Il cammino verso il sacerdozio per P. Gaetano Perrella è stato irto di difficoltà. Da ragazzino ha frequentato il “vocazionario” insieme al suo compaesano e compagno d’infanzia P. Raffaele Tessitore (di un anno più vecchio) con il quale condividerà la missione in Sudan Meridionale. Non ci spaventi la parola: si trattava di una specie di pre-seminario-oratorio che il parroco, Don Pasquale Ziccardi, gestiva in un piccolo complesso vicino alla chiesa. Don Ziccardi fu un grande animatore missionario e, dal suo cuore, uscì un buon numero di sacerdoti e religiosi.
Con Gaetano c’erano altri ragazzi che passavano il loro tempo libero nel vocazionario. Giocavano, studiavano, pregavano e, sotto la direzione del parroco, imparavano a fare tanti lavoretti come statuine che poi coloravano e utilizzavano per l’annuale pesca di beneficenza. Il parroco li assisteva, li guidava e li aiutava a discernere la volontà del Signore nei loro riguardi.
I più tornavano alle loro case e poi si sposavano mettendo in piedi delle famiglie cristiane, altri maturavano la vocazione al sacerdozio. Allora Don Pasquale li indirizzava al seminario diocesano o agli ordini o a congregazioni religiose.
La vocazione missionaria
Durante la messa della festa dell’Assunta dell’anno 1929, Don Giustino Russolillo, un sacerdote innamorato della Madonna e delle missioni, fondatore delle Suore Vocazioniste e attualmente incamminato alla gloria degli altari, tenne una predica molto infuocata. Non sappiamo che cosa abbia detto. Sta di fatto che, dopo la comunione, Gaetano sentì chiara la voce del Signore che lo chiamava alla vita missionaria. Ne parlò al parroco il quale, dopo avergli fatto una carezza sulla testa, gli disse:
“Credo proprio che tu possa diventare un bravo missionario per l’Africa… ma, te la senti di lasciare i tuoi genitori e i tuoi fratelli?”. “Con la grazia di Dio spero di farcela”. “Sì, tu ce la farai. Verrò anch’io a parlare con i tuoi”.
Papà Gaetano faceva lo stradino comunale, anzi il capo degli stradini, ma aveva anche un po’ di terra per arrotondare il magro stipendio. Gaetano, degli otto figli, era il quarto dopo tre femmine. La mamma, Raffaella Alessandrino, aveva da molto fare per accudire alla numerosa nidiata. La sorella di P. Gaetano, Sr. Raffaella, delle Suore Vocazioniste, scrive: “La mamma era buona e premurosa con tutti. Ogni volte che faceva il pane, sempre preparava delle focacce per i poveri del nostro palazzo e a tutti dava quello che poteva. Cominciava la sua laboriosa giornata con la messa che cominciava alle prime ore del mattino. Era una donna dolce, caritatevole, gentile. Chiunque bussasse alla porta di casa non si allontanava mai a mani vuote non solo per le cose materiali, ma anche con parole buone e consigli per la vita. Tuttavia, quando si trattò di dare il proprio consenso alla partenza di Gaetano per il seminario, disse: ‘Sei troppo piccolo, hai ancora bisogno della mamma’. Il papà, invece, diceva:
‘Questa è una benedizione per la nostra famiglia. Il primo maschio diventerà sacerdote, tutto per Gesù e per la Chiesa’.
Il papà aveva una grande fiducia nella Provvidenza. Quando nel 1943 vennero i tedeschi a Marcianise e lo presero in ostaggio, noi tutti piangevamo mentre egli diceva: ‘Pregate, perché Gesù sa ciò che è giusto per la nostra famiglia’.
Entrambi i genitori erano cristiani convinti e assidui praticanti della chiesa. Dopo il primo attimo di smarrimento, dichiararono che se quella era la volontà del Signore nei confronti del loro figlio, erano disposti a lasciarlo andare”.
Toccò a Don Aniello Calcara, fratello dell’arcivescovo Calcara, condurre Gaetano e altri due giovinetti (uno era il futuro P. Raffaele Tessitore) nel seminario comboniano di Sulmona. Era l’anno 1930. Quando calò la notte e Gaetano si trovò da solo nel suo lettino, non poté trattenere le lacrime… Uno dei misteri della vocazione è anche questo: come dei ragazzini di nove, dieci anni, abbiano la forza di lasciare la mamma, la famiglia, i compagni, per chiudersi volontariamente in un seminario.
Don Calcara, in una sua testimonianza dopo la morte di P. Tessitore, racconta il momento dell’entrata di quei tre ragazzi nel seminario missionario. “Ero seminarista nel seminario diocesano di Sulmona, diretto da mio zio, Mons. Calcara. Difficilmente potrò dimenticare quel lontano settembre allorquando, ritornando nel mio seminario per la ripresa degli studi, accompagnai i tre giovinetti dai missionari. Durante il viaggio erano abbastanza vivaci. Al momento dell’addio cambiarono registro e vidi sui loro volti un velo di tristezza”.
Cambio di rotta
In seminario Gaetano si applicò allo studio esigendo troppo dalla sua testa e dalle sue forze per cui cominciò a cadere in una sottile forma di esaurimento. I superiori erano sul punto di mandarlo a casa, anche perché, alla salute, si accompagnava una forma di leggerezza infantile che rendeva il giovinetto intollerante della disciplina, del silenzio e di scarso rendimento nella scuola… Insomma ce n’era abbastanza per fermarlo. Ma lui era attaccato alla vocazione e voleva diventare missionario ad ogni costo.
A questo punto conviene citare una cartolina postale scritta dal suo parroco, Don Ziccardi, che fotografa la situazione del nostro seminarista:
“Caro Perrella, quando un mio allievo posto in un Istituto si fa cacciare per mala condotta, io non lo guardo più, ma nel caso tuo io ti voglio più bene di prima perché sono convinto che hai fatto tutto quello che hai potuto e non ci sei potuto arrivare. Però puoi essere missionario ugualmente facendo il catechista. Eguale sarà la corona che potrai meritarti in cielo. Purché si lavori nel campo del Signore, ci attende la stessa mercede. Beati quelli che, lontani dalla corruzione del mondo, si dedicano al servizio di Dio. San Luigi, re di Francia, si compiaceva di spazzare la chiesa. Resta dunque contento e prega per noi”. Poi il buon parroco si rivolge al rettore e dice: “Per quanto mi dispiaccia la riprovazione di Perrella, mi conforta assai l’aver trovato il padre disposto a lasciarlo come coadiutore”.
Anche papà Gaetano scrisse al figlio dicendogli: “Se tu hai piacere di rimanere come coadiutore, so che il rettore te lo concede; io però non voglio forzarti: tu fai come ti pare e piace”.
Così il nostro Gaetano lasciò la scuola apostolica per sacerdoti e andò a Thiene dove venivano preparati i giovani che volevano diventare Fratelli. Ma portava nel cuore una forte nostalgia di sacerdozio.
Una nota di P. Giacomo Andriollo in data 10 aprile 1937, dice: “Perrella Gaetano, entrato nella scuola apostolica di Sulmona nel 1930, da questa è passato a Thiene il 27 luglio 1934. Sa fare il calzolaio, il cuoco e un po’ il falegname. Va bene nella purezza e, sebbene senza unzione, ama la pietà e promette di riuscire”. Quando P. Andriollo scriveva questa nota, il nostro giovane stava per terminare il suo tirocinio come Fratello a Thiene e si accingeva ad entrare in noviziato.
La bufera non si placa
Il 13 aprile 1937 Gaetano entrò nel noviziato di Venegono Superiore accolto da P. Antonio Todesco, padre maestro. I giudizi, all’inizio, erano molto positivi. Ma, col passare dei mesi, la tensione cominciò a diminuire. “Ha fatto qualcosa, non però come doveva. Si mostra svogliato, poco generoso, poco amante del sacrificio e della mortificazione, poco scrupoloso nell’osservanza della regola, un po’ arrogante. È molto intelligente, però non si applica come dovrebbe. Si era deciso di eliminarlo, ma poi si è messo con più impegno. Attendiamo”.
Insomma, i vecchi difetti facevano capolino e P. Todesco non era disposto a chiudere gli occhi. A quei tempi, il pretesto per mandare via un soggetto era quello della poca salute. Possediamo la minuta della lettera che il padre maestro scrisse alla famiglia: “Gaetano è abbastanza sano, ma richiederebbe dei riguardi. Il che non si può fare in un Istituto come il nostro. Il giovane ha già dato segni di questa stanchezza, perché non si vede in lui quella generosità nell’agire che si richiederebbe da un figliolo che desidera legarsi ad un Istituto con i santi voti religiosi. I superiori stanno decidendo sul suo conto: io ho voluto mettervi al corrente di tutto onde non vi meravigliate se si dovesse venire ad una decisione che obbliga il figliolo a tornare in famiglia…”
In data 25 ottobre 1939, la mamma rispose con una lettera piuttosto allarmata: “Reverendissimo padre superiore, la vostra lettera è passata per le mie mani e non l’ho fatta vedere a mio marito che è già piuttosto arrabbiato per mancanza di lavoro. Ciò che voi dite è impossibile: se mio figlio si è ammalato, si è ammalato presso di voi e, così conciato, come volete che torni in famiglia?
Noi l’avevamo offerto al Cuore di Gesù. Ora non possiamo ammettere che il Cuore di Gesù lo cacci fuori dalla sua casa, solo perché si è ammalato. Se non può essere buono per la missione in Africa, come voi dite, potrà servire Dio nelle cose più umili anche in Italia. Vi supplico, perciò, in nome di Gesù Cristo, di non rovinare il mio povero figlio e tutta la mia povera famiglia insieme con lui…”.
La lettera della mamma ha fatto presa sul cuore del superiore il quale, dopo aver richiamato energicamente il novizio, gli concesse di andare avanti, però, invece di fargli emettere i voti con gli altri, gli prolungò l’attesa di sei mesi, portandoli al 2 febbraio 1940, giorno in cui Maria presenta Gesù al tempio.
Cuoco e tuttofare
Dopo la professione, Fr. Gaetano fu inviato a Padova (1940-1941), a Troia (1941-1945) e a Sulmona (1945-1947) con l’incarico di vice cuoco ed economo. Si era in tempo di guerra ed era impossibile partire per la missione. Egli sapeva di essere tenuto d’occhio. Ma ormai aveva fatto una buona strada nella via della virtù, era maturato e le turbolenze giovanili sembravano acqua passata.
Oltre che cuoco, il nostro Gaetano si prestava anche per l’assistenza dei seminaristi durante qualche ora di studio. Le medie che aveva frequentato a Sulmona gli furono utili perché, di tanto in tanto, doveva dare qualche spiegazione ora all’uno ora all’altro.
Il suo compito non si esauriva tra le pentole e i fornelli ma, nel pomeriggio del giovedì, si univa ai ragazzi per la mezza giornata di passeggio nei dintorni. Era quello il momento in cui trasmetteva le sue esperienze e, a forza di dire buone parole e dare buoni consigli agli altri, finiva per metterli in pratica lui stesso.
“Io lo conobbi a Troia nel 1940 – scrive P. Angelo D’Apice – quando facevo il chierichetto nella chiesa della Mediatrice. Alto, giovane, attivo, aperto come ogni napoletano, suonava l’harmonium molto bene e insegnò quell’arte anche ad altri. Faceva il vice cuoco (il capo era Fr. Nicola Schiavone) ma faceva anche lo spenditore, cioè colui che andava al mercato o nelle botteghe per comperare l’occorrente per la cucina. È stato un religioso che ha lasciato un segno positivo in ognuno di noi”.
Il Superiore di Troia, in calce alla lettera di Fr. Gaetano con la richiesta di rinnovare i voti, scrisse: “È un Fratello che mi fa una buonissima impressione attendendo con diligenza alle sue mansioni. È inutile aggiungere che è esatto e puntuale nelle sue pratiche di pietà. È un grande lavoratore benvoluto dai ragazzi ai quali dà edificazione con il suo modo di parlare e di comportarsi”.
Dal 1948 al 1949 Fr. Gaetano fu nella casa di Crema come addetto ai piccoli lavori che un seminario richiedeva. Il suo carattere espansivo, gioviale, sempre ottimista lo rese gradito in comunità e caro ai confratelli.
Quattordici anni di Africa
Nel 1948 - la guerra era terminata da alcuni anni - le vie del mare si erano aperte, quindi, anche per Fr. Gaetano arrivò il momento di salpare per la missione. Fu destinato al Bahr el Ghazal, nel Sudan Meridionale. Laggiù la situazione era piuttosto drammatica: i confratelli erano stanchi per le conseguenze della guerra che si erano fatte sentire anche in Africa. Infatti, per cinque anni, non era stato possibile inviare personale “fresco” e anche il flusso degli aiuti si era inaridito.
Ma ora, in tutte le missioni c’era un notevole risveglio: ne nascevano di nuove, le vecchie si ingrandivano, le scuole si moltiplicavano e così pure i centri sanitari. C’era un gran bisogno di Fratelli che dirigessero i lavori e insegnassero ai giovani africani l’arte del muratore, del falegname, del meccanico, del contadino…
Fr. Gaetano si mise al lavoro con tutta la sua buona volontà. A seconda del bisogno, si trasferiva nelle varie missioni, sempre con la massima disponibilità. Fu a Raga dal 1948 al 1949, a Dem Zubeir dal 1949 al 1952; nuovamente a Raga dal 1952 al 1956, a Bussere dal 1957 al 1958 e a Wau come procuratore provinciale. Questo incarico di responsabilità e di fiducia indica la stima che il nostro Fratello godeva presso i superiori.
“Qualche volta dà segni di stanchezza, e non potrebbe essere diversamente con tutto il lavoro che porta avanti” ha scritto P. Giovanni Battista Zanardi. “Sta di fatto che continua lodevolmente il suo lavoro ed è contento. Qualche volta, viene a galla il suo segreto desiderio di diventare sacerdote”.
“Dimostra grande zelo per la Chiesa, per le funzioni, ecc. Tratta bene la gente dalla quale è stimato. Ha buone doti e riesce a realizzarsi in tutto. In comunità è elemento di serenità per i confratelli. Ha imparato bene l’arabo, l’inglese e lo ndogo. La salute tiene bene. Insomma, è un buon fratello che si presta a tutto secondo le sue forze e le sue possibilità”, ha scritto P. Saturno Stefano Santandrea.
Già prima dell’indipendenza dall’Inghilterra, che avvenne il primo gennaio 1956, il Sudan Meridionale cominciò a mostrare segni di irrequietezza. È del 1955 la rivolta di Torit che vide i soldati africani contro i loro commilitoni arabi. Il governo di Khartoum, con l’aiuto dell’Inghilterra, ristabilì l’ordine opprimendo il mondo nero e quello missionario che, ovviamente, era dalla parte dei neri.
Cominciarono le restrizioni contro i cristiani e contro la Chiesa, che in breve tempo si trasformarono in persecuzione vera e propria. Alcuni missionari che avevano incarichi speciali, furono espulsi. Tra essi ci fu anche Fr. Gaetano che, a causa del suo incarico di procuratore delle missioni, incappò nelle ire delle autorità arabe. La grande espulsione di tutti i missionari “testimoni scomodi di quanto gli arabi facevano contro gli africani” sarebbe avvenuta due anni dopo, nel 1964.
Brasile: seconda patria
È del 2 febbraio 1963 la prima lettera che Fr. Gaetano scrisse al Superiore Generale chiedendo “una eccezione alla regola” per cui da Fratello potesse diventare sacerdote. P. Gaetano Briani gli rispose: “Devo dirvi che il Consiglio Generale non ha creduto bene di fare l’eccezione. Anche l’ultimo Capitolo Generale, a una domanda che chiedeva se, in qualche caso, si poteva procedere all’ordinazione di qualche Fratello, la risposta è stata negativa. Accettate dal Cuore di Gesù questa risposta negativa che certamente per voi è tanto dolorosa e offritela per la pace nelle nostre missioni del Sudan”.
A questo punto Fr. Perrella chiese di essere mandato in missione. Se non poteva più rientrare in Sudan, c’erano cento altri posti che avrebbero potuto accoglierlo. Fu inviato in Brasile, diocesi di San Matteo, dove, in quel momento, c’era bisogno di un valido economo per mandare avanti le opere di quella Chiesa.
Il nostro fratello imparò molto bene la lingua portoghese e dimostrò subito di sapersela sbrigare benissimo, con soddisfazione di tutti. Rimase a San Matteo per cinque anni, dal 1963 al 1968, vivendo molto vicino al vescovo. In quegli anni, Gaetano si diede da fare per conseguire qualche diploma. Aveva capito che ormai, anche in Brasile, per poter lavorare meglio e incidere più a fondo, occorreva un titolo di studio. E poi lo studio poteva avvicinarlo al sacerdozio, se si fosse aperta quella benedetta porta... Divenne ragioniere e si diplomò in scienze amministrative. I due documenti sono del 1968.
Sacerdote
Intanto l’obbedienza gli fece capire che si aveva bisogno di lui a Ibiraçù. Vi andò, dedicandosi ai lavori di casa, ma senza trascurare lo studio. Ed ecco che nel Capitolo Generale del 1969, tornò sul tavolo il problema dei fratelli che desideravano diventare sacerdoti. Questa volta la risposta fu positiva. Fr. Perrella ne parlò subito con il nuovo Superiore Generale, P. Tarcisio Agostoni, ed ebbe via libera. La lettera ufficiale di richiesta per accedere al sacerdozio porta la data del 22 settembre 1969. Fr. Perrella fu uno dei primi a chiedere e, di conseguenza, a diventare sacerdote.
Alla lettera di domanda, allegò l’attestato di filosofia e di storia della filosofia, firmato dal vescovo di San Matteo, Mons. Giuseppe Dalvit, e da altri quattro insegnanti, e il diploma di ragioniere. Rientrato a Napoli, frequentò il corso di teologia. Il nostro studente aveva 50 anni, eppure si mise al lavoro con l’entusiasmo di un giovanotto. Il giudizio dei superiori è il seguente: “Ha pietà buona, anzi distinta; serietà nello studio, diligenza, assiduità alle lezioni, accuratezza nei lavori personali, tempestività negli esami. Nell’ultimo anno ha avuto la media del 28. È servizievole e generoso nei lavori di casa (cucina, ecc.) Così pure si è prestato molto per le giornate missionarie. Sa trattare con la gente. È un uomo completo e maturo”.
“Il 23 dicembre 1972, alle ore 18.30, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Consolazione in Villanova di Posillipo, Napoli, debitamente autorizzato dal Card. Ursi, arcivescovo di Napoli, con lettere dimissorie del Superiore Generale dei Comboniani, è stato ordinato sacerdote il professo di voti perpetui Gaetano Perrella per le mani di Mons. Diego Parodi, amministratore apostolico di Ischia”.
Queste poche parole coronavano un sogno portato avanti fin dagli anni giovanili. La soddisfazione del novello sacerdote toccò le stelle. Era stato provato nella sua vita, ma alla fine la misericordia e la benignità di Dio si erano manifestate.
Di nuovo in Brasile
Nel marzo del 1974 troviamo P. Perrella a Rio de Janeiro con il compito di procuratore generale. Vi rimase fino al 1994. Sembrava che quel ministero fosse tagliato per lui. La sua esuberanza napoletana non venne mai meno, anzi in Brasile ebbe modo di espandersi ulteriormente.
Aveva allacciato una serie di amicizie a tutti i livelli per cui niente ormai era impossibile a lui. Otteneva permessi che altri non si sognavano neppure di poter avere; e non solo permessi, ma anche aiuti per le missioni e per i numerosi poveri che bussavano alla sua porta. P. Perrella era diventato un’istituzione in quella immensa metropoli. Con un colpo di telefono, arrivava ovunque e le strade si aprivano. I confratelli che passavano dalla sua casa, trovavano un’accoglienza veramente fraterna.
Scrive P. Antonio Di Lella che per tanti anni è stato suo compagno in Brasile: “Perrella ha trascorso la maggior parte degli anni in Brasile, come procuratore della casa di Rio de Janeiro. In questa città, al suo tempo, arrivavano quasi tutti i confratelli e i parenti dei Comboniani dall'Italia. Adesso è chiusa. Ricordo P. Perrella sempre disponibile, sereno, pronto ad accogliere tutti con un cuore grande e fraterno. Il cibo che le suore davano agli ospiti era sempre quell’eterno riso e fagioli di tutti i giorni. Allora Gaetano, da buon napoletano, si preoccupava sempre di preparare agli ospiti (confratelli e parenti ) una buona spaghettata napoletana al sugo di pomodoro.
Era molto premuroso, delicato e preoccupato che agli ospiti non mancasse nulla. Lui stesso cucinava e faceva da domestico della casa: sempre pronto e ‘a servizio’ di tutti. Questa umiltà, disponibilità e serenità di spirito, sono state la sua più bella eredità, che ha lasciato nel cuore e nel ricordo di tutti la certezza di avere un fratello amico.
Un'altra caratteristica era la sua saggezza interiore. Molto intelligente e sensibile, era maestro nei rapporti umani e capiva subito le situazioni anche più delicate e difficili, che risolveva con un sorriso bonario, un'arguzia, un cuore pieno di amore e comprensione umana. Parlando con lui, si notava sempre l'uomo di Dio, mosso dallo spirito di amore di Gesù Cristo. Mai una parola di critica o di condanna per nessuno; ma sempre parole ispirate alla comprensione ed alla bontà.
Anche il suo servizio alle Suore dell'Istituto che ci ospitarono per molti anni, era sempre impegnato e fatto con amore. Negli ultimi tempi, le suore erano diventate anziane: avevano già chiuso la scuola ed avevano sempre più bisogno di assistenza spirituale e materiale. Lui si è sempre prodigato per la confessione, la direzione spirituale e l'assistenza delle suore inferme, con molta dolcezza.
Aveva anche la cura di una ‘favela’ di Rio de Janeiro e cercava di dare assistenza alla popolazione più povera, aiutando non solo spiritualmente ma anche materialmente i casi più gravi: era un vero pastore preoccupato del suo gregge.
Mai visto il P. Gaetano arrabbiato, ma sempre sorridente e benevolo in ogni circostanza ed ogni situazione. La sua figura è rimasta così nel cuore di tutti. Un bravo missionario, disponibile, ‘a servizio’ di tutti e sereno, con la sua arguzia napoletana, che smussava ogni situazione difficile”.
A questa attività abbinava una vita sacerdotale intensa, fatta di preghiera e di opere di carità.
“Era di una dolcezza straordinaria – scrive P. Pietro Bracelli – sempre sorridente, contento di tutto e di tutti. Verso i superiori aveva venerazione e stima. Sapeva controllarsi, tanto che non ricordo di averlo visto arrabbiato, né l’ho mai sentito alzare la voce. Aveva piantato caffè e banani in un terreno della missione. Quando un confratello passava dalla sua casa, gli preparava un buon piatto di spaghetti al sugo oppure una pizza napoletana, rendendo così il soggiorno più gioioso”. Lavorò senza risparmio logorando la sua salute finché, nel 1994, dovette rientrare in Italia.
“Diversi mi hanno parlato del tuo dono particolare dell’accoglienza – gli ha scritto il nuovo Superiore Generale, P. David Glenday, assegnandolo all’Italia – specie mentre ti trovavi a Rio, e mi auguro che questo atteggiamento di cuore possa fortificarsi e approfondirsi in te ora: accoglienza verso i confratelli della tua comunità, accoglienza verso la gente, accoglienza nella tua preghiera di intercessione delle realtà missionarie del nostro tempo”.
Andò nella comunità di Casavatore, Napoli, e si prese cura della chiesa annessa all’Istituto. Celebrava la messa, pregava con la gente e s’intratteneva a parlare dei vari problemi che gli venivano presentati cercando di dare soluzioni ispirate alla fede.
“Ho rivisto P. Perrella a Napoli nel 2001. Ricordava i fatti e le persone di 60 anni fa come se fossero accaduti una settimana prima – ricorda P. D’Apice – .Quello che mi ha edificato… dava al piccolo chierichetto di una volta sempre del lei, ringraziava sempre tutti, non aveva nessun senso di inferiorità, ricordando il tempo in cui era stato Fratello, quando faceva il cuoco o andava al mercato a comperare le patate…”.
Gli anni intanto passavano e la salute perdeva colpi. Una brutta caduta gli causò la frattura del femore sinistro. Fu portato in ospedale ma, un po’ per le complicazioni, un po’ per la scarsa cura riservatagli, peggiorò. Affrontò la malattia senza lamentarsi, con la serenità di chi si abbandona alla volontà del Signore. Una volta, a chi gli chiedeva se sentisse dolore, rispose: “Questo è il mio purgatorio” e si sforzò di sorridere. Spirò alle 17.30 del 24 maggio 2002. Si preparava a celebrare i suoi 30 anni di sacerdozio il 22 dicembre 2002. Li ha celebrati in cielo.
Dopo i funerali a Casavatore, nella cappella dell’Istituto, la salma è stata traslata a Marcianise dove riposa accanto ai suoi genitori. P. Gaetano Perrella lascia la testimonianza di un missionario sincero e generoso che, pur nella lotta contro un temperamento esuberante, ha saputo tenere sempre fisso lo sguardo alla sua vocazione che, come una stella, lo ha guidato nei meandri della vita fino a condurlo all’altare del Signore. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)
Fr. Gaetano Perrella, born in Marcianise, in the diocese of Caserta on 19 December 1920, entered the Comboni Missionaries when he was still very young. He made his first profession as a Brother on 2 February 1940. Six years later, on 2 February 1946, he took his perpetual vows. His first assignment was in Italy until 1948 when he was able to leave for the missions of South Sudan, where he stayed for 14 years.
In 1963 he was assigned to Brazil. He spent the first six years in the diocese of São Mateus under Bishop Giuseppe Dalvit. At the time the bishop was building some of the structures of the diocese, such as the seminary and the printing press. Bro. Gaetano was involved in the administration after having attended a course in accounting.
In those years, immediately after Vatican II, the Brothers were given the opportunity to study for the priesthood, and Bro. Gaetano decided, like other Brothers, to face the studies of philosophy and theology in preparation for the priesthood. He was assigned to Naples, where he attended classes at the school of theology from 1969 to 1973. He was ordained a priest on 22 December 1972.
Fr. Gaetano returned to Brazil in 1974 and remained there in the service of the procure of Rio de Janeiro until 1994. This procure was located on the grounds of the college of the Assumption Sisters and was at the service of both the Comboni provinces in Brazil.
Having returned to Italy for good, he was assigned to Casavatore (Naples) where he remained until the day the Lord called him to himself, on 24 May 2002. He exercised his ministry daily in the community chapel, which is open to the public, lately showing his regret that he had to leave to others what was keeping him in touch with the people.
Those who got to know him more closely during the last 30 years, bear witness to the fact that Fr. Gaetano gave himself to others with a generosity that was a characteristic of his family and regional heritage. He knew how to welcome all, confreres and local people, with kindness and understanding. His missionary formation had enriched him with new values by which he lived, especially the great kindness he showed his confreres at the procure of Rio de Janeiro. The procure was close to the favelas, where Fr. Gaetano used to go for his ministry and from where the poor and the pastoral agents of the small Christian communities would come to meet their friend.
Da Mccj Bulletin n. 216 suppl. In Memoriam, ottobre 2002, pp. 115-126