In Pace Christi

Morandini Aldo

Morandini Aldo
Data di nascita : 30/12/1919
Luogo di nascita : Boscochiesanuova/VR/I
Voti temporanei : 25/04/1951
Voti perpetui : 25/04/1957
Data decesso : 23/11/2002
Luogo decesso : Verona/I

“Il 30 dicembre 1919, il Signore ha dato il terzo ed ultimo figlio ai coniugi Giovanni Morandini ed Elisabetta Sponda… Il 20 maggio 1926 questo fanciullo venne ammesso a ricevere con gioia indescrivibile la prima Comunione. La porta della grazia era aperta…”. Con queste parole inizia il diario di Fr. Aldo, che si conclude dicendo: “Ringrazio i genitori, i parenti, i superiori e i confratelli che mi hanno aiutato a crescere. Verso la fine della vita si vede tutto il passato, specialmente quello che non è stato buono. Come Iddio perdona a me, anch’io perdono a tutti quelli che in qualche modo mi hanno fatto soffrire, e chiedo perdono a coloro che ho offeso”.

L’infanzia di Aldo ebbe i suoi alti e bassi. Il papà dovette lasciare la famiglia e andare in guerra. Tornò dopo tre anni sano e salvo e riprese il suo lavoro di muratore. Con i soldi passati dallo stato per il “miglioramento pascolo” (14.500 lire) costruì una nuova casa dotata di energia elettrica, stalla, cisterna per l’acqua… un lusso per quel tempo. Per avere quel sussidio bisognava iscriversi al partito fascista, ma anche il parroco aveva suggerito alla sua gente di fare quel passo pur di avere i mezzi per una sistemazione familiare più dignitosa.

Durante le lunghe ore di pascolo, i ragazzi imparavano dal nonno a confezionare mille oggetti che servivano per la stalla, ma avevano anche il tempo di giocare. Il papà, però, approfittava dei tempi liberi per insegnare ai figli l’arte di scalpellare le pietre e di tagliarle. Proprio sotto la loro casa e tutto intorno c’era un grande giacimento di marmo rosso di Verona, quindi la materia prima non mancava per i loro esperimenti.

Tra lavoro e lettura

Sr. Maristella, delle suore della Misericordia, è stata la maestra di Aldo sia alla scuola materna che alle elementari. Poiché Aldo sulla pagella aveva tutti “lodevole”, per ben tre volte la buona suora cercò di indicargli la strada del seminario, ma il piccolo rispondeva sempre testardamente no. Lo disse anche quando la proposta venne dal parroco che era andato a benedire la casa.

Uno dei suoi divertimenti preferiti era la costruzione di casette di pietra, ma aveva anche la passione della lettura, ereditata dal papà. In casa arrivavano tanti giornali come: “La domenica del Corriere”, “L’Agricoltore veronese”, “L’Alpino” e, per i ragazzi: “Gioventù fascista”, “Libro e Moschetto”; dall’oratorio: “Idea Giovanile” e “L’aspirante”. Aldo passava ore e ore con la testa china su quei giornali. E poi ragionava, confrontava le idee e discuteva animatamente. In paese c’era la signorina Eva Scandola che teneva una biblioteca con i più bei romanzi. Aldo ne ha divorati una buona parte.

A 14 anni il papà gli affidò la custodia delle tre mucche per lasciare tempo ai fratelli più grandi di andare a giornata. Col passare del tempo anche Aldo si unì ai fratelli diventando muratore e scalpellino. Ma spesso faceva anche il boscaiolo quando, col papà, andava a tagliare dei tronchi che poi vendevano.

Con i primi soldi si comperò una bicicletta e anche una fisarmonica che serviva a tenere allegri i compagni. Quindi cominciò a guardarsi in giro per vedere se trovava una ragazza. Una sera, col gruppo degli amici, organizzò una festa da ballo. Pensavano di farla franca. Invece il curato venne a saperlo e, il giorno dopo, strappò a tutti il distintivo dell’Azione Cattolica. Fu un brutto colpo e non fu facile farsi riammettere nell’associazione.

La vocazione

“Avrò avuto 16 anni quando, un bel giorno – scrive Fr. Aldo – sull’Idea Giovanile apparve un bell’articolo che parlava dei missionari coadiutori che in missione insegnavano arti e mestieri. Subito ho detto: ‘Questa è la mia strada’, ma non ne parlai con nessuno e sembrò che tutto restasse lettera morta. Intanto i miei fratelli partirono per la guerra. Io, essendo il terzo, ero esonerato.

Durante una gita in bicicletta a Lugo con gli amici, passammo davanti ad un capitello in cui c’era il crocifisso e una cassettina con scritto: ‘Pro missioni’. Io, senza pensarci due volte, misi dentro tutto quello che avevo, 50 lire, una bella somma”.

Intanto la guerra si fece più aspra e anche Aldo fu chiamato sotto le armi. Andò a Verona e fu assegnato alla Compagnia Sanità ma, vedendo che sulla spalla aveva come una crosta di pelle dura e screpolata (effetto dei pali di legno che portava dalla valle al punto di carico) lo confinarono all’ospedale militare ritenendolo affetto da qualche malattia della pelle.

“Beati quei pali – scrisse – che mi evitarono di andare in Russia con i miei compagni!”.

Dopo qualche mese fu mandato a Trento, sempre in Sanità, come incaricato del magazzino dei medicinali. Trovò un ufficiale che lo prese a benvolere perché aveva imparato a dire sempre  “Signorsì”. Ad un certo punto, l’ufficiale lo nominò suo attendente e lo mandò a Levico dove aveva la famiglia, cioè la moglie, una figlia e due domestiche.

In quel periodo Aldo passava la notte in una caserma di carabinieri. Un suo commilitone, vedendo che era devoto, recitava le preghiere e, quando poteva, andava a Messa, volle metterlo alla prova. Un sera, gli fece trovare sulla sua branda una donna in atteggiamento piuttosto provocante. Aldo non si scompose e, con molta cortesia, la convinse ad andarsene dalla caserma.

Quando i superiori dei Comboniani chiesero al parroco di Levico le testimoniali sul soldato Aldo Morandini, questi scrisse: “Esposto alle porte della chiesa il presente avviso, nessuno si è presentato, perché nessuno lo conosce e lo ricorda. Un cantore mi disse di ricordare che era un bravo giovane che veniva alla Messa”.

Il patto col Signore

L’8 settembre 1943, con la firma dell’Armistizio e la disfatta dell’esercito italiano, anche Aldo si diede alla fuga. Passò per Luserna, Arsiero, e, in treno, senza biglietto, fino a Vicenza, proseguì a piedi per Chiampo e, passando da Vestenanova, attraversò i monti e tornò a casa. I suoi due fratelli erano ancora sotto le armi, Igino in Tunisia nelle mani degli americani, Enrico in Germania come lavoratore militarizzato in una macelleria tedesca. Anche Aldo dovette lavorare sotto la Totd nella quale i civili eseguivano lavori di fortificazione per i tedeschi. Ma siccome la vocazione missionaria batteva ancora al suo cuore, egli fece un patto col Signore: “Se i miei due fratelli tornano sani e salvi dalla naia, mi farò missionario”. I fratelli tornarono.

Il nuovo curato, Don Igino Silvestrelli, radunò i giovani che erano un po’ sbandati a causa della guerra, e li invitò a fare gli esercizi spirituali. Incaricò Aldo di portare qualche pacco dono ai vecchietti soli e poveri per dare loro un po’ di serenità… “Facendo la carità, sentii in me una gioia mai provata. Leggendo, poi, la vita di Pier Giorgio Frassati, ho capito che si trova più gioia nel dare che nel ricevere”.

Nel settembre del 1948 prese parte alla marcia “Tutti a Roma”, patrocinata da Carlo Carretto per celebrare l’ottantesimo di fondazione della GIAC, viaggiando con i suoi compagni in un carro bestiame. Fu l’ultimo gesto da “uomo libero” perché il suo parroco, dopo due anni di prova, si decise a scrivere ai Comboniani segnalando la sua vocazione.

Fu presentato all’Istituto proprio dal vicario cooperatore, Don Igino Silvestrelli, essendo, il parroco, assente in quei giorni: “Da parecchio tempo Aldo Morandini nutre un vivo desiderio di donarsi al Signore seguendo una speciale vocazione. Dopo aver molto pregato ed essersi consigliato, pensa ora di presentarsi a lei perché gli sembra di essere chiamato ad appartenere al suo Istituto in qualità di Fratello. Da qualche anno è presidente di Azione Cattolica e da pochi mesi presidente foraniale. Lavora e si sacrifica volentieri, pietà più che ordinaria. Boscochiesanuova 19 agosto 1948”.

Un mese dopo, il parroco, Don Giuseppe Noli, scriveva: “Con dispiacere le mando Morandini Aldo, consapevole che nessuno in parrocchia lo potrà sostituire nelle sue meravigliose qualità e virtù… È un prezioso acquisto per l’Istituto perché è un grande lavoratore, pieno di spirito di sacrificio e di generosa abnegazione…”.

Non ragionerai più con la tua testa

Una lettera di P. Giacomo Andriollo notificò ad Aldo che doveva presentarsi a Gozzano il 13 ottobre di quel 1948. La mamma non parlò e neanche i fratelli fecero commenti, ma il papà si dichiarò assolutamente contrario alla sua vocazione e non volle neanche salutarlo.

Prima di lasciare la città scaligera, Aldo si recò nella chiesetta delle Arche Scaligere dove c’era il vecchio parroco di Bosco, Don Angelo Bolla, quello che voleva mandarlo in seminario da bambino. Alla notizia della partenza del giovane per il noviziato, il vecchio prete scoppiò a piangere, lo abbracciò, lo benedisse e lo accompagnò alla stazione ferroviaria.

Prima di suonare il campanello del noviziato di Gozzano, Aldo prese la mezza sigaretta che aveva tra le labbra, la infilò in una crepa del muro e disse: “Ora basta! D’ora in poi non ragionerai più con la tua testa, ma con quella degli altri…”. Erano parole ispirate da Don Silvestrelli. Fu accolto da P. Giovanni Giordani, maestro dei novizi, che lo affidò a Fr. Aldo Benetti perché gli facesse da angelo custode.

La casa era un cantiere essendo ancora fatiscente e bisognosa di restauri. Il primo lavoro di Aldo fu quello di tagliare le pietre per costruire il muro di sostegno che era franato lungo la scarpata. Lavorò anche alla costruzione della grotta della Madonna nel parco. Prima di iniziare i lavori fece il modello, scala 1:10. Fr. Luciano Pederiva, esperto in mine, tentò di spaccare la pietra con la dinamite ma una mina scoppiò in ritardo e gli portò via un dito. A grotta finita, in una vecchia lapide di marmo di Carrara, recuperata in una discarica, Aldo scrisse la data e qualche altra parola, mentre il novizio Giuseppe Ricchieri fece la cancellata davanti alla grotta.

“È intelligente, ha pietà, ama il lavoro. La casa che lo avrà credo che rimarrà contenta. Ha pure dei difetti, ma data l’età avanzata, bisognerà chiudere un occhio e lasciar perdere”, scrisse P. Giordani.

Dopo i voti, il 25 aprile 1951, Aldo si fermò ancora sei mesi a Gozzano per terminare alcuni lavori urgenti e poi andò a Pellegrina, in provincia di Verona, dove i Comboniani avevano una fattoria agricola. Con altri Fratelli costruì un grande pollaio razionale e, col trattore, cominciò a dissodare la terra che era rimasta incolta da anni. Dopo due anni fu richiamato a Gozzano per alcuni lavori al soffitto della cucina che minacciava di crollare e per sistemare il tetto della cappella, quindi issò la statua del Sacro Cuore sulla facciata della casa e, sul portale di granito, al posto di ‘Seminario Diocesano’ incise le parole ‘Missioni Africane’.

Destinazione Brasile

Fr. Aldo si trovava a Gozzano quando giunse P. Antonio Todesco, Superiore Generale, in visita. Era la metà di ottobre del 1953.

“Sei destinato al Brasile – gli disse – i tuoi compagni sono già a Verona”. Alla sera Fr. Aldo era a Verona, ma dovette andare all’ospedale di Negrar per farsi operare di un’ernia, poi, con la pancia ancora dolorante, si recò a Roma per regolarizzare le pratiche, quindi fece una scappata a casa per salutare i suoi. Il papà lo accolse anche questa volta a muso duro. Aldo scriverà con tristezza: “Il papà non si è mai conformato alla mia vocazione”.

I partenti erano: P. Angelo dell’Oro, P. Giovanni Audisio, P. Domenico Seri, P. Fabio Bertagnolli, Fr. Francesco Franzosi e Fr. Aldo Morandini. I bagagli di P. Dell’Oro, superiore del gruppo, assommavano a 3 metri cubi di casse e 28 valigie. Fr. Aldo aveva solo una valigetta con un po’ di corredo. All’ultimo momento P. Bertagnolli gli diede 50.000 lire perché si comperasse ciò di cui aveva bisogno. Era senza orologio, ma preferì comperarsi alcuni arnesi da lavoro. “E per l’orologio, mi sarei regolato col sole per i prossimi cinque anni”, scrisse.

Partirono da Genova il 3 novembre 1953 a bordo della nave “Anna Costa”, molto elegante e veloce, ma paurosamente ballerina. Era piena di emigranti, specie dell’Italia meridionale, che andavano in America in cerca di fortuna. La nave si staccò dal molo mentre i passeggeri erano nella sala da pranzo “così furono finite le lacrime”.

P. Audisio trascorse tutto il tempo in infermeria, praticamente senza mangiare e senza bere, tanto soffriva per il mal di mare. Finalmente, il 15 novembre sbarcarono a Rio de Janeiro. In Brasile vide “un’interminabile fila di poveri, quasi tutti neri, che sostavano davanti al convento di Sant’Antonio, dove eravamo momentaneamente ospitati, per un po’ di cibo. Ho pensato agli emigranti che erano venuti in quella terra a cercar fortuna”.

Destinazione Balsas

Dopo aver visitato il Cristo del Corcovado e il Maracaná, lo stadio più grande del mondo, il gruppo dei missionari si divise. Fr. Aldo, con P. Audisio, P. Seri e P. Bertagnolli presero la via del Maranhão a bordo di un aereo militare e fecero tappa a Carolina, presso i Frati Cappuccini. Il giorno dopo, a bordo di un aereo più piccolo, giunsero a Balsas, accolti da P. Diego Parodi con un fraterno abbraccio.

“Qui tutto è povertà. Ci adattiamo in una stanza di mattoni crudi. Il tavolo è una cassa rovesciata. Fr. Eugenio Franceschi prepara la cena a base di riso e un po’ di carne secca. L’acqua è quella un po’ torbida del Rio Balsas”. Essendo uno dei primi a giungere in Brasile, anche Fr. Aldo è da considerarsi un co-fondatore di quella missione. I Comboniani, infatti, erano arrivati a Balsas nel 1952, Fr. Aldo vi giunse nel 1953. Aveva, allora 35 anni.

Il primo lavoro di Fr. Aldo fu la costruzione di un salone (una baracca) che doveva servire come officina. Poi, con tre bravi giovani, cominciò a drenare una piccola palude che c’era in un terreno che era stato acquistato dalla missione. Qui Fr. Aldo per poco non rimase inghiottito da un buco che si era aperto sotto i suoi piedi. Fu salvato dai tre giovani che con l’aiuto di pertiche lo tolsero da quella tragica posizione: “Asciugata la palude, vide che si trattava di un enorme ceppo di palma che, al centro era marcito, mentre attorno era munito ancora di radici”.

In breve tempo la palude si trasformò in un bell’orto al centro del quale c’era la casetta dell’ortolano. Un giorno P. Diego disse a Fr. Aldo: “Ormai hai imparato un po’ la lingua. Ora dobbiamo fare qualcosa per i ragazzi poveri. Ecco qua il disegno di un laboratorio con refettorio, servizi e cucina. Si potrebbe mettere in piedi una piccola falegnameria”.

“Sì, ma vedo che per ridurre i tronchi in assi usiamo ancora la sega a mano o il sistema di romperli con i cunei. Bisogna fare qualcosa di più razionale”.

Dopo un viaggio a Rio, arrivarono a Balsas, via mare, una segatronchi e una macchina per fare mattoni e tegole, azionate a nafta. Vennero installate a tre chilometri l’una dall’altra, in prossimità del fiume Balsas sul quale arrivavano i tronchi e dove si trovavano cave di argilla. Poi seguì la motopompa per tenere nel giusto grado di umidità la creta. Nel 1955 si diede inizio all’ospedale e alla casa del vescovo.

Fr. Sebastiano Todesco, alla domenica pomeriggio, andava in giro a cercare creta buona per impastare i mattoni poiché quella a disposizione non era troppo adatta. Per essere più fortunato nelle sue ricerche si serviva del pendolino. E Fr. Aldo rideva perché lui al pendolino non credeva. Fr. Eugenio Franceschi, cuoco e tuttofare, si scervellava per preparare qualche pietanza decente, ma si finiva sempre sul riso e fagioli, tanto che il Superiore Generale (P. Todesco), in visita a Balsas disse: “Ma qui è peggio dell’Africa!”.

Il monumento di Comboni a Verona

Verso la metà di febbraio 1957 Fr. Aldo dovette lasciare Balsas e rientrare in Italia. “Ero esaurito e disanimato”, scrisse. In Casa Madre c’era il progetto di costruire, nel cortile, il monumento a Comboni, sotto la direzione di Fr. Mario Adani. Occorreva una persona che si intendesse di lavorazione delle pietre e i superiori pensarono a Fr. Aldo. Ma sorse subito una discussione: Fr. Aldo optava per il marmo rosso di Verona, invece gli altri insistevano sul tufo di Avesa e l’ebbero vinta questi ultimi. Allora Aldo fece una profezia: “Usate pure il tufo di Avesa, ma vi assicuro che fra pochi anni si sgretolerà tutto e il monumento cadrà a pezzi. Infatti, fu proprio così.

Nel maggio del 1958 il monumento e anche la grotta alla Madonna erano cosa fatta. Ora la squadra dei fratelli costruttori si spostò in Inghilterra per la costruzione della casa di Mirfield, dove Fr. Aldo trascorse 26 mesi come addetto alle costruzioni.

Nel 1961 era nuovamente in Italia per ultimare la casa di vacanza di Valdiporro, dato che la ditta costruttrice si era ritirata perché l’Istituto non era più in grado di pagarla in seguito al “Caso Giuffrè”. Per l’estate del 1962 la casa di vacanze era pronta. Fr. Aldo si ritirò a Thiene per fare un corso di costruzioni per corrispondenza.

Nel Brasile Sud

Nel 1963 partì nuovamente per il Brasile a bordo dell’Augustus. Con lui viaggiavano P. Primo Silvestri, P. Francesco Cioffi, P. Serafino di Sanzo, P. Ismaele Matterazzo, P. Costantino Mallardi e Fr. Enrico Massignani.

La destinazione di Fr. Aldo, questa volta, era il Sud del Brasile, precisamente San Matteo dove era vescovo Mons. Giuseppe Dal Vit (in quel periodo assente perché al Concilio Vaticano II). I compiti del nuovo arrivato erano quelli di terminare l’episcopato, la cappella del seminario, costruire la tipografia e sistemare la centralina elettrica e la segheria. Il suo raggio di lavoro, però, si dilatava anche nelle altre parrocchie della diocesi. Così mise mano all’ospedale di Nova Venecia e alla casa delle Missionarie Secolari Comboniane.

A Pinheiro diede inizio alla costruzione del ginnasio, a San Gabriel dell’asilo, a Ecoporanga costruì la scuola per falegnami. Logicamente non era solo in questo lavoro. Oltre ad altri fratelli che lavoravano con lui, si era formato una buona squadra di operai che andavano molto d’accordo. Alcuni di essi diventarono dei provetti muratori in grado di lavorare da soli. Quindi passò a Pimento Bueno per la costruzione della chiesa. Era il 1971.

A questo punto Mons. Aldo Gerna, vescovo di San Matteo dopo Mons. Dal Vit, gli commissionò l’ospedale che rimase incompiuto per mancanza di medici e di finanziatori. Su richiesta del parroco di Mirasol, Fr. Aldo andò nel Mato Grosso e costruì la sua opera più bella: il santuario a Nostra Signora dell’Apparizione. In 20 mesi il santuario arrivò al tetto.

Rientrato in Italia nel 1977, abbastanza provato nella salute, anche se si trattava solo di stanchezza, fu mandato a San Pancrazio a Roma, dove si stava ristrutturando la casa. Concluso quel lavoro, riparò all’ufficio Nigrizia di Verona come aiutante nel reparto spedizioni. Vi rimase dal 1979 al 1983.

Ripresosi abbastanza bene, chiese di tornare in missione. Andò a Belo Orizonte con P. Francesco Lenzi che era padre maestro dei novizi. Vivevano in una casa in affitto. Fr. Aldo non si dette pace finché non riuscì a costruire una bella casa per i confratelli.

“Era un grande lavoratore e non perdeva tempo – ha detto P. Lenzi –. Prima faceva i progetti, li studiava e, qualche volta, restava male se non venivano eseguiti come li aveva pensati. Però, anche se aveva dei contrasti, poco dopo era tutto passato. Eseguì un’infinità di capitelli e di simboli religiosi. In queste piccole costruzioni si ispirava a due mani che sostenevano il mondo sul quale c’era la croce. ‘Noi missionari siamo le mani che sostengono il mondo, sul quale c’è Cristo’, soleva ripetere. Devo dire – conclude P. Lenzi – che nei lavori ha sempre dato il meglio di sé”.

Il campanello d’allarme

Il 19 marzo 1985 Fr. Aldo fu colpito da un leggero infarto e, dopo due mesi rientrò in Italia, ma si riprese bene per cui chiese di tornare in Brasile. Fu a Campo Eré e a San José do Rio Preto, sempre come addetto ai lavori e alla casa, anche se ormai doveva limitarsi nel suo entusiasmo.

Nel 1998 subì un’operazione a Borgo Roma. Quello fu il segnale che la sua attività in Brasile era finita. Del resto più volte, anche in altre occasioni, i confratelli gli avevano detto che, conclusa la fase urgente dei lavori, la presenza in Brasile dei Fratelli era un lusso del quale si poteva fare a meno. Se aggiungiamo a questo il carattere un po’ particolare di Fr. Aldo, portato a qualche scatto d’ira e ad un certo spirito di indipendenza, si capisce come fosse invitato a rimanere in Italia… “in comunità più numerose che ti offrano l’ambiente favorevole alla tua vita religiosa in prospettiva missionaria”. È la frase neanche tanto elegante con la quale il provinciale del Brasile lo licenziava. E col primo luglio 1999 Fr. Aldo fu definitivamente assegnato alla provincia italiana.

Verso la fine del suo diario scrisse: “In queste pagine ho insistito molto sulla parte materiale e poco, quasi niente, sulla parte spirituale. Come Fratello ho ritenuto opportuno dare più valore al lavoro perché è proprio qui dove il Fratello Comboniano si santifica”. Fino all’ultimo si rese disponibile per i piccoli lavori all’ufficio spedizioni, sempre con allegria e spirito umoristico. Riempiva i tempi liberi con buone letture, anche di argomenti scientifici, soprattutto la geologia di cui era appassionato.

Non ho paura di morire

Il suo calvario è cominciato nel settembre 2002. È stato ricoverato a Borgo Trento per un’emorragia. Vi è rimasto quattro giorni poi è ritornato a casa, in infermeria, perché si sentiva fiacco. In un secondo ricovero all’ospedale di Bussolengo, dal primo al 15 novembre, è stata riscontrata la presenza di un tumore ai polmoni, già in fase avanzata.

Le ultime settimane sono state abbastanza dolorose per la mancanza di ossigeno. Ma ciò che più ha impressionato è stata la serenità con cui Fr. Aldo ha affrontato la malattia. Già a metà ottobre aveva detto: ‘Sento che avrò poco tempo di vita. Mi fa tanto male qui sul fianco sinistro. Ma non ho nessuna paura di morire’. La serenità in morte è il dono che il Signore fa a chi ha dato con gioia la vita ai fratelli per amore di Dio.

In missione e anche in Italia Fr. Aldo si è dimostrato un uomo capace di fare amicizia con le persone. In stanza aveva centinaia di lettere di persone che, ancora dopo tanti anni, gli scrivevano. Aveva un cuore grande, capace di scusare, di usare misericordia anche con chi incorreva in grossi errori.

Un’altra caratteristica era la sua devozione alla Madonna. Nella malattia era sempre con la corona in mano. “Non so neanch’io quanti rosari dico ogni giorno… Del resto non mi resta che pregare e tenermi pronto. Ma lo sono, sai?”, ha detto poco prima di morire a P. Francesco Lenzi.

Sr. Valeria, sua compaesana, ha detto: “L’ho conosciuto come una persona franca, schietta, senza complessi, capace di conservare le amicizie. Conosceva le persone e le chiamava per nome. Aveva una memoria formidabile. Aveva anche il senso dell’umorismo che lo rendeva simpatico. Quando incontrava le persone, faceva loro festa. Era contento della sua vocazione missionaria ed era orgoglioso di ciò che aveva fatto in missione.

È spirato serenamente il 23 novembre 2002 in Casa Madre ed è stato sepolto nella tomba dei Comboniani nel cimitero di Verona. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

Bro. Aldo Morandini was born on 30 December 1919 in Boscochiesanuova, Verona, the birthplace of the servant of God Sr. Marietta Scandola, the first sister called by Comboni to serve in the African Missions. A stone cutter and mason by trade, after his military service he decided to become a Comboni Missionary. Already at an early age he had felt a great attraction to the missions, but the deciding event was “God’s positive answer” to a specific request: “If my two brothers return safe and sound from Russia and from Germany, I will become a missionary.” The brothers returned from the war and he honoured his promise.

Having entered the noviciate of Gozzano in 1948, he took his first vows on 25 April 1951. While in Gozzano he had the opportunity to practice his trade as a mason and as an artist, because the house needed many urgent restructuring jobs. He also gave a lot of help to the construction of the grotto of the Blessed Mother in the park of the noviciate. He served for a time in Italy, at Pellegrina, and then he went to North-Eastern Brazil.

He was one of the pioneers there and can be considered one of the co-founders of that Comboni province. The Comboni Missionaries arrived in Balsas in 1952 and Bro. Aldo joined them a year later. He was then 35 years old. He worked at building the saw mill, the brick factory, the bishop’s house, the hospital, the seminary, the school, always giving the best of himself.

In 1958 he moved to Southern Brazil where he remained for the next 30 years, always busy in construction. He was a great worker and never wasted any time. He always prepared the plans first, then he reviewed them and finally carried them out faithfully. He built homes, churches and seminaries. He had become a specialist in terrazzo work to fashion objects that were of use both in the homes of the people and of the missionaries alike. He also erected a number of monuments to the Blessed Mother and to the Sacred Heart, taking inspiration from a sculpture of two hands almost joined together and holding the globe above which stood a cross. He was fond of saying: “We missionaries are the hands of God that hold up the world on which Christ reigns.”

Bro. Aldo knew how to make friends. In his room he kept hundreds of letters from people who used to write to him even after 20 years. He had a great heart and was willing to excuse people and show them kindness, even if they had made serious mistakes. He always searched for the truth.

He liked to read and to study. He studied astronomy, geology and other sciences. Another trait of his was his devotion to the Blessed Mother. In Verona, during one of his breaks from the mission, he built the grotto that still stands and also worked with Bro. Mario Adani on the monument of Comboni that we can see standing in the yard of the Mother House.

In 1999 he returned to Italy for good, due to his failing health. Whenever he was strong enough, he would go to the shipping room to help pack books, letters and magazines. Like the good Veronese he was, he always had a good joke to tell.

His real calvary started in September 2002, when he was rushed to the hospital in Borgo Trento for a haemorrhage. Four days later he returned home, but he was placed in the infirmary, as he was very weak. During a second hospitalisation in Bussolengo, from 1 to 15 November, he was diagnosed as having a lung tumour already at an advanced stage.

The last few weeks were particularly painful because of difficulty in breathing. What made a great impression was the serenity with which Bro. Aldo faced his illness. One day, towards the middle of October, he said: “I feel that I don’t have long to live. I have a lot of pain on my left side, but I am not afraid of dying. All I need now is to pray and get ready. But, you know, I am nearly there!” During the last bout with his illness he always held on to his rosary beads: “I have lost count of how many rosaries I say each day,” he said to one of the nurses working in the C.A.A. Truly serenity in the face of death is a gift the Lord grants to those who offer their lives in the service of their brothers and sisters for God’s sake.

We also have the testimony of a person from his home town, Sr. Valeria, who said: “I knew him as a direct and truthful person without hang-ups and who knew how to make lasting friendships. He knew people and called them by their name. He was blessed with a very good memory and a subtle sense of humour that made him very likeable. Whenever he met people, he welcomed them with joy. He was happy in his missionary vocation and proud of what he had done in the missions. If there were misunderstandings, he always cleared them up and soon all was forgotten.”

After the funeral at the Mother House he was buried in the cemetery of Verona, where many other Comboni Missionaries have been laid to rest.

Da Mccj Bulletin n. 218 suppl. In Memoriam, aprile 2003, pp. 102-114