In Pace Christi

Caldarola Erminio

Caldarola Erminio
Data di nascita : 04/04/1907
Luogo di nascita : Inzago/MI/I
Voti temporanei : 29/06/1930
Voti perpetui : 29/06/1936
Data decesso : 18/09/2002
Luogo decesso : Verona/I

Fr. Erminio Caldarola era nato a Inzago, Milano, il 23 aprile del 1907. Da giovane faceva il materassaio e il tappezziere. Tutte le mattine andava a Trecella per prendere il treno che lo portava a Milano. Ma faceva lo stesso mestiere anche nella bottega paterna, quando venivano ordinate delle stanze matrimoniali. Il padre, infatti, era falegname.

La sua vocazione è nata all’oratorio San Luigi, che frequentava tutte le sere dopo cena, ed è frutto anche della sua intensa vita di pietà che si concretizzava con la Messa quotidiana, un po’ di meditazione e tanta preghiera.

Era assistente dell’oratorio di Don Giuseppe Calegari che poi si farà Missionario Comboniano. A lui devono la vocazione una decina di Comboniani ed altri religiosi e sacerdoti. Don Giuseppe invitava spesso il Comboniano P. Gaetano Semini per i ritiri spirituali ai giovani. Questi parlava di vocazione, sia allo stato sacerdotale che a quello laicale presentando il progetto di Comboni a proposito dei suoi collaboratori laici “uomini di provata pietà ed attitudine, principalmente allo scopo di farne dei catechisti, istruttori, maestri di arti e mestieri, necessari ed utili alla missione”. Erminio comprese che l’invito a mettersi sulle orme di Comboni era rivolto anche a lui, così, nel 1927, entrò nel noviziato comboniano di Venegono Superiore. Aveva 20 anni. L’anno prima era entrato il fratello Luigi (che morirà a Gulu nel 1978), mentre un altro fratello divenne sacerdote salesiano.

Erminio si mise subito all’opera con impegno. “Si adatta facilmente al suo ufficio – scrisse P. Giocondo Bombieri, padre maestro dei novizi – è giovane di preghiera e di molto attaccamento alla vocazione. È impegnato a combattere il suo carattere portato a qualche scatto d’ira, e ad una certa cocciutaggine nelle sue idee. Le relazioni con gli altri sono cordiali, e dimostra di essere un buon falegname. Credo che farà molto bene in missione”. Emise i primi voti il 29 giugno 1930.

“Sento ogni giorno di più il desiderio di donarmi totalmente alla vita religiosa ed apostolica in questa vocazione missionaria che mi appare sempre più bella nonostante i miei limiti. Rinnovo spesso il proposito di vivere secondo lo spirito della nostra Congregazione nell’obbedienza e nell’umiltà in modo da camminare verso la santificazione mia che si realizza nella salvezza delle anime”, scrisse in una lettera al Superiore Generale.

In Sudan meridionale

Aveva appena compiuto 23 anni quando, nel 1930, Fr. Erminio s’imbarcò per l’Africa. La sua destinazione fu il Bahr el Ghazal dove, a quel tempo, non c’era quasi niente da un punto di vista missionario. La sua prima missione fu quella di Yubu, iniziata nel 1923. Esisteva già la chiesa, le scuole e una bella falegnameria, ma c’era bisogno di altri fabbricati, in particolare della casa per le suore che sarebbero presto arrivate, di un dormitorio per i catecumeni e della scuola per le ragazze.

Il guaio era che, in quella missione, mancava l’acqua. Fr. Antonio Costa, celeberrimo rabdomante, non era riuscito a trovarne neanche una goccia per cui i missionari, e anche la gente, per avere un po’ del prezioso liquido dovevano andare alle sorgenti del Mboko, lontane più di un chilometro.

All’umidità del clima, che cominciò ad influire sulla salute di Fr. Erminio, si aggiunse la mosca tze-tze che provocava la malattia del sonno, e la persecuzione del sultano Zungumbià che si divertiva e requisire i giovani che andavano alla missione per mandarli a lavorare sulla strada che, dal campo dove erano concentrati i colpiti dalla malattia del sonno, andava a Yambio.

Il dottore inviato dal governo, in una sua visita, assicurò che quel flagello era ormai debellato nella zona, ma che ce n’era un altro in arrivo, ancora più tremendo: la lebbra. Tra i ragazzi della scuola se ne trovarono tre contagiati, per cui si decise di costruire un lebbrosario sulla stessa collina su cui sorgeva la missione. Ben presto i ricoverati furono più di 500. Ma anche la malattia del sonno tornò ad infierire costringendo tanta povera gente a vivere prigioniera nel campo.

Uno dei primi lavori di Fr. Erminio, eseguito insieme a Fr. Eugenio Monguzzi, fu l’installazione della rete idraulica per attingere acqua dal Khor. Seguì poi la costruzione di un’ampia vasca-serbatoio per averne sempre una buona riserva. Quindi si iniziò l’ampliamento della casa dei missionari. Fr. Erminio divenne anche impastatore di mattoni. Ottantamila ne preparò, sia per la casa dei missionari, sia per altri dormitori dei catecumeni. Con l’arrivo delle suore, anche le ragazze poterono frequentare la scuola, ma si dovettero preparare degli spazi a loro riservati. E anche questo fu un lavoro del nostro Fr. Erminio.

Come se le disgrazie non bastassero, in quel periodo la popolazione fu colpita da dissenteria, bilarzia e altre piaghe che uccisero anche alcuni cristiani. Inoltre si susseguirono nugoli di cavallette che distrussero ogni raccolto.

Infermiere dei lebbrosi

Dopo aver collaborato alla costruzione della chiesetta sulla collina in mezzo al campo delle persone colpite dalla malattia del sonno, Fr. Erminio divenne infermiere nel lebbrosario. In quell’incarico esercitò le doti del buon samaritano con quei poveri malati che erano emarginati e considerati un disturbo per la società. Erminio fu davvero un padre e un fratello nei loro confronti.

Una grave disgrazia, intanto, venne a colpire la missione. Il 5 marzo 1935, al primo temporale della stagione, cadde un fulmine sulla capanna di un maestro. Tre pagani che vi si erano rifugiati per ripararsi dalla pioggia, rimasero inceneriti. Il maestro e la moglie, momentaneamente assenti, scamparono al pericolo. Un catecumeno e un cristiano furono scaraventati fuori dalla capanna dalla potenza del fulmine e così si salvarono. La gente, portata alla superstizione, lesse il fatto a modo suo, cioè come un invito dall’alto ad abbracciare la religione cattolica per salvarsi l’anima e… anche il corpo.

Nonostante i missionari dicessero che la morte dei tre pagani e la salvezza dei cristiani era stato un puro caso, si vide subito un forte incremento di quelli che chiedevano il battesimo. Per Fr. Erminio cominciò un nuovo impegno: fare catechismo a tutti gli operai della missione. Ormai aveva imparato bene la lingua zande e poteva trasmettere a quella brava gente ciò che aveva imparato all’oratorio del suo paese e in noviziato. Si tentò anche di fare gli esercizi spirituali ai cristiani in preparazione della Pasqua. L’affluenza fu inaspettata: la chiesa era piena fin dal primo giorno.

La lotta con i protestanti che aveva sempre caratterizzato quella missione, anzi quel territorio, cominciò ad affievolirsi. Ricordiamo che, all’inizio del secolo, gli inglesi avevano emanato una legge in base alla quale il Sudan era diviso in tre zone religiose. Il Nord era riservato ai musulmani, al sud la zona di evangelizzazione per i cattolici era fissata alla destra del Nilo, mentre quella a sinistra era affidata ai protestanti. E le missioni in cui si trovò Fr. Erminio erano proprio sulla sinistra, cioè nella zona protestante, per cui, anche se la legge era ormai decaduta, la presenza protestante era ancora forte e agguerrita.

Fr. Erminio costruì parecchie cappelle nel territorio: Baragu, Giara, Hirwo, Bakir e Kapitio. Quest’ultima venne costruita totalmente dai cristiani che ormai cominciavano a sentirsi responsabili della loro chiesa. Il numero dei battezzandi era in costante aumento, dando molto lavoro a P. Ernesto Firisin, P. Paolo Busnelli, P. Girolamo Cisco e P. Filiberto Giorgetti.

La chiesa di Yubu

Verso la fine del 1935 Fr. Erminio e Fr. Fioravante Fronza diedero inizio alla nuova chiesa di Yubu, più grande e più bella rispetto a quella precedente. Per Natale trovarono il tempo di allestire il presepio che divenne meta di pellegrinaggio dei cristiani e anche dei pagani della zona.

Nella sua vecchiaia Fr. Erminio ricordava con commozione i faticosi lavori per innalzare le capriate della nuova chiesa. Un lavoro che pareva impossibile per l’assoluta mancanza di mezzi tecnici. Per l’occasione arrivarono anche Fr. Antonio De Bianchi e Fr. Carlo Simoni per dare una mano alla posa del tetto. Il 27 marzo del 1938 Mons. Riberi, delegato apostolico, benedisse e inaugurò la nuova chiesa.

Scrive P. Igino Benini: “La chiesa di Yubu fu iniziata in agosto 1935 e portata a termine in circa 2 anni. Più che una semplice chiesa si potrebbe chiamarla una cattedrale per ampiezza e forma architettonica. Viene subito da chiedere quale ditta l’abbia costruita in quel luogo, lontano dalle comunicazioni, circondata dalla foresta. La ditta che l’ha costruita? I Missionari e Missionarie Comboniani con la gente del posto.

Chiesi un giorno a P. Paolo Busnelli: ‘Come avete fatto a costruirla?’ E lui mi rispose: ‘Con pezzi di carta di giornale’. Voleva alludere agli Azande che, essendo grandi fumatori, ai margini dei recinti dei loro cortili coltivavano il tabacco locale, e poi andavano dai missionari a lavorare per avere un pezzo di carta per farsi la sigaretta.

Tra i Fratelli Comboniani che l’hanno costruita c’era anche Fr. Erminio che vi faticò molto come falegname ma anche in altri lavori. Nel diario della missione si dice che Fr. Erminio accompagnava P. Cisco in visita alla cristianità. Ma molti altri Fratelli vi arrivarono nei momenti più impegnativi. Anche i padri come Busnelli e Uberti non avevano paura di sporcarsi le mani”.

Un nota del diario della missione dice: “20 aprile 1938: Fr. Erminio e P. Busnelli vanno a passare un po’ di vacanze a Raffili”. Il Fratello aveva bisogno di vacanze perché la sua salute, sottoposta ad uno stress non comune per tanti anni in un clima umido, infestato da zanzare, con disagi di ogni tipo, era assai compromessa.

“Il fratello è sofferente – scrisse il superiore (P. Benini) – per il troppo lavoro fatto in situazioni difficili. Quindi, se ha qualche scatto di impazienza, è da comprendere e scusare”.

La tappa della guerra

Nel 1939 Fr. Erminio dovette rimpatriare nella speranza di riprendersi fisicamente. Fu inviato nel seminario comboniano di Rebbio come addetto alla casa. Ma invece di trovare un sereno riposo, incappò nella guerra. A Rebbio, ad un certo punto, confluirono gli studenti di liceo e di teologia, dopo che ebbero lasciato la Casa Madre di Verona, in parte occupata dai tedeschi e fatta bersaglio dai bombardamenti americani.

La guerra portò fame, paura e povertà anche a Rebbio. Fr. Erminio si fece questuante per andare in cerca di farina, latte, formaggio e carne presso i contadini della zona. Quando si sentiva pronto a tornare in missione gli dissero che le vie del mare erano chiuse per il pericolo delle mine e dei sottomarini che non risparmiavano nessuno.

Poté imbarcarsi nuovamente nel 1946 e fu mandato nella zona degli Azande dei quali ormai aveva assorbito la cultura e l’anima. Fu a Mupoi, una missione fondata nel 1912, a sud di Yubu. Trovò una situazione alquanto precaria. I confratelli erano stanchi per le conseguenze della guerra che si erano fatte sentire anche là. Infatti per ben cinque anni non fu possibile inviare personale fresco e anche il flusso degli aiuti si era affievolito, senza dire che qualche missionario era stato imprigionato perché l’Italia era considerata nemica dell’Inghilterra.

Nell’immediato dopoguerra le missioni sudanesi ebbero uno sviluppo straordinario. Si sentiva il bisogno di rimodernare quelle di antica fondazione e di costruirne di nuove per cui il lavoro, specialmente per i Fratelli, si faceva pressante. Anche nella gente c’era “voglia di cristianesimo”. Tanti giovani africani che avevano fatto parte degli eserciti, avevano visto mondi nuovi per cui il paganesimo degli antenati appariva superato. Tutto ciò concorreva ad affrettare lo sviluppo delle missioni sia da un punto di vista edilizio che apostolico.

Iniziatore della missione di Tombora

A Tombora, dove era stato per eseguire dei lavori di impianto della missione, Fr. Erminio trovò il compaesano P. Vittorio Riva, e stettero insieme per un po’ di tempo. Non essendoci ancora la chiesa, la Messa veniva celebrata sotto una pianta. Furono anni duri, ma traboccanti entusiasmo missionario.

“Ricordo con nostalgia – dice P. Luigi Parisi – il mio primo incontro con Fr. Erminio, proprio quando arrivai per la prima volta in Africa nel 1950. Giunsi verso mezzogiorno alla missione di Tombora, ove Fr. Erminio risiedeva con P. Vittorio Riva. La mia impressione nell’entrare nella missione fu quella di una estrema povertà, essendo la missione appena agli inizi. Il mio incontro con Fr. Erminio e con P. Vittorio fu quanto mai cordiale. Una vera festa. Ero ammirato nel vederli felici nella loro povertà, e pieni di entusiasmo nei difficili inizi di una missione. Ci accolsero pieni di gioia e misero sulla piccola tavola quanto di meglio avevano. Fr. Erminio poi mi fece vedere il suo lavoro e i suoi progetti per dare al più presto un vero volto alla missione. Era pieno di coraggio e di entusiasmo pur nelle grosse difficoltà che incontrava.

La mia amicizia con lui non venne mai meno perché era un uomo veramente cordiale e buono. Ogni volta che ci incontravamo, anche in Italia negli anni della malattia, il nostro discorso andava ai bei tempi della missione. Il ricordo che mi porto di lui è quello di un uomo di preghiera e di gran lavoro. Anche ultimamente, quando lo incontrai al Centro Malati di Verona, cominciò a parlarmi in Zande, tanto aveva nel cuore e nella mente quella lingua”.

Nella missione di Nzara

Scrive P. Benini: “Fr. Erminio fu inviato dai superiori a fondare anche la missione di Nzara. Era il 1951. Abbiamo preso alloggio in una casetta di due stanzette, costruita da Fr. Erminio, con la veranda sempre chiusa dalla zanzariera perché la zona era infestata dalle zanzare provenienti dalle paludi del fiume Yubu. Si viveva poveramente proprio come gli operai impiegati nelle coltivazioni di cotone.

Fr. Erminio radunò un bel gruppo di operai e cominciò la costruzione dei primi edifici, mentre io mi dedicavo al lavoro pastorale visitando la gente nei loro villaggi. Ci incontravamo al mattino per le preghiere, la santa Messa e la colazione e poi alle 14.30 per il pranzo e finalmente alla sera per la cena e le preghiere prima del riposo.

Quando Erminio ed io arrivammo a Nzara, la gente era poverissima. Erano pochi coloro che avevano un vestito decente. Molti uomini e donne avevano solo un perizoma ottenuto da una corteccia ammorbidita di un albero di ficus, o fatto di stracci o di foglie. Le scarpe non esistevano per il popolo. Solo alcune donne chiamate “Na rakata” calzavano scarpe da tennis, acquistate per vie da non nominare. (Na rakata significa con disprezzo: donna che porta le scarpe).

In quasi 2 anni tutto cambiò. Coltivazione e vendita del cotone, l’indotto e altre piccole industrie portarono il benessere per tutti, anche per i semplici contadini che avevano la possibilità di vendere i prodotti dei campi al mercato. Nzara divenne presto una cittadina di tutto rispetto con circa 45.000 abitanti. Il cotonificio e altre industrie attiravano molta gente.

Alla popolazione Zande si aggiunsero altri popoli provenienti dal Sud Sudan e dal Nord Sudan. Poi vi fu anche un forte gruppo di inglesi, greci ed egiziani. Si parlava inglese, arabo, zande. Il centro amministrativo era Yambio, a 22 km ad est di Nzara. A 29 km passava il confine col Congo. Una grande strada in terra battuta congiungeva Juba a Wau, passando per Yambio, Nzara e Tombora. C’era anche un piccolo aeroporto.

Fr. Erminio collaborò ancora alla costruzione della nuova chiesa in mattoni e lamiere. Venne a Nzara per un paio di mesi e, con pochi mezzi, fece miracoli, come gli altri fratelli. Era bravo soprattutto come falegname e carpentiere. La partecipazione della gente era ammirevole. Anche gli operai del cotonificio, dopo l’orario di lavoro, venivano a dare il loro contributo alla costruzione. Dicevamo: ‘Andiamo a costruire la nostra chiesa’.

Per i primi 2 anni l’apostolato fu rivolto alla città di Nzara e dintorni. I centri più lontani erano affidati alla missione di Rimenze, della quale Nzara faceva parte. A Nzara c’era tutto da organizzare: famiglie già residenti e tutte le nuove appena arrivate. Bisognava visitarle, conoscerle, catalogarle per settori: uomini, donne, giovani, bambini... C’erano scuole e catecumenati per tutte queste categorie. Fr. Erminio diede un valido aiuto in questo lavoro.

Ancora con l’aiuto e i suggerimenti di Fr. Erminio si decise che il settore più importante su cui iniziare a lavorare era la famiglia. Gli operai di Fr. Erminio avevano famiglie irregolari, altrettanto dicasi di tantissimi altri provenienti dalle vecchie missioni e che io e il Fr. Erminio conoscevamo.

Molti giovani, con la prima paga andavano al paese a cercare la futura moglie da istruire e battezzare per unirsi in matrimonio. Molti convivevano, pur essendo entrambi cristiani. Vi erano poi le unioni irregolari tra cattolici e protestanti, che erano molto numerosi. Poi c’erano gli adolescenti da preparare alla prima Comunione. Tutto ciò voleva dire catechismo e catecumenato.

Anche per l’apostolato dei laici Fr. Erminio mi diede una valida mano nel cercare tra la gente che lui conosceva elementi buoni, bravi e intraprendenti per formare dei catechisti, dei leader di comunità.

Fr. Erminio era un uomo di grande esperienza missionaria e io lo ascoltavo volentieri perché aveva tante cose utili da comunicarmi. Con la lingua, aveva assorbito anche la mentalità, gli usi e i costumi della gente. Inoltre era un uomo di compagnia, un vero fratello vecchio stile, un po’ brontolone se si vuole, ma uno ‘sfacchinone’ senza paura di sporcarsi le mani e attento a non sprecare i doni della Provvidenza. Si sentiva pienamente realizzato nella sua vocazione di fratello. Davvero riusciva a non farmi sentire il peso della solitudine in quella povera missione in cui mancava ancora tutto.

Una volta Mons. Domenico Ferrara, per premiarlo di tanto lavoro, decise di portarlo in Uganda a trovare il fratello Luigi, ma dopo un’infinità di chilometri dovettero desistere perché la distanza era troppa e le strade impossibili”.

Operoso tramonto

Dopo 10 anni di missione Fr. Erminio dovette rientrare in Italia per problemi di salute. Nelle sue note personali è scritto. “È di carattere molto impressionabile per cui si abbatte facilmente per ciò che gli accade intorno, specialmente riguardo alla sua salute che, a dire la verità, gli gioca brutti scherzi soprattutto per i frequenti e fortissimi attacchi di malaria con febbre alta e debolezza estrema. È stato per molto tempo a Tombora, da solo, sia per dare inizio alla missione sia perché il confratello sacerdote era sempre in visita ai villaggi.

Fr. Ermino ha dato più di quanto le sue forze gli consentissero ed ora ne sta pagando lo scotto. Ma ha fatto un lavoro meraviglioso”. La nota è del suo compaesano e amico, P. Vittorio Riva. Fatto sta che nel 1956 dovette rientrare nuovamente e definitivamente in Italia. Si prestò per i piccoli lavori nelle case comboniane di Padova (1956-1970), Arco (1970-1971), Verona-Casa Madre (1971- 1999). A Verona, al Centro Ammalati, dove si trovava dal 1999, si dedicò per quanto gli era possibile, all’assistenza dei confratelli malati.

Fr. Erminio era un uomo “comunitario”, sempre sereno, ottimista e contento della sua vocazione di Fratello. Ormai carico di anni - ne aveva 95 - e di meriti si è spento durante la celebrazione della Messa funebre del confratello, Fr. Gregori. Era il 18 settembre 2002. È stato sepolto nel cimitero di Verona. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

Bro. Erminio Caldarola , born on 4 April 1907, took his first vows in Venegono in 1930. From 1930 to 1939 he worked in South Sudan, then for seven years he worked in Rebbio, Italy. Having returned to South Sudan, he worked there for another 10 years. After that, he returned to Italy where he was assigned to Padova and Arco (rest-home for elderly confreres) and then to the Mother House in Verona where, starting in 1999, he was under medical care and where he died. These are the sketchy details of his missionary service carried out in humility and commitment, in faithfulness to and perseverance in the Institute till the end.

Let us listen to the acknowledgement of two confreres who knew him well. Their recollections refer mostly to Bro. Erminio’s two experiences in South Sudan, namely the years 1930-1939 and 1946-1956 in the prefecture of Mupoi, among the Zande people. Bro. Erminio had assimilated the soul and culture of the Zande and enjoyed speaking in their language with confreres who knew it and were on holidays in Italy visiting him in Verona. What we report below have the flavour of the early days of missionary life.

The first testimony is from Fr. Igino Benini, who writes:

“I reached Nzara, coming from Naandi, in early January 1951. Here Bro. Erminio had been living and working for about a month, a true Milanese and a mission veteran from the great mission of Yubu. We were due to open together the mission of Nzara. We lived in a little two-room house with a veranda protected by a mosquito net, because the area was infested with mosquitoes from the swamps of the nearby Yubu river. We lived in poverty, like the workers at the nearby cotton gin. Bro. Erminio was busy all day with his workers building a small residence, while I was busy organising the pastoral work of the mission. We met for morning prayers, breakfast at 9.30 a.m., lunch at 2.30 p.m., then again for Mass and supper. After supper, if we did not have visitors, we would spend about an hour to share news of the day, plans, etc. For me it was a good time to learn lots of things from Bro. Erminio’s experience, a true sharing on inculturation, customs, traditions of the people, language and precious tips for my pastoral work.

His was the “old Brothers’ lifestyle”, always busy, overworked, a little grumpy, always careful not to waste Providence’s gifts. Bro. Erminio was a mature person, happy in his missionary vocation and happy to have given his life for the missions.”

The second testimony is from Fr. Luigi Parisi, who writes:

“I treasure the memory of my first encounter with Bro. Erminio when I went to Africa the first time in 1950. A few days after my arrival, I reached Tombora around noon, where Bro. Erminio was living with Fr. Vittorio Riva. As I entered the mission compound, my first impression was that it looked very poor, since it was still in its beginnings. The meeting with Fr. Vittorio and Bro. Erminio was very friendly, a real feast. I enjoyed seeing how happy they were in their poverty and full of enthusiasm, even in the midst of great hardships involved in the opening of a new mission. They received us with joy and placed on the table the best of what they had. Later Bro. Erminio showed me his work and his projects to give me a complete picture on how the mission would develop. He was full of courage and enthusiasm, even though faced with great challenges.

My friendship with him never faltered and was renewed every time in the course of his long life we would meet in Italy. Our encounters were always friendly and I always admired his spirit of prayer, his love for work and his service”.

Da Mccj Bulletin n. 218 suppl. In Memoriam, aprile 2003, pp. 47-56

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Fratel Calderola Erminio

Ci siamo incontrati nel Sud Sudan, lavorando insieme tra la grande tribù degli Azande. Io vi sono arrivato nel 1946 e lui in quell’anno vi era ritornato. Infatti la prima volta vi era arrivato a 23 anni nel 1930. Risiedeva nell’importante stazione missionaria di Yubu oppure a Rimenze mentre io ero a Nzara. Date le distanze, non era frequente incontrarsi tra noi missionari.

La tribù degli Azande nel XIX secolo riuscì a conquistare una grande regione dell’Africa centrale attualmente divisa tra Sudan, Congo e Repubblica Centrafricana. Le popolazioni sottoposte furono azandeizzate, formando un gruppo di quasi due milioni di persone, delle quali circa settecentomila in Sudan. In queste divisioni i conquistatori badavano più ai loro interessi coloniali che a quelli dei popoli.

Gli Inglesi chiamavano il territorio Zande “il giardino del Sudan”. Il clima è caldo temperato e il territorio è sempre verde. C’è una lunga stagione delle piogge e alcuni mesi di stagione secca. Il terreno, adatto a varie coltivazioni tropicali, è adattissimo alla coltivazione del cotone.

Dal 1949, con la elezione e la venuta di Mons. Domenico Ferrara nella Prefettura Apostolica di Mupoi, staccata dal Vicariato di Wau, lo sviluppo pastorale tra gli Azande ebbe grande impulso.. Si aprirono nuove stazioni missionarie: la stazione di Tombora che vide l’attività preziosa di Fr. Erminio nell’inizio di quella missione. Seguì poi la definitiva sistemazione della Stazione di Naandi, da dove poi partì P. Benini per cominciare la Stazione di Nzara. La Stazione di Rimenze già iniziata fu potenziata e fu portata a termine la costruzione della nuova bella chiesa. A Yambio l’indimenticabile P. Giorgetti portò avanti la costruzione materiale e spirituale di quella missione, nel Centro Distrettoriale. Poi ancora la missione di Maridi e, agli antipodi della Prefettura, quella di Maringindo, tra la tribù Bellanda-Barè.

Questo non fu solo sviluppo della costruzione materiale della Prefettura Apostolica, ma soprattutto lavoro di organizzazione spirituale tra il popolo di Dio.

La cittadina di Nzara è, si può dire, al centro del territorio zande. Negli anni ‘40 era poco più che un grosso villaggio.

Il nome “Nzara” deriva da un piccolo fiume che ne attraversa il territorio; ma avrebbe avuto più diritto di darle il nome il fiume Yubu, che pure l’attraversa e ha una maggiore portata d’acqua. La ragione della scelta del nome “Nzara” fu perché c’era già la cittadina di Yubu, ove esisteva anche una nostra missione e dove ha lavorato Fr. Erminio.

Fr. Erminio arrivò a Nzara per primo a fondare la missione che prima era cappella di Rimenze. Io vi arrivai il 19 - 1 - ’52: Fr. Erminio aveva preparato il materiale e una casetta con due belle stanze.

Quando arrivammo Erminio ed io, a Nzara la gente era poverissima. Erano pochi coloro che avevano un vestito decente. Molti uomini e donne avevano solo un perizoma ottenuto da una corteccia ammorbidita di un albero di ficus, o fatto di stracci o di foglie. Le scarpe non esistevano per il popolo. Solo alcune donne chiamate “Na Rakata” calzavano scarpe da tennis, acquistate per vie da non nominare. (Na Rakata significa con disprezzo: donna che porta le scarpe).

In quasi 2 anni tutto cambiò. Coltivazione e vendita del cotone, l’indotto e altre piccole industrie portarono il benessere per tutti, anche per i semplici contadini che avevano la possibilità di vendere i prodotti dei campi al mercato. Nzara divenne presto una cittadina di tutto rispetto con circa 45.000 abitanti. Il cotonificio e altre industrie attiravano molta gente. Alla popolazione Zande si aggiunsero altri popoli provenienti dal Sud Sudan e dal Nord Sudan. Poi vi fu anche un forte gruppo di Inglesi, Greci ed Egiziani. Si parlava Inglese, Arabo, Zande. Il centro amministrativo era Yambio, a 22 Km ad est di Nzara. A 29 Km passava il confine col Congo. Una grande strada in terra battuta congiungeva Juba a Wau, passando per Yambio, Nzara e Tombora. C’era anche un piccolo aeroporto.

Fr. Erminio aiutò ancora nella costruzione della nuova chiesa in mattoni e lamiere. E’ venuto a Nzara per un paio di mesi e con pochi mezzi ha fatto miracoli, come gli altri fratelli. Lui era soprattutto falegname e carpentiere. La partecipazione della gente era mirabile. Anche gli operai del cotonificio, dopo l’orario di lavoro, venivano a dare il loro contributo alla costruzione. Dicevamo: andiamo a costruire la nostra Chiesa, “GAANI EKLESIA”, chiesa spirituale e materiale. Per le feste dei primi gruppi di battesimi e della celebrazione dei primi matrimoni, fr. Erminio, partito per Yubu, non era più presente con il corpo, ma in spirito e con la sua preghiera sempre.

L’apostolato, per i primi 2 anni, è stato rivolto alla città di Nzara e dintorni. I centri più lontani erano affidati alla missione di Rimenze, della quale Nzara faceva parte.

A Nzara c’era tutto da organizzare: famiglie già residenti e tutte le nuove appena arrivate. Visitarle, conoscerle, catalogarle per settori. Uomini, donne, giovani, bambini... C’erano scuole e catecumenati per tutte queste categorie.

La famiglia. Con l’aiuto e i suggerimenti di fr. Erminio si decise che il settore più importante su cui iniziare a lavorare era la famiglia. Gli operai del Fratello erano di famiglie irregolari, così pure tantissimi provenienti dalle vecchie missioni e che io e il fratello conoscevamo.

Molti giovani con la prima paga andavano al paese e portavano la futura moglie da istruire e battezzare per unirsi in matrimonio. Molti convivevano, pur essendo entrambi cristiani. Vi erano poi le unioni irregolari tra cattolici e protestanti, che erano molto numerosi. Poi c’erano gli adolescenti da preparare alla prima Comunione. Tutto ciò voleva dire catechismo e catecumenato.

L’apostolato dei Laici. Anche qui fr. Erminio mi diede una mano nel cercare tra la gente che lui conosceva elementi buoni, bravi e intraprendenti per formare dei catechisti, dei leaders di comunità. Poi la frequenza domenicale alla Liturgia: santa messa e sacramenti. Un po’ alla volta si creò un movimento spirituale, corrispondente al benessere materiale.

Certo contribuì molto al rifiorire dell’apostolato missionario  tra gli Azande del Sudan il lavoro, il martirio  e l’intercessione dei Padri Remo Armani, Lorenzo Piazza ed Evaristo Migotti che vi spesero le primizie del loro apostolato e furono martirizzati qualche anno dopo a non tanti chilometri di distanza, nel confinante Congo.

Una parola particolare a riguardo dei Fratelli. Eravamo orgogliosi dei nostri Fratelli Comboniani allora chiamati coadiutori. Alcuni nuovi si aggiunsero ai precedenti perché le missioni erano in piena espansione. Finalmente arrivò Fr. Bertoldi Emilio, costruttore poi scomparso nel Nilo, e altri Fratelli come Fr. Francesco Morandini, Fr. Colussi e diversi altri, non residenti, ma che si spostavano per dare una mano secondo le necessità. Insomma le missioni si prestavano i Fratelli.

Mons. Domenico Ferrara era di frequente tra noi.

Egli, per sostenere, incoraggiare, e creare unità tra i nostri Fratelli Comboniani decise che ogni anno, in gennaio, si radunassero per passare insieme due settimane di vacanza. Per 2 volte fui con loro al Suhe dove c’era una “rest-house” cioè casa per ospiti (stile inglese). Era un posto ideale, isolato, vicino al fiume, con possibilità di pesca, di nuoto, di caccia nella foresta.

Fratel Checco (Francesco Morandini, trentino) era famoso per non decidersi mai di radersi la barba e tagliare i capelli. C’era una canzoncina edita, parole e musica, da P.Ric. Simonelli che diceva: “Fatte la barba Checco, ghe disea so mare, ma lu da la testa dura no la volea fare...pim pam pom le bale del canon”. Un giorno gli altri fratelli lo presero e a forza gli tagliarono barba e capelli. Il giorno seguente decise di andare alla caccia e fu fortunato: portò alla residenza una giovane antilope. Cos’era successo? Gli altri fratelli raccontano che l’antilope, giovane e inesperta, vedendo Checco così bello e avvenente, invece di scappare si fermò a guardarlo con tenerezza, e lui per non intenerirsi sparò e l’uccise; povera bestia, morta (dicono i maligni) perché fosse salva la bella virtù!

La chiesa di Yubu.

La chiesa fu iniziata in agosto 1937 e portata a termine in circa 2 anni. Più che una semplice chiesa si potrebbe chiamarla una cattedrale per ampiezza e forma architettonica. Viene subito da chiedere che ditta l’ha costruita qui, lontano dalle comunicazioni, circondata dalla foresta. La ditta che l’ha costruita? I missionari e missionarie comboniani con la loro gente del posto.

Chiesi un giorno a P. Busnelli Paolo: Come avete fatto a costruirla? E lui mi rispose: Con pezzi di carta di giornale. Voleva alludere agli Azande che, essendo grandi fumatori, ai margini dei recinti del loro cortile coltivavano quantità di tabacco locale, e poi andavano dai missionari a lavorare per avere un pezzo di carta e farsi la sigaretta.

Tra i Fratelli Comboniani che l’hanno costruita c’era anche Fr. Erminio Calderola che vi faticò molto come falegname ma anche in altri lavori. Nel diario della missione si dice che il Fratello accompagnava P.Cisco in visita alla cristianità. Ma molti altri Fratelli vi arrivarono nei momenti più impegnativi. Anche i Padri come P. Busnelli e P. Uberti non avevano paura di sporcarsi le mani. Si dice che un Padre molto appassionato di meccanica andava spesso in officina a fare osservazioni e allora uno sbottò a dirgli: “Lei Padre vada a fare i Sacramenti, che per aggiustare le macchine ci pensiamo noi!”

Finiti i lavori della grande chiesa, Fr. Erminio partì per un periodo di riposo in Italia. Era il maggio del 1939. Dovette aspettare la fine della guerra per rientrare in Sudan; e dal 1946 ci siamo trovati spesso insieme.

P. Gino Benini.

N.B. Su “Famiglia Comboniana” P. Parisi ha scritto cose belle su Fr. Erminio. Anche queste note possono completare la descrizione della sua persona e del suo lavoro missionario.