Ottavo di nove fratelli, P. Andrea è nato a Madonna di Buia, Udine, il 17 febbraio 1923. La sua borgata, Solaris, era molto povera per cui la gente era costretta ad emigrare. Quando Andrea aveva tre anni papà Pietro lasciò questo mondo stroncato da un tumore. Aveva 42 anni. Questa morte segnò l’esistenza della famiglia e del nostro futuro missionario. Tuttavia la mamma, Anna Barazzutti, seppe crescere la famiglia con quella forza e quella fede propria delle donne abituate al sacrificio.
Terminate le elementari al paese, il piccolo Andrea decise di entrare nel seminario diocesano dove rimase per 5 anni. La sorella Teresa ci racconta la storia della vocazione sacerdotale del fratello:
“Il piccolo Andrea è andato nella stalla dove la mamma stava mungendo le mucche e le ha detto: ‘Mamma, io voglio farmi prete!’. La risposta: ‘Noi non siamo famiglia di preti, perché non abbiamo le possibilità di mandarti in seminario’. Il piccolo rimase in silenzio e se ne andò. Qualche tempo dopo, tornò alla carica con questo discorso: ‘Mamma, non è meglio che mi faccia prete, piuttosto che assassino?’. La mamma pensò un minuto e poi replicò: ‘Cosa dici? Sei matto? Non occorre essere assassini per non farsi preti. Sono due strade opposte, una brutta e l’altra bella’. La questione finì davanti al parroco che diede ragione ad Andrea. E partì per il seminario di Castellerio, anche se i compaesani lo deridevano dicendo che voleva farsi prete perché non aveva voglia di lavorare”.
Un giovinetto maturo
La mamma, per preparargli il corredo e per pagargli la retta, dovette vendere una mucca; e ne aveva così poche! Più tardi i due fratelli maggiori dovettero andare in Germania a far mattoni per lasciare il fratello in seminario. Questo fatto contribuì alla maturazione della sua vocazione missionaria. Non voleva una vita di minor sacrificio rispetto ai fratelli, né intendeva diventare prete col sudore dei suoi. Dalla lettera del 14 maggio 1939, scritta ai superiori di Verona, possiamo constatare che Andrea era un ragazzo maturo:
“Mi rivolgo a lei per avere ampie e sicure informazioni sulla Congregazione in modo da vedere se è conforme ai miei desideri. Vorrei saper qual è il metodo tenuto nell’educazione dei giovani missionari, quale lo spirito che li guida nella vita di apostolato, quali i doveri e gli obblighi di un buon missionario. Ci sono Voti religiosi, e quali? C’è un regolamento stabile, e quale?… Sento in me la vocazione alle missioni da oltre un anno, anno che ho passato nella preghiera e nella riflessione… Sono già in relazione con P. Giacomo Andriollo… Desidero ardentemente entrare subito in noviziato per poter, in questa scuola di perfezione e sotto la sua guida, fortificare la mia virtù e plasmare la mia volontà; voglio prepararmi con intenso lavoro e con seria generosità a quella vita di apostolato, tutta pregna di santità e di operosità…”.
A 16 anni, in quinta ginnasio, dopo gli esercizi spirituali, assieme ad altri due compagni decise di seguire la vocazione missionaria entrando nel noviziato dei Comboniani di Venegono Superiore. Era il 28 agosto del 1939. Il suo parroco, pensando che si trattasse di un momento d’esaltazione, gli ripeteva: “Ma come fai a partire senza sapere quello che ti aspetta?”. Andrea rispondeva: “Buono a niente, ma pronto a tutto”.
Una benedizione sulla famiglia
Il rettore del seminario, in data 6 luglio 1939, scrisse: “Ha dimostrato volontà seria, generosità di propositi, grande spirito di sacrificio e convinzione nel compimento del dovere. Proviene da una famiglia ottima sotto tutti gli aspetti. Senza arrogarmi la prerogativa dell’infallibilità, dico che Andrea ha le carte in regola per diventare un bravo missionario”. Anche la mamma e i parenti si dimostrarono contenti della scelta di Andrea.
“All’annuncio della mia nuova vocazione – scrisse Andrea il 3 luglio 1939 – non solo non mi opposero nessun ostacolo, ma anzi si sono dichiarati pronti a fare sempre la Volontà di Dio”. In mancanza del padre, il fratello maggiore Antonio, gli diede il consenso. Questi, scrivendo dalla Germania dove si trovava, disse delle parole che meritano di essere riportate:
“Bobuigen, 25 giugno 1939. Carissimo Andrea, oggi ho ricevuto la tua lettera e mi affretto a risponderti. Non so nemmeno io come manifestarti il mio grande dolore e la mia immensa consolazione. Il mio dolore nel vederti partire così lontano dalla nostra cara famiglia e non poterti parlare così spesso come quando eri in seminario, è grande. Tu sai che per te io ho sempre avuto una predilezione speciale e nel mio cuore hai sempre avuto il primo posto dopo quello della mamma…
Se da una parte il mio dolore è grande, dall’altra parte la mia consolazione è immensa perché penso che la tua nuova vocazione non è altro che una nuova e grande benedizione del Signore sulla nostra famiglia. Il Signore certamente vuole trapiantarti in un campo più vasto e ricavare da te chissà quali opere belle. Se Dio ti chiama, va’, e va’ glorioso e sia sempre fatta la sua volontà.
La tua nuova vocazione non è più quella del semplice sacerdote, ma quella di apostolo. Ricordati che tu dovrai affrontare i popoli infedeli per portare loro la luce del Vangelo, e battezzare, e confortare e sostenere e asciugare le loro lacrime. Cosa vuoi desiderare di più grande in questo mondo? Per questo sono orgoglioso di te. Ah, se tu sapessi, fratello mio, quanto bisogno ha il mondo dell’opera del sacerdote! Io, prima di cominciare a girarlo, non lo immaginavo, ma ora posso dire che, se la fede non esistesse, il mondo non esisterebbe più. Anche per la scelta della Congregazione sono contento. Da molti anni conosco la Congregazione dei Figli del Sacro Cuore di Verona, fondati da Mons. Daniele Comboni, attraverso la loro rivista Nigrizia…”. Questa lettera non ha bisogno di commenti.
Novizio vivace e impegnato
P. Antonio Todesco, che lo accolse in noviziato, scrisse: “Fa bene, ma potrebbe fare di più. Ama la vocazione. Sincero, permaloso, ma abbastanza malleabile”.
All’inizio del secondo anno di noviziato Andrea fu deviato a Firenze dove per gli studi di prima liceo e filosofia frequentò i corsi dai Padri Domenicani nel vicino convento di San Domenico. E qui ebbe una sorpresa: mentre in seminario diocesano era promosso con un 6 risicato, dai Domenicani, arche di scienza, collezionava 8 e 9 e, più tardi, in teologia, 9 e 10. P. Andrea concluse: “O mi sono svegliato tardi, o il Signore voleva ricompensare la mia risposta alle missioni, o i professori del seminario conoscevano poco il loro mestiere”.
Suo maestro a Firenze fu P. Stefano Patroni che disse di lui: “Ama lo spirito di penitenza, carattere allegro, chiacchierone, gioviale con i compagni, sincero con tutti, intelligente e dotato di una volontà di ferro. Sarà un ottimo missionario”.
Emise la prima professione il 7 ottobre 1941. Proseguì il liceo e la teologia a Verona (e in parte a Rebbio a causa della guerra) frequentando il seminario diocesano dove conobbe, tra gli altri, il giovane seminarista Sennen Corrà che, dopo tanti anni, incontrò come Vescovo di Concordia-Pordenone. Frequentò il corso infermieri e conseguì la licenza di aiutante di Sanità presso il Distretto militare di Verona. Intanto la sorella Caterina, la più giovane della famiglia, entrava tra le suore di Maria Bambina prendendo il nome di Pierina, in ricordo del papà.
A Londra
Andrea fu ordinato a Verona il 31 maggio 1947 e subito fu inviato a Londra per apprendere l’inglese, condizione imposta a tutti i missionari stranieri dal governo inglese, per entrare, come insegnanti, nelle loro colonie. Infatti era stato destinato alle missioni d’Uganda. P. Felice Centis manda una bella testimonianza dell’attività di P. Andrea in Inghilterra.
“Era stato mandato a Londra a prepararsi per la missione in Uganda; ma nel gennaio del 1948, insieme ai padri Luigi Cocchi e Teodoro Fontanari, gli fu chiesto di assistermi nell’apertura del Juniorate (piccolo seminario) a Sunningdale, Berks.
Era, questa, assieme al noviziato, un’opera urgente voluta fortemente dai superiori della Congregazione per preparare al più presto comboniani di nazionalità britannica per le missioni del Sudan e dell’Uganda. Umanamente, date le circostanze, era, a dir poco, un’imprudente avventura. ‘Si sarebbe dovuto prepararla meglio, a scanso di fastidi’, ha detto qualcuno. Noi tutti eravamo giovanissimi: il più anziano, P. Fontanari, aveva 29 anni. Eravamo tutti principianti nella lingua inglese, ignoranti della cultura e tradizioni locali, inesperti nella formazione seminaristica e comboniana.
La casa, restituitaci finalmente dal governo che l’aveva sequestrata quando l’Italia era entrata in guerra contro l’Inghilterra, era sfornita di tutto. Mancavano i mobili, le forniture, i libri… La provincia aveva pochissime risorse e finanziariamente dipendeva quasi esclusivamente da Verona. Il numero di aspiranti, attirati alla nostra causa dalla simpaticissima figura di P. Germano Pilati – sostituito più tardi dal non meno simpatico P. Filiberto Polato – si era ridotto a cinque perché l’anno scolastico era già iniziato da alcuni mesi.
Nonostante tutto, fidandoci sulla potenza dell’obbedienza e sul nostro entusiasmo giovanile, il 6 gennaio 1948 abbiamo dato inizio al juniorate. P. Minisini fu incaricato della continua e diretta assistenza dei ragazzi. Quanto gli sia costato, è difficile dire. Tuttavia con la sua vivacità e allegria sapeva coprire le gaffe, i malintesi e anche le umiliazioni che qualche volta la poca conoscenza della lingua gli procurava. Si fece ben volere dai ragazzi senza mancare di energia. E qui rivelò le sue doti di insegnate e di educatore che portò ad alto grado in missione e attraverso i corsi speciali che più tardi frequentò all’università di Londra.
Nell’estate del 1949 P. Minisini venne destinato all’Uganda e ci lasciò prima che il juniorate, con più di 30 ragazzi, fosse trasferito a Stillington, York.
Colgo questa occasione per dare testimonianza alla bontà del Signore che benedisse gli inizi della nostra ‘imprudente’ opera. Dei ragazzi entrati nel Juniorate negli anni 1948 - 1949 – 1950, sei diventarono sacerdoti nella nostra Congregazione. Essi sono i padri: John Fraser, Peter McGinley, John Pinkman (+1984), John Troy, Sean Dempsey, Anthony Wade (+1988). Inoltre fu nel Juniorate a Sunningdale che P. Franco Sirigatti (+1963) fu accolto e iniziato alla vita religiosa”.
“Ho imparato l’inglese con la praticaccia – scrisse P. Andrea – e la fama dei vecchi missionari nei territori inglesi che, quando si avvicinava un ufficiale, correvano a nascondersi perché non sapevano una parola di inglese, mi dava grinta”.
Insegnante in Uganda
Due anni dopo, nel 1949, era già in missione in Uganda e vi rimase una trentina d’anni dedicandosi in modo particolare alla formazione scolastica. “A quel tempo – scrive P. Andrea – l’esperienza negativa degli inizi aveva fatto cambiare rotta all’Istituto in fatto di preparazione dei suoi membri, ma non bastava ancora. Ci si affidava troppo alla buona volontà e allo spirito di sacrificio dei singoli missionari e anch’io ne subii le conseguenze”.
Venne inviato subito alla missione di Lodonga (1956-57), tra i Logbara del West Nile, senza avergli data previa opportunità di studiare la lingua locale e la cultura della gente. Bisognava arrangiarsi sul posto con l’aiuto di qualche maestro africano che sapesse la lingua inglese.
Ma questa situazione non finì lì. Dopo soli sette mesi Andrea venne inviato ad insegnare nella scuola magistrale di Gulu, centro del Vicariato, scuola che preparava maestri per le elementari. Per fortuna che alla direzione della scuola c’era un padre di molta esperienza e capacità. Ma la gente di Gulu parlava una lingua diversa dal logbara di Lodonga e P. Andrea, dedito all’insegnamento, non aveva tempo di impararla per cui aveva l’impressione di sentirsi come uno straniero tra quella che doveva essere la sua gente.
Anni meravigliosi a Kalongo
Dopo un anno fu inviato a Kalongo perché imparasse l’acioli, e qui dovette cominciare tutto daccapo. Tuttavia quei due anni rimasero nella sua memoria come i più belli della sua vita missionaria. Tra quella gente povera, primitiva e semplice, in un paese di poche strade e anche quelle disastrate, tra chilometri di boscaglia e di savana, si trovò a suo agio. Suo compito principale era quello di visitare i cristiani dei villaggi lontani. La missione, allora, aveva un raggio di 70 chilometri. P. Andrea, 27 anni, partiva con una motocarrozzetta Guzzi e puntava subito ai villaggi più lontani. Portava con sé l’indispensabile per la cucina, la branda e il materasso, la bicicletta e il cuoco africano.
Giunto al limite estremo, tornava pian piano verso la missione fermandosi due o tre giorni in ogni cappella. Bisognava confessare, celebrare la santa Messa, battezzare i neonati figli di cristiani, celebrare qualche matrimonio, visitare gli ammalati. L’arrivo del Padre era un giorno di festa per la gente che gli procurava l’indispensabile per vivere: uova, galline, patate dolci, banane, arachidi… Il safari durava quindici giorni. Fisicamente erano giorni duri ma pieni di soddisfazioni. Dopo una settimana di riposo in missione, ripartiva per un’altra direzione.
La buona volontà non basta
Dopo due anni trascorsi a Kalongo, il Padre fu dirottato a Gulu come direttore della scuola Magistrale. Fu un tiro birbone, ma bisognava obbedire e quell’obbedienza gli costò sudori e umiliazioni. Alla fine del primo anno scolastico, il giudizio dell’ispettore dell’Educazione, un inglese, fu negativo.
“La buona volontà non basta – scrisse – . Al Padre manca la preparazione didattica”. I superiori decisero di rimandarlo a Londra nel Goldsmiths’ College (1953-56) per un diploma in magistero e con lui altri cinque giovani missionari. E così, a 30 anni, P. Andrea era nuovamente sui banchi di scuola. Dopo tre anni conseguì il diploma a pieni voti e nel luglio del 1956 era nuovamente in Uganda, senza passare per l’Italia. Urgeva prendere in mano la scuola magistrale di Lodonga dove aveva passato i primi mesi di missione.
Questa volta le cose erano cambiate e gli ispettori inglesi si guardarono bene dal criticare il suo lavoro. Rimase a Lodonga due anni per passare, poi, alla scuola magistrale di Lira (1958-59), nel distretto lango dove era successo qualcosa di sgradevole: un grande sciopero violento da parte degli studenti, per incapacità di chi era a capo. P. Andrea doveva mettere le cose a posto. E vi riuscì. Dopo due anni cedette il posto ai Fratelli delle Scuole Cristiane, americani, che erano andati in Uganda in aiuto alle missioni.
Fondatore di missione
P. Andrea fu mandato nel bosco a fondare la nuova missione di Opit (1959-60), tra gli Acioli.
“Fondare una nuova missione – scrisse – è sempre un’avventura da Far West. Di solito è uno solo che comincia e deve adattarsi a vivere in capanne. Deve organizzare subito il lavoro per fare i mattoni e deve insegnare ai nativi un po’ tutti i mestieri e accontentarsi sempre di poco”.
Data l’esperienza di Kalongo, l’impresa non gli fu difficile. Dopo un anno di solitudine, gli venne mandato in aiuto un fratello anziano e poi un padre giovane. Ma anche ad Opit rimase solo due anni. Sembrava che la sua vita fosse pianificata con scadenze biennali. Il Vescovo lo volle di nuovo a Gulu alla direzione della scuola tecnica di Laybi (1961-62). Era appena stata messa in piedi dai fratelli, bravi nelle costruzioni e abili nei vari mestieri, ma ci voleva un’organizzazione scolastica degna di una scuola secondaria. In due anni, P. Andrea, con l’aiuto anche di insegnanti cattolici inglesi mandati dal governo, non solo diede un volto nuovo a quel complesso tecnico, ma pose le basi perché diventasse una scuola secondaria superiore che doveva preparare i suoi alunni agli esami della scuola di Cambridge e all’entrata all’Università. Era quella, al momento, la direttiva del Ministero dell’Educazione.
Le prime vacanze
Il 1963 segnava nove anni di assenza dall’Italia di P. Andrea, e i superiori pensarono di concedergli una vacanza. In Italia, un po’ riposò e un po’ si diede da fare per cercare aiuti per non ritornare in Uganda a mani vuote.
Entro l’anno era di nuovo in Uganda e questa volta per prendere in mano la direzione del Comboni College di Lira (1963-709, tra i Lango. Era una scuola superiore appena iniziata dalla missione ed era ancora privata, senza salari e senza altri aiuti da parte del governo. Questa volta P. Andrea rimase in quell’incarico per sette anni. E in quel lasso di tempo la scuola fece un lungo cammino. Con l’aiuto di validi confratelli, tutti qualificati, e più tardi anche con quello di insegnanti inglesi, la scuola fu presto riconosciuta e quindi aiutata dal governo. Si sviluppò fino a tre sezioni per ognuna delle quattro classi. C’erano il laboratorio di scienze, i dormitori, le case dei maestri… Poteva ospitare più di 500 alunni, tutti interni. Il corpo insegnante era di sei padri, due maestri inglesi, e trentacinque insegnanti africani, tutti qualificati.
Il Collegio di Lira diventò un modello di scuola secondaria per tutta l’Uganda sia per i risultati scolastici, come per la disciplina e la formazione umana e cristiana. Correva il detto tra gli studenti: “In questa scuola siamo sicuri di essere promossi”.
Il decennio che seguì l’indipendenza dell’Uganda fu il tempo d’oro per l’educazione nel paese. Le missioni facevano grandi sforzi per essere all’altezza con i tempi in modo da preparare un’élite cristiana che potesse dare un valido contributo alla direzione del paese.
Fare spazio agli africani
Alla fine degli anni Sessanta fu deciso di affidare la direzione di molte scuole a mani africane. Ormai c’era un buon numero di validi insegnanti nativi e bisognava dar loro fiducia, nello spirito del Fondatore che voleva salvare l’Africa con gli Africani. Vari missionari insegnanti si misero a disposizione del governo per essere inseriti in altrettante scuole secondarie come cappellani e insegnanti, a seconda del bisogno.
P. Andrea fu inviato alle Magistrali superiori di Boroboro (1971-78), di fondazione protestante, e qui vi rimase per altri sette anni. Era il tempo infausto del dittatore Idi Amin Dadà che usurpò il potere e lo consolidò a prezzo di centinaia di migliaia di morti.
Il 1978 segnò la fine della lunga carriera ugandese di P. Andrea. Un gesto umanitario di vera carità lo mise in condizioni di dover fuggire per salvarsi: una notte aveva portato con la sua macchina, al confine del Kenya, una famiglia molto famosa e importante della zona ma già in disgrazia del Potere. Scoperto e accusato, il suo vescovo (un africano) gli suggerì di prendere il primo aereo e scomparire.
In Eritrea
Fuori dall’Uganda, P. Andrea fu inviato nel Collegio Comboni di Asmara Eritrea (1979-82), come insegnante. Si trattava di un Collegio privato dei Comboniani che ospitava 1.500 scolari tutti esterni, con 12 classi, dalla prima elementare alla terza liceo. Educava il fior fiore della città, gente di tutte le religioni. Neanche farlo apposta, P. Andrea dovette insegnare materie che non aveva mai studiato nella sua vita, come Amministrazione e Commercio. Passò tre anni sempre in classe o al tavolino a studiare e poi insegnare. Furono anni duri. Ad un certo punto, con un decreto del colonnello Menghistu furono nazionalizzate tutte le scuole private dell’Etiopia, dando ai proprietari un mese di tempo per lasciare tutto e andarsene.
Animatore in Scozia e a Bologna
Questa volta P. Andrea finì in Scozia, a Glasgow (1982-85), come animatore missionario e promotore di vocazioni. In tre anni visitò tutta la Scozia più di una volta, predicò giornate missionarie in tante chiese, e si fece sentire in parecchie scuole cattoliche. Sennonché, nell’ottobre del 1983, il suo cuore cedette all’improvviso e fu operato alle coronarie all’ospedale di Glasgow. Cercò di tener duro ancora finché, nel 1985, fu portato a Bologna dove rivestì la carica di superiore, di economo e di animatore missionario (1985-92). Vi rimase per sei anni. Le sue giornate missionarie rimasero proverbiali ed il suo operato veniva sintetizzato da un suo amico Passionista con queste parole: “Tu sei dappertutto come la presenza di Dio”.
Nel 1992 venne trasferito a Pordenone, in Via San Daniele, con il compito di cercare una nuova soluzione per la casa diventata ormai troppo grande, dopo che i Superiori avevano deciso di trasferire la formazione dei futuri fratelli missionari in terra africana.
P. Andrea partì deciso e in quattro anni portò a termine l’opera che riuscì veramente bella e funzionale. Si presenta da sola: è un capolavoro agli occhi dei confratelli e di tanti amici e benefattori che la visitano. La casa si trova in Viale di Romans, 135. P. Andrea volle anche una chiesa, annessa alla casa, dedicata al beato Daniele Comboni (la prima chiesa dedicata al nuovo Beato, in Italia).
Prepararsi all’incontro
Col primo gennaio 1997 P. Andrea si è dimesso dalla direzione della Casa per motivi di salute, ma continuò il suo lavoro di animatore missionario con l’entusiasmo di sempre in qualità di soldato semplice. Come attività sussidiaria faceva il cappellano della Casa di Riposo di Cordenons dove con la sua sensibilità umana e la sua spiritualità ha lasciato un caro ricordo. “Senza più incarichi – dice la sorella Teresa - P. Andrea era diventato ancora più dolce, più remissivo, più buono. Certamente il Signore stava preparandolo all’incontro con lui”. Nel 1997 il Comune gli conferì il premio “Nadal Furlan”, un riconoscimento che viene dato a quei cittadini che si sono distinti per opere umanitarie o per analoghi meriti. Venne ritirato da P. Zanatta, essendo il Padre ammalato.
Il 10 ottobre, dopo aver celebrato assieme ai confratelli, ai sacerdoti e al Vicario generale della diocesi, la festa del beato Daniele Comboni, durante la notte il Signore l’ha chiamato a sé. E’ stato trovato seduto sulla poltrona al mattino del giorno 11. Probabilmente si era sentito poco bene durante la notte e si era alzato.
I funerali si sono svolti venerdì 13 ottobre alle ore 10.00 nella chiesa parrocchiale di San Pietro apostolo (Scalvons) di Cordenons, presieduti dal suo amico e compagno di seminario Mons. Sennen Corrà e da una trentina di sacerdoti. Poi la salma è stata portata a “Madonna di Buia” (Udine) per la santa messa alle ore 15.00 e la tumulazione nella tomba di famiglia.
Lo vediamo ancora con il suo immancabile sigarone tra i denti e il sorriso sulle labbra, sempre indaffarato per tenere a bada ogni cosa e nello stesso tempo ottimista, incoraggiante, accogliente e contento. Ha lasciato in tutti quelli che ha conosciuto un grato ricordo e la testimonianza di un missionario solidamente piantato e perfettamente identificato. Grazie P. Andrea. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 210, aprile 2001, pp. 67-75