In Pace Christi

Dellagiacoma Vittorino

Dellagiacoma Vittorino
Data di nascita : 05/06/1928
Luogo di nascita : Predazzo (TN)/I
Voti temporanei : 15/08/1946
Voti perpetui : 20/09/1951
Data ordinazione : 29/03/1952
Data decesso : 20/12/1999
Luogo decesso : Khartoum/SD

A distanza di pochi mesi dalla morte di p. Gino Bellezze, un altro grave lutto ha colpito l’archidiocesi di Khartoum: l’improvvisa e inattesa scomparsa di p. Vittorino Dellagiacoma, un missionario di prima grandezza la cui opera ha lasciato il segno specialmente per la formazione del clero africano cui ha dedicato gran parte della sua vita.

Le radici della missionarietà di p. Vittorino hanno trovato alimento nella sua famiglia e, in particolare, nel cuore della mamma, Maddalena Morandini, sorella di fr. Francesco Morandini, morto a Mupoi nel 1960, a 59 anni di età, grande missionario e compagno di fatiche di fr. Giovanni Motter. Un altro fratello della mamma ha passato tutta la vita come veterinario in Congo, e una sorella era Dama di Sion a Gerusalemme. Morì ultra novantenne. Un altro fratello era parroco. Quindi la radice era santa e non temeva di espandersi nel mondo.

“Mia mamma - scrive p. Vittorino - ha detto più volte che la sua mamma soleva dire: ‘In ogni casa c’è sempre un Giuda’. Mia mamma, però, diceva: ‘In casa mia non voglio Giuda, no, non voglio, non voglio!’. Quante volte l’ha detto al Signore! Andando a Lourdes, nel 1932 o 33 chiese alla Madonna che almeno un figlio fosse prete. Quando morì il primo Vittorino (1926) disse a se stessa: ‘Se soffro tanto a mettere sotto terra questo corpicino, mentre so che l’anima è in cielo, cosa soffrirei a vedere un mio figlio all’inferno? No, assolutamente no, Signore, che questo non avvenga’. Questa era la sua costante preghiera.

Teresina, morta dodicenne il 23 aprile 1935, le disse prima di spirare: ‘Mamma, se non posso aiutarvi a sbrigare le faccende di casa, vi aiuterò ad allevare bene i miei fratelli’. E l’assicurò che sarebbe stata contenta del figlio che era per strada. In ottobre nacque il futuro p. Raffaele”.

Dalla famiglia Dellagiacoma, dopo Vittorino, hanno preso la strada delle missioni altri tre fratelli, p. Carlo e p. Raffaele (comboniani), don Alberto e suor Gisella, missionari salesiani in Ecuador. Dei 9 fratelli, dunque, di cui p. Vittorino era il terzo, ben cinque si misero alla sequela del Signore e per di più come missionari.

“Di noi fratelli - scrive p. Raffaele dall’Uganda - due sono sposati in Australia, tre eravamo in Africa, un padre salesiano e una sorella pure salesiana sono in Ecuador, e due sono sposati a Pozza di Fassa. Tanto per far notare che sia la vita religiosa che il passare gli anni lontano da casa non costituivano niente di straordinario per noi”.

Papà Giuseppe, di professione casaro, favorì questi suoi figli nella loro scelta pur mettendoli in guardia sulle gravi responsabilità che si assumevano diventando sacerdoti. Per motivi di lavoro, ad un certo punto il papà dovette emigrare da Predazzo a Pozza di Fassa (dove è nato Raffaele) portando con sé i valori umani e cristiani con i quali aveva sempre diretto la famiglia.

Anche il paese, Predazzo, vibrava di fervore missionario ai tempi dell’infanzia di p. Vittorino, e anche prima. Ricordiamo che a Predazzo il 21 maggio 1861 era nato don Casimiro Giacomelli che, dal ginnasio vescovile di Trento, nel 1880 entrò a Verona nell’Istituto del Comboni. Fu una conquista diretta del beato Comboni. Al Cairo fondò e fece prosperare il Collegio della Sacra Famiglia, e là morì il 19 novembre 1924 in concetto di santità. Lasciò un diario personale a p. Capovilla.

Attingiamo da un quadernetto di p. Vittorino, scritto con grafia minuta e ordinata, nel quale il Padre registrò i fatti principali della sua vita:

“Non so di preciso quando sia spuntata la mia vocazione. Ricordo confusamente che, ancora in prima o seconda elementare, la maestra Paolina, indicando un quadro a colori che rappresentava degli infedeli, ci parlava del loro grido e della necessità di missionari per far loro conoscere Gesù. Poi chiese a tutti: ‘Chi di voi vuole farsi missionario?’. Risposi: ‘Io voglio farmi simionario. Ho detto proprio simionario!’. Non ricordo se lo dissi forte (probabilmente sì) o solo nel mio cuore. E’ certo che fin dalle prime classi elementari fui deciso e chiaro nella scelta della mia vita. Quando mi si presentava il quesito: ‘Che farai da grande?’ la mia risposta era pronta e decisa: ‘Il missionario’.

Rivedo un altro momento caratteristico: tornavo dalle funzioni da San Nicolò, era già notte. Ero vicino alla casa di Placida a pensare: ‘Sarò missionario o sacerdote diocesano?’. Dico questo perché, da qualche mese, mi ero orientato verso il sacerdozio secolare. Ma in quel momento, nel silenzio della notte, presi una decisione: ‘Sarò missionario’. E su questa decisione non tornai mai più”.

Desiderio di avventura

“Quali sono state le motivazioni di questa mia scelta? - prosegue Vittorino. - Nella vita missionaria c’erano più avventure e più sacrifici. Ricordo proprio che il motivo dell’avventura fu determinante. Rivedo una carta dell’Etiopia con dei colori diversi a seconda dei vari raggruppamenti etnici. In prossimità del lago Alberto c’erano dei cammelli… Il pensiero di attraversare il deserto a dorso di cammello mi entusiasmava”.

Dio, per chiamare uno ad essere suo discepolo, non sempre si serve di argomentazioni sublimi; alle volte si serve anche di cose semplici, molto umane e apparentemente divertenti come una traversata del deserto in groppa ad un cammello.

Che tipo era il nostro Vittorino da piccolo? E’ ancora lui che ne parla:

“In casa ero considerato (dopo la morte di Teresina, 22 aprile 1935) il più buono, cioè il più pacifico, bonario, pacioccone, ingenuo specialmente riguardo alle frequenti liti tra i fratelli. Anch’io c’entravo qualche volta, ma più spesso o perdevo o mi astenevo dalla lotta.

Mi piacevano le funzioni in chiesa. Ho cominciato a servire messa a cinque anni. Più grandicello, non mancavo mai alle adunanze degli aspiranti. Ho cominciato a frequentare la scuola a cinque anni. E’ andata così: la maestra Paolina passava per andare a scuola, io venivo dalla stalla con la mamma. ‘Mamma - dissi sottovoce - voglio andare anch’io a scuola’. La mamma lo disse sorridendo alla maestra che rispose: ‘Venga pure. Proviamo’. Corro in casa tutto contento, prendo una matita e un quaderno e via. E’ stato un anno bellissimo. A casa mia resta un attestato di buona riuscita, non la pagella che non potevo ricevere per l’età”.

Precisa p. Raffaele a questo punto: “Vittorino era molto attaccato alla sorella di un anno più vecchia di lui, sr. Gisella, la salesiana. Mia mamma chiese al direttore della scuola elementare se Vittorino potesse andare a scuola con lei per qualche giorno finché gli passava la malinconia. Visto che se la cavava bene, dopo una settimana poté restare e così iniziò la scuola con un anno di anticipo.

Richiesto, dopo la prima comunione, che cosa volesse diventare da grande, rispose: ’Il simionario’. Da ragazzo lo prendevamo sempre in giro per questa sua battuta”.

“Avevo un grande amore alla scuola - prosegue Vittorino - ma poco allo studio. Facevo i compiti a scuola o alla mattina prima di andarvi”.

Tra i documenti di p. Vittorino abbiamo la sua pagella di quarta elementare: tutti “lodevole” dal primo all’ultimo. Segno che, anche se non studiava, le cose le sapeva. Durante l’inverno era sempre sulla neve e, nei mesi estivi, quando era libero dalla scuola, andava al pascolo con le mucche insieme al fratello Luigi e agli altri. La famiglia possedeva anche del bestiame e un po’ di terra.

Ero un ragazzino chiuso

“Venne il 1939, 11 anni. Era il momento di agire. Il 3 settembre lascio l’Uscel dov’ero a pascolare e vado a scuola da don Giovanni. Un po’ di analisi logica e grammaticale, un po’ di verbi. Quindici giorni in tutto. Sostenni anche una specie di esame da don Grossi. ‘Basta che tu sappia i verbi - mi disse - il resto viene dietro come niente’.

Il giorno in cui bisognava dire il sì definitivo, il papà mi chiamò in ‘stua’. Era seduto allo scrittoio: ‘Allora, vuoi proprio farti missionario?’. Era serissimo. Io sorrisi senza rispondere. ‘Allora?’, chiese quasi indispettito. ‘Sì, voglio farmi missionario’ risposi deciso…

Due ottobre 1939 (dev’essere stato di lunedì), ore 13,30, il Battistin e il Giovannino mi presentarono alle missioni Africane di Muralta. Da allora fui solo. Rimasi per parecchio tempo solo”. A questo punto verrebbe da ricordare anche un altro episodio evangelico di una chiamata importante in cui si ricorda l’ora. Giovanni 1, 39 precisa: ‘Erano circa le quattro del pomeriggio’.

“Vedevo gli altri - prosegue Vittorino - buttarsi dentro nei giochi, ma io non ero così svelto e agile come gli altri. Fino alla quarta ginnasio mi sono tenuto come in una condizione di inferiorità, di ritrosia di fronte agli altri. Era timidezza naturale e montanara, era anche semplicità nel senso di negazione di boria, di spacconeria, di affermazione nella classe. Però non ero triste, ero chiuso anche se combinavo le mie, se partecipavo alle combriccole, facevo magari a gara a chi resisteva di più a cinghiate, ma non mi buttavo fuori.

Non ero un fintone. Ancora da piccolo (dagli otto o nove anni) mi ero imposto di non dire mai bugie. Ne avevo detta una che aveva comportato il castigo di un innocente. Confessai la mia colpa e fui perdonato, ma provai tanta sofferenza pensando che un innocente era stato punito al mio posto.

Un giorno, in terza media, stavo leggendo ‘La guida del seminarista’ là dove si parla del seminarista finto. Mi passò vicino fr. Luigi Benedetti (oggi Padre) e, indicando il libro, disse: ‘Leggi, è proprio per te’. Mi dispiacque perché non mi sentivo quella colpa addosso e ne provai anche un certo risentimento. Una volta fr. Dalvit (futuro vescovo n. d. r.), durante la messa che cantavamo a Martignano, mi percosse con forza la testa con la bacchetta perché ero distratto. Dapprima me ne risentii, poi, quando tornando mi chiese perdono, gli perdonai sinceramente subito, più di quanto potesse sembrare dalle mie parole”.

Vittorino parla dei suoi superiori, degli assistenti, facendo nomi e cognomi, enumerando virtù e difetti con precisione chirurgica. Erano i tempi dei pizzicotti che facevano diventare nera la pelle e della bacchetta. “L’aria che si respirava - scrive - era un po’ quella di farla franca. Non c’era l’aria di famiglia”.

A leggere quelle pagine del diario, così precise nei particolari, si potrebbe fare una radiografia della formazione in quegli anni. Sembra un miracolo, e forse lo è, se da una scuola così dura (ma forse proprio per questo) siano usciti campioni di missionari.

Fin da quegli anni Vittorino mostrò la stoffa del futuro specialista in statistica. Su fogli, ormai ingialliti dal tempo, sono registrati in ordine alfabetico tutti i nomi dei suoi compagni, divisi per classi e, di ognuno, mediante segni convenzionali, è indicato se era promosso, rimandato o se aveva lasciato l’istituto. Così sappiamo, per esempio, che i suoi compagni di prima media erano 33 e in tutti erano 120. Suo compagno di banco fu, per un anno, Elio Benedetti il quale dice: “Siccome Vittorino durante la scuola era portato ad addormentarsi, io ero incaricato di tenerlo sveglio”.

La pagella scolastica di terza media, allora si diceva terza ginnasio, riporta un “10”, sette “9” e solo un “8”. Segno che il ragazzino, anche se non era un fanatico dello studio e si permetteva qualche pisolino, riusciva grazie a un quoziente di intelligenza molto superiore alla media.

A Brescia e a Crema

“Il 29 settembre 1942 siamo partiti da Trento per Brescia. Ci accompagnava p. Peretti. Siamo arrivati alla sera tardi. C’era già un po’ di confusione a causa della guerra. Mi hanno messo nella camerata San Giuseppe e, in studio, nel secondo banco a destra, parte interna. Superiore era p. Cesana. Verso Natale ho cominciato un libretto di impressioni e di ricordi…”.

Vittorino riporta il contenuto di questo libretto, ricco di particolari messi giù con una schiettezza alle volte sconcertante.

“5 febbraio 1943: in questi giorni sorge in me un pensiero. Credo di essere troppo buono. Perciò, avvisato della mia superbia, sono rimasto un po’ serio…

6 febbraio: ieri il p. spirituale ha insistito dicendomi  che devo studiare di più, e lo devo proprio. Sono rimasto punto quando mi ha detto d’andare adagio a dire che mi pare d’aver fatto qualche cosa. La mia superbia mi acceca…

24 febbraio: questa sera ho fatto i conti dei miei difetti: apatia al lavoro, criticare, farla franca e poca franchezza, poca generosità, pigrizia e disordine. Poi devo fare in ogni luogo il mio dovere: a scuola stare attento e in silenzio, in studio studiare, in chiesa pregare, in refettorio mangiare, in cortile giocare, suonare quando è il mio turno all’harmonium…

7 marzo, domenica: oggi sono più contento del solito. Verso le 15.30 sono chiamato dal padre superiore. Non ho nulla da temere ma, arrivato davanti a lui, lo vedo serio. Mi consegna un foglio. Ecco cosa c’è scritto: ‘Ti avviso seriamente che la tua condotta non è quella di un buon aspirante missionario che vuole passare dalla quarta in quinta e dalla quinta in noviziato. Mi pare di vedere in te: mancanza di buona volontà, svogliatezza nello studio, nel gioco, nella puntualità. Mi pare che tu operi senza amore, senza virtù.

Quello che fai mi pare lo faccia per forza. Non mi pare di vederti contento e premuroso per compiere bene il tuo dovere. Manchi anche nella compostezza, a quel bel contegno che si addice ad un apostolico: nello stare seduto, nel camminare. Non mi pare di vedere in te quel progresso che dà garanzia della tua buona riuscita. Ti ripeto nuovamente che tu hai buone qualità e buone disposizioni per riuscire un buon missionario se, però, ti metterai con buona volontà. E sei ancora in tempo a rimediare.

Ti occorre innanzi tutto: chiedere con insistenza al Signore che ti illumini nella tua vocazione, che te la faccia comprendere, stimare e amare. Devi chiedere al Signore di saper pregare e operare per amore suo e della santa vocazione. Insisti a chiedere nella tua preghiera che ti dia una volontà  ferma, pronta, energica. E per la pratica: non perdere tempo in studio, gioca con impegno, ritto e composto nella persona in studio e in chiesa, osserva le tue regole con amore, con grande amore; abbi nel cuore il desiderio sincero di diventare buono. Sei ancora in tempo e puoi riuscire. Prego per te. 7-3-43”.

Il discorso del superiore era serio e sostanzioso. Ma ecco il commento di Vittorino:

“Per conto mio affermo che sono contento e che non è tutto e completamente vero quanto mi dice il padre superiore, ma poi comprendo la necessità di credere che ciò è vero. Ammetto tutto eccetto quello di non essere contento”.

“3 giugno, Ascensione: oggi è ordinato sacerdote p. Graziano Panza. Il superiore ha detto che il Signore esaudisce infallibilmente la grazia chiesta nella prima Messa. Io ho deciso di chiedere ad ogni festa una grazia speciale a Gesù. Per la mia prima Messa per ora ho stabilito di chiedere questo: saper capire le anime in modo che io le possa portare a Gesù”.

“4 giugno, venerdì: oggi ho chiesto al sacro Cuore la carità verso Dio, verso la Santa Vergine e verso i compagni”.

Nel suo diario Vittorino registra anche la caduta di Mussolini: “Il 25 luglio 1943 ero a Pozza per le vacanze quando Mussolini fu destituito. Poi, agosto e settembre a Solato per le vacanze. L’8 settembre ci fu l’armistizio”. Passando per Trento, Vittorino andò a salutare i superiori e i padri che aveva lasciati qualche anno prima. E si imbatté nel “terrorista di turno”, il vecchio p. spirituale (fa anche il nome):

“Mi rovistò la coscienza fino a convincermi che da mesi vivevo in peccato mortale. A me non sembrava proprio, tuttavia mi sono confessato per maggior tranquillità più sua che mia”.

“Al principio di ottobre del 1943 siamo andati a Crema: cinque classi più la preparatoria. A Brescia c’era pericolo per la guerra…”.

Il diario continua per pagine e pagine sempre con introspezione, intelligenza e capacità critica. Altri quadernetti tracciano il suo itinerario spirituale. Sono cinque in tutti. La sua pagella di quinta ginnasio, con voti bellissimi, porta il seguente giudizio del superiore: “Carattere serio, riflessivo, un poco taciturno. Buono, volontà costante. Notevole il suo lavoro compiuto in quest’anno di quinta per il suo profitto morale. Criterio buono, salute ottima. Molto intelligente”.

Nella domanda per l’ammissione al noviziato, Vittorino ci svela una certa lotta che ha dovuto sostenere… “benché una specie di carriera umana possa sorridermi talvolta, mi sento ogni giorno più attaccato alla Congregazione che intendo abbracciare per spendere tutta la mia vita per la gloria di Dio e per il bene delle anime”.

Verso il sacerdozio

Il 30 luglio 1944 Vittorino e i suoi compagni entrarono nel noviziato di Venegono Superiore guidati da p. Meloni. Come maestro c’era p. Antonio Todesco, futuro generale della Congregazione. Costui scrisse di Vittorino:

“In principio lavorò con poca energia di volontà e risolutezza così da mostrare poca serietà e convinzione, poi, piano piano emendò se stesso ed aumentò la comprensione e la generosità.

Si nota ancora qualche leggerezza e poco dominio del suo carattere, ma nel complesso il progresso è buono e la generosità è maggiore. Pietà buona. Intelligente, ma lento ed impacciato. Di poca iniziativa. Un po’ chiuso e poco espansivo”.

Il diario si prolunga in alcune pagine sugli alti e bassi del noviziato, con annesse “pelate” del p. maestro.

Ma vediamo i sentimenti che aveva maturati al momento di emettere i primi Voti che ebbero luogo il 15 agosto 1946:

“Dopo cinque anni di scuola apostolica e due di noviziato, benché abbia per mia negligenza sempre trascurato la grazia di Dio, credo di poter dire che il Signore mi chiami ad essere missionario… E’ con l’intenzione precisa e sincera della maggior gloria di Dio, che intendo diventare, se Dio vuole, figlio del Sacro Cuore. Il futuro è nelle mani di Dio e niente da parte mia può assicurarmi la generosità perseverante di questi sentimenti, ma confido che i Sacri Cuori di Gesù e di Maria non si stancheranno mai di sollecitarmi alla santità…”.

Le prime righe di questa lettera, come ognuno può vedere, sono improntata a pessimismo (per mia negligenza ho sempre trascurato la grazia di Dio). Cos’era successo? Nel diario dice che, colui che abbiamo chiamato il ‘terrorista psicologico’ di Trento, era arrivato anche in noviziato a rincarare la dose. Insomma, voleva convincere quel povero giovane di essere il più grande peccatore della terra. Incredibile!

Un po’ di conforto

Emessi i Voti, Vittorino andò a Rebbio (1946-1948) per lo scolasticato. Qui ebbe come superiore, fino al 1947, p. Cesana:

“Prima di partire per la missione mi confortò dicendomi che a Brescia avevano fiducia in me; mi lesse da un quaderno a copertina gialla il giudizio emerso su di me. Ciò mi aprì il cuore. Allora non ero quella bestia nera che mi dipingevano!”. Chissà perché si divertivano a infierire contro un giovinetto! La pagella scolastica di terza liceo riporta un “10”, tre “9” e sei “8”.

Nel 1948 Vittorino andò a Venegono per il primo anno di teologia che frequentò alla PIF di Milano, che aveva luogo nel seminario diocesano di Venegono Inferiore. Teniamo presente che il noviziato, proprio in quell’anno, era stato trasferito da Venegono a Gozzano. Erano con lui alla PIF: Centis, Gilli e Longo.

Dal 1949 al 1952 fu a Roma nell’Ateneo Urbaniano di Propaganda Fide e nel Pontificio Istituto Biblico per completare la teologia e specializzarsi in Sacra Scrittura. Divenne sacerdote il 29 marzo 1952 e ricevette la consacrazione in Laterano per mano di Mons. Confalonieri. In giugno del 1952 ebbe la Licenza in Teologia che divenne Laurea nel 1955. La Licenza in Sacra Scrittura è del 4 giugno 1956.

P. Capovilla scrisse di lui: “Grande impegno nello studio e anche in piccoli uffici di comunità. Ancora un po’ bambino, più speculativo che pratico. Ha molta buona volontà, osservante della regola, obbediente, castità ineccepibile, di grande spirito di povertà, forte attaccamento alla vocazione”.

“12 giugno 1954: mio fratello Carlo diventa sacerdote. Il 7 ottobre il p. Generale, di ritorno dal suo giro del mondo, mi dice che devo partire immediatamente per Londra per imparare l’inglese. Ma devo anche fare scuola. Il 15 novembre, S. Alberto Magno, tengo la mia prima lezione in inglese”. Da queste note dobbiamo concludere che p. Vittorino ha imparato l’inglese nello spazio di 35 giorni. Un buon record. Diciamo subito che, oltre all’inglese, conosceva bene il tedesco e il francese. In missione, oltre alle lingue locali, imparerà anche l’arabo.

Nella terra di Comboni

“10 maggio 1955: una lettera del Superiore generale mi comunica la mia partenza per il Sudan meridionale, con destinazione Yei. Il 15 settembre presento le cinque copie della tesi di laurea in teologia e il 5 novembre discuto la tesi.

P. Rizzi, vicario Generale, mi dice di iscrivermi al terzo anno del Biblico e intanto mi manda a Verona nella redazione di Nigrizia, in attesa del permesso di entrata in Sudan.

In settembre del 1956 arriva questo benedetto permesso. In ottobre presento la tesi che non viene giudicata bene. Pazienza: mi accontento della Licenza che mi dà la possibilità di insegnare. Per rivedere la tesi dovrei perdere del tempo prezioso che preferisco dare alla missione. Intanto lavoro attorno alle lettere di Mons. Comboni e inizio il 1957 applicandomi alla biografia di Mons. Roveggio. Il 31 gennaio p. Bano mi porta il permesso di entrata in Sudan e il 28 febbraio, alle ore 20, dopo una settimana in famiglia, parto da Ciampino con p. Cestaro diretto a Khartoum. Il 5 marzo 1957 sono nel seminario del Tore”.

Ecco un altro aspetto della vita di p. Vittorino: mentre attende il permesso di entrata in Sudan, redige la tesi in Sacra Scrittura, lavora a Nigrizia, studia le lettere di Comboni, riordina la storia della Congregazione, prepara la biografia di Mons. Roveggio, predica Giornate missionarie e fa conferenze in alcune città d’Italia. Un vulcano.

Scrive il fratello p. Raffaele: “Quando prese la licenza in Scrittura, lavorava a Nigrizia a Verona. Alla domenica fece una giornata missionaria a Prato, scese a Roma in treno durante la notte, si presentò in Commissione biblica al mattino per gli esami e, a mezzo giorno, era licenziato. Solo p. Bevilacqua di San Pancrazio lo sapeva, perché p. Vittorino si era preparato per conto suo, senza smettere di fare il resto di cui era stato incaricato. Quando io ero scolastico a Roma mi interessai per far pubblicare gli scritti di Sant’Ireneo nella collana patristica edita da Cantagalli, se mi ricordo bene, che Vittorino aveva preparato da scolastico o da giovane sacerdote.

Da giovane Padre andò anche in Germania durante l’estate a studiare tedesco e ne approfittò per andare a consultare archivi, ecc. Il diario dell’Ohrwalder credo lo abbia trovato e tradotto lui. Quando poi il libro venne pubblicato (dopo varie peripezie) il suo nome neppure apparve”.

Il Voto del più perfetto

“In maggio 1957 - scrive p. Vittorino - sono stato designato p. Spirituale dei seminaristi del Tore, non per meriti, ma per eliminazione. P. Bresciani è rettore, p. Penzo ha rifiutato assolutamente, p. Tiboni è un po’ sbarazzino ed è economo, io non mi sono rifiutato, ma ora vedo che, secondo i superiori sono superficiale, trascurato e troppo giovane; secondo gli studenti sono troppo freddo, teorico, astratto per ottenere le confidenze; secondo me sono troppo timido. Poi ho la scuola che mi assorbe e mi hanno fatto anche prefetto degli studi.

In questo cataclisma mi viene incontro San Giovanni della Croce che mi incoraggia a passare dalla meditazione alla contemplazione. Ma poi mi accorgo che non faccio né meditazione, né contemplazione, allora ho pensato che la cosa migliore è quella di affidarmi al Signore con semplicità dicendogli: ‘Eccomi, questo sono io, questo è il campo che devi lavorare, questi sono i difetti che devi togliere dalla mia vita e le virtù che mi devi dare’.

Nel 1958, durante le vacanze a Khartoum, termino la biografia di Mons. Roveggio. Nel 1960 la vedo pubblicata con il nome di Giovanni Barra. Se il mio orgoglio avrebbe desiderato altrimenti, la ragione mi dice che così il libro piacerà di più e avrà più diffusione, perciò sono contento…”. Come si vede, p. Vittorino non era di pietra. Intanto p. Venturelli lo sostituì come p. spirituale nel seminario. P. Vittorino desiderava camminare sempre più speditamente nella via della perfezione. Il “siate perfetti come il Padre mio” lo assillava di continuo. Tra i santi, prese come modello proprio Mons. Comboni.

“1959: agli esercizi di Palotaka faccio voto di non rifiutare a Dio mai nulla di ciò che è chiaramente la sua volontà. Nella preghiera-voto, che ripeto poi ogni giorno, chiedo di cercare in ogni cosa ciò che più piace a Dio, in vista del voto del più perfetto. E mi domando sempre più spesso che cosa farebbe un santo al mio posto. Amerebbe di più, certo, ma l’amore si produce lentamente. Anche i santi hanno avuto bisogno di tempo, e mi pare che, se il Signore mi darà tempo, anch’io lo sarò. Sì, devo essere un santo in cammino. Che cos’era Mons. Comboni alla mia età? Me lo domando spesso. Ciò mi dà fiducia e coraggio; quanto a presunzione e orgoglio, lascio le cose a Dio, secondo il patto degli Esercizi che ho fatto sul battello”.

Sì, p. Vittorino ormai volava alto, almeno il suo ardente desiderio era quello di volare sempre più alto per essere vicino a Dio. Negli esercizi del 1960 rinnovò il voto di fare ciò che maggiormente piaceva al Signore. Ciò gli comportò un continuo controllo di sé, un esame della sua vita, un incessante ricorso alla preghiera e alla penitenza.

E il Signore cominciò a provare coloro che amava o che si sforzavano di amarlo:

“Dicembre 1961: comincia l’avventura di Wau. Mi sposto con i seminaristi senza il permesso delle autorità e vengo processato con la minaccia di espulsione… Un colpo di sole mi mette a letto per 15 giorni. In dicembre cominciano le espulsioni dei confratelli. P. Simonelli è uno dei primi… Molti seminaristi se ne vanno… Ci sono discussioni tra superiori e vescovi sull’opportunità di ordinare qualcuno o di rimandarlo a casa. Cosa vuoi Signore da noi? Signore, ciò che vuoi tu, a me va bene…”.

Parole profetiche

Nel 1960 p. Vittorino scrisse a macchina alcuni fogli sulla “Situazione della Chiesa cattolica in Sudan meridionale con speciale riferimento al Bahr el Gebel”. Si tratta di uno studio veramente da storico nel quale si vede quanto gli stava a cuore quella Chiesa, i suoi sacerdoti e anche le autorità politiche che cominciavano a farla soffrire. Ad un certo punto dice: “E’ vero che alcuni sacerdoti indigeni ce l’hanno con i missionari; essi aspirano all’amministrazione della Prefettura, ma è un desiderio legittimo, incoraggiato da Propaganda Fide. Mi pare che sia vicino il tempo in cui si può e si deve affidare loro la responsabilità della loro Chiesa”. Parole profetiche a quel tempo.

Fin dal 1960 il Padre auspicava la pubblicazione degli scritti di Comboni, la rinascita di Combonianum, la riunificazione con i confratelli tedeschi, la fondazione di un noviziato comboniano in Africa e l’apertura di una facoltà teologica in Sudan. Anche qui siamo nell’ordine della profezia. Nel 1962 aveva raccolto le storie da varie tribù del Sudan meridionale  e chiedeva di poterle mandare all’Editore Macmilland di Londra per la pubblicazione.

“Il 1963 - continua nel suo diario - è permeato dalle attività clandestine del movimento per l’indipendenza del Sudan. E’ un momento pericoloso per noi…

27 febbraio 1964: apprendiamo dalla BBC l’ordine di espulsione dato dal governo. Sarà la fine della missione?”.

No, era l’inizio del cammino della Chiesa sudanese, un cammino bagnato dal sangue di tanti martiri, specie tra i catechisti, i semplici cristiani, un cammino che ha portato a quella che è la Chiesa di oggi, ancora tribolata, ma autentica, fedele a Cristo.

Sognando l’Africa

Dal 1964 al 1965 p. Vittorino fu insegnante a Verona; dal 1965 al 1967 lo fu a Venegono dove c’era lo scolasticato. Anzi, in questo periodo fu anche prefetto degli studi. Nel 1965 chiese al Padre generale di poter prendere parte a un viaggio in Terra Santa organizzato apposta per insegnanti di sacra Scrittura. “Ho una zia suora a Gerusalemme e mia madre, da tempo, mi augura di andare in Terra santa e ha raccolto qualcosa per questo viaggio”. La riposta fu: “Vedremo un altro anno”.

Nel 1967 voleva dare alle stampe il “Diario di missione di p. Morlang che fu a Gondokoro e a S. Croce dal 1855 al 1863”. Il Superiore generale gli rispose: “Mi dicono che non è per nulla interessante. Ad ogni modo me lo mandi e lo farò esaminare”.

Lavorava in Italia, ma con l’occhio sempre rivolto all’Africa, in particolare al Sudan. E intanto cercava di realizzare quella perfezione come sacerdote e missionario che il Signore gli chiedeva:

“Questo libretto dev’essere per conservare le buone idee che il Signore mi dà, per vedere il processo della piena verità in me, per scoprire il volto di Dio nelle cose, negli avvenimenti e nelle persone. Sia, dunque, la luce di Dio, un po’ di luce sulla mia vita…”.

“La mia giornata dev’essere sul ritmo di quella di Maria: fare tutto per mezzo di Maria lasciandomi guidare dal suo spirito che è spirito di Dio, dolce e forte, zelante e prudente, umile e coraggioso, puro e fecondo; fare tutto con Maria: guardare a lei come modello nella fede, nell’umiltà, nella disponibilità, nella purezza; fare tutto in Maria: Maria ha in sé tutto ciò che mi occorre per rimanere attaccato a Dio; fare tutto per Maria: prendere Maria come compagna di viaggio per andare a Gesù…”.

Nell’intento di favorire i suoi studenti nell’arte di apprendere, scrisse le regole per aiutare la memoria a tenere a mente le cose e redasse le norme per uno studio proficuo, ricavate da San Tommaso.

Finalmente, nel 1968 p. Vittorino fu inviato nuovamente in missione. Non in Sudan dove era proibito entrare, ma in Uganda, nel seminario maggiore di Lacor. Fu insegnante, parroco e prefetto degli studi. Nel 1970 andò ad Opit come parroco. Desiderava un po’ di ministero diretto con la gente, e i Superiori gliene diedero l’opportunità. Vi rimase fino al 1973.

“Quando arrivò in Uganda - scrive p. Raffaele - aveva sempre code di sudanesi davanti alla stanza. Il Vicario generale, p. Scalabrini, gli disse che o doveva dimenticarsi i sudanesi o non gli avrebbe fatto rinnovare il permesso di entrata. P. Vittorino, incontrandomi, disse: ‘Il Vicario generale non può impormi questa cosa’ e, non senza un po’ di amarezza, lasciò l’Uganda per il Kenya dove poteva incontrare tutti i sudanesi che voleva”. Nel 1974, perciò, andò in Kenya, sempre come professore nel seminario di Nairobi.

Oltre al resto il Padre intuì l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione che venivano avanti e che, a quel tempo, sembravano cose lunari. Il suo diploma di programmatore di computer, conseguito al “The British Tutorial College” è dell’ottobre del 1976. Il 3 luglio 1967 si era diplomato in radiotecnica, per corrispondenza, presso l’Istituto Svizzero di Tecnica con la classifica di ottimo in tutte e nove le materie.

Segretario dell’Evangelizzazione

Dal 1978 al 1980 p. Vittorino fu chiamato a Roma per coprire l’incarico di segretario dell’Evangelizzazione. La creazione dei segretariati per i vari settori del lavoro dei Comboniani è frutto di una felice intuizione di p. Enrico Bartolucci, compagno di studi e di messa di p. Vittorino.

“La ringrazio della fiducia che ha posto in me. Fin dal primo momento ho visto questo nuovo lavoro come un’opportunità di rendere un più ampio servizio alla Congregazione e alla Chiesa”. Chiesa e Congregazione, nella mente e nel cuore di p. Vittorino, andavano a braccetto.

Un ricordo personale: durante questo suo incarico di segretario, p. Vittorino tenne una lezione sulla storia della Congregazione ai membri del Corso di aggiornamento che si svolgeva a Roma. P. Vittorino fece vedere come la storia del nostro Istituto è fatta dalle storie di ogni missionario. E, alla fine, distribuì un questionario pregando i confratelli di completarlo mettendo le date e gli avvenimenti più importanti della loro vita, la storia della vocazione, le difficoltà incontrate, cosa poteva essere fatto meglio o evitato, e che cosa ci si sarebbe aspettato nella formazione…

Di tutti i confratelli del Corso, solo uno (chi scrive) compilò il questionario. Consegnandolo al Padre si sentì dire: “Sei stato l’unico; questo dimostra che in Congregazione manca il senso storico. Siamo tutti grandi lavoratori, ma bisogna anche fermarsi e riflettere, magari prendere la penna in mano e scrivere”.

Questo suo ufficio gli diede modo di conoscere tanti retroscena, anche tante pecche di confratelli o di superiori, ma non si scandalizzò mai di niente e neanche mai parlò di incidenti di cui fosse a conoscenza. Se qualcuno gli chiedeva qualche informazione riservata, diceva il suo parere ma senza mai coinvolgere gli altri. Insomma, era una tomba.

Con Comboni, fino alla fine

Dopo i Patti di Addis Abeba, il governo sudanese divenne più comprensivo nei rapporti con i missionari. P. Dellagiacoma fu uno tra i primi a rientrare in quel Paese.

Partì nel 1980. Fu al Bussere fino all’83 e a Giuba dal 1984 al 1992. Inutile dirlo, sempre come professore nei rispettivi seminari.

Nel 1992 fu chiamato a Khartoum, e dal 1995 fu rettore del seminario diocesano. Per chiamarlo a sé, il Signore lo ha condotto nella patria di Comboni.

Il passaggio dall’uno all’altro dei seminari, scandisce il progredire della guerriglia in quel Paese e nasconde, per lui ed i seminaristi, un calvario di rinunce, traslochi, pericoli, povertà.

Una caratteristica che tutti i superiori gli hanno riconosciuto, e c’è riscontro nelle lettere, è la disponibilità. “Ti ringrazio della tua disponibilità” era come un ritornello che si ripeteva ad ogni cambiamento. Il motivo di questa disponibilità a noi è ormai noto. P. Dellagiacoma aveva fatto voto di fare sempre ciò che maggiormente piaceva a Dio, e a questo voto fu fedele. Ecco allora, la prontezza nel dire di sì a ciò che si manifestava, attraverso i superiori, come volere di Dio.

“Quando ero ad Alokolum, in Uganda - scrive p. Raffaele - venne dal Sudan per andare in Kenya al Congresso eucaristico. Fu fermato al confine perché si era dimenticato i documenti dell’auto. Passò la notte dalla polizia sudanese e il giorno dopo proseguì. Gli chiesi come faceva a prendere le cose così alla leggera. Infatti doveva ripassare il confine sudanese e due volte quello del Kenya. ‘Basta non darsi troppe arie e non strafare, tutto si accomoda’, mi rispose. Ha viaggiato in tutto il mondo, dato che - diceva - il mondo è rotondo e in qualunque direzione si vada, si arriva sempre dove si è partiti. E sempre con il suo quadernetto a portata di mano per prendere note e appunti. Era intelligente e ci teneva a fare le cose per bene. Anni prima che i computers diventassero comuni, andava in giro con la sua portatile in spalla. Ma non era uno che voleva strafare. Se qualcuno ci si metteva, lo spiazzava senza difficoltà anche perché era umile, remissivo e aveva una grande stima degli altri”.

Visse da povero. Nel 1999 era passato da Brescia. Al momento di andare alla stazione, chiese informazione sui bus di servizio. Chi scrive si offrì di portarlo con la macchina, ma ci volle del bello e del buono per convincerlo ad accettare. P. Vittorino era anche capace di dire parole di incoraggiamento a chi affronta l’improbo compito di scrivere. Normalmente arrivano critiche, non incoraggiamenti. Non solo p. Vittorino incoraggiava a parole, ma anche per lettera.

Dimostrò il suo spirito di povertà quando, nel 1988, chiese ai superiori di ottenere il permesso di rinunciare alla proprietà radicale dei suoi beni: “Il motivo - scrisse - è semplicemente quello di vivere più pienamente e radicalmente il Voto di povertà con un atto di totale fiducia nella Provvidenza”.

Questo abbandono totale in Dio fu anche il segreto del suo ottimismo verso una maturazione spirituale e strutturale della giovane Chiesa africana. Sapeva che le culture hanno bisogno di tempi lunghi per cambiare e che lo Spirito Santo ha i suoi tempi e i suoi metodi per agire dove è accolto.

Un uomo senza chiasso

“Di p. Dellagiacoma - scrive p. Pacifico, suo superiore Provinciale - si può scrivere un libro inseguendo i tanti episodi della sua vita, ma si può anche mettere tutto in poche parole. Egli non parlava molto, ma sapeva fare molte cose. Bisognava chiedergliele per fargliele dire. A Lui bastava saperle. Le custodiva nella sua testa o le scriveva o le metteva nei dischetti del computer. Ma tutto senza chiasso.

Scrisse e pubblicò fin da quando era studente di teologia. Ci sono contributi suoi sull’Enciclopedia Cattolica. Non gli interessava il nome, gli interessava la cosa in sé. Ha dedicato la sua vita alla formazione dei sacerdoti sudanesi nella convinzione profonda di fare una cosa giusta e importante. Ha avuto fiducia nei sudanesi e si è posto al loro servizio.

‘A motivo della sua preparazione accademica - era laureato in teologia (1955), licenziato in Sacra Scrittura (1956) e col certificato in Computer (1976) - ha detto l’Arcivescovo - avrebbe potuto aspirare all’insegnamento in famose università europee, ma fu felice di dedicarsi alla formazione dei sacerdoti sudanesi. Fu sua preoccupazione costante la promozione dei seminaristi e si diede molto da fare per la loro affiliazione all’Università Urbaniana per avere professori qualificati’.

Era molto informato sulla Chiesa del Sudan, anzi direi sulla Chiesa dell’Africa e del mondo. Conosceva a fondo la società sudanese. Era addentro come pochi nella storia della Congregazione, grazie anche a una memoria formidabile per cui non gli scappava né una data, né un nome, né un avvenimento. In un suo notes ha dato la definizione di scienza. ‘La vera scienza - ha scritto - non consiste solo nel conoscere i fatti, i nomi e le date, ma nel percepirne il nesso profondo tra di loro’.

Raccoglieva materiale sapendo che un giorno avrebbe potuto essere utile. Per questo sperava in qualche anno di tranquillità dopo l’intensa attività di insegnante. Ma non gli interessava di sistemare definitivamente le cose, era più preoccupato di raccogliere per preparare materiale che altri avrebbero potuto valorizzare.

Un’altra preoccupazione lo assillava: che nulla andasse perduto delle tradizioni culturali del Sud Sudan e incoraggiava in ogni modo chiunque potesse dargli un contributo. Da autentico intellettuale, aveva una grande curiosità culturale. Gli interessava tutto. Leggeva tutto e… teneva a mente e catalogava nella sua memoria. Dicono i confratelli che leggeva i libri scorrendo con l’occhio la pagina dall’alto in basso ma di traverso. Diceva che bisognava camminare con i tempi. Era entrato con entusiasmo nel mondo di Internet, ma aveva conservato il gusto della vita semplice, delle cose normali.

Non gli sembrava tempo perso fare una partita a carte, dopo cena, con i confratelli ed era pronto ad andare a cercarsi un compagno altrove se quelli della casa non erano sufficienti. Giocava con la stessa serietà con cui faceva una ricerca su Isaia. Il capitolo delle sue relazioni con la gente sarebbe lunghissimo, perché p. Vittorino era di una semplicità profonda e di una umanità sublime”.

Tre direttive

P. Luigi Penzo, che definisce p. Dellagiacoma come “il mio più grande amico”, avendo trascorso più di 20 anni con lui e con lui avendo condiviso progetti, speranze e sofferenze, tenta di riassumere la spiritualità missionaria del Padre facendola scorre su tre direttive:

“Prima: un amore profondo, non superficiale od emotivo, per il beato Daniele Comboni. Per questo approfondì, con l’amore e anche la tenacia tipica del vero studioso, le sue lettere e pubblicò quei tre libretti (Un cuore per l’Africa) che io ritengo tra le cose più belle scritte su Comboni. Scrisse anche un libro su Isaia che non ebbe, però, alcuna diffusione proprio a causa della sua modestia.

Seconda direttiva: un amore sincero per il Sudan. Amava l’Africa ma, come Comboni, egli concretizzò il suo ideale missionario nell’amore per i sudanesi. Dopo la nostra espulsione dal Sudan meridionale (1964) fu messo insegnante di Sacra Scrittura nel nostro Scolasticato di Venegono, dopo fu mandato in Uganda dove fu parroco di Opit per due anni; poi in Kenya dove insegnò al Seminario nazionale di san Tommaso. Ma il suo cuore era rimasto nel Sudan, e fu felice solo quando poté ritornarvi. Ricordo che al seminario del Tore e del Bussere abbiamo trascorso diversi anni insieme, e sono stati i più belli della mia vita missionaria. Programmavamo insieme e insieme gustavamo le ricreazioni fraterne. A Vittorino non mancava il buon umore ed era un gusto per me stare insieme a lui. La sua allegria non era fracassona, bensì intelligente e delicata.

La terza direttiva era un amore straordinario per i seminaristi e i preti sudanesi. Vittorino aveva assimilato fino in fondo la visione del Comboni: salvare l’Africa con gli Africani, e i sacerdoti hanno un ruolo unico nell’attuazione di questo piano salvifico. Trascorse tutti i suoi anni di missione in Sudan sempre e solo nei seminari. Compose un libretto che descrive in breve la vita di ogni sacerdote e lo teneva aggiornato ogni anno.

Tutti i sacerdoti gli volevano un bene straordinario perché lo consideravano loro padre. La sua morte fu per tutti loro un giorno di grande dolore. Anch’io ho trascorso tutta la vita nel seminario, e p. Vittorino è stato per me una continua ispirazione; ho amato e amo il mio lavoro perché ho imparato da lui. Il suo amore ai seminaristi, dei quali è stato rettore per tanti anni, era fatto di cose concrete; era un amore paterno e materno insieme, come l’amore di San Paolo (1 Tess 2, 8-12), attenzione alle persone, comprensione dei loro problemi, sorriso costante sul labbro, pazienza silenziosa, massima comprensione di fronte alle debolezze umane”.

Chiamata improvvisa

P. Vittorino è morto in pochi minuti lunedì sera 20 dicembre 1999. Si trovava nella comunità comboniana che è nel compound del seminario diocesano. Si preparava a giocare a carte con p. Celestino Prevedello e Fratel Paulo Aragao. Ma ancora prima di iniziare la partita, ha detto di non sentirsi bene: accusava crampi ai piedi e conati di vomito. Allora ha chiesto un bicchierino e p. Prevedello gliel’ha dato. Questo lo ha aiutato a liberare lo stomaco. Quindi si è seduto sulla sdraio e ha detto agli altri di cominciare a giocare. Poi ha chiesto a p. Prevedello che gli facesse dei massaggi ai piedi.

Quindi ha chiesto di essere accompagnato ai servizi attigui alla stanza dove si trovavano. Si è seduto, e ha emesso due rantoli ed è rimasto lì. P. Prevedello gli ha dato l’assoluzione. Fratel Paulo stava telefonando al p. Provinciale dicendogli che p. Dellagiacoma stava male. Non ha fatto in tempo a terminare il discorso che p. Prevedello, gli prese la cornetta e disse che era morto.

Accorsero immediatamente il Vescovo, il dottore, il p. Provinciale, i professori del seminario e le suore comboniane per pregare e comporre la salma.

Suo fratello p. Raffaele, scrive: “Nella famiglia dei ‘malgher’ (nostro padre aveva messo in piedi il caseificio in paese) molti sono impenitenti giocatori di carte. Un nostro nipote, che non si tira indietro in questo gioco, fece presente durante la messa di suffragio in paese che, giustamente, Vittorino è morto con le carte in mano nel rispetto della più genuina tradizione!

Vittorino è sepolto in Sudan che ha amato sopra ogni cosa e credo che ciò sia bello. Ha lavorato fino all’ultimo giorno per il clero sudanese. Questo è in linea con tutta la sua precedente vita. E’ stato un uomo capace, semplice, che ha ottenuto di fare ciò che gli stava a cuore fino all’ultimo: una vita coerente, insomma. E’ certamente un esempio anche per noi fratelli sacerdoti e religiosi e anche per gli altri. Guardando a lui non abbiamo che da dire: grazie Signore”.

I funerali ebbero luogo il giorno dopo quello della morte, alle ore 11.00, nella cattedrale di Khartoum. Oltre a quasi tutti i preti dell’archidiocesi, suore e religiosi, c’era una marea di laici. P. Vittorino aveva tanti amici, specialmente tra la gente del Sud fuggita al Nord a causa della guerra. Nell’omelia l’Arcivescovo ha detto tra l’altro: “P. Vittorino si è guadagnata la stima dei sacerdoti e Vescovi sudanesi. Ha messo i suoi talenti e le sue qualifiche al servizio della formazione del clero sudanese e tutti gliene siamo grati. Ha servito nella semplicità e disponibilità fino all’ultimo. La sua testimonianza ha lasciato segni che continueranno anche dopo di lui. Noi preti, vescovi, seminaristi dobbiamo imparare molto da lui…”.

Le espressioni di condoglianze pervenute ai Superiori della Congregazione da parte dei vescovi, del clero, dei religiosi e religiose, dei seminaristi e del popolo sudanese non si contano e sono tutte toccanti. P. Dellagiacoma è stato paragonato a un nuovo Comboni che ha voluto salvare l’Africa con gli Africani … “Anche per p. Dellagiacoma si poteva dire che il suo giorno più bello è stato quello della morte in Africa, e per di più a Khartoum, e per gli Africani”, hanno scritto i sacerdoti e studenti sudanesi che si trovano nel Pontificio Collegio Internazionale S. Paolo Apostolo di Roma. Esaltavano, inoltre, la sua modestia e la sua semplicità, oltre che la sua scienza, la sua santità e la sua dedizione per loro.

Scrivendo al p. Provinciale, p. Francesco De Bertolis così si espresse:

“Vuoi sapere i miei pensieri alla notizia della morte di p. Dellagiacoma? Te li dico per consolarti, se vale. La prima cosa che ho pensato è stata questa: ci stavamo svenando e sgolando con programmi per il Giubileo… Ci siamo dimenticati di mettere nel programma i piani del Signore. Ed Egli ci ha pensato e si è scelto la vittima più innocente, quella meno contaminata da programmi-show. Sono sicuro che il Giubileo riuscirà in Sudan, specialmente nelle parrocchie dove lavorano i preti di p. Dellagiacoma, non per i programmi che mettiamo sulle spalle della gente, ma perché lui, Dellagiacoma, col suo sorriso divertito da lassù ci metterà a posto tutti.

La seconda cosa che ho pensato è: Dellagiacoma, appena arrivato su, ha fatto un piccolo affrettato sorridente saluto al Capo e poi via a cercare Isaia. Credo che stiano ancora discutendo su qualche versetto… e ne avranno per un bel po’, tanto, il tempo non manca… Stranamente, senza metterci d’accordo, sia io qui a Kosti, che p. Celestino a Kobar che p. Penzo a Khartoum abbiamo scelto la stessa lettura da Isaia per la sua messa funebre. Cose che succedono, forse coincidenze, ma belle…”.

Come per Comboni il corpo di p. Vittorino è rimasto in Africa, in Sudan, seme fecondo per quella Chiesa. La sua memoria sarà un tesoro che lascia ai suoi confratelli, ai sacerdoti, ai seminaristi e ai cristiani, e la sua vita donata interceda per la pace in Sudan e ottenga coraggio per quella Chiesa che vive l’ora del martirio.     P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 206, aprile 2000, pp. 109-125