In Pace Christi

Furbetta Carlo

Furbetta Carlo
Data di nascita : 08/07/1920
Luogo di nascita : Albacina di Fabriano/AN/I
Voti temporanei : 07/10/1937
Voti perpetui : 07/10/1942
Data ordinazione : 24/06/1943
Data decesso : 24/07/2002
Luogo decesso : Vitória/BR

Carlo era il secondogenito di Alfredo e Maria Moretti, possidenti terrieri, nato a Fabriano, Ancona, l’8 luglio 1920. Si dimostrò subito un ragazzino vivace, intelligente, testardo e molto generoso. Dopo la prima Comunione volle far parte del gruppo dei chierichetti e, sull’altare, si mostrò subito protagonista.

Un giorno passò dal paese un Missionario Comboniano in cerca di ragazzi disponibili a farsi missionari. A Riccione i Comboniani avevano un piccolo seminario, sostituito nel 1940 da quello di Pesaro.

Carlo, affascinato dai racconti dell’Africa e della missione, chiese di farsi missionario. I genitori, però, si mostrarono piuttosto scettici e, a dire la verità, non vedevano di buon occhio che quel ragazzino di 10 anni lasciasse la casa per entrare in un seminario. Bisogna tener presente che Carlo era arrivato undici anni dopo il primogenito, Flavio, e quindi era considerato il beniamino della famiglia. Ma non si perse d’animo e insistette fino a quando riuscì a spuntarla grazie a quella dose di cocciutaggine che il Signore gli aveva messo in corpo. La nipote Mariella dice che, alla fine, fu il fratello maggiore, di 22 anni, a dargli il permesso scritto di entrare tra i missionari, perché i genitori non se la sentirono anche se, in fondo, non erano del tutto contrari.

Dalla pagella scolastica di quarta elementare, rilasciata il 30 luglio 1930, risulta che Carlo era stato promosso in quinta; nel 1930, però, entrò nel seminario comboniano di Riccione per iniziare la prima media, saltando così la quinta elementare. Dopo la seconda media passò a Brescia per la terza media e per il quarto e quinto ginnasio. Sul registro custodito nell’archivio di Brescia ci sono le note scolastiche: Carlo è sempre stato promosso alla prima sezione di esami con voti dal 7 al 10, segno che era un ragazzo diligente e impegnato.

Il 7 ottobre 1935 entrò nel noviziato di Venegono. Portava con sé la lettera del vescovo di Fabriano e Matelica, Mons. Luigi Ermini, nella quale si dichiarava che il giovane Carlo Furbetta era stato battezzato, cresimato e “che ha tenuto sempre una condotta religiosamente esemplare, né si è gravato di debiti o di altro che possa in qualunque modo causargli ricerche da parte dell’autorità giudiziaria. Anche la famiglia consente volentieri e dichiara di non aver bisogno del suo aiuto materiale”. Emise i voti il 7 ottobre 1937 e passò a Verona per terminare il liceo.

P. Carlo ricorderà sempre con commozione il giorno della sua prima professione. Quando nel 1992 celebrò il 50° di Messa, disse: “Quando ero adolescente, con entusiasmo e senza eroismo mi consacrai a Dio con i tre voti di povertà, castità e obbedienza. Avevo 17 anni. Sapevo quello che questi voti significavano per me, ma era una conoscenza di tipo speculativo. Sarebbe stata la vita, più tardi, a farmi sentire nella carne il peso della croce e il dolore di questi tre chiodi che mi avrebbero per sempre legato a lei. Mi avevano detto nella formazione che si trattava di una rinuncia al mondo per una scelta totale di Cristo e del suo regno. Accettai. Ma in ogni momento, davanti alla lotta reale della vita, nei miei 50 anni, anzi 55 di consacrazione ho dovuto riprendere fiato meditando quel testo misterioso di Paolo che dice di Cristo: ‘Era figlio di Dio ma ha imparato ad obbedire tramite la sofferenza che dovette sopportare’”.

Assistente dei giovani seminaristi

Quando iniziò la teologia, venne mandato a Padova come assistente dei ragazzi di quel seminario comboniano e a Padova fu ordinato sacerdote da Mons. Carlo Agostini. Era il 24 giugno 1943. Nel febbraio dell’anno prima (1942) gli era stato asportato un rene. Qualcuno pensò che fosse “un uomo finito”. Invece Carlo lavorò sempre come una persona sana e anche di più, sopportando disturbi dovuti all’ipertensione che si portò dietro per 60 anni di vita missionaria, prima tra i giovani in Italia e poi come missionario in Brasile.

Carattere estroverso e fantasioso, seppe farsi ben volere dai seminaristi. Era uomo di notevoli iniziative per cui i ragazzi erano spesso occupati in accademie e recitazioni (commedie e operette) che attiravano tanti amici all’Istituto. Come carattere era buono, ma non tollerante di fronte alle mancanze. Anzi, esigeva regolarità, impegno, studio, disciplina e pietà. Al momento opportuno sapeva condividere i momenti di ricreazione, le passeggiate e le esplosioni di allegria. Insomma Carlo si dimostrò un vero formatore, capace di capire i giovani, di affrontare insieme i loro problemi e di risolverli. Per questo i superiori decisero che avrebbe continuato a vivere tra i giovani ancora qualche anno.

Pesaro e Sulmona

La prima destinazione di Carlo fu il seminario comboniano di Pesaro. I suoi compiti erano quelli di assistente dei ragazzi, predicatore di giornate missionarie alla domenica, insegnante e animatore vocazionale. L’elenco delle materie da lui insegnate contemporaneamente la dice lunga sulle sue capacità. Infatti insegnò latino, italiano, inglese, letteratura italiana e latina, e metafisica. A Sulmona insegnò anche teologia morale ad alcuni studenti comboniani di teologia.

Si era nel periodo della guerra e le difficoltà per assicurare cibo ai seminaristi erano notevoli, anche se non tragiche come in altri seminari dell’Italia del nord. Pesaro era una zona agricola, i contadini erano generosi per cui il necessario non mancò mai sulla tavola di quei futuri missionari. Questo, però, grazie anche al lavoro di P. Carlo e degli altri confratelli che non si vergognavano di tendere la mano.

P. Carlo rimase a Pesaro 7 anni, fino al 1950, e contribuì a diffondere la conoscenza dei Comboniani in molte parrocchie. Con lui il gruppo degli amici e dei benefattori della casa aumentò notevolmente, anche perché la gente lo sentiva come “uno dei suoi”.

Nel 1950 venne inviato nel seminario missionario comboniano di Sulmona come vice superiore e insegnante.

P. Pietro De Angelis, superiore di Pesaro, scrisse di lui: “Buon religioso, pieno di buona volontà e pronto al sacrificio. Qualche volta un po’ rude con i confratelli, ma di buon cuore. Desidera molto partire per la missione, ma è disposto a obbedire e a restare ancora in Italia”.

E P. Emilio Ceccarini, superiore dei seminari minori comboniani d’Italia, aggiunse: “Esuberante, intelligente, capace in tutto, dinamico, furbo, intuitivo, ricco di fantasia, molto buon senso, di saggio consiglio, spesso cavilloso, sa di sapere e lo dimostra, subissa con la voce e con la logica, entusiasta di tutti gli uffici che ricopre con efficacia.

Nei suoi ragionamenti alle volte è fastidioso come una mosca, “stuzzicatore” ad oltranza, non sa contenere la sua esuberanza fisica e verbale. È un mago nell’insegnamento, accentuata e reale capacità di direzione e intuizione degli adolescenti, ottiene la massima fiducia dagli alunni perché è capace di trasmettere sicurezza. Occuperebbe bene l’ufficio di padre spirituale. Potrebbe fare benissimo anche il superiore, ma temo molto per la sua esuberanza e per la sua radicalità che non ammettono mezze misure o compromessi”.

Tra i primi in Brasile

Nel marzo del 1951 P. Rino Carlesi, poi vescovo di Balsas, lasciò Viseu in Portogallo, dove si stava costruendo il seminario comboniano, per andare in Brasile a cercare aiuti presso i ricchi portoghesi. Contemporaneamente la Sacra Congregazione Concistoriale di Roma invitava il Superiore dei Comboniani ad aprire qualche missione in Brasile.

P. Carlesi, invece dei “ricchi portoghesi” trovò una marea di poveri che avevano bisogno di essere evangelizzati e… sfamati. E si fermò. L’anno dopo P. Carlo e altri confratelli, s’imbarcarono sul transatlantico Vera Cruz giungendo nella baia di Guanabara, presso Rio.

Nell’ottobre del 1951 P. Rino Carlesi visitò Serra, la parrocchia che Mons. Luis Scortegagna, vescovo di Vitória, offriva ai Comboniani a nome del Nunzio. P. Rino ebbe la netta impressione che l’offerta fosse più un campo di missione che un punto d’appoggio. Ma il Nunzio disse in tono che non ammetteva repliche: “Accetti quel punto d’appoggio. In seguito si vedrà. Si lasci guidare dalla divina Provvidenza, e vedrà che lo Stato dello Spirito Santo diventerà un punto di partenza per cose grandi per il bene delle anime e della Congregazione”. Bisogna dire che queste parole si riveleranno una profezia.

P. Carlo Furbetta fu inviato a Serra come curato. Dalle cronache della missione del Brasile, ricaviamo quanto segue: “Serra, che includeva anche alcune cappelle del Municipio di Fundão, è a 35 chilometri dalla capitale, Vitória, e a 600 a nord di Rio de Janeiro. Contava, allora, 1.200 abitanti e abbracciava un territorio di 1.200 kmq. Situata in posizione amena sopra un colle circondato da monti, era stata fondata nel 1556 dal padre gesuita Lorenzo Bras.

Nella notte del 23 luglio 1952, alla chetichella, entrava in Serra il suo primo parroco: il Comboniano P. Francesco Marchi Aletti, accompagnato da P. Carlesi, tornato da Balsas, e da Fr. Guerrino Xillo. Il loro ingresso in chiesa e poi in canonica non fu privo di qualche emozione. Infatti, essendosi il vescovo dimenticato di avvisare la popolazione del loro arrivo, furono presi per ladri con le conseguenze che ognuno può immaginare. In settembre P. Carlesi tornò in Europa e arrivò il nuovo curato, P. Carlo Furbetta.

Protestanti e spiritisti andavano a gara per contendersi il popolo che era un incrocio di sangue indio, nero e portoghese. Tuttavia in due anni i missionari battezzarono, nella zona, 1.200 persone e regolarizzarono 550 matrimoni, un lavoro che fece davvero onore ai Missionari Comboniani”.

Preti così non ne avremo più

Nel 1955, dietro suggerimento del nuovo vescovo di Vitória, Mons. José Joaquim Gonçalves, i Comboniani si trasferirono a João Neiva (3.000 abitanti) e Ibiraçú (800 abitanti) dove l’80% della popolazione era di origine italiana (veneta), dedita all’allevamento del bestiame e alla coltivazione del caffè, con famiglie solide, ricche di fede e di figli, dove già da un anno i missionari si recavano sporadicamente per il ministero. Quelle località, data la natura della gente, sembravano più adatte ad un lavoro vocazionale. Le verdi vallate richiamavano da vicino le Prealpi trentine e tanti paesi portavano il nome di città italiane.

Toccò proprio a P. Carlesi l’ingrato compito di chiudere la missione di Serra tra la disperazione del popolo che diceva: “Preti così non ne avremo mai più”. Ben presto, su richiesta del vescovo di Vitória, i Comboniani si estesero a Nova Venécia, São Mateus, Conceição... A Ibiraçú sorgerà anche il seminario comboniano, e São Mateus diventerà diocesi a sé. Così si avveravano le parole del Nunzio: “Serra è destinata ad essere il punto di partenza per una maggior espansione e per grandi cose”.

Nel 1955 P. Carlo fu inviato a Nova Venécia dove lavorò con lo stesso impegno dimostrato a Serra, tanto che il vescovo, nel 1957, lo nominò parroco di São Mateus e dal 1959 al 1962 fu anche vicario generale della diocesi (di São Mateus). P. Carlo non costruì nessuna opera materiale, ma appoggiò con tutta la sua autorità la costruzione della scuola materna, dell’ospedale, della residenza del vescovo e del seminario diocesano… “e toccava a me cercare i mezzi finanziari per non fermare i lavori. Ma poi c’erano anche le relazioni con i ministeri governativi, con le autorità e le 50 cappelle che appartengono alla parrocchia, che bisogna visitare ogni tanto. La scuola mi occupa per 32 ore ogni settimana. Inoltre c’è il vescovo Mons. Dal Vit che spesso non sta bene e prende decisioni che io non condivido ma, essendo suo vicario, devo sostenerle di fronte agli altri. E così la pentola, piena di vapore, fa alzare il coperchio, cioè la mia pressione. In San Gabriel abbiamo comperato un terreno di 60 ettari per la costruzione di un pre-seminario per la Congregazione…”. Queste battute ricavate da una lettera del 1962 ci fanno vedere a quale attività P. Carlo si sottoponeva.

Però curava anche la parte spirituale. E si lamentava perché qualcuno voleva fare gli esercizi spirituali di soli 5 giorni anziché di 8 “come si faceva una volta”.

Il Superiore Generale gli rispose che non bisognava strafare: “Anche nostro Signore Gesù Cristo aveva davanti tutto il mondo da convertire, eppure si è limitato alla piccola Palestina. Io, i missionari non li fabbrico e lei mandi in vacanza quelli che hanno bisogno di riposo”.

Professore

Intanto i Comboniani in Brasile costruirono un seminario nella speranza di avere vocazioni autoctone, non tanto e non solo per l’Istituto Comboniano, ma per la diocesi. Si sa, il lavoro del missionario è quello di creare una Chiesa locale che sappia andare avanti con le proprie gambe. Quindi bisognava preparare seminari, sacerdoti, vescovi e poi, quando sarebbero stati in grado di fare da soli, i missionari sarebbero andati in un altro posto, sempre verso i più “bisognosi” nel senso della fede, come diceva il Beato Comboni.

Con il seminario, P. Carlo dovette salire nuovamente in cattedra. Ed ecco che dal 1962 al 1965 lo troviamo professore di latino, portoghese, storia, ecc. nel seminario di Ibiraçú.

Dal 1966 divenne direttore del ginnasio statale e della scuola normale della stessa città. Per coprire questi incarichi P. Carlo dovette affrontare nuovi studi, fare esami e conseguire il diploma in latino e portoghese che gli consentì di essere registrato come professore presso il Ministero Federale dell’Istruzione.

Come se questi impegni non bastassero, nel 1967 fu fatto parroco di Ibiraçú continuando, tuttavia, ad insegnare. Ciò fino al 1971, anno in cui passò a Taguatinga come procuratore di tutte le missioni comboniane del Brasile Sud. Dal 1973 al 1998 fu vice parroco, prima a Taguatinga, poi a Nova Venécia, quindi a Ecoporanga.

Nel 1999 passò definitivamente nella parrocchia di Nova Venécia come addetto al ministero dedicandosi in modo particolare alle confessioni e alla direzione spirituale di sacerdoti, suore e fedeli che ricorrevano a lui con fiducia.

Bene comunque

A P. Carlo fu chiesto come si fosse trovato nelle molteplici occupazioni che la missione gli aveva riservato. Rispose: “Bene perché in tutte le cose, che sono una miscela di dolce e amaro, il dolce me lo sono goduto e l’amaro l’ho sopportato meglio che ho potuto, sperando che mi sarebbe giovato per la vita eterna. Quindi, bene il dolce e bene anche l’amaro”.

“Quali attitudini pensi di avere?”

“Ho sempre trovato un certo gusto nel trasmettere agli altri quello che sapevo, sia in campo religioso (catechesi, predicazione…) sia in campo profano (scuola) e mi pare di esserci riuscito abbastanza bene. Col trascorrere degli anni, ho diminuito la parte profana per accentuare quella religiosa”.

“Per quali tipi di lavoro ti ritenevi più adatto?”

“All’apostolato tra la gente, all’animazione vocazionale tra i giovani, quando ero giovane, all’insegnamento e alla stampa. Mi hanno sempre fatto compassione i missionari che hanno dovuto dedicarsi all’economia e purtroppo, per tre anni, è toccato anche a me”.

“Quali elementi ritieni indispensabili per un buon equilibrio psichico in un missionario?”

“Forti dosi di lavoro pastorale tra la gente, condividendo i problemi dei poveri e facendo causa comune con loro”. Già da queste risposte si può capire che tipo di personaggio fosse il nostro P. Carlo.

L’esigenza della carità fu un’altra caratteristica di P. Carlo e, qualche volta, fu motivo di incomprensioni in comunità.

“Caro padre provinciale, le scrivo per esporle un mio dramma personale. Sono incaricato e presidente dell’Assistenza Sociale Comboniana di Nova Venécia. In tale ruolo ho aiutato molta gente mettendo in piedi baracche, dando qualcosa da vestire, alimenti, medicine, ecc. Questa mia attività fa sì che i poveri mi cerchino con frequenza, ma la comunità reagisce violentemente a questo, giustificando che il cammino da farsi non è quello dell’assistenza ai poveri, ma della promozione che si fa coscientizzando la gente perché acquisisca i suoi diritti.

Sono d’accordo che la meta è questa, ma quando ti capita un povero lì davanti, che ha fame, che ha bisogno di una medicina, di un ricovero all’ospedale, di tegole per coprire la baracca o di scarpe… non può aspettare la conquista dei suoi diritti. Mi sembra che se io non aiutassi questo povero, non sarei evangelico”.

Senza peli sulla lingua

Era anche combattivo, specialmente quando si trattava di salvare l’integrità della fede e la sana tradizione della Chiesa o il rispetto verso il Papa. Quando la rivista Nigrizia pubblicò un articolo in cui si contestava il Papa, P. Carlo insorse e scrisse “a chi di dovere”: “Certi lanzichenecchi e falsi profeti si permettono di contestare il Papa…. Chi credono di essere? Mi pento dei 25 abbonamenti che ho trovato! Cosa diranno i miei amici di me? Ho sentito immensa vergogna ad appartenere a questo gruppo di Comboniani”, ecc. ecc. (si riferiva a Nigrizia del 1993 in cui era stato scritto qualcosa contro la Veritatis Splendor).

Non parliamo quando si toccava la tradizione della Chiesa… “Da 25 anni in qua sono solito pensare, e qualche volta dire che, mentre dopo Trento la riforma della Chiesa è stata fatta in ‘battere’ (più orazione, più povertà, più penitenza, ecc.) dopo il Vaticano II è stata fatta in ‘levare’ (meno orazione, meno obbedienza, meno ecc.). E non riesco in queste cose a riconoscere ‘i segni dei tempi’ del buon Papa Giovanni”.

Un suo amico vescovo si era permesso di inserire alcune modifiche “a piacimento” nella celebrazione della Messa. Ecco cosa gli scrisse P. Carlo: “Considero una novità ingiustificata che lei improvvisi tre oremus, il prefazio e l’anafora della Messa. Le norme liturgiche, inoltre, non consentono che si inseriscano nella Messa letture non tolte dalla Sacra Scrittura, come è stato il caso della lettera di quella guerrigliera.

Nella celebrazione penitenziale: quell’accusa di peccati tutti profumati e nessuno puzzolente, non è stato uno scherzo più che infantile? Se ce ne fosse stato qualcuno di grave, lei pensa che sarebbe stata lecita quell’assoluzione ‘all’ingrosso’?

Non capisco nemmeno come lei si sia azzardato, senza nessuna necessità e senza prove, a mettere in discussione o negare dottrine serie di fede come inferno, angeli, demoni… È in questo senso che le ho detto, un po’ scherzando, che lei è un delinquente”.

Sono piccoli assaggi dalle numerose e spassose lettere che P. Carlo scriveva con grafia chiara e scorrevole come i suoi pensieri.

P. Francesco Rinaldi Ceroni scrive: “Colloco P. Furbetta tra i grandi Missionari Comboniani che hanno realizzato nella loro vita il carisma del Beato Daniele Comboni. P. Carlo ha trascorso quasi 50 anni, dai suoi inizi più difficili, nella provincia del Brasile Sud. Lavorai un poco con lui come secondo vicario della parrocchia di São Mateus ed intanto studiavo portoghese.

Subito mi colpì di P. Carlo il suo zelo nel visitare le numerose cappelle di quella grande parrocchia, delle quali alcune erano ad oltre cento chilometri. All’inizio si usavano mezzi assai poveri: la motocicletta sulla quale trovavo posto anch’io, e via per una settimana su quelle strade che erano, allora, come le nostre attuali africane, sfidando le scudisciate in faccia a causa degli arbusti che invadevano il sentiero. Dove non si poteva arrivare con la moto, si usava il cavallo, ma la Parola di Dio doveva andare, doveva diffondersi.

Insegnava la catechesi e teneva una predicazione robusta e assai legata alla tradizione della Chiesa e ai documenti della medesima.

Un’altra sua passione era lo studio della lingua, della cultura, della storia, della geografia del Brasile, tanto da diventare un vero esperto in materia, ricercato sia dagli intellettuali locali che dai sacerdoti e religiosi per ritiri, esercizi e conferenze. Possedeva la lingua meglio di un brasiliano e sapeva ‘mettere i puntini sulle i’ quando nei nostri interventi non eravamo del tutto esatti.

Ricordo che un giorno, durante un pontificale, quando il vescovo giunse in sacrestia, P. Carlo gli presentò un foglietto e gli disse: ‘Eccellenza, questi sono gli errori di portoghese che ha fatto nella predica. Ero presente e mi accorsi che il vescovo non se la prese, anche perché erano veri amici.

Per me P. Carlo è stato un vero apostolo di Gesù Cristo, un caro sacerdote, molto legato alla Chiesa e all’Istituto, assai zelante sia nel ministero e sia nell’insegnamento, quando l’obbedienza gli affidò l’insegnamento nella scuola”.

Una delle ultime opere di P. Carlo è stata la “Storia della presenza comboniana in Brasile”. Già il Superiore Generale P. Pierli, nel 1988, lo pregava di accingersi a questo lavoro: “Ti ripeto per iscritto quello che ti ho detto a voce: scrivi la storia della nostra presenza comboniana in Brasile. Ci sono stati tanti aspetti positivi e anche molti errori; rischiamo di dimenticare gli uni e gli altri condannandoci, come dice un famoso scrittore, a ripetere gli errori dimenticati”.

P. Carlo si mise di buona lena e portò a termine il lavoro che attualmente si trova nell’archivio dei Comboniani di Roma. Si tratta di quindici fascicoli, uno per ogni missione comboniana nel Brasile Sud, più altri due fascicoli sulla “Presenza comboniana nel Brasile sud” in generale e l’ultimo sulla “Storia generale della provincia comboniana nel Brasile sud”.

Tre giorni di lutto cittadino

P. Carlo aveva ormai 82 anni, anni intensissimi, bruciati senza risparmio, in un organismo menomato per la mancanza di un rene e i frequenti attacchi di pressione alta. Il Signore chiedeva da lui l’ultima lezione di fedeltà e di pazienza che tenne nei 77 giorni in cui fu ricoverato nel centro di terapie intensive dell’ospedale di Vitória. In quel periodo, il suo cuore grande, nascosto sotto una scorza dura, divenne ancora di più simile al cuore di Cristo.

La morte lo colse il 24 luglio per insufficienza coronarica, e la sua scomparsa lasciò un segno tra i confratelli e tra la gente che ormai lo venerava come un padre nella fede, un evangelizzatore “integro come un cristallo, perfino esagerato nella fedeltà alla forma e ai contenuti della vita missionaria, staccato dalle cose materiali, rispettoso dell’autorità, identificato con i Comboniani anche se alle volte si sentiva incompreso, sensibile alle sofferenze della gente, saggio nei suoi consigli”, ha scritto il suo provinciale.

Il funerale è stato un trionfo per l’immensa manifestazione di stima e di affetto che tutti gli hanno attribuito. L’autorità civile ha decretato tre giorni di lutto cittadino. Il 17 ottobre 2002 è stata inaugurata la biblioteca dell’Università di Nova Venécia ed è stata dedicata a P. Carlo Furbetta. Il rettore, nel suo discorso, ha elogiato P. Carlo come grande educatore che rimarrà nella storia della città e dello Stato. La biblioteca di Nova Venécia è la maggiore di tutto lo Stato dello Spirito Santo ed è frequentata da mille giovani.

Nell’omelia della Messa funebre, Mons. Aldo Gerna ha riassunto le caratteristiche della vita e dell’attività di questo grande missionario: “P. Carlo è stato l’uomo della Parola di Dio, parola proclamata, parola insegnata. È arrivato in Brasile per impiantare la Chiesa e lo ha fatto con uno stile aperto e disponibile. Nel suo agire aveva le caratteristiche del profeta: capacità di leggere i segni dei tempi e di interpretare il volere di Dio che sapeva trasmettere alla gente grazie al suo dono di saper comunicare a tutti i livelli e alla conoscenza perfetta della lingua della gente, anche nelle minime sfumature.

Fu un eccellente catechista saldamente ancorato alla dottrina e alla tradizione della Chiesa, senza tentennamenti o compromessi, forte, sicuro, ma anche misericordioso e comprensivo con i deboli. Gli infermi e i malati furono i suoi privilegiati. Per essi P. Carlo riuscì a far funzionare il primo ospedale della regione.

Portare i sacramenti ai moribondi era un’assoluta priorità. Ma fu pioniere nelle opere di carità. Per questo iniziò le prime opere sociali comboniane per preparare i giovani a una vita dignitosa, aiutandoli ad uscire dal gorgo della miseria che porta all’alienazione nell’alcool o nella droga.

Era convinto che la povertà, tanto diffusa in Brasile, fosse una conseguenza della mancanza di istruzione. Eccolo allora a incrementare scuole e collegi per dare la possibilità a chi lo desiderasse di acquisire un’istruzione. Ha sempre manifestato grande amore all’Istituto Comboniano, è stato uomo di preghiera e ricercato direttore spirituale. Il vescovo, per la sua preparazione teologica, gli aveva dato l’incarico di giudice nelle cause matrimoniali.

Pensò anche al nutrimento spirituale per la gente, quello dato dal sacerdote. Perciò si dedicò ai seminari e alle scuole apostoliche per dare la possibilità ai giovani brasiliani di diventare ministri di Dio. Lavorò instancabilmente in questo settore senza risparmio di energie.

La memoria di P. Carlo non può essere dimenticata nella città dove visse e operò. Nella nostra diocesi che aiutò a nascere e a crescere resterà una pietra miliare, un punto di riferimento nel senso della fede cattolica per le generazioni future”.

(P. Lorenzo Gaiga, mccj)

 

Fr. Carlo Furbetta was born in Fabriano, Ancona. He took his first vows in Venegono in 1937 and was ordained priest in 1943. He spent the first 12 years in Italy in the communities of Pesaro and Sulmona as formator, teacher and vocation promoter. In 1955 he left for Brazil, where he spent the rest of his life.

We take from the homily of Mgr. Aldo Gerna.

“The Gospel words of the beatitudes can be applied to Fr. Carlo, who in his long life on earth was able to answer to people with words suited to the different situations. For us he was a strong word from God for our time.

“Fr. Carlo was among the first Comboni Missionaries to be sent to the diocese of São Mateus to plant the Church there. Open and always available, he gave his missionary service almost the whole time in the State of Espíritu Santo. He started in the Serra, passing through Fundão and for one year in Serra Carapina. Then Nova Venécia and São Mateus, in the bishop’s house, where he was also vicar general from 1962 to 1965. He was then posted to Ibiraçú, Taguatinga, Nova Venécia, Ecoporanga and, finally, again to Nova Venécia (January 1999) up to his death in the hospital of Vitória.

“Fr. Carlo was a little rough on the outside, but had a good, friendly and very sensitive heart, full of tenderness and understanding for all. His sermons were good and well prepared. He was known for the power of his preaching and for the depth of its contents. He was an excellent catechist and taught with authority and skill. His catechism lessons were treasures of faith, history of the Church and social teaching.

“In his pastoral work Fr. Carlo was demanding and, at the same time, generous in giving the sacraments and in preaching the Word of God. He was able to put in order many marriages. And what should we say of the many hours he spent in the confessional, considered by him an excellent means for the progressive, but necessary return to God after one’s daily mistakes. With joy he helped the sick and took to them the comfort of God’s love. In his pastoral work he never forgot the poor.

“I would like to mention some of the characteristic traits of Fr. Carlo’s personality: his total faithfulness to the Church, the Institute and the mission; his obedience to the doctrine of faith and the moral teaching of the Church and his holy fear of God, for he never joked of God and of his will.”

Fr. Carlo was buried in the cemetery of Nova Venécia in Brasil.

Da Mccj Bulletin n. 218 suppl. In Memoriam, aprile 2003, pp. 1-12