In Pace Christi

Morganti Andrea Luigi

Morganti Andrea Luigi
Data di nascita : 22/04/1920
Luogo di nascita : Gerno di Lesmo/MI/I
Voti temporanei : 21/04/1946
Voti perpetui : 20/04/1952
Data decesso : 09/11/2002
Luogo decesso : Milano

Andrea Morganti aveva 24 anni quando giunse alla conclusione del suo cammino vocazionale. Il 31 gennaio 1944 scrisse al Superiore Generale dei Comboniani esprimendo il suo desiderio di entrare nell’Istituto in qualità di Fratello coadiutore “promettendo, con l’aiuto del buon Dio, di sottomettermi in tutto alla Regola in esso osservata”.

Il parroco, Don Pietro Viganò, era stato particolarmente vicino a questo giovane che era un assiduo frequentatore dell’oratorio, anzi un animatore e catechista. Don Pietro assicurò che “la vocazione covava nel giovane da tanto tempo, almeno da due anni, e il giovane aveva sempre adeguato la sua condotta alla chiamata del Signore”.

Papà Riccardo era contadino e lavorava alcune pertiche di terreno che aveva in affitto. Aveva anche la stalla con alcune mucche. Purtroppo una paralisi se lo portò via nel 1940, lasciando nove figli, cinque femmine e quattro maschi. Andrea, che era il quarto, frequentò le prime tre classi delle elementari a Gerno e la quarta e quinta a Macherio.

Mentre la mamma, Teresa Brivio, si dedicava alla casa e ai figli, Andrea trovò lavoro come aiutante giardiniere e fattorino dal fiorista Casati di Monza, con l’incarico anche di portare i fiori a domicilio. La sorella Silvia entrò tra le Figlie dell’Immacolata Concezione prendendo il nome di Sr. Enrica. Allora il paese era povero, ma poi, un po’ alla volta, cominciò lo sviluppo industriale. Alcuni compagni di Andrea diventarono imprenditori importanti, ma non persero l’amicizia col loro missionario ed ogni tanto gli mandavano qualcosa per i suoi poveri.

Nonostante la bassa statura, 1 metro e 57, e il pollice e il mignolo della mano destra difettosi a causa di un incidente subito da ragazzo (gli era caduto addosso un carretto) dovette andare sotto le armi. Fu inviato a Roma e a Civitavecchia quale attendente di un colonnello di fanteria, di famiglia molto religiosa, che lo portava a Messa tutte le domeniche. I suoi compagni partirono per la Russia mentre egli si salvò a causa delle dita che non gli permettevano di maneggiare bene il fucile. Ad un certo punto, anzi, fu mandato a casa nonostante si fosse in tempo di guerra. Congedato, frequentò la chiesa di Gerno (che non era ancora parrocchia) dove celebrava il Comboniano P. Alfredo Paolucci il quale, da Venegono, era venuto a sostituire il parroco Don Edoardo Terruzzi, appena deceduto. L’incontro con P. Paolucci fu determinante per la vocazione di Andrea.

Il 1° marzo 1944 entrò nel noviziato di Venegono dimostrandosi subito, come scrisse il padre maestro: “Buono, generoso e assai attaccato alla vocazione. I suoi progressi nella vita spirituale sono sensibili e la sua buona volontà si manifesta ogni giorno di più. È di pietà sentita ed equilibrata. È generoso nel lavoro. Come carattere è socievole e sincero”.

Fece i voti il 21 aprile 1946 e fu immediatamente inviato a Verona come addetto alla casa. La guerra era appena terminata e nella Casa Madre c’era un gran brulichio di missionari. Molti tornavano dalla prigionia, altri, che avevano trovato rifugio in altre case della Istituto, confluivano alla base, c’era anche chi era reduce dal fronte. Quasi tutti si preparavano a partire per la missione dato che le vie del mare si erano riaperte.

Gli studenti di teologia che erano emigrati a Rebbio, tornavano a riempire le stanze lasciate vuote dai tedeschi che avevano occupato una parte della casa. Fr. Andrea doveva dare una mano per coordinare tutto questo traffico imballando merce che avrebbe preso la via dell’Africa, preparando valige e macchinari diretti alle missioni.

Un ideale in crescita

Nell’attesa, il suo ideale missionario crebbe continuamente. Ne fanno fede alcune lettere scritte in quel periodo ai superiori. Citiamo qualche frase: “Mi aiuti, caro padre, a pregare il Sacro Cuore perché la mia vita sia veramente tutta sua, per il suo Regno e per la salvezza delle anime. Vorrei che il Signore fosse sempre contento di me e la cara Madonna mi fosse sempre vicina, specialmente nei giorni più difficili” (23.1.1947).

“Ringrazio ogni giorno il Signore del grande dono della vocazione e, con l’aiuto della Madonna e del mio patrono San Giuseppe, cercherò di corrispondere sempre meglio a questa grazia e a tutte le altre che quotidianamente il Signore mi dona. Il mio ringraziamento va anche alla Congregazione e ai superiori che mi hanno sempre dimostrato tanto amore. Li ringrazio del bene spirituale e materiale che mi hanno fatto” (4.2.1949).

“La vita di Fratello coadiutore mi piace. Spero con l’aiuto del Sacro Cuore, della Madonna e di San Giuseppe, mio speciale patrono, di poter lavorare per lunghi anni per la gloria di Dio e per il trionfo del suo regno in terra d’Africa. Così tante anime di questi poveri africani potranno godere i frutti della Redenzione” (28.1.1952).

Destinazione Mozambico

Dopo tre anni, ricevette la destinazione per il Mozambico. Ma prima bisognava passare dal Portogallo per un corso di lingua portoghese e per avere dalle autorità i permessi di entrata nella “provincia portoghese di oltremare”, cioè nella colonia del Mozambico.

In Portogallo c’erano anche tanti lavori da fare perché l’Istituto vi era arrivato da poco e doveva crearsi le strutture. Fr. Andrea si applicò come apprendista falegname. In poco tempo divenne uno specialista del mestiere.

Partì per il Mozambico, con destinazione Carapira, il 25 gennaio 1951. Faceva parte del terzo gruppo di Comboniani che raggiunsero quella nuova missione aperta nel 1947 da P. Giuseppe Zambonardi e, subito dopo, da P. Michele Selis, P. Quinto Nannetti e P. Silvio Caselli. Fr. Andrea s’imbarcò a Lisbona e, dopo 43 giorni di navigazione, arrivò a destinazione: Carapira, nella provincia di Nampula.

“Erano i tempi in cui c’erano in giro leoni e leopardi che facevano strage degli abitanti dei villaggi – scrive P. Claudio Crimi. – Fr. Andrea riuscì a prendere un leopardo con una trappola. Era più lungo di lui”.

È interessante la vicenda di questa missione che diventerà molto importante nella storia della presenza comboniana in Mozambico. Prendiamo dal Bollettino dell’Istituto ciò che scrisse P. Zambonardi, tenendo presente che i tre cercatori del posto per la missione erano P. Zambonardi, P. Nannetti e Fr. Lamberto Agostini.

Carapira

“Fu così che si arrivò ad una valletta ricca di abbondante e buona acqua e di banane. Una vecchietta, seduta presso la sua capanna, si era prestata a mostrare il posto dove essa attingeva l’acqua. A breve distanza, nel folto dell’erba altissima, grosse bolle d’acqua salivano da una profondità imprecisata; all’intorno bosco folto copriva dei grandi ammassi di roccia.

‘Legna, pietra, terreno ottimo, acqua abbondante e sorgiva – esclamò P. Zambonardi – che vogliamo di più?’ Si sale sul versante sinistro del ruscello e, a un 200 metri, in un terreno piano si fissa il luogo: qui sarà la missione! È il 17 novembre 1947.

Di ritorno da Mossuril, dove ha presieduto alla festa solenne dell’Immacolata, il vescovo di Nampula, accompagnato da P. Zambonardi, passa a vedere il luogo prescelto per la missione primogenita. È ancora tutto bosco selvatico. Il vescovo non è soddisfatto: ‘Este é lugar para bichos, não é para homens (in questo luogo possono vivere solo gli animali, non gli uomini)’. Intanto gli si mostra una capannuccia di metri 3x3 fatta in fretta e alla meglio per dare alloggio ai missionari mentre sorvegliano i lavori. Il vescovo tace e scuote la testa… ‘Questi stranieri o sono matti o c’è da ammirarli’. E sale in macchina.

La capannuccia non è ancora ultimata, ma i missionari non indugiano più. P. Nannetti e Fr. Riccardo Baggioli il giorno di Santa Lucia, sabato 13 dicembre, aprono la missione. Come nome le si dà quello di un vecchio africano (già morto) che ha dato il nome alla zona circostante: Carapira.

La notte umida scende sulla missione. I due missionari sentono un brivido vedendosi da soli in quella solitudine, mentre si ode un lugubre suono di corno e il ruggito del leopardo soddisfatto della preda. Si guardano in faccia e sorridono. I muri, intonacati con le mani nello stesso giorno, sono ancora gocciolanti. A stare in piedi si batte col capo nel tetto. In quei nove metri quadrati di vano devono vivere in due. Là devono stare due letti, i bagagli, l’altarino portatile, il sacco delle provviste, la cassetta dei medicinali, uno scaffale fatto di canne di bambù… Per alcuni mesi quella fu la camera dei due, fu il refettorio, la chiesa, l’infermeria quando qualcuno era tenuto a letto dagli attacchi di malaria.

Intanto si fa uno steccato intorno alla capanna e si pianta qualche fiore. Si continua a disboscare e si semina qualcosa. Non è ancora passata una settimana che il gerente di un’impresa agricola di Monapo, un tedesco protestante, compare a piedi sul posto di lavoro.

‘Ho saputo che siete arrivati da queste parti e penso che agli inizi abbiate bisogno di qualche cosa. Sono a vostra disposizione e saremo sempre buoni amici se non farete complimenti’. Il capoposto, favorevole alla missione, viene trasferito e ci regala il suo pollaio: galline livornesi e anatre…

Uno dei primi lavori di Fr. Baggioli è stato quello di incanalare l’acqua della sorgente e raccoglierla in un serbatoio in modo che restasse sempre pulita. Poi sorse una grande tettoia per radunare la gente quando veniva alla missione per la preghiera, quindi fu costruita la scuola: muri di pietra e tetto di paglia, ma capace di contenere 300 alunni; poi fu la volta della capanna-ospedale, poi della stalla e di altri edifici per le abitazioni del personale indigeno che lavorava in missione”.

Puntarono sulla scuola

Quando arrivò Fr. Andrea la missione di Carapira era molto sviluppata con fabbricati e scuole. Il nuovo venuto non aveva uno specifico mestiere per cui si trovò in seria difficoltà, ma la simpatia degli altri fratelli lo aiutò a diventare un abile falegname e un abile costruttore. Nonostante questi suoi limiti, fu subito assegnato alla Scuola Tecnica, dove lavorerà fino al 1965.

I missionari, infatti, concentrarono il loro lavoro nella scuola per africani, dato che il governo coloniale portoghese aveva scuole solo per i figli degli europei. Questo fatto rese difficoltosa l’entrata di nuovi missionari italiani in Mozambico poiché il governo temeva che la loro opera emancipasse la popolazione africana mettendole in testa idee di indipendenza.

I missionari non si persero d’animo e continuarono il loro lavoro non solo nella scuola, ma preparando catechisti, istruendo catecumeni e fondando laboratori di arti e mestieri. Ben presto Carapira divenne un centro missionario di primaria importanza. Con P. Giorgio Ferrero, superiore regionale e locale, P. Silvano Barbieri, parroco e P. Alfonso Cigarini vi si trovavano Fr. Andrea come addetto ai lavori, Fr. Igino Antoniazzi, incaricato della falegnameria, Fr. Giovanni Grazian, responsabile dell’officina della scuola artigiani e Fr. Antonio Schiavon, aiutante del procuratore.

P. Alfredo Bellini, chiamato da Lurio, si prestò per decorare la chiesa. A questa attività materiale faceva riscontro un grande movimento di persone che si riversavano nella missione per il battesimo e l’istruzione. I padri, oltre al lavoro in missione, si dedicavano alle “desobrigas” per cercare la gente nei loro villaggi.

Il 2 agosto 1964, tornando dagli esercizi spirituali, P. Barbieri con Fr. Andrea e Fr. Agostini finirono con la Land Rover in un campo di banane, per uno sbandamento improvviso sul terreno reso viscido dalla pioggia. Grazie ai loro angeli custodi, tutto finì senza danni né alle persone né all’auto.

L’altra missione che vide la presenza di Fr. Andrea fu quella di Estima, fondata nel marzo 1966, di cui fu uno degli iniziatori, insieme a P. Ferrero e P. Renato Rosanelli. Aveva costruito tutto lavorando sodo e preparando gli operai, seguendo l’esperienza che si era fatta costruendo la chiesa di Carapira. Vi rimase fino al 1987. Dal 1987 al 1997 fu a Songo.

Indipendenza e persecuzione

Scrive P. Giacomo Palagi: “Ho conosciuto Fr. Andrea in tempi difficili per la missione del Mozambico. L’indipendenza (giugno 1975) ci aveva riempito tutti di gioia e per essa avevamo lavorato e sofferto. Ma l’idillio con il nuovo governo della Frelimo e la sua scelta marxista gelarono sul nascere i buoni rapporti e ben presto se ne misurarono gli effetti sulla Chiesa, sui missionari, ma soprattutto sulla gente.

Il gruppo dei Comboniani nella provincia di Tete, al centro-nord del Mozambico, lungo il fiume Zambesi, assistevano da una decina di anni varie missioni. Fr. Andrea era arrivato con il primo gruppo e si era stabilito nella zona di Estima, dove aveva diretto la costruzione dei vari edifici della missione. E proprio qui si trovava al momento dell’indipendenza, felice tra i suoi poveri, ciechi e lebbrosi (‘i miei tesori’), tra i suoi muratori e falegnami, che aveva istruito e costituito in cooperativa, tra i maestri della scuola elementare, tra le mamme che venivano a battere di continuo alla sua porta per avere qualche medicina o qualcosa da dare ai figlioletti, tra i tanti bimbi che facevano finta di spaventarsi alla vista della sua barba bianca, ma che poi lo circondavano al momento della distribuzione dei dolcetti…

Come tutti noi, al momento delle nazionalizzazioni delle missioni (1976), Fr. Andrea è stato costretto brutalmente a uscire dalla sua casa per far posto a gente ‘produttiva’, avanguardia al servizio del popolo. Fr. Andrea ha subito le umiliazioni con grande amore alla gente e alla sua vocazione, e anche in seguito non l’ho mai udito lamentarsi dei maltrattamenti ricevuti in quei giorni. Anche se provato e con una certa difficoltà a capire il nuovo stile di presenza missionaria che si stava delineando, ha desiderato restare, sentendosi bene nel gruppo dei Comboniani e soprattutto con la gente, che lo ha amato sapendo distinguere il tratto burbero di alcuni momenti, dal cuore grande di chi aveva la casa sempre aperta all’accoglienza.

‘Noi lavoriamo per Lui, per il Signore’, ripeteva e ciò gli dava forza e coraggio per sopportare le difficoltà provenienti dalla guerra, dalla solitudine in cui i missionari erano costretti a vivere e, più tardi, dalla malattia.

Ed era nella casetta di Estima, costruita nel villaggio con pareti di fango e poi intonacata per renderla più forte, secondo il ‘brevetto’ di Fr. Andrea, che per lungo tempo il gruppo comboniano si ritrovava regolarmente. Erano momenti desiderati da tutti: parlavamo della situazione, del cammino difficile del Mozambico indipendente, della guerra che incombeva, dei progetti per venire in aiuto alla gente, del lavoro pastorale ‘possibile’, delle scuole in cui ci eravamo impegnati, degli alunni, della gente dei villaggi e delle comunità cristiane… Sì, di quelle soprattutto parlavamo. E Fr. Andrea, dopo aver orientato il lavoro in cucina, partecipava con la sua abituale foga. A volte rappresentava l’opposizione di fronte al nuovo; ma poi non aveva difficoltà ad appoggiare idee e progetti che fossero di aiuto alla gente”.

Il Centro Pesca

“È nata così la sua collaborazione con P. Claudio Crimi al ‘Centro Pesca’, progetto per favorire l’alimentazione degli studenti delle scuole della zona e altre iniziative per migliorare le condizioni di vita della gente. Fr. Andrea era conosciuto come costruttore e falegname, fin dall’impresa ciclopica della costruzione della chiesa di Carapira, nella diocesi di Nampula, negli anni cinquanta. Ma negli ultimi tempi le sue costruzioni risentivano un po’ degli acciacchi e dei timori dovuti all’età: finestre piccole, interni scuri; la chiesa di Songo, l’ultima sua grande impresa, è rimasta un po’ bassa, come pure la casetta di Boroma.

Ma un elemento caratterizzava sempre le sue costruzioni, sia per la gente che per le missioni: la veranda. Quella no, quella non poteva mancare, piccola o grande che fosse: è lì che la vita della gente si svolge, è lì che ci si ritrova a conversare, a socializzare. E sotto la sua veranda, Fr. Andrea curava le ferite dei piccoli, ascoltava i problemi della gente, distribuiva aiuti, si sedeva quando era stanco e condivideva la sua giornata con i confratelli.

Si ritirava presto la sera, ma non prima di essere passato per un ultimo saluto dal ‘Patrão’ (Padrone) nella sua minuscola cappella. Questa era l’altro centro importante della casa. Ogni giorno restava per due momenti prolungati a pregare in cappella, al mattino e al pomeriggio.

Nei giorni in cui il sacerdote poteva venire dalle missioni di Marara o di Songo, alla sera aveva la gioia della Messa, ma nel resto della settimana doveva arrangiarsi da solo. La gente sapeva quando il Fratello era a pregare, e questo era l’unico momento in cui non risuonava il solito perpetuo ‘dá licença, dá licença… (permesso, permesso)’.

Soprattutto nella missione di Estima, la gente continua a ricordare Fr. Andrea, non solo per le sue doti di costruttore, falegname, idraulico e factotum. Lo ricorda per il suo buon cuore e per la sua accoglienza. Ho rivisto Fr. Andrea a Rebbio, felice di vedermi, felice di avere notizie dal Mozambico, soprattutto di persone concrete che ricordava. E poi ha aggiunto: ‘Vedi, al Mozambico penso sempre volentieri e continuo a pregare. Ma le mie condizioni di salute non mi permettono di ritornare: sarei di peso a tutti voi. Sto qui il tempo che il Signore mi vorrà concedere, ma state certi della mia preghiera’”.

Un piccolo episodio

“La storia delle finestre della casa di Boroma. Obbligati ad uscire dall’antica missione di Boroma, nazionalizzata, chiedemmo a Fr. Andrea di costruirci una casetta nel villaggio, a fianco di quelle della gente. Doveva avere tre stanze, una saletta (che sarebbe servita anche da chiesa), un bagno. La cucina, fuori, secondo il costume locale. Dopo qualche giorno ci ritrovammo a Marara per uno dei nostri abituali incontri e Fr. Andrea ci mostrò il disegno della casa. Sì, andava bene, ma le finestre ci sembravano troppo piccole… ‘Andrea, facci le finestre più grandi…’. ‘Cosa ci fate con le finestre grandi? Guardate le case della gente: hanno le finestre grandi?’. ‘Sì, è vero, Andrea. Ma la gente in casa ci va solo per dormire e la casa serve a loro per tenere quanto hanno’. ‘E non è per questo che vi serve la casa?’. ‘Sì, anche per questo, ma noi in casa ci viviamo, nelle nostre stanze ci dobbiamo preparare le lezioni, studiamo, scriviamo…’. ‘Io nella mia stanza ci vado solo per dormire e chiudo tutto!’. Non sembrava troppo convinto, sapendo che le case della gente hanno finestre piccole per evitare di essere derubati o altro…

Qualche tempo dopo ci ritrovammo e portò un nuovo disegno, questa volta con le finestre un po’ più grandi.

‘Ma Andrea, ci sembrano ancora piccole. Siamo in Africa, facci prendere aria, fa entrare la luce del giorno!’. Rimase un po’ pensieroso e poi disse: ‘D’accordo. Ho nella falegnameria su ad Estima delle finestre che avevo fatto tempo fa per una casa a Songo: sono più grandi, troppo grandi, ma se proprio insistete, venite a vederle e se vi piacciono useremo quelle’. E fu così che la casa fu costruita attorno alle finestre che già esistevano.

Morale della favola: sì, è vero, dalle finestre entrava luce e aria come era nostro desiderio, ma anche polvere e calore, zanzare e scarafaggi in quantità tali da doverci barricare in casa, difendendoci con tende e altre diavolerie”.

In Mozambico Fr. Andrea ebbe la possibilità di conoscere operai e tecnici che si occupavano della costruzione della diga di Cabora Bassa. Da essi, soprattutto dagli impiegati della SAE (italiani) ebbe generosi aiuti. A proposito di aiuti, grazie alla sua faccia tosta, ne ottenne molti dai suoi compagni di gioco di Gerno e Lesmo. Tra questi non possiamo dimenticare il signor Lino Ventura e Don Adriano, parroco di Gerno, il quale diceva sempre di invidiare la vocazione entusiasta ed entusiasmante di Fr. Andrea.

Ora continuerai con la preghiera

Fr. Andrea è stato uno degli ultimi fratelli “vecchio stile”, fratelli “ora et labora” con in testa l’idea chiara di salvare l’Africa con l’Africa. Infatti, oltre alle costruzioni, ha lasciato dietro di sé tanti giovani che hanno imparato a lavorare, a rispettare gli orari, ad essere efficienti, ad avere un mestiere in mano. Ai ragazzi offriva lavoro perché potessero “mettere via un soldino e imparassero qualcosa”. A proposito della sua preghiera, anche la gente che aveva bisogno di parlare con lui, aveva imparato a non interrompere il suo dialogo con Dio. “Non disturbiamo Fr. Andrea – dicevano – ora sta parlando col Signore”. E aspettavano.

Si è sempre, specialmente durante gli anni difficili della guerra e della fame, preoccupato dei poveri e dei sofferenti. Il nipote Ernesto era il suo fornitore costante per affrontare le necessità dei lebbrosi, dei ciechi e dei poveri della missione. La sua sensibilità alla sofferenza altrui lo aveva portato a fare il dentista in quella zona dove non c’erano né ospedali, né medici, né infermieri. Un po’ come nel “Far West”, ma quanti denti doloranti ha tolto!

Ricordiamo anche la sua delicatezza con i confratelli. “Quando lavoravamo insieme – scrive P. Crimi – io andavo in zone particolarmente selvagge. Ogni volta che tornavo a casa dopo tre, quattro giorni di assenza, incontravo Fr. Andrea che mi aspettava e mi diceva: ‘Padre, hai lavorato molto. Ora siediti che devi risposarti’. E mi preparava un bel tè caldo, ma prima mi offriva un bicchiere di acqua fresca. Era tutto quello che avevamo, ma dato con quel cuore diventava squisito”.

Col primo luglio 1996 Fr. Andrea lasciò la missione per essere definitivamente assegnato all’Italia. “Che dire ad uno come te – gli scrisse il Superiore Generale – che sei andato in missione quando io avevo due anni e ci sei rimasto fino a quando la salute te lo ha permesso? Sento di esprimerti tutta la gratitudine e l’apprezzamento dell’Istituto per la tua fedeltà alla vocazione di Fratello Comboniano e fare, insieme a te, quel bell’atto di fede col quale affermiamo che tutto ciò che viviamo in missione per il Signore servirà per la venuta del Regno di Dio. Ricordo con molto piacere quando ti ho incontrato per la prima volta a Songo e quando abbiamo pregato insieme nelle tue ‘cattedrali’, quella di Songo e quella di Estima. Ora continuerai nella preghiera e nel servizio il tuo legame con l’Africa e, soprattutto, col Mozambico. Ti auguro tanta gioia e tanta serenità per dare testimonianza di come la vita missionaria ci renda veri uomini, e uomini veramente felici. Prego per te e ti chiedo di pregare per me”.

Fr. Andrea è stato fedele alla preghiera e, come un soldato, si è tenuto pronto alla chiamata del suo Generale. È stato sempre disponibile a fare la volontà di Dio e anche se, qualche volta, ha dubitato che certe volontà dei superiori fossero proprio quella di Dio, tuttavia le ha eseguite con spirito di fede.

Fr. Andrea andò nella casa di Rebbio dedicandosi alle piccole incombenze indispensabili in una comunità. Quando la salute cominciò a declinare, passò al Centro Ammalati di Milano. Si era all’inizio di giugno del 2002. Colpito da ictus, venne ricoverato all’ospedale Niguarda dove morì. Era il 9 novembre 2002. È stato sepolto nel cimitero del suo paese.

Ci lascia il ricordo di un uomo buono, di fede e disponibile, sempre pronto ad accorrere dove ce ne fosse bisogno. Un uomo che non si limitò a lavorare, ma si preoccupò soprattutto di insegnare ai giovani africani le varie arti e i mestieri in modo che fossero in grado di fare da soli nella vita.

Fu soprattutto un missionario di preghiera, umile e caritatevole, tanto da farsi benvolere da tutti. La gente di Gerno lo ricorda inginocchiato a lungo nella chiesa, davanti alla statua di San Giuseppe che egli venerava come suo speciale patrono e del quale propagandava la devozione. Amò gli africani donando tutto se stesso fino a consumarsi per loro. Certamente, appena arrivato in Cielo, si sarà sentito ripetere quelle parole: “Vieni, benedetto, nella casa del padre mio. Avevo fame e mi hai dato da mangiare, ero nudo e mi hai vestito”. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

Bro. Andrea Luigi Morganti’s obituary is provided by Fr. Claudio Crimi.

Dear Andrea, finally you have reached the place where you always wanted to go. You have met Jesus whom punctually you greeted every morning in the community chapel. This might have been a very small one, like the chapel in Songo that the visiting Superior General described as the smallest community chapel he had ever seen.

In spite of your small height, 1,57 meters in all, you were not exempted from being drafted during World War Two.

You were born on 22 April 1920 in Lesmo, a small hamlet in Brianza where people were tenant farmers. This little cluster of houses later turned into a small industrial town, to the extent that many of your friends, who had by now become business people, were able to help you in assisting the poor. The over 40 years you spent in Africa shaped your will to carry out all the tasks you had been asked to, though, as a boy in your village, you did not have the chance to study much. You entered the noviciate in Venegono, took your first vows in 1946 and, after five years in Italy, you were sent to Portugal, but for a short time only, as you were soon assigned to Mozambique.

You were among the first Comboni Missionaries to arrive in Mozambique, in the area of Nampula, in the year 1951, and there you stayed until 1997. In those days lions and leopards were a menace to the population of some villages. You even succeeded to trap a leopard. He was bigger than you. You used to tell me these stories when we were spending nights chatting away in the mission of Estima from 1981 to 1986. In 1966 you went to Estima, Tete province, to open the new mission with Fr. Giorgio Ferrero and Fr. Renato Rosanelli. You built everything by working hard and training your workers, using the experience you had gained in Nampula-Carapira while building a large church there.

You were one of the pioneers in Nampula, where you worked for 15 years. You used to tell me that those were hard times. You had arrived in the missions without any specific training and were faced by several difficulties, but the support of the other Brothers in Carapira had helped you overcome them to the point that you became an expert carpenter and builder. I can truly say that you have been one of the last Brothers of the old style: “ora et labora”, at the service of the mission and of the confreres. You had clear ideas about saving Africa with Africa. Beside leaving behind buildings, in particular the churches of Carapira and the mission of Estima, you have also left behind countless young people who have learned from you how to work, how to respect a schedule, be effective, start a trade. Even to the youngsters you always gave little jobs to do so they could earn some money and learn at the same time.

You intimately lived the tragedy of the war in Mozambique, first the colonial struggle and then the Frelimo/Renamo conflict. During all these years you always cared for the poor and the afflicted. With your nephew Ernesto, who constantly supported you, you helped the lepers, the blind and the poor of your mission. Your empathy with other people’s sufferings led you to become a dentist in areas where there were no hospitals, doctors, nurses. Something in a Far West style perhaps, but only God knows how many teeth you have pulled for people who could no longer stand the pain. All this happened because you had lots of courage.

When we were together, whenever I returned from the bush after three or four days of a rather Spartan living, you were always waiting for me and would say: “Father, you have worked hard. Now sit down and rest while I prepare a good cup of tea, but first drink this nice glass of cold water.”

Dear Bro. Andrea, you were always a true friend and together we shared many good days, even in the midst of war situations. You used to tell me the story of how the mission of Estima had been nationalised and how you remained on the premises by yourself, enduring moments of great humiliation and sufferings at the hand of Frelimo. You lived through that time bearing everything with patience.

You were faithful to prayer, like a soldier who is ever ready to answer his general’s call, generous in following God’s will, no matter the cost. At times, I presume, you also had doubts as to whether the superiors’ will was truly God’s will, but we all have our doubts. You distinguished yourself by your perseverance, constancy, faithfulness to the Lord and your love for the poor. I believe that as soon as you met St. Peter you heard those words: “Come, you blessed, into my Father’s house. I was hungry and you gave me food, I was naked and you gave me clothing…”

After more than 40 years in Africa, offering your missionary service, you got sick and the doctors suggested that you returned to Italy. They sent you to Rebbio where, with the faithfulness of a stop-watch, you continued to pray for Africa and to offer your life to the Lord.

Thank you, Andrea, for everything and above all for your faith. You saw everything we can think of, but you always said: “We work for Him” and you continued to face difficulties, including those coming from your confreres, the war, diseases, many years of isolation in the missions when we all had to work far apart and could only meet twice a week. Faithfully, you were always at your post.

“I would like to talk to Bro. Andrea,” someone would say, but if it was prayer time, the answer was: “Do not disturb Bro. Andrea, because at this moment he is not receiving anyone. He is talking to his Chief.”

You have now finally arrived in front of your Chief. You can now speak to Him face to face. Do it also on our behalf, as we remember you. Your people, also, remember you and pray for you. Ciao, Andrea. See you in heaven.

Da Mccj Bulletin n. 218 suppl. In Memoriam, aprile 2003, pp. 90-102