In Pace Christi

Ruggieri Mario

Ruggieri Mario
Data di nascita : 19/10/1922
Luogo di nascita : Melfi/I
Voti temporanei : 07/10/1942
Voti perpetui : 07/10/1947
Data ordinazione : 03/10/1948
Data decesso : 01/09/2002
Luogo decesso : Verona

P. Mario Ruggieri può essere considerato l’ultimo della serie degli allievi di P. Bernardo Sartori, usciti dalla scuola apostolica di Troia. Dal suo maestro ha imparato l’amore alla Madonna, alla vocazione e all’Istituto, ai quali si è sempre mostrato molto legato.

P. Mario nacque a Melfi, Potenza, il 19 ottobre 1922 ottavo di dieci figli. Il papà, Natale, faceva il portiere presso il Banco di Napoli, ma in seguito fu trasferito varie volte. Quando Mario entrò tra i Comboniani la famiglia abitava a Bari, nella parrocchia di San Rocco, tenuta dai Missionari del Preziosissimo Sangue. Sia Mario che i suoi fratelli e sorelle frequentavano assiduamente la chiesa. La mamma Anna De Rosa era casalinga e, con tutte quelle bocche da sfamare, non era facile far quadrare il bilancio familiare.

La cugina, e anche cognata, di P. Mario, Maria Di Camillo dice che da piccolo Mario aveva sempre dimostrato una certa inclinazione per le cose di chiesa. Amava costruire degli altarini, vestirsi da prete e celebrare la Messa.

Dopo le elementari fu “catturato” da P. Bernardo Sartori che, nei suoi giri di animazione vocazionale, cercava giovinetti per riempire il suo piccolo seminario nella città di Troia. Mario optò per i Comboniani attratto dal desiderio di andare in Africa. Se non avesse incontrato P. Sartori si sarebbe fatto certamente sacerdote del Preziosissimo Sangue.

Il parroco di Mario, Don Alfonso Santolini, Superiore Generale dei Missionari del Preziosissimo Sangue, scrisse di lui: “Assiste ogni giorno alla santa Messa e fa la comunione, non manca mai alle sacre funzioni e il suo contegno è edificante. Nel suo portamento, sia in chiesa come a casa, ha sempre tenuto un contegno serio, anzi edificante. In coscienza posso affermare che mostra vera vocazione allo stato religioso”.

Calmo, ma di buona volontà

Dopo le medie a Troia, Mario passò a Brescia per il ginnasio. Il 7 agosto 1940 entrò nel noviziato di Venegono Superiore. “È un tipo piuttosto calmo – scrisse P. Antonio Todesco – tuttavia un certo sforzo cerca di farlo sia nel campo spirituale come in quello materiale. Ama la preghiera ed è attaccato alla vocazione. È schietto, sincero e piuttosto bonaccione”. Emise i primi voti il 7 ottobre 1942, quindi passò a Verona per concludere il liceo e la teologia.

Durante lo scolasticato, parte a Rebbio di Como, parte a Verona, acquisì l’Attestato di Aiutante di Sanità nel Reale Esercito Italiano, pensando che forse gli sarebbe stato utile in missione.

Durante gli anni di formazione cercò di migliorare la sua condotta e di impegnarsi maggiormente nell’acquisto delle virtù. P. Agostino Capovilla lo trovò “un giovane di buona volontà, di costumi illibati, docile, di pietà e risoluto a perseverare nella via del sacerdozio e delle missioni”. Anche gli altri sacerdoti della casa, compresi gli insegnanti si dichiararono contenti di lui.

Nelle lettere scritte ai superiori durante la preparazione al sacerdozio, Mario dimostra di riconoscere i suoi limiti, ma sa anche appoggiarsi alla bontà e misericordia del Signore e perciò non teme di andare avanti: “Riconosco di essere indegno a questa sublime meta dei santi voti, ma mi appoggio unicamente alla grazia ed infinita misericordia di Dio che si è degnato di scegliermi”.

“Se è vero che il Signore parla attraverso la bocca dei superiori, mi sento incoraggiato perché P. Capovilla mi ha sempre sostenuto nel cammino vocazionale e anche il padre spirituale, che è sempre stato il mio confessore, mi assicura che posso andare avanti tranquillo”.

“Sono bramoso di consumare tutte le mie energie per il bene delle anime, specialmente quelle più bisognose dell’Africa. Sono pronto, dunque, con la grazia di Dio a combattere i miei difetti che la debole natura umana riserva anche a me. Conosco, infatti, la mia debolezza, la pochezza del mio spirito, la mia indegnità a diventare sacerdote, ma sono sicuro che il Cuore di Gesù sarà sempre con me. Ed in Lui sta la mia forza”.

Prima di essere ordinato sacerdote, si appellò “all’intercessione e protezione materna di Maria Santissima Mediatrice che mi ha sempre protetto nella mia vita di formazione”.

Fu ordinato sacerdote a Milano dal cardinale Idelfonso Schuster il 3 ottobre 1948 e, dopo un anno di animazione missionaria a Troia, un altro come propagandista a Sulmona e alcuni mesi a Londra per lo studio dell’inglese, venne inviato in Uganda. La sua prima destinazione fu Arua nel West Nile, dove, tra gli altri, c’era P. Antonio Antonioli, una figura carismatica di missionario che ancora oggi è ricordato con venerazione come P. Atò.

L’apostolo dei safari

P. Atò domandava ai nuovi missionari di essere vicini alla gente, di conoscerla sia studiando bene la loro lingua, sia andando a visitarla nei villaggi. Il nuovo arrivato si dichiarò disponibile a quella vita un po’ nomade, ma di sicuri frutti spirituali.

Le Suore Comboniane preparavano una cassetta con il cibo per una settimana: zucchero, sale, pane, caffè… che doveva durare fino al rientro in missione. P. Mario raccontava con gusto come, la prima volta, partì in compagnia di Fr. Albino Monchieri, anche lui alle prime armi quanto a vita africana. Ebbene, per mancanza di esperienza, dopo due giorni si accorsero di aver esaurito la scorta di cibo. Non ebbero il coraggio di tornare indietro per cui proseguirono condividendo ciò che gli africani passavano loro. Fu un’esperienza meravigliosa che contribuì a inserire pienamente i due novellini nel mondo africano.

In questo ministero delle visite ai villaggi P. Mario acquisì come una specializzazione. La gente imparò a conoscerlo e a stimarlo; i bambini gli correvano dietro per ascoltare le sue battute e avere qualche caramella, i vecchi e le vecchie lo aspettavano per avere, con la Parola di Dio, un po’ di tabacco o di sale. In questo modo, P. Mario ebbe l’opportunità di conoscere alla perfezione la lingua del popolo, anche se non perse mai quel caratteristico accento dell’Italia meridionale.

P. Mario fu il missionario esclusivo dei logbara del West Nile, l’attuale diocesi di Arua. Le tappe del suo ministero missionario come vice parroco furono le seguenti: Arua-Ediofe (1951-1953), Lodonga (1953-1954); Maracha (1954-1957); Koboko (1957-1958); Lodonga (1958-1959). A questo punto i superiori, notando in lui buone doti, pensarono di fargli fare un passo avanti.

Dal 1961 al 1967 fu parroco a Lodonga. Incoraggiato da P. Sartori rinnovò e decorò la chiesa parrocchiale che venne riconosciuta come “basilica minore” e il titolo datole fu quello di “Sultana d’Africa”. La devozione alla Madonna aveva radici profonde nel nostro missionario, come abbiamo detto, ma durante il restauro della basilica crebbe ulteriormente e si estese quasi a contagiare tutti i cristiani della diocesi. Il rosario divenne la preghiera popolare per eccellenza e il pellegrinaggio diocesano per la festa dell’Immacolata richiamava sempre di più la partecipazione dei cristiani.

In una lettera del 1962 scritta al Superiore Generale, P. Mario così si esprime: “Il 6 agosto prossimo, qui nella nostra basilica mariana di Lodonga converranno quasi tutti i reverendi padri, fratelli e suore della nostra diocesi di Arua, con il nostro vescovo per la consacrazione di tutti i missionari appartenenti alle diverse diocesi e vicariati dell’Africa, nonché della nostra diletta Congregazione. Tutti i nomi dei missionari e suore andranno a riposare per sempre in un cuore d’oro, sul petto della Mediatrice. È, questo, un vivo desiderio di P. Sartori che il nostro vescovo, a nome di altri sette vescovi, 300 padri, 150 fratelli e 350 suore porterà a compimento. Tra quei nomi il primo è il suo… Reverendissimo Padre, se si presenterà l’occasione, le chiederei, come un omaggio a Maria Santissima, un piccolo organo, espressione di tutte le voci dei nostri confratelli che d’ora in avanti riposano sul cuore di Maria”.

Con i profughi sudanesi

Passò poi, sempre come parroco, a Koboko (1969-1973) e ad Olovo (1975-1978). Dal 1978 al 1987 fu insegnante di religione a Ombaci. Gli studenti lo stimavano per la capacità di usare gesso e colori per illustrare sulla lavagna ciò che insegnava, inoltre era sempre sorridente e contento. In questo periodo, con l’aiuto dei cristiani che vivevano nella zona nei pressi dell’aeroporto di Arua e con offerte ricevute dai suoi amici d’Italia, costruì una piccola chiesa in onore della Vergine Maria. Usò tutto il tempo libero e il suo genio artistico per rendere bella la cappella che divenne meta di pellegrinaggi.

Mentre si trovava a Koboko, P. Mario si interessò dei rifugiati sudanesi. Scrisse al Superiore Generale: “Ce ne sono più di 10.000 e gli aiuti che ci sono arrivati per loro non bastano neppure per le necessità di un terzo di essi. Le sarei molto grato se si interessasse per farci avere un po’ più di aiuti. Avrei bisogno anche di un po’ di denaro per pagare, almeno un po’, i catechisti che, tra i rifugiati, hanno una messe abbondante da coltivare (29.9.1971)”.

Nel 1974 P. Mario acquisì il diploma in Scienze Tecniche e in Belle Arti presso la Scuola Superiore di Arte Cristiana “Beato Angelico” di Milano. Affrontò questi studi e si sottopose ai relativi esami allo scopo di poter abbellire le case del Signore con le raffigurazioni che la mente e il cuore gli ispiravano.

Un’altra cura particolare di P. Mario fu quella riservata ai catechisti: era convinto che essi erano le colonne della Chiesa in Africa. Li teneva vicini a sé, li visitava nelle cappelle loro assegnate e li aiutava anche materialmente. Era sempre presente ai raduni dove venivano discussi e decisi i problemi pastorali.

Quindi passò come addetto al ministero a Maracha (1987-1992) e ad Arua-Ediofe (1992-1998). In quest’ultima missione fu anche economo e assistente spirituale al Trinity Convent, una comunità di suore africane di vita contemplativa fondate dal primo vescovo di Arua, Mons. Angelo Tarantino. Su dei foglietti, scriveva conferenze e insegnamenti che poi dava alle suore. Lo scopo di queste suore è pregare per i sacerdoti e la diocesi di Arua. P. Ruggieri aiutava anche come confessore nella parrocchia di Ediofe. Come economo aveva l’incarico di aiutare i poveri, specialmente gli anziani e i malati verso i quali aveva una sensibilità tutta speciale. Non si limitava al puro aiuto materiale, ma sapeva dire la parola giusta, e donare un po’ di speranza.

Il Caruso dell’Africa

“P. Mario - scrive P. Antonio La Salandra - è stato sempre entusiasta e molto zelante nel ministero missionario. È appartenuto a quel gruppo di novelli missionari degli anni ’50 che partivano con il canto in gola: ‘Salpare i mari, salvare un’anima e poi morir’. Imparò la lingua logbara meglio di tanti altri del suo tempo, che a mala pena riuscivano a masticarla. Nei primi anni del suo ministero, l’apostolato era arduo, con safari continui in un territorio immenso.

È stato musico o meglio cantore. Aveva sempre con sé un libriccino di canti classici e napoletani scritti di suo pugno. Ad ogni festa comboniana era sempre pronto ad intrattenerci con la sua voce tenorile alla Beniamino Gigli, cantando qualche pezzo opportunamente scelto come per esempio: ‘Una furtiva lacrima’ oppure ‘Parton i bastimenti’, ecc. Per questa sua prerogativa gli appiopparono l’appellativo di Caruso.

Teneva molto alla compagnia allegra. È stato anche pittore e decoratore con gusti delicati. Insegnò quest’arte anche a qualche ragazzo africano. Difatti, grazie a lui, nella parrocchia di Ombaci c’è uno di questi che è diventato famoso e che oggi viene invitato ad eseguire degli affreschi anche fuori diocesi.

Aveva una grande devozione alla Mediatrice inculcata dal suo maestro P. Bernardo. Si interessava alla cura del cimitero nella missione in cui lavorava. Anche il cimitero di Ombaci, dove è sepolto P. Sartori, fu organizzato da lui. Si trovò anche nella mischia del massacro perpetrato ad Ombaci il 24 giugno 1981 da parte dell’esercito ugandese di Obote, formato specialmente da acholi, tanzaniani ed ex-aminiani. I morti, tanti, furono sepolti in una fossa comune senza diversità di religione. P. Mario fece erigere un memoriale con la scritta: ‘Massacrati dai loro fratelli’.

Il suo carattere era piuttosto impulsivo e si commuoveva facilmente. Ciò, qualche volta, procurava dei problemi ai confratelli. È stato un uomo di preghiera, scrupolosamente attaccato alle pratiche antiche ma anche a quelle moderne. Si aggiornò, ma non del tutto, alle nuove forme liturgiche e pastorali. Non è stato un grande organizzatore di imprese che danno nell’occhio, anzi si è comportato sempre con molta umiltà anche se si dimostrava tenace nelle sue idee. Nonostante i suoi alti e bassi caratteriali appariva un uomo sincero ed onesto.

Nella sua vita missionaria ordinaria e giornaliera è stato un grande missionario a cavallo del periodo pionieristico e di quello del consolidamento della fede nel West Nile. P. Mario è un esempio di missionario non solo nella teoria ma anche nella pratica, svolta nello stesso territorio con la stessa gente fino all’esaurimento dell’annuncio evangelico, non interrotto da rotazioni e vacanze prolungate, che fanno disorientare i fedeli nella loro fede per continui cambiamenti di pastori che devono incominciare sempre daccapo”.

Ultime battute

Quando gli fu chiesto come si era trovato in missione, rispose: “Mi sono sforzato di adattarmi alle diverse occupazioni che l’obbedienza mi ha affidato e ho cercato di metterci sempre un po’ di entusiasmo, così mi riuscivano anche meglio”.

Negli ultimi anni che trascorse ad Ediofe il vescovo di Arua, Mons. Fredrick Drandua, gli chiese di essere il cappellano cattolico dell’ospedale civile di Arua. Svolse questo compito con zelo ed entusiasmo straordinario tanto da imporsi alle autorità per la costruzione della chiesetta per le esigenze spirituali degli ammalati. Durante la sua ultima vacanza in Italia raccolse offerte che resero possibile la costruzione di questa cappella.

Un motivo di preoccupazione e di sofferenza era stata la situazione della sua ultima sorella rimasta a Bari. Dopo aver assistito la mamma paralizzata per 20 anni, era rimasta sola e senza mezzi. Fortunatamente, grazie alle nuove leggi e all’interessamento dei superiori, anche quell’angustia fu superata con buona pace di P. Mario che si mostrò sempre molto attaccato alla sua famiglia. Quando questa sorella morì, P. Mario si sfogò dicendo: “Adesso sono rimasto solo”. Questa morte lo portò a rinchiudersi in se stesso, dominato da un senso di paura per la sua salute.

Col passare degli anni un altro male arrivò a procurargli sofferenza: la mancanza di circolazione agli arti inferiori. Per queste ragioni si abbatteva molto facilmente finché decise di lasciare l’Uganda: aveva bisogno di un posto tranquillo e sicuro per l’anima e per il corpo.

Nel 1999, infatti, dovette rientrare in Italia (a Verona) per cure. Trascorse un anno ad Arco (2000-2001) per poi passare definitivamente al Centro Ammalati di Verona dove visse in serenità l’ultimo periodo della sua vita.

“A Verona – dice Fr. Duilio Plazzotta – P. Mario si sentì come un soldato che aveva combattuto la sua buona battaglia ed ora si godeva il meritato riposo nell’attesa dell’incontro con il Signore che gli avrebbe detto: ‘Vieni servo buono a ricevere la tua ricompensa’. Con questo spirito P. Mario si adoperò per sollevare gli altri malati intrattenendoli con i ricordi della missione. Nei limiti delle sue possibilità dava anche una mano. E soprattutto pregava, pregava tanto tenendo in una mano il bastone e nell’altra la corona del rosario”.

Quanto era amato

Qualche settimana prima della morte andò dal medico, accompagnato dall’infermiere. P. Mario non disse una parola durante tutto il tempo della visita, tanto che il medico disse all’accompagnatore: “Ma non parla questo padre?”. Non l’avesse mai detto! P. Mario intonò a voce spiegata “O sole mio” e non si fermò finché non eseguì due strofe. La gente che aspettava in sala d’aspetto si guardava in faccia stupita e commentava: “Mai visto un malato così sano”.

P. Arcangelo Petri scrive: “P. Mario era un uomo naturalmente socievole, perciò era una cosa piacevole averlo in comunità. Di tanto in tanto, particolarmente nelle feste, deliziava i confratelli con il bel canto e, quando riceveva qualcosa dall’Italia, lo condivideva subito con gli altri.

Come dimostrazione dell’apertura di P. Mario all’amicizia furono le sue relazioni con una comunità trentina della Val di Ledro. Durante le vacanze in Italia era sempre invitato a visitare i suoi amici di questa valle, che lo accoglievano come uno di loro. Il Bollettino della Val di Ledro e generose offerte gli arrivavano da questi suoi amici”.

La morte lo ha colto il primo settembre 2002 nell’ospedale di Borgo Trento di Verona dove era stato portato qualche giorno prima per l’improvviso aggravarsi della sua situazione. La causa ultima del decesso è stata dovuta ad un arresto cardiaco con complicazioni renali.

La notizia della sua morte ha fatto molta impressione in Africa, particolarmente presso i sacerdoti che ricorrevano a lui per la confessione e la direzione spirituale, presso i catechisti e, naturalmente, presso le suore di cui era cappellano. Anche i malati dell’ospedale hanno rimpianto la sua perdita come quella di un amico sincero e di un padre affettuoso.

I commenti dei confratelli di fronte a queste manifestazioni di cordoglio, possono essere riassunti in questa frase: “Guarda quanto era amato dagli africani!”.

Alcuni abitanti e due sacerdoti della Val di Ledro sono andati a Verona per la Messa funebre celebrata nella Casa Madre. Don Mario Sartori, durante il funerale, ha detto: “A nome della comunità di Tiarno di Sotto, desidero esprimere le più fervide condoglianze ai familiari e alla comunità dei Comboniani per la morte del caro P. Ruggieri.

Il 15 marzo 1998 avevamo celebrato il 50° di Sacerdozio di P. Mario. Era stata una festa molto sentita e partecipata da tutta Tiarno perché da molti anni P. Mario era un missionario… familiare: era considerato uno del paese. Per lui si pregava, a lui venivano inviate le offerte come ai missionari locali. Da parte sua P. Mario era molto riconoscente: manteneva regolare relazione epistolare e, ritornando in Italia, non mancava di fare visita ai suoi Tiarnesi trasmettendo la sua gioia di essere missionario”.

Dopo i funerali in Casa Madre P. Mario è stato sepolto nel cimitero di Verona insieme agli altri Comboniani. Ci lascia il ricordo di un missionario esuberante, sempre sorridente, devoto della Madonna e contento della sua vocazione missionaria. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

 

Fr. Mario Ruggieri was born in Melfi in 1922. He did his noviciate in Venegono, taking his first vows in 1942, and did his scholasticate in Verona and in Venegono. He was ordained priest in 1948. After a year in Troia and another in London to learn English, he was assigned to Arua, in West Nile, Uganda. There he was under the guidance of a great missionary, Fr. Antonio Antonioli, who is even today remembered locally with veneration as “Fr. Atò”. Fr. Antonio was asking the new missionaries to be close to the people, to know them personally, to study the local language and to regularly go on safari. The safari involved visiting every chapel for pastoral activity, staying in the area, outside the main  mission, for about a week. The Comboni Sisters used to prepare a box with food: sugar, salt, coffee and some bread, which was supposed to last for the whole week. Fr. Mario used to tell the story of how on one of his first safaris with Bro. Albino Monchieri, another young missionary, they found themselves with an empty box after only two days. Nevertheless, they completed the safari as planned, surviving on the food they received from the local people. Fr. Mario used the safari with great success. The simple people appreciated Fr. Mario’s presence because he always had a kind word for all and sweets for the children. The catechists who accompanied him on these visits still remember him fondly.

Fr. Mario worked all the time in the Logbara area of West Nile, what is now known as Arua diocese. He learned Logbara very well. Over the years he served first as assistant priest in the missions of Arua (Ediofe), Lodonga, Maracha, Koboko and Olovu, and then as parish priest at Lodonga, Koboko, Olovu and Ombaci. In his last years he was once again transferred to the Comboni community of Ediofe, where he provided spiritual assistance to the “Trinity Convent”, a contemplative community of African Sisters founded by the first bishop of Arua, Mgr. Angelo Tarantino. The main aim of this community is to pray every day before the Blessed Sacrament for the priests and the diocese of Arua. Fr. Mario also helped as confessor in the parish of Ediofe. For some years he also served as the treasurer of the community. He helped the poor, especially the elderly. While he was parish priest of Lodonga, he renovated and decorated the parish church, encouraged also by Fr. Bernardo Sartori. This church was recognised as a minor basilica and the title given to Mary was the “Sultan of Africa”. Fr. Mario’s devotion to Mary had deep roots, grown in his contacts with Fr. Bernardo. During the restructuring of the basilica, his love for Mary was evident and spread to all the Christians of the diocese. The rosary became more popular and the diocesan pilgrimage on the feast of the Immaculate Conception drew ever more Christians.

At Ombaci he helped the Christians, living in the area around the airport of Arua, to build a place of prayer. With their cooperation, together with donations from friends in Italy, he built a little church in honour of the Virgin Mary. He used all his free time and his artistic skill to embellish this chapel and soon groups of Christians started going there on pilgrimage. At Ombaci he was very close to the catechists, visiting them in their chapel-communities and helping them when in need. He always participated in meetings that discussed and made decisions about pastoral work.

At Ombaci, Fr. Mario also taught for a while religion in the first classes of the secondary school. The students respected him both for his ability to use chalk and blackboard and for his constant smile. In his last years he spent at Ediofe he was asked by the bishop of Arua, Mgr. Frederick Drandua, to be the Catholic chaplain of the Catholic Hospital of Arua. During his last holidays in Italy, he collected donations which made it possible to build a chapel for the hospital.

Fr. Mario was very sociable and it was a pleasure to have him in the community. He was sometimes called “Caruso” because he had a great voice and used to sing to entertain. He was generous, always ready to share with his confreres the sweets, food delicacies and other things he received from his friends. In January 1999 he was transferred to Italy where he spent his last years in the Mother House of Verona.

As an example of his openness towards others, we mention his friends and the people of Ledro Valley near Trent who, every time Fr. Mario was on holidays in Italy, invited him to visit them, welcomed him as one of their own, sent him the newsletter of Ledro Valley and generous donations. Some of the people from Ledro Valley went to Verona for Fr. Mario’s funeral.

Da Mccj Bulletin n. 218 suppl. In Memoriam, aprile 2003, pp. 26-35