“L’infanzia di noi ragazzi fu serena e felice - scrive Dino, fratello del nostro padre Gino. - Ricordo molto bene un episodio capitato quando eravamo bambini, e che dimostra la sensibilità di mio fratello. Un giorno i nostri genitori dovettero assentarsi da casa. Il papà mi raccomandò di stare attento ai miei fratelli più piccoli.
Ma, non appena loro furono partiti, ci mettemmo a giocare con un piccolo trasformatore che io riuscii a mettere fuori uso. Quando il babbo tornò a casa, si accorse quasi subito del danno e mi chiamò chiedendomi chi era stato. Io, per paura, dissi che non lo sapevo; allora interrogò Ginetto e lui non rispose, così si prese un bel ceffone. Io rimasi male ma lui mi consolò dicendo: ‘Se gli avessi detto che eri stato tu, ti avrebbe picchiato più forte, perché sei più grande’.
All’età di 8/9 anni Gino cominciò a fare il chierichetto. Abitavamo a poche decine di metri dalla chiesa, tuttavia, quando faceva freddo e c’era la neve, il babbo e la mamma non volevano che andasse, ma lui piangeva e insisteva. In questo modo la spuntava sempre. Sì, fin da piccolo ha dimostrato di avere un carattere forte e deciso”.
La famiglia era composta dal papà Zeno, dalla mamma, Irma Calamante, e dai tre figli: Dino, Armando e Ginetto, così lo chiamavano perché era il più piccolo.
Vivevano a mezzadria su quattro ettari e mezzo di terra, per cui la situazione economica non era delle migliori. La loro era una casa di contadini, piuttosto vecchia, ma accogliente.
Tutte le sere, dopo cena, il papà ‘comandava’ le preghiere alle quali doveva essere presente tutta la famiglia; ma le prime preghiere, i tre fratellini, le hanno imparate dalla mamma che apparteneva ad una famiglia molto religiosa. Tra i suoi parenti c’erano due sacerdoti.
Nel seminario diocesano di Recanati
Un giorno in famiglia si parlava del terreno che era troppo piccolo per dare lavoro a 3 figli maschi. “A me non serve il lavoro dei campi, perché andrò a farmi prete”, disse Gino.
I familiari non presero sul serio la battuta, ma il ragazzino, ogni tanto la ripeteva finché un giorno il parroco chiamò papà Zeno e gli disse: “Ho parlato con Ginetto. Vuole entrare in seminario e penso che non sia il caso di ostacolarlo”.
“Il 1° ottobre 1955 - prosegue il fratello - mio padre lo accompagnò nel seminario di Recanati, e la mamma cominciò a versare le prime lacrime. Nel 1959 Gino conseguì il diploma di maturità classica.
Durante la vacanza successiva cominciò a parlare di missioni e di missionari… qualche cenno che noi non prendevamo in considerazione. Parlò anche di un missionario vestito di bianco che era stato nel seminario di Recanati. Intanto, da Recanati, passò al seminario regionale di Fano e i genitori erano ancora convinti che studiasse per fare il prete qui dalle nostre parti.
L’8 novembre 1959 io partii per fare il militare. Ebbi la prima licenza il 1° gennaio 1960 e, tornando a casa da Imperia, mi fermai per qualche ora alla stazione di Fano per andare a trovare il fratello. Fu una gioia per entrambi. Io gli dissi che ora capivo meglio cosa significasse essere lontano da casa. Lui mi riprese con una certa energia dicendomi che era tutta un’altra cosa: lui era in seminario volontariamente, mentre io ero sotto la naja per forza. Quindi era normale che lui fosse contento e io no. Aveva ragione! In quel poco tempo a nostra disposizione Gino tornò sul discorso del farsi missionario. Naturalmente io lo sconsigliai e gli dissi:
‘Accontentati di fare il prete, se ci riesci’. Lui non si spinse oltre e ci salutammo restando, ognuno, con le proprie idee. Passarono così 4 anni e, nonostante lui tornasse sul discorso del missionario, noi pensavamo che non sarebbe mai partito”.
La scelta
Dal seminario di Fano, in data 27 giugno 1963 Gino scrisse a p. Leonzio Bano, in questi termini: “Sono fermamente deciso a seguire la chiamata del Signore che mi porta alla vita missionaria. Ho terminato quest’anno il corso filosofico ed è questo, credo, il momento propizio per entrare in qualche Istituto missionario. L’unico ostacolo di un certo rilievo restano i miei. Fra qualche giorno lascerò il seminario per le vacanze e mi accingo a superare le difficoltà familiari con la più grande fiducia nel Signore. Forse anche lei potrebbe aiutarmi in qualche modo: i miei hanno ancora l’idea del missionario di cinquanta anni fa, con paure e timori ingiustificati. Certamente la parola di un missionario autentico dissiperebbe molte paure e rassicurerebbe specialmente la mamma”.
P. Bano scrisse alla mamma dicendole belle espressioni di incoraggiamento e di conforto, concludendo: “E’ Dio che bussa alla sua porta”.
Nella domanda ufficiale, scritta il 16 luglio 1963, festa della Beata Vergine del Carmine, Gino scrisse: “Sentendo da tempo l’attrattiva per le missioni, desidero darmi alla vita missionaria. Venendo a farmi missionario non cerco altro che più amore e più sacrificio: più amore al Signore e più sacrificio per me e per la salvezza delle anime”. Le referenze del parroco, p. Nazareno Coacci, e del rettore del seminario, Mons. Luigi Pomponi, furono lusinghiere.
L’ultima battaglia
“Non ricordo la data precisa - scrive Dino - ma era un giorno dell’estate 1963. In famiglia si parlava con gioia della sua promozione, quando lui, piano piano e con molta abilità, tornò sul discorso che gli interessava,. Ma non riuscì ad aggirarci. Ad un certo punto mio padre alzo la voce e gli disse: ‘E’ ora di piantarla con questi missionari!’. Poi si alzò e uscì sbattendo la porta. Io e mamma continuammo a parlare cercando di convincerlo che era lui che sbagliava e, dopo una piccola pausa di silenzio, ci disse che quando ripartiva non sarebbe tornato a Fano ma sarebbe andato in un Istituto per missionari a Firenze.
Praticamente era tutto fatto; mancava solo la firma dei genitori. Mamma si asciugava gli occhi; allora anche io alzai la voce dicendogli che mi meravigliavo di lui, che tutti credevamo fosse più intelligente di noi perché aveva studiato ma, né io né Armando avevamo fatto passare un dispiacere così grande ai nostri genitori come stava facendo lui. Ci rimase molto male, si alzò e andò in camera. Poco dopo andai anch’io perché eravamo soliti fare il riposino dopo pranzo. Lui stava appoggiato alla finestra ed io mi coricai sul letto. Fu Gino a rompere il silenzio e disse: ‘Per partire tranquillo mi manca di sapere come si sistemeranno i genitori’. Io, per la verità, cominciavo già a sentire un po’ di rimorso per essere stato troppo duro con lui. Gli risposi: ‘Se è solo per questo puoi partire tranquillo; per il babbo e la mamma ci penso io’. Non rispose, quasi piangeva. Più tardi, in una lettera, mi scrisse che per lui quelle parole furono un respiro di sollievo. Questo aveva sconvolto i piani familiari perché si pensava che, una volta prete, i nostri genitori sarebbero andati a vivere con lui. Anche i genitori, alquanto rassegnati, dissero che, ormai, poteva decidere della sua vita. Era giusto così e mandarono ai superiori di Verona il loro consenso.
Novizio impegnato
Quando Gino lasciò il Pontificio Seminario Marchigiano “Pio XI” di Fano, al termine del corso filosofico, la sua pagella riportava due 10, quattro 9 e quattro 8 con la seguente dichiarazione del Vicario generale della diocesi di Loreto-Recanati, mons. Alessandro Donini: “Ho l’onore di significare che il Bellezze è veramente raccomandabile sotto tutti gli aspetti: condotta, pietà, carattere, salute. E’ veramente un ottimo elemento. La sua dipartita dalla diocesi ci accora profondamente, dolore lenito dal pensiero che egli ha scelto meliorem partem”.
Il 15 settembre 1963 Gino iniziò il noviziato a Firenze sotto la guida di p. Stefano Patroni, un uomo di Dio che con mano ferma e dolce nello stesso tempo, sapeva formare ottimi missionari. Gino, docile alla guida di tanto maestro, camminò sicuro sulla strada che lo avrebbe portato in Africa come missionario, vincendo i suoi difetti e acquistando le virtù che gli venivano presentate.
Tre vescovi missionari per Gino
Gino emise i primi Voti temporanei il 9 settembre 1965 e la professione perpetua appena due anni dopo, nel 1967. Il motivo dipendeva dal fatto che era ormai prossimo al sacerdozio, ma ciò significava anche che i Superiori riponevano in lui la massima fiducia. Infatti, in una specie di resoconto al termine degli studi teologici scrissero:
“Ottimo impegno nel far bene le pratiche di pietà; adattabile alla disciplina, regolare nell’osservanza delle norme, ottima pratica della povertà, della castità e dell’obbedienza. Buona la sua operosità e il profitto negli studi, forte spirito di sacrificio, rettitudine, buon senso e sincerità. Fa propri i problemi della comunità e, se sono dolorosi, li sente con sofferenza. E’ molto attaccato alla vocazione e alla Congregazione”.
Negli ultimi passi della sua formazione troviamo addirittura tre vescovi missionari che gli hanno amministrato gli ordini. Quindi una forte impronta missionaria, anche in questo senso, non gli è mancata. Ricevette la tonsura da Mons. Edoardo Mason, vescovo di El Obeid (Sudan) il 25 settembre 1965, l’ostiariato e il lettorato da Mons. Angelo Tarantino, vescovo di Arua, il 7 novembre 1965, l’esorcistato e l’accolitato ancora da Mons. Mason il 6 novembre 1966, il suddiaconato da Mons. Domenico Ferrara, vescovo di Mupoi (Sudan) il 17 settembre 1967 e il diaconato da Mons. Mason il 5 novembre 1967.
Sacerdote
Venne ordinato da Mons. Silvio Cassulo, vescovo di Macerata, nella chiesa di S. Maria delle Grazie di Vissani di Montecassiano il 25 luglio 1968.
La mattina dopo, da solo, andò a celebrare la sua prima Messa nella Santa Casa di Loreto.
Dopo l’ordinazione sacerdotale p. Gino venne inviato negli Stati Uniti, precisamente a Cincinnati, per lo studio della lingua. Vi rimase due anni, fino al 1970, anno in cui, dopo aver conseguito il diploma di Master in Scienze Pedagogiche, fu deviato a Zahle, in Libano, per lo studio dell’arabo.
Da luglio del 1971 a luglio del 1978 fu parroco a Khartoum e, contemporaneamente, rettore del seminario diocesano. Dal 1978 al 1982 venne mandato a Kosti come parroco. L’anno dopo, nel 1983, ricevette l’incarico di dirigere il Centro Liturgico Pastorale di Khartoum e fu eletto Moderatore della Curia diocesana. Vi rimase fino al 1999, anno in cui fu destinato all’Egitto come direttore del Centro Studi per la lingua araba.
Missionario anche a Montecassiano
“Voglio sottolineare che, nonostante P. Gino fosse partito a 10 anni e fosse ritornato a casa soltanto qualche mese durante le vacanze - conclude il fratello Dino - la gente di Montecassiano lo stimava molto e gli voleva bene, e non solo a parole. Spesso, quando andavo in giro, trovavo sempre qualcuno che mi dava l’offerta da mandare a P. Gino per il Sudan. Molti altri la portavano direttamente a casa. Si era formata una catena di solidarietà commovente. Lui diceva:
‘Basta poco, anche 1.000 lire al mese..., in tanti diventano una buona somma’. Io insistevo sempre perché questa gente si disturbava tanto, ma lui mi rispondeva:
‘Tu non devi chiedere, ma neanche rifiutare niente di quello che ti viene offerto’. Il parroco una volta mi disse: ‘Gino non fa il missionario solo nel Sudan, ma anche qui nel nostro paese’.
Io sono nato e vissuto sempre a Montecassiano, paese di circa 6.000 abitanti, in cui ci si conosce tutti e posso assicurare che le offerte venivano anche da gente in condizioni economiche modestissime o da persone non proprio ‘di Chiesa’. P. Gino era amato e benvoluto da tutti”.
La testimonianza di p. Ballin
Scrive p. Camillo Ballin: “Nel 1970 ero a Damasco (Siria) da un anno per lo studio dell’arabo. Mi scrisse p. Enrico Bartolucci, allora segretario per le Missioni e poi Vescovo di Esmeraldas (Ecuador), chiedendomi se era opportuno che p. Gino Bellezze venisse a Damasco per studiare l’arabo.
Il motivo dell’incertezza di p. Bartolucci stava nel fatto che p. Gino era in attesa del permesso per il Sudan e nessuno sapeva quanto sarebbe durata questa attesa, valeva la pena tentare? Gli dissi di sì, ritenendo che quand’anche fosse rimasto solo per qualche mese ne avrebbe senz’altro guadagnato per introdursi nell’arabo. E così Gino arrivò a Damasco dove rimase un anno e tre mesi, periodo sufficiente per mettere delle buone basi di arabo.
Ottenuto il permesso, partì per il Sudan e fece scalo al Cairo (fine 1971) dove mi trovavo già da mesi. Dopo la visita al Cairo, Gino proseguì per il Sudan e io rimasi in Cairo per quasi 20 anni”.
Direttore del centro Liturgico Pastorale
“Nel 1983 - continua p. Ballin - ebbi la fortuna di essere invitato a fare una visita in Sudan dall’allora superiore provinciale p. Francesco De Bertolis. A quella data Gino era già incaricato del Centro di Pastorale e di Liturgia (Palica) della diocesi di Khartoum.
Organizzò egli stesso un viaggio per me con la sua macchina a Kosti, dove era stato parroco per vari anni, e a Wad Medani. Ammirai molto la sua disponibilità nel mettersi a mia disposizione per tre giorni, con tutto il lavoro che aveva da fare. La sua bontà e la sua generosità contribuirono molto a darmi l’impressione che il Sudan fosse un paese ospitale ed accogliente, e si sa che le prime impressioni non si dimenticano mai.
Finalmente nel 1990 fui destinato anch’io al Sudan e rividi Gino con grandissima gioia. Ci incontravamo spesso anche perché lavoravamo in settori affini. Ma ormai Gino aveva fatto tanta strada. La famosa ‘Palica’ che avevo visto nel 1983 non era più riconoscibile. Gino si era lanciato nel campo della preparazione dei catechisti, dove era diventato un vero esperto. Introdusse in diocesi il metodo ‘Lumko’, che aveva conosciuto in Sudafrica e che gli sembrava il più adatto per gli Africani. Anzi, divenne egli stesso un formatore di tale metodo di catechesi e diresse corsi specializzati in Sudafrica e anche in altri Paesi africani.
Organizzava a Khartoum delle settimane di incontri per i catechisti della diocesi, oppure andava egli stesso con la sua équipe a svolgerli nelle varie parrocchie, soprattutto quelle più lontane, e di questi corsi ne fece moltissimi”.
Editore
“Nel frattempo si era lanciato anche nel campo della stampa. Infatti questi catechisti dovevano poi seguire i loro catecumeni nelle parrocchie, ed avevano perciò bisogno di strumenti adatti: libri, fogli, depliant, fascicoli e tutto quello che si può pensare fu da lui prodotto e pubblicato, e tutto in arabo, proprio come aveva progettato Comboni per salvare l’Africa con gli africani. Preso atto che l’arabo del messale e del lezionario (stampati a Gerusalemme) non era adatto ai nostri cristiani sudanesi in quanto non sono di madrelingua araba, preparò lui stesso un nuovo messale e nuovi lezionari. Io collaborai volentieri con lui per la lingua araba. Non contento di questo, e volendo dare ai cristiani sudanesi la possibilità di leggere e meditare la Parola di Dio, riuscì ad ottenere dai Gesuiti del Libano le loro pellicole e stampò in Sudan la Bibbia in arabo. Ne uscì un’edizione bellissima che non aveva niente da invidiare a quella libanese.
Ogni volta che andavo al ‘Palica’ era impossibile che non andassi a trovarlo, e ogni volta trovavo che qualche cosa di nuovo era stato pubblicato riguardo alla preghiera, alla meditazione, alla catechesi, ecc. Mi ricordo che una volta gli proposi una novena di Natale. Pochissimo tempo dopo me ne mandò una copia in omaggio: era già stata stampata e divulgata. Un giorno mi spiegò la sua politica. Mi disse queste testuali parole: ‘Noi non sappiamo quanto potremo restare qui, non è escluso che veniamo cacciati via in qualsiasi momento, perciò dobbiamo fornire gli strumenti a questi cristiani perché possano andare avanti da soli per almeno 50 anni’. Ecco la sua prospettiva: assicurare per ben mezzo secolo i sussidi necessari perché i cristiani potessero continuare, anche da soli, la loro vita cristiana. Gino è stato un vero fondatore e un padre della fede”.
Il grande fratello
Tuttavia credo che il suo più grande merito non stia nelle numerosissime e indovinate iniziative intraprese nel campo della catechesi e della formazione dei catechisti e dei cristiani in genere, bensì nell’aver amato con tutto il suo cuore i cristiani sudanesi. Sacerdoti locali, suore, catechisti, gente semplice, tutti lo salutavano con grande piacere perché sentivano che Gino non era solo un perfetto organizzatore e un grande lavoratore, ma soprattutto il loro grande fratello che si presentava in modo semplice, umile, sereno.
Il suo atteggiamento con tutti era sempre sorridente e delicato, in una parola, disarmante. Ho potuto leggere la lettera che gli scrisse l’arcivescovo di Khartoum Mons. Gabriel Zubeir alla fine del suo servizio in Sudan: un capolavoro di stima e di riconoscenza. Gino stesso mi parlò in uno degli incontri avuti qui a Roma, prima della sua partenza per il Cairo, della festa che gli avevano fatto alla fine della sua missione in Sudan. Aveva partecipato a tale festa anche l’Arcivescovo e Gino mi confidò che questi, nel suo discorso di saluto e ringraziamento: ‘disse delle cose di me che mai mi sarei aspettate’, ovviamente di grande lode. Gino si meritava tutte queste cose.
In Egitto
Con lettera del 1° aprile 1999 il p. Generale assegnò p. Gino all’Egitto, ringraziandolo ed esprimendogli parole di apprezzamento per il lavoro fatto nella provincia di Khartoum. Anche mons. Zubeir, arcivescovo di Khartoum, scrisse una lettera a p. Gino al momento del suo commiato dal Sudan. Ecco qualche brano:
“Khartoum 5 aprile 1999
Nonostante i nostri sforzi per tenerti in questo ufficio fino alla fine dell’anno giubilare, non siamo riusciti a prevalere sui tuoi superiori religiosi… La tua partenza chiude un’era della storia dell’Archidiocesi. Durante questo periodo tu sei stato veramente tanto vicino a me nei miei sforzi di inaugurare un nuovo stile di pastorale. In questo siamo riusciti abbastanza bene, appunto per questo io vorrei esprimerti la mia profonda gratitudine. Tu sei stato un direttore impegnato, fedele, operativo e creativo. In un certo senso io sono contento che tu vada altrove. Perché altre Chiese locali possono aver bisogno di quelle iniziative pastorale che hai adottato qui. Spesso mi domando: ‘Cosa succederà dopo la tua partenza?’. Ancora una volta grazie; che il Signore ti benedica nel tuo nuovo lavoro. E quando avrai terminato, ricordati che c’è sempre posto per te qui”.
Aggiungiamo che per la festa di addio l’Arcivescovo ha voluto fare le cose in grande: ha invitato tutti i sacerdoti e i religiosi a una celebrazione e a un’agape fraterna, inoltre ha convocato tutta la cristianità per una messa nel Comboni Ground che è il posto per le grandi celebrazioni.
“L’esperienza missionari raggiunta da p. Gino - prosegue p. Ballin - la padronanza acquisita della lingua araba e la sua bontà attirarono l’attenzione dell’Egitto dove un Centro per l’insegnamento dell’arabo ai missionari, tenuto dai Comboniani, aveva bisogno di un uomo come lui. E il 1° luglio 1999 fu destinato all’Egitto, dopo 28 anni di Sudan.
Parlandomi della sua nuova destinazione, tutt’altro che facile, mi rivelò il principio che aveva adottato nella sua vita: ‘niente chiedere, niente rifiutare’. Ecco Gino: semplice, umile, disponibile, sorridente, pronto a tutto. Lo mandarono a Damasco, in Sudan, in Egitto e andò dappertutto portando con sé la sua bontà disarmante, frutto di una saggezza umana e spirituale non comune”.
Era un uomo libero interiormente
Scrive p. Pacifico, superiore provinciale del Sudan: “La morte di P. Gino Bellezze mi ha trovato a Juba dove ero andato con altri confratelli per presenziare all’ordinazione di due confratelli sudanesi, avvenuta il giorno dopo. Comunicai la notizia della morte, insieme a quella di P. Fabio Rizzoli, a Mons. Paolino mentre ci preparavamo per la messa dell’ordinazione.
Questi commentò la notizia brevemente all’inizio della Messa: “Due confratelli ci hanno lasciato - disse - il Signore ne ha chiamati altri due, che vengono ordinati sacerdoti oggi”.
Aggiungo qui una mia riflessione.
1. P. Gino, oltre che essere impegnato a tempo pieno nel Centro Pastorale Diocesano, è stato attivo anche all’interno delle strutture dell’Istituto. E’ stato in tempi recenti segretario provinciale dell’evangelizzazione e membro del consiglio provinciale. Nelle assemblee provinciali era un ottimo coordinatore e animatore. Anche se impegnato a tempo pieno e con grosse responsabilità nelle strutture diocesane, sentiva fortissimo il suo legame con la sua famiglia comboniana, ne seguiva con interesse gli avvenimenti e dava il suo contributo.
2. L’ho conosciuto come un uomo libero interiormente, che davvero non cercava nulla per sé e non sentiva il bisogno di aggrapparsi a meccanismi di difesa. Non si sentiva minacciato. Ti metteva subito a tuo agio e si poteva parlare con lui con molta libertà.
3. Forse pochi sanno che nei miei riguardi, come provinciale, è stato spesso critico. Ma sempre in modo costruttivo e sempre con grande umanità. Le sue osservazioni mi facevano pensare, non mi infastidivano. Alcune linee del piano sessennale sono frutto di queste critiche. Quante volte mi ha ricordato l’importanza di avere una chiara visione nel cammino della Provincia. Spesso mi faceva notare che dire che siamo pochi è un discorso… generico. Forse siamo anche troppi, diceva. Il problema non è essere tanti o pochi. Il problema vero è avere chiaro un piano, svolgere un ruolo consono al nostro carisma, rendere un servizio di cui la Chiesa locale ha bisogno oggi.
Seppe interpretare con lucidità la visione pastorale dell’Arcivescovo e della diocesi e si impegnò con tutte le forze per tradurre in iniziative pastorali quelle intuizioni. L’Arcivescovo di Khartoum, durante la messa in suo suffragio nella cattedrale di Khartoum, sottolineò con grande emozione la sua dedizione nel servizio alla Chiesa locale, un servizio sempre svolto con serenità, costanza e determinazione, umiltà, gioia. Ha formato centinaia di agenti pastorali, comunicando loro la passione dell’annuncio e la capacità di tradurre il messaggio cristiano in una esperienza di vita per sé e per gli altri. Certo, ci resta la tristezza di averlo perso. Questa farà fatica a passare”.
Fedele seguace del beato Comboni
P. Zeno Picotti, superiore della Delegazione dell’Egitto, subito dopo il decesso del Confratello, mandò un fax a Roma in questi termini: “Circa alle ore 14.00 di oggi 2 ottobre 1999 p. Gino Bellezze, già un po’ infortunato ad una gamba, è caduto dalle scale per un giramento di testa. Battendo la testa è entrato in coma e, poco dopo, sull’auto che lo portava all’ospedale, è deceduto. Seguiranno altre notizie. Contattiamo la famiglia. Pregate per noi”.
Da circa due settimane p. Gino era bloccato in camera per un improvviso acuto dolore alla gamba sinistra, che non diminuiva: si credette che fosse stato uno strappo muscolare o simile. Sabato 2 ottobre, per la prima volta, era sceso in refettorio e, al ritorno in camera, nel risalire le scale il dolore si fece più acuto. P. Gino si lasciò improvvisamente cadere, a stento sorretto da una suora e da un confratello. Non riprese conoscenza e spirò dopo pochi minuti mentre lo si stava portando all’ospedale. Sicuramente è stato ucciso da un embolo, ha detto il medico.
“All’aeroporto di Roma, mentre attendavamo la salma proveniente dal Cairo - scrive p. Ballin - dissi a uno dei suoi fratelli: ‘Se Gino fosse morto in Sudan, credo che quella Chiesa non avrebbe accettato facilmente che fosse portato in Italia, perché lo sentivano uno di loro e certamente avrebbero voluto tenerselo nella loro terra, come il seme fecondo che serve a far spuntare un verde lussureggiante anche nelle aride sabbie del Nord Sudan”.
E fu grande festa
Sabato 9 ottobre, tutti i Comboniani e Comboniane della zona del Cairo si riunirono, al pomeriggio, nel salone della scuola femminile di Zamalek, dove secondo il programma p. Gino avrebbe dovuto tenere una conferenza sul tema ‘Comboni ieri e oggi’. Avendone trovato il testo da lui preparato, fu sostituito da p. Alberto Modonesi.
Seguì poi la solenne concelebrazione all’ora della Messa prefestiva per gli italiani. P. Picotti presiedette e tenne l’omelia. Le ragazze congolesi e centroafricane che frequentano la parrocchia, indossando i loro costumi, accolsero chi entrava in chiesa con un gentile omaggio e fecero la processione danzante all’offertorio. Seguì un leggero rinfresco per tutti.
La domenica 10 la festa del Comboni fu celebrata a Sakakini con solenne stile sudanese, proprio in ricordo di p. Gino, mentre ad Helwan fu animata dalle otto postulanti comboniane, tra cui due sudanesi, che ora hanno la loro sede in quella parrocchia. Davvero la presenza di p. Gino ha riempito quelle giornate. P. Gino si era fatto missionario perché aveva sete di “più amore e di più sacrificio”. Nella sua vita ha trovato l’uno e l’altro.
Alle genti del Sudan lascia il ricordo di un missionario che si è totalmente speso perché non restassero digiune di Parola di Dio, ai confratelli dimostra come, battendo le orme di Comboni, non si avrà forse una vita lunga, ma vissuta in pienezza sì, e ai giovani rammenta il prezzo di un sì alla chiamata del Signore, ma anche quanto questo sì costituisca l’avventura più bella per un uomo, per un missionario. Il suo corpo riposa a Montecassiano (Macerata) accanto ai genitori. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 205, gennaio 2000, pp. 103-112