ministero, risiedendo nella casa provincializia. Qui lo attendeva la malattia che lo costrinse a rientrare in Italia. Andò a curarsi a Verona. Il suo grande desiderio era quello di guarire al più presto per tornare in Brasile.

P. Lello fu un grande animatore missionario. Abbiamo le lettere che scriveva agli amici di Savignano, gli articoli sui giornali locali firmati da P. Lello in cui venivano affrontati i più svariati argomenti come “Il Brasile, la famiglia e altre cose”, “L’America latina cerca la sua liberazione e la Chiesa è con lei”, “Brasile, periferia del mondo e centro della storia”, “A scuola del Vangelo e della storia”, “Chiesa latino-americana: una sfida continua”…

Si trovava in famiglia per le feste di Natale quando fu portato d’urgenza all’ospedale di Rimini e lì si è spento la mattina del 5 gennaio 2002, vigilia dell’Epifania.

Uomo di fede e apostolo

La fede di P. Lello si esprimeva in un grande e appassionato amore a Gesù Cristo. Da questo amore a Cristo scaturiva una simpatia umana molto forte verso le persone. Con P. Lello i giovani si sentivano amati. Inoltre ha sempre dato la preferenza all’evangelizzazione, rendendo così anche più efficace la promozione umana di fronte alla quale non si è mai tirato indietro. Ha amato profondamente la sua famiglia, la sua “buona gente di Romagna”, ha amato la sua diocesi alla quale è stato sempre legato. Ha amato i giovani che ha avuto in formazione. Ha amato i ragazzi di strada, la parrocchia. Ha amato il Brasile per 26 anni.

“Il Vangelo della morte di Gesù – ha detto il superiore provinciale d’Italia alla messa funebre - ci richiama la vita di Lello che ha voluto vivere unito a Cristo fino al punto di assumerne la missione in maniera radicale, mettendosi per le strade del mondo come un pellegrino.

Come quella di Cristo, anche la morte di Lello è stata dolorosa, come di chi si è fatto carico del peccato e della sofferenza dell’umanità. Però è una morte feconda come quella di Cristo. Per la morte di Cristo tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Come Cristo, anche tu, caro Lello, hai pensato prima agli altri poi a te stesso. Hai amato i più poveri e i più piccoli, come Gesù.

La morte è dolorosa per chi rimane. Ma dobbiamo pensare alla resurrezione, come molto spesso solevi dire tu”.

Il parroco di Savignano ha detto: “Il tuo desiderio di tornare in Brasile non si è realizzato. Ti aspettavano. Ora rimani con noi nella tua comunità di origine, ma sei presente in mezzo a tutti coloro che hai conosciuto e amato. Per tutti quelli ai quali hai donato generosamente la vita per la crescita del regno di Dio, la tua morte è un vuoto certamente colmato dalla tua preghiera di intercessione per noi e per tutti. Sei il nostro protettore. La nostra comunità ti ha seguito sempre nel cammino missionario. La tua missione era la nostra missione: ci rappresentavi tutti. La tua opera era sempre presente a noi. Sei stato il nostro ideale missionario. Con la tua preghiera suscita l’ideale missionario nei nostri giovani e la risposta generosa alla chiamata.

Siate pronti con la cintura ai fianchi e la lucerna accesa. Lello, tu eri pronto: ogni sera quando ti portavo l’eucaristia, tu dicevi: ‘Siamo arrivati al traguardo. È necessario prepararsi’. Ti stavi preparando. Eri già pronto. Una venatura di speranza ti faceva ripetere ogni tanto: ‘Quando potrò tornare?’, pur comprendendo che ormai non si sarebbe più realizzato il ritorno. Ora lassù hai tutto presente e potrai continuare la tua opera missionaria con efficacia.

Il tuo sogno è realizzato. Caro Lello, non un addio, ma un arrivederci. La tua comunità ti saluta e ti ricorderà sempre”.

Anche una suora di Timon ha voluto ricordare quanto Lello ha fatto per la fondazione della loro casa e della loro comunità in Brasile e quanto si è adoperato perché non mancassero mai dell’assistenza religiosa, della formazione continua, della direzione spirituale.

“Aveva una perfetta cognizione della situazione sociale in cui viveva, ma aveva sempre lo sguardo fisso su Gesù Eucaristia da cui traeva forza e coraggio. Non l’ho mai visto adirato eccetto quando toccavano i suoi poveri. Guardava le miserie umane con occhio benevolo, lasciando giudicare al Padre misericordioso. Diceva spesso che l’importante è amare con cuore sincero e non preoccuparsi se poi le cose non andavano come avremmo voluto. Diceva anche che i poveri ci insegnano che cos’è la fede. ‘Facciamoci piccoli e umili e impariamo da loro’, ripeteva spesso. In P. Lello abbiamo letto una pagina del Vangelo…”.

Il suo funerale è stato un trionfo. I giornali ne hanno parlato con ricchezza di particolari e abbondanza di foto: “Mille persone e 52 sacerdoti per dire addio a P. Lello”, “Si è spento nella notte P. Lello Gasperoni, amatissimo missionario 68enne”, “Una via e una fondazione per P. Lello”, “Si è fatto prossimo ai poveri, per 26 anni missionario in Brasile, che ha amato fino alla fine”, “Per P. Lello 52 preti al funerale”,  “Arrivederci P. Lello”…

È stato sepolto nel cimitero di Savignano, accanto alla sua gente, ai suoi familiari.

Il ricordo che ha lasciato ai confratelli e alla gente è stata la sua capacità di creare relazioni con le persone. Sono molti i Comboniani che l’hanno avuto come formatore e poi come compagno di viaggio nella missione. La sua presenza, il suo lavoro, hanno marcato molte persone. P. Lello è stato una benedizione per l’Istituto e per tutti quelli che l’hanno incontrato nel suo servizio pastorale. Che dal cielo aiuti tanti giovani incamminati verso la vita missionaria. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

 

 

 

Fr. Raffaello Gasperoni was born on 29 September 1933 at Savignano on the Rubicone River, province of Forlì and diocese of Rimini. The son of Paolo and of Elisabetta Zamagni, he lost his father at an early age. The mother provided for the family by running a small fruit store. He began his journey towards the priesthood by entering the regional seminary of Bologna in 1952 and remained there till he finished the philosophical studies. A very good and committed young man, he decided to join the Comboni Institute after listening to one of Fr. Enrico Farè’s talks. This is what he wrote in 1957: “I truly believe that I have finally found my way and myself. From today I feel that I belong totally to Christ. I am sure that, with the help of God and good will, I will be able to bring about that transformation that will make me an “alter Christus” in the true sense of the word”. With the encouragement of his diocesan superiors and of his bishop he entered the novitiate of Gozzano in November 1957, where he then made his first profession on 9 September 1959. In his application to be admitted to his first profession he wrote: “I am well aware of my poverty and limitations: but the love of Christ for me and his thirst for souls compel me to love him in return and to give myself to him with all my strength”.

He attended the scholasticate in Venegono and was ordained priest on 7 April 1962 in Milan by the then Cardinal Montini. From 1962 to 1975 he worked in Italy, beginning his missionary service as vocation promoter in Pesaro.

Those were the challenging days of the great changes brought about by the II Vatican Council, even in our Institute and, particularly, with regard to formation. In 1968 he was sent to Carraia as spiritual director. There, with serenity, he tried to be close to those rather hot-headed students, in order to understand them and to walk with them. Above all, he struggled with his confreres to comprehend the new formation journey of the Institute.

He gave a meaningful contribution to formation, attending in a creative way the 1969 General Chapter, which established the new approach in Comboni formation. After that he went to Padova, where the students from Carraia had been moved, to implement the new formation approach that had emerged from the General Chapter.

He was a fine person, always available, a true friend of young people. From 1973 to 1975 he was in Naples, where a new postulancy had just been opened (the other being in Florence). This long period of time spent in Italy may be best summed up in the words Fr. Tarcisio Agostoni, the Superior General at the time, wrote to him on 28 June 1975, while assigning him to the missions: “I take advantage of this letter to thank you for all the work you have done during the years you spent in the Italian Province. You struggled and suffered for the turmoil formation went through during those years. You were a valid contributor to the process of recuperating the formation values of the Italian Province. Only God can reward you; may the success of the young people you formed be the sign of God’s approval of you as a formator”.

In 1975 he was destined to go to the missions. His first destination was Mozambique but, due to the difficulties in entering that African country at the time, he was switched to Brazil. He worked in Brazil North-East from 1976 to 1990, beginning with pastoral work at Paraibano, in Maranhão. From 1981 to 1987 he was elected provincial. These were not easy times! There was plenty of suffering. His dream was to be of service to others, but reality did not always match his wish. At the end of his mandate he remained in the province until 1990, when he was transferred to Brazil South. At first he was at the scholasticate of São Paulo, helping in formation and acting as parish priest as well. He was provincial treasurer from 1994-1998 and then spent the last three years as parish priest of Carapina, organising small Christian communities.

While in São Paulo, Fr. Lello’s health began to deteriorate. He had to return to Italy towards the end of 2001 and went to Verona for medical treatment, always in the hope of recovering and go back to Brazil. While at home for the Christmas holidays he died at the hospital in Rimini in the morning of 5 January 2002, the vigil of the Epiphany.

Fr. Lello had the great gift of relating to people. Many Comboni Missionaries had him either as formator or as member of the community. His presence and his work have left a mark in many people. He was a blessing for the Institute and for all who met him during his missionary life. May his example and his prayers assist young people who are preparing for the missionary service.

Da Mccj Bulletin n.216 suppl. In Memoriam, ottobre 2001, pp. 34-46