In Pace Christi

Cristele Giovanni

Cristele Giovanni
Data di nascita : 27/06/1910
Luogo di nascita : Meano (TN)/I
Voti temporanei : 13/11/1931
Voti perpetui : 07/10/1937
Data decesso : 17/08/2001
Luogo decesso : Arco/I

“Fr. Giovanni – gli ha chiesto un giorno un confratello – come fate voi ad essere sempre sereno, sempre contento, sempre uguale a voi stesso?”. L’interpellato accennò a un benevolo sorriso e rispose: “Perché dovrebbe essere diversamente? Io sono contento di Dio, sono contento dell'Istituto, dei superiori, dei confratelli e anche di come il Signore mi ha fatto”.

Fr. Giovanni Cristele s’inserisce nella scia dei grandi Fratelli dell'Istituto Comboniano che hanno realizzato il loro carisma missionario in piena fedeltà e con la gioia di chi si sente al proprio posto, perché è il posto assegnato da Dio. Fr. Giovanni, inoltre, continua la tradizione di quella numerosa schiera di missionari trentini che tanto hanno dato alla Chiesa e alla congregazione in una maniera essenziale, senza apparati esterni o vuote pubblicità. Per rendersi conto di questo basterebbe passare in rassegna una lunga lista di confratelli, cominciando dai quattro vescovi comboniani trentini e giù fino all’ultimo fratello che nella semplicità e nel silenzio hanno saputo realizzare grandi cose.

La spiritualità di Fr. Giovanni poggiava su quattro capisaldi: la consacrazione, la missione, la comunità e la preghiera. Vissute in pienezza. Queste caratteristiche sono state per lui e per chi gli è vissuto accanto fonte di pace e di serenità. Il senso della totale consacrazione a Dio lo ha portato a sentirsi sicuro del Signore, rigettando tante cose che sembrano indispensabili e invece sono inutili. Per rendersi conto di questo basta vedere com’era la sua stanza al momento della morte: in ordine e con le cose essenziali.

La missione: 22 anni in una delle missioni più difficili nella storia dell’Istituto comboniano. “Tutto ciò che ci può capitare, lo avevamo previsto e accettato”. Come Comboniano ha incarnato il senso della comunità essendo strumento di pace, di serenità e di sicurezza. La preghiera gli scaturiva dal di dentro, senza essere bigotto, pesante e pedante. Viveva la preghiera in modo sostanziale e perciò vero e consistente.

La ricchezza interiore che ha caratterizzato l’esistenza di Fr. Giovanni, e di tanti missionari trentini, ha le sue radici nella formazione ricevuta nell’ambiente della parrocchia e della famiglia negli anni giovanili, ambienti sani, ricchi di valori e di fede. Nella sua vita Giovanni ha realizzato ciò che Gesù ha chiesto ai suoi intimi: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Giovanni è stato un mite e un umile, perciò è stato gradito a Dio e agli uomini.

Povertà e lavoro

Fr. Cristele era nato a Meano, Trento, il 27 giugno 1910. Primo di otto figli, cominciò fin da piccolo ad aiutare il papà nel lavoro dei campi, sviluppando quel senso pratico e di responsabilità che ha caratterizzato tutta la sua vita. Contemporaneamente frequentò le elementari dimostrando impegno e intelligenza. Da bravo chierichetto serviva l’altare e poi s’intratteneva un momento, prima della scuola, a giocare sul sagrato con i compagni. La sorella assicura che Giovanni era un ragazzo mite, obbediente, sempre disponibile ad aiutare chi fosse nel bisogno. Si confessava tutte le settimane dal suo parroco e gli apriva il cuore con semplicità e grande spirito di fede.

In famiglia le sue braccia servivano per mandare avanti la squadra, per cui il papà lo mandò a Trento in cerca di lavoro. Lo trovò come giardiniere, ma solo per i mesi estivi. Cosa fare durante i lunghi inverni quando i bisogni della famiglia erano ancora maggiori? Nella semplicità del suo cuore si affidò a Dio, ed ecco che un amico gli disse che i Comboniani di Muralta cercavano dei lavoratori. Giovanni andò a bussare e fu accolto da P. Albino Colombaroli, un veronese tutto cuore e fratello del primo superiore generale dell'Istituto. Questi, per prima cosa, gli offrì un’abbondante colazione e poi gli indicò il lavoro al quale doveva dedicarsi: ortolano e campagnolo, dato che di terra se ne intendeva. Aveva, allora, 17 anni ed era l’anno 1927.

“Abbiamo un buon numero di seminaristi, tutti di buon appetito – gli aveva detto il superiore – tu dovresti assicurare loro verdura fresca e abbondante”. Giovanni si mise di lena a lavorare portando avanti con lodevole diligenza il suo compito.

Non solo si dimostrò un ortolano capace ma, compatibilmente con il suo lavoro, condivideva la vita di preghiera dei missionari e si dedicava ad altri piccoli incarichi, anche di fiducia, che gli venivano affidati. I missionari, infatti, avevano capito subito di quale pasta fosse il giovane che aveva bussato alla loro porta. Notarono in lui soprattutto tanta bontà, laboriosità, discrezione, onestà e trasparenza per cui lo considerarono come uno di loro.

Giovanni, intanto, si chiedeva ogni giorno di più se la vita missionaria non fosse adatta anche per lui. Quando finalmente si decise a parlarne col superiore, questi gli disse:

“Sai, me l’aspettavo. Se vuoi venire con noi sarai accolto a braccia aperte”. Si era nel 1929. Quando Giovanni ne parlò col papà, incontrò un netto rifiuto.

“Come faccio a mandare avanti la famiglia senza di te?”. Anche il primo padrone, che era stato contento del comportamento del giovane giardiniere, si unì al papà nel mettere ostacoli alla sua scelta vocazionale.

Giovanni meditò a lungo le parole di Gesù: “Chi non lascia il padre, la madre e i fratelli per me, non è degno di me”.

Scrisse al papà una bella lettera nella quale cercò di spiegare la sua scelta, invitò il genitore ad affidarsi alla Provvidenza che avrebbe preso egregiamente il suo posto in famiglia e, senza andare a casa a salutare alcuno, partì per il noviziato di Venegono. I genitori, ferventi cristiani, accettarono la cosa fatta e gli mandarono la loro benedizione.

Novizio impegnato

Nell’autunno di quello stesso anno, Giovanni varcò la soglia del noviziato comboniano di Venegono Superiore, Varese. Erano padri maestri il P. Alceste Corbelli per gli studenti e il P. Carlo Pizzioli per i fratelli. La formazione dei futuri missionari, impostata dal superiore generale P. Paolo Meroni, era seria e impegnata, per cui dopo due anni di lavoro spirituale e professionale, quei giovani uscivano uomini fatti. È interessante a questo proposito la testimonianza che Fr. Angelo Zanetti, 90 anni, ha rilasciato durante i funerali dell’amico. Parlando con voce ferma e sicura ha aperto una finestra sul modo di preparare i missionari all’inizio del secolo. Ascoltiamolo: “Semplicità, bontà, laboriosità, generosità, è quanto si potrebbe ancora aggiungere su Fr. Cristele, ma ciò che è stato detto basta a tracciare il profilo di quest’uomo di cui oggi celebriamo l’ultimo addio sulla terra.

Io ho l’onore di essere stato suo compagno di noviziato e commilitone nella campagna d’Africa, confratello, collega, amico ed infine camerata. Scusate se uso il gergo militare, anche se io sono un pacifista; noi missionari siamo combattenti nell’esercito della Chiesa. Con Fr. Giovanni fummo preparati nel noviziato di Venegono. Per me il noviziato è come il tempo della naja. Lì si preparano i futuri combattenti di domani. Il noviziato sfornava allora uomini maturi, pronti a tutto, anche se ancora inesperti di tante cose. Vedevo Fr. Giovanni che ce la metteva tutta per immagazzinare quello che ci insegnavano, mentre io ne mettevo via solo la metà. Ci preparavano spiritualmente e anche professionalmente. Si imparava ad amare Dio e ad amarci a vicenda e ad amare il prossimo. Ma ci insegnavano anche a costruire le case, a lavorare il legno, a battere il ferro. Quanto Fr. Giovanni avesse approfittato di tutto questo, ne sono testimone io durante il nostro periodo africano. Egli mi era di esempio nella sua assiduità ai doveri religiosi e nella professionalità. Amo qui ricordare un altro fratello missionario trentino nostro coscritto: Fr. Carlo Simoni che ci ha lasciati un anno fa. Naturalmente come tutti i coscritti ci tenevamo alla nostra classe. Ma la verità è che facevamo gruppo e ci volevamo tanto bene. Tutte le volte che ci trovavamo insieme, ci incoraggiavamo a vicenda, felici di offrire la nostra giovinezza per la causa missionaria.

Naturalmente il nostro lavoro ci portava ad essere lontani l’uno dall’altro anche centinaia di chilometri, ma non mancavano le occasioni di incontrarci: esercizi spirituali, raduni, e anche per cure e periodi di riposo. Allora era il cameratismo che faceva capolino e si cantava anche: ‘Dove sei stato mio bell’alpino’. La sostanza, però, era che eravamo orgogliosi e felici della nostra vocazione. Ricordo il tempo in cui io mi trovavo ammalato e depresso per le tremende febbri del Bahr el Ghazal. Ricordo che c’era in giro Fr. Giovanni e mi venne a trovare. Si parlava del più e del meno in tono piuttosto minore. Ad un certo punto egli mi disse: ‘Ricorda che un giorno abbiamo firmato un contratto che comportava tutto questo e anche di peggio. E l’abbiamo firmato non solo con la penna e l’inchiostro, ma col nostro cuore, con la nostra volontà. Come lo eravamo allora, siamo pronti anche oggi a dare la vita’. Avevamo, allora, neanche trent’anni. Quelle parole mi aiutarono a riprendermi più di ogni medicina e oggi sono qua a darti il saluto e a dirti il mio grazie e il mio arrivederci presto lassù. Tu sei stato per me come una lampada che mi ha illuminato il sentiero col tuo buon esempio. Continua ancora ad essere luce per i tuoi confratelli. Grazie e arrivederci, Fr. Giovanni”.

Sulle orme di Comboni

Emessi i primi voti il 13 novembre 1931, Fr. Giovanni Cristele venne mandato a Trento a fare il lavoro che aveva interrotto due anni prima, in più gli fu affidata l’economia della casa. In quell’epoca c’erano più di settanta alunni delle medie con lo stomaco buono; c’erano i loro insegnanti, c’erano gli imballaggi da preparare per le spedizioni in Africa di qualche partente. Fr. Giovanni pensava a tutto con la solita padronanza di sé, senza agitarsi. “Uno cosa dopo l’altra – diceva – così si arriva a tutto”.

Ed arrivò anche per lui il momento di partire per il Sudan meridionale. Era il 1937. Fu destinato alla zona di Wau in una regione in cui c’era bisogno di uomini a prova di tutto, gente forte nello spirito e nella salute. Erano i tempi in cui i missionari vivevano nelle capanne, guadavano a piedi le paludi, morivano di malaria. L'allora provinciale del Sud Sudan era P. Angelo Arpe, morto martire della carità nel 1946 per aver difeso una ragazza cristiana. Ebbene, P. Arpe, impressionato dalle numerose morti premature di missionari, una volta si sentì in dovere di radunare in chiesa tutta la comunità impartendo loro l’ordine in virtù di santa obbedienza di non morire! Per una decina di anni non morì più nessuno. Ciò dimostra che quelli erano tempi eroici ma anche di grande fede e di illimitata fiducia in Dio.

Le avventure che sottolinearono la vita di missione di Fr. Giovanni furono tante. Ricordava, per esempio, quel giorno nella missione di Mbili quando gli operai denka e Jur cominciarono a litigare tra loro. In un baleno si disposero su due file contrapposte tenendo in pugno le lance, pronti a sfidarsi. Fr. Giovanni balzò in mezzo a loro e, in nome di Dio, li pregò di desistere. Non fu facile convincerli a piantare nel terreno le loro armi e tornare al lavoro… L’opera di evangelizzazione era ancora agli inizi e ce ne volle perché i principi evangelici del perdono superassero gli odi tribali!

Un'altra volta una donna aveva rubato delle arachidi alla missione. Il Fratello disse al marito di lei di dirle di non fare più quella cosa altrimenti avrebbe contagiato anche le altre lavoratrici e, in poco tempo, il magazzino sarebbe rimasto vuoto. Il marito prese un bastone e cominciò a picchiare la malcapitata: “No, non così – intervenne Fr. Giovanni – basta che tu le dica di non rubare più”. “Le parole non servono a niente: questo è il nostro sistema e vedrai che funzionerà”. Infatti, né quella donna né le altre osarono più toccare la roba della missione.

Una ricca messe

Per 22 anni Giovanni lavorò nelle missioni della tribù dei Jur. Questa etnia, ora completamente cattolica, ebbe l’onore di dare il primo vescovo sudanese del secolo scorso: Mons. Ireneo Dud, chiamato dalla gente ‘il vescovo del rosario’ perché aveva sempre la corona in mano.

Anche Fr. Giovanni ebbe il suo nomignolo. Gli africani avevano occhio buono e affibbiavano l’appellativo adeguato alle qualità di ognuno. Ebbene lui fu chiamato “il fratello buono”. Fu a Mbili, a Thiet e a Nyamlel. Ebbe l’incarico di procuratore delle missioni: doveva provvedere tutte le missioni non solo di ciò che occorreva per il mantenimento dei missionari e dei catecumeni, ma anche del materiale necessario per mandare avanti le scuole, le case, le officine, i dispensari… La merce non pioveva dal cielo. Fr. Giovanni doveva attendere l’arrivo del battello della missione o di quello governativo con i rifornimenti che venivano dall’Italia, perché laggiù non c’era ancora niente. Nella missione centrale teneva sempre i magazzini ben riforniti, registrava ciò che mancava e inoltrava le richieste in Italia.

Inoltre Fr. Giovanni si faceva carico di organizzare il lavoro dei campi, delle stalle, delle fabbriche di mattoni. Si distinse per il suo amore per la gente, per gli operai, intervenendo con coraggio anche nelle loro questioni tribali rischiando, come disse lui stesso, la vita per portare la pace.

Al servizio degli immigrati

Poco prima che il governo sudanese cominciasse ad espellere i missionari dal Sudan meridionale in quanto testimoni scomodi delle repressioni contro i cristiani, Fr. Giovanni fu chiamato a prestare la sua opera in Italia. Fu nella casa di Napoli per un anno, poi passò a San Pancrazio, Roma, dove trascorse 10 anni all’ufficio viaggi. Animato dallo stesso amore per gli africani che emigravano dall’Africa per cercare lavoro e dignità in Italia, affiancò P. Renato Bresciani all’ACSE (Associazione Comboniana Studenti Esteri). Era famoso per la sua formidabile memoria: ricordava nomi, fatti e date con sorprendente lucidità.

Nel 1970 fu destinato alla Curia generalizia di Roma. In questa grande comunità composta da circa 120 persone (Direzione generale, studenti di teologia, formatori, missionari che si preparavano a diventare insegnanti…) c’era bisogno di qualcuno che si interessasse in maniera efficiente dei rifornimenti per la cucina e di tenere in ordine il giardino. Durante i 23 anni in cui rimase in quella casa, Fr. Cristele si preoccupò di tutte quelle cose pratiche che permettono agli altri di poter studiare, prepararsi e vivere senza dover affrontare gli inevitabili problemi e incombenze che sorgono quando si vive in una comunità così numerosa.

P. Enzo Canonici, che è stato superiore a Roma nella casa generalizia quando era presente anche Fr. Cristele, scrive: “Fr. Cristele s’incaricava del parco, dell’orto, dei rifornimenti di vino e acqua per la comunità, cose che faceva con molta esattezza. È stato in quella casa per 23 anni. Le piante che circondano la casa generalizia, eccetto qualche eucalipto preesistente nella zona, le ha piantate tutte lui. Le sue gambe mostravano ormai stanchezza e dolori (soprattutto alle ginocchia) eredità delle paludi che, in gioventù, aveva attraversate in Africa. Chiese di essere sostituito e arrivò Fr. Lino Mischi, altoatesino e ancora membro della comunità di Roma. Fr. Cristele chiese di essere destinato altrove, sembrandogli di essere ormai inutile a Roma. Il vicario generale, P. Angel Irigoyen Lafita, ed io riuscimmo a convincerlo a restare. Accettò con semplicità e generosità. Continuò ad interessarsi dei rifornimenti di acqua e vino e gli chiesi di occuparsi della cappella. Accettò molto volentieri e portò avanti questo impegno con la solita serenità, esattezza e dedizione.

Quando mi accingevo a preparare delle composizioni floreali per la cappella, si mostrava molto contento, e quando vedeva che cercavo di raccogliere la sporcizia in sacrestia, interveniva prontamente: ‘Non si preoccupi, lei ha altro da fare. Ci penso io a pulire…’. Non l’ho mai visto nervoso o inquieto: sempre col suo sorriso pieno di pace e di serenità. Mai ho udito dalla sua bocca un lamento. Anche quando parlava delle sue gambe doloranti, lo faceva con molta discrezione e solo per metterci al corrente. Né ho mai sentito dalla sua bocca una parola di critica nei confronti dei confratelli e tanto meno dei superiori.

Quando, nel 1994, dovette ritirarsi per il peggioramento delle sue ginocchia, ne sentii molta pena, perché la sua presenza era preziosa nella comunità della Curia, sia per la sua testimonianza, sia per la sua personale vita spirituale. Inoltre, sentivo non solo di stimarlo molto, ma anche di volergli veramente bene, come ci si sente con una persona amabile e rispettosa. Probabilmente il distacco da Roma dove, tra San Pancrazio e la Curia aveva trascorso 32 anni, gli sarà costato, ma non l’ha dato a vedere. La volontà di Dio era per lui la legge suprema che doveva essere accolta con gioia”.

Anche P. Antonino Orlando ha voluto esprimere il suo pensiero: “Lo conobbi a Roma tra il 1983 e il 1986, addetto alla casa generalizia dell’Eur. Fratello ad omnia: orto e giardino, refettorio e sagrestia, pur avendo già superato i settant'anni. Fedelissimo al suo lavoro. Era bello ed edificante vederlo alla sera partecipare al santo rosario e alla santa Messa della gente, prima che iniziassero i vespri della comunità. Davvero Cristele fu un vero fratello per tutti, un missionario che si poteva imitare”.

L’apostolato della sofferenza

Nel 1993 Fr. Giovanni subì un’operazione alle ginocchia. Chiese di andare nella casa di Arco, Trento, dove poteva fare ancora qualcosa o per lo meno non essere d’impaccio a quelli che avevano tanto da fare. Lasciò Roma nel 1994. Fu quella l’occasione in cui tutti si resero conto della sua mancanza. Ma si accorsero anche che aveva 84 anni. Fr. Giovanni si dedicò all’apostolato della preghiera, dell’offerta generosa dei suoi acciacchi e delle piccole cose. Appena poteva, dava una mano per tenere in ordine la casa, in modo particolare la cappella e la sagrestia.

Ad un certo punto, migliorando la salute, fu inviato nella comunità di Trento che lo aveva visto tanti anni prima. “Passava giornate intere davanti al tabernacolo chiedendo aiuti e grazie per i confratelli in prima linea – scrive il superiore P. Paolo Berteotti - ma poi si dedicava ancora ai piccoli lavori come preparare e sparecchiare la tavola, tenere in ordine lo scaffale dei giornali e delle riviste. Era, inoltre, sempre disponibile a fare due chiacchiere con i confratelli ispirando in tutti fiducia e ottimismo. Quando tra confratelli si parlava delle notizie della TV o dei giornali, spesso veniva fuori l’interrogativo: ‘Dove andremo a finire di questo passo?’ Fr. Cristele, col suo sorriso pieno di pace, interveniva: ‘Ma forse non è Dio che porta avanti la storia? Perché vi turbate, dunque?’ Era davvero un uomo profondamente ancorato a Dio e in Dio trovava la sua sicurezza. Era, inoltre, l’uomo della preghiera continuata, della carità fraterna, dell’ottimismo ad ogni costo ‘perché siamo nella mani di Dio’. I confratelli, quando si sentivano un po’ tesi, andavano da lui e ritornavano rasserenati”.

Dopo una tappa di un anno (1999-2000) a Verona per un ritocco alla salute, il 12 maggio del 2000, andò con altri tre ad ‘inaugurare’ la nuova casa per anziani ad Arco di Trento. Arrivò appena in tempo per veder spirare il confratello Emilio Rebellato, colto da infarto proprio mentre parlava con lui. Anche ad Arco Fr. Giovanni cercava di rendersi utile, sia rispondendo al telefono e badando alla porta che andando in cucina ad aiutare a sbucciare le patate e a pulire la verdura. La maggior parte del suo tempo, però, la viveva in chiesa col rosario tra le dita, dove si trovava a suo agio.

Scrive il suo superiore P. Giovanni Battista Bressani: “Un mese prima della morte è caduto in stanza durante la notte. Per non disturbare nessuno, è rimasto adagiato per terra sullo scendiletto. Solo quando ha sentito che c’era movimento in casa si è azzardato a suonare il campanello di allarme. La sua stanza era la più pulita e la più povera della casa: aveva il puro essenziale.

Quando si è sentito nuovamente male (lo stesso giorno della morte, 18 agosto 2001) abbiamo chiamato il dottore per portarlo al pronto soccorso di Riva del Garda. Volevamo condurlo all’automobile in carrozzella, ma lui ha voluto recarvisi da solo, appoggiandosi al suo bastone.

Giunti al pronto soccorso, il medico lo ha visitato e ha fatto l’elettrocardiogramma e gli esami del sangue. Dopo un paio d’ore ha deciso di internarlo all’ospedale di Arco. Vi è rimasto circa un’ora assistito da Fr. Amorino De Gaspari.

“Sento che non tornerò più a casa, salutami i confratelli”, ha detto. A questo punto la dottoressa che lo curava, ha deciso di mandarlo con l’autoambulanza all’ospedale di Rovereto più attrezzato per la cura delle coronarie. È partito con l’ambulanza ma, dopo pochi chilometri, è spirato. Allora l’ambulanza a fatto dietro front e lo ha portato nella camera mortuaria di Riva.

Riportato ad Arco martedì 21 per il funerale, è stato sepolto nel locale cimitero.

Fr. Giovanni Cristele è la vera figura del missionario fratello, riservato, preciso, disponibile, lavoratore, osservante e di intensa preghiera, eccellente in tutte le virtù e dedito a Dio e al prossimo. Chi lo ha conosciuto lo ricorda con tanto affetto. Che dal cielo continui ad intercedere per noi.           P. Lorenzo Gaiga, mccj

Bro. Giovanni Cristele was born at Meano (Trento) in 1910, the first of eight brothers. As a young man he went to Trento to look for work. He found the work as a gardener, but only for the summer months. From a friend he heard that the Comboni Missionaries at Muralta were looking for a helper. He went there, knocked on the door and was received by Fr. Albino Colombaroli who gave him a good breakfast first and then put him to work. At home with nature and the fields, Giovanni enjoyed working in the kitchen-garden of the missionaries and willing offered help for other little tasks. He thus came to know the Comboni Missionaries and began to feel the desire to follow  their way of life. After working with them for a year and a half, he asked to be admitted to the Institute and was immediately accepted. In vain his previous employer and his father tried to make him change his mind. His father was greatly opposed, as he saw in him a valid support for the family. Giovanni informed his father by letter that he was entering the novitiate.

Bro. Giovanni made his first profession in 1931 at Venegono. After his profession he returned to Trento, in charge of the Comboni house and the church till 1937, when he left for Bahr el Gazal (Sudan). He worked there for twenty-two years, first at Mbili and then at Thiet and Nyamlel. In Sudan he distinguished himself for his love for the people and for the workers, courageously intervening in their tribal quarrels to bring peace, even at the risk - he admits - of his own life. In 1959 he returned home for a period of rest and was assigned to Naples for ten years and then to St. Pancrazio (Rome) where he remained for ten years at the service of the community and of the ACSE, collaborating with Fr. Renato Bresciani. Bro. Giovanni was famous for his excellent memory. He could recall names, dates and events with the greatest clarity.

In 1970 Bro. Giovanni was transferred to the Curia in Rome (Eur), where he remained for twenty-four years involved in various services: gardener, sacristan, etc. In 1994 he was transferred to Arco for a year, but feeling still strong he asked to be assigned to Trento to give a helping hand to that community. He stayed for three years, looking after the house and the chapel. In 1999 he went to Verona for medical reasons. In May 2000 he was transferred to Arco where he died on 18 August 2001.

Bro. Giovanni was a quiet but strict person, observant of the rules and prayerful. Those who have known him, still remember him with great affection.

Da Mccj Bulletin n. 214 suppl. In Memoriam, aprile 2002, pp. 34-42