In Pace Christi

Paolucci Alfredo

Paolucci Alfredo
Data di nascita : 05/07/1916
Luogo di nascita : Urbania (PU)/I
Voti temporanei : 07/10/1935
Voti perpetui : 15/06/1940
Data ordinazione : 30/06/1940
Data decesso : 06/02/1999
Luogo decesso : Esmeraldas/EC

A due mesi di distanza dalla morte di p. Olivio Branchesi, è deceduto anche p. Alfredo Paolucci, della stessa diocesi e quasi della stessa età. Entrambi avevano iniziato nello stesso giorno il loro apostolato negli Stati Uniti, ed insieme si sono dati l’appuntamento per il cielo. Uniti in vita, uniti in morte e pure nella gloria del paradiso, questi due simpatici amici.

Padre Alfredo, quarto di 12 fratelli di cui cinque morti in giovane età, è nato ad Urbania, diocesi di Urbino e provincia di Pesaro, il 5 luglio 1916 da Settimio e Gasperini Ersilia. La sua era una famiglia profondamente cristiana, provata dal dolore, e benedetta, perché ha visto sbocciare nel suo interno due vocazioni missionarie: Sr. Maria e p. Alfredo, tutti e due comboniani, e un sacerdote diocesano (ma con tanta passione missionaria), don Antonio. Altri due nipoti prolungano lo stesso dono: uno è missionario comboniano (p. Torquato) e un altro (don Carlo) è parroco.

“I genitori - scrive p. Torquato - hanno fatto un po’ di tutto per mantenere la numerosa famiglia. Alla fine riuscirono a mettere su una bottega di alimentari, che praticamente fu la risorsa principale. La fede, vissuta in maniera tradizionale, si esprimeva nel rosario e messa quotidiani, nel partecipare all’Azione Cattolica, nell’aiuto ai poveri che veniva molto inculcato anche nei ragazzi.”.

Per avere un’idea della spiritualità del babbo, basta leggere quanto ha scritto in occasione della morte della figlia Tina, 13 anni, che diceva e scriveva al fratello Alfredo che si sarebbe fatta missionaria. “Urbania 6 gennaio 1937. Il momento è gravissimo, noi siamo immersi nel dolore. La cara Tina ha cessato di soffrire due ore or sono. Non ci resta che rivolgere il pensiero al nostro buon Padre Celeste Iddio, e offrirgli il nostro grande dolore, pregandolo perché ci perdoni, ci benedica e perché un giorno, resi degni della sua bontà, ci conceda di riabbracciare la nostra cara Tina che certamente, assieme ai suoi fratellini, vive con Lui eternamente. Sì, ciò che ci fu vietato di scambiare con essa in questi giorni di angoscia, ci sia concesso lassù col Signore dove tutto è gaudio e letizia eterna”. Eppure quest’uomo, dai sentimenti tanto elevati, inizialmente si era dimostrato contrario alla vocazione del figlio, sia come sacerdote, e ancor più come missionario. Ne vedremo i motivi.

Nel seminario diocesano

Da ragazzino Alfredo frequentò la parrocchia e fu membro molto attivo dell’Azione Cattolica tanto che venne premiato con un viaggio a Roma e con l’udienza del Papa Pio XI. Come temperamento era molto vivace, pieno di iniziative e capace anche di qualche dispetto tanto che, quando manifestò il suo desiderio di farsi frate (in un primo tempo si era incontrato con un francescano), la zia gli disse: “Tu frate? Il diavoletto potrai fare!”.

Dopo le elementari, superando la diffidenza dei genitori, entrò nel seminario diocesano di Urbania. “I preti - scrisse p. Alfredo - generalmente godevano poca popolarità al mio paese, ed erano considerati parassiti e vagabondi... triste eredità dello Stato pontificio, per cui erano ben pochi i genitori che desideravano avere un figlio prete”. Ma per il caso di Alfredo c’entrava anche la questione economica. Non era facile per papà Settimio tirare fuori le 200 lire annue per la retta. Grazie anche al confessore della mamma, finalmente il ragazzino poté entrare in seminario. Quando mamma Ersilia accompagnò il figlio per un primo colloquio col rettore, portava con sé una banconota da 50 lire per pagare il primo trimestre. Al ritorno Alfredo notò che la mamma scrutava con attenzione la strada, guardando a destra e a sinistra, senza dire una parola. Giunta a casa, disse al figlio:

“Al momento di pagare, mi sono accorta che avevo smarrito la banconota. L’ho cercata, ma inutilmente...”.

“Allora, che cosa facciamo?”, chiese il figlio preoccupato.

“Niente! Se il Signore ti vuole veramente sacerdote, farà in modo che tu lo divenga anche senza quella banconota”, rispose la santa donna.

Ad un certo punto il giovinetto, che si nutriva di letture missionarie, sentì il richiamo dell’Africa per cui, nel 1932, chiese di entrare tra i Comboniani. Nella domanda, scritta appunto il 30 maggio 1932, dice: “L’umile sottoscritto, alunno di quarta ginnasio nel venerabile seminario di Urbania, giunto all’età di quindici anni e sicuro della sua vocazione missionaria, determinata dalla prudenza e saggezza dei Superiori, provato anche dalle molte ma inutili opposizioni dei genitori i quali ora danno il loro permesso, desideroso di farsi santo e di santificare gli altri, umilmente implora la grazia di essere ammesso in cotesto Istituto”.

Il rettore, sac. Giuseppe Zaghi, in data 20 maggio 1932, scrisse: “Questo seminario che ha dato alle missioni Africane il p. Arnaldo Violini, sta ora per darne un altro nel seminarista Alfredo Paolucci... Il giovane, che proviene da un’ottima famiglia, da tanto tempo insiste affinché siano appagati i suoi desideri ardenti di entrare in un istituto missionario per poter diventare un giorno un ottimo missionario. Noi superiori non abbiamo mancato di mostrargli tutta la bellezza, ma anche le difficoltà della vita missionaria al fine di provarne la vocazione. Il giovane, però, non è rimasto mai perplesso, sempre fidando in Dio non si è fatto mai abbattere e quantunque ami molto i genitori, pure è deciso di ascoltare più la voce di Dio che la voce del sangue...”.

A Brescia Alfredo si trovò bene e riuscì bene anche negli studi per cui, nell’Anno Santo del 1933, dopo la quinta ginnasiale, entrò nel noviziato di Venegono Superiore.

A Roma per la teologia

Emise la prima professione il 7 ottobre 1935 e venne inviato a Verona per terminare il liceo (1935-1937). Quando si trattò di iniziare la teologia, notando la buona riuscita negli studi del nostro giovane e la sua “esimia pietà”, i superiori lo inviarono a Roma. Studiò presso il Pontificio Ateneo di Propaganda Fide conseguendo la licenza in teologia.

Per i Voti triennali, emessi a Roma nel 1938, p. Bombieri scrisse: “E’ un buon figliolo. Appoggio la sua domanda”. Fu ordinato sacerdote a Roma da mons. Luigi Traglia, nella chiesa del Pontificio Seminario Romano, il 30 giugno 1940.

Dopo l’ordinazione, essendo le vie dell’Africa chiuse a causa della guerra, venne dirottato a Venegono Superiore come insegnante nel noviziato. Padre Alfredo era un sacerdote e religioso che poteva edificare i giovani che si preparavano alla vita missionaria non solo con l’insegnamento, ma anche con l’esempio della vita. Contemporaneamente si dedicò al ministero aiutando i sacerdoti della zona e alla predicazione di giornate missionarie.

Un sogno infranto

Apertesi le vie del mare, p. Paolucci pensava di partire per l’Africa. Invece l’obbedienza lo dirottò negli Stati Uniti col gruppo di Comboniani al quale apparteneva anche p. Branchesi, per contribuire alla fondazione delle opere comboniane in quel Paese. Nella lettera con la quale lo destinava negli USA, p. Antonio Vignato scrisse: “I nostri là chiedono personale per sostenere le due parrocchie e per poter iniziare l’opera nostra di ricerca di vocazioni...”. Proprio in quei giorni il fratello di p. Alfredo doveva essere ordinato sacerdote. Ovviamente il nostro Padre chiese di poter prendere parte al solenne rito. “Quanto all’ordinazione sacerdotale di suo fratello - rispose p. Vignato - può ritardare la partenza di quindici o venti giorni; se è di più faccia un bel sacrificio a Gesù crocifisso per amore delle anime e per ottenere una larga benedizione sul suo ministero e su quello di suo fratello”.

P. Alfredo si dedicò con passione all’apostolato tra i Neri, ritrovando in essi l’Africa che aveva sempre sognata e che non aveva potuto raggiungere, ma divenne anche un valido animatore vocazionale tra i giovani. P. Vittorio Turchetti lo ricorda quando, circondato da un nutrito gruppo di bambini neri, li portava a passeggio e li intratteneva con giochi, approfittando per aiutare coloro che erano in necessità.

Anni dopo, esattamente nel 1964, ragionando sull’espulsione dei confratelli dal Sudan meridionale, p. Alfredo scrisse: “Personalmente ritengo che uno dei sogni più grandi della mia prima età è stato crudelmente schiantato. L’obbedienza mi ha voluto lontano da quella terra alla quale anelavo unicamente quando accettai il crocifisso nella Congregazione il 7 ottobre 1935. Quantunque lontano da quella terra, posso dire sinceramente di averla sempre tenuta in cima ai miei pensieri, ai miei ideali. Il pensiero alla terra di Comboni mi aiutò tante volte ad essere perseverante nella vocazione. Ora penso che il martirio di tanti confratelli rende ancor più bella la mia vocazione”.

Fu parroco in parecchie zone, sempre ricercato dalla gente per la sua bontà, gentilezza e capacità di guidare le anime con saggi consigli. Dal 1947 al 1953 fu a St. Henry, Cincinnati. Qui fu protagonista di curiose avventure, come quando venne derubato dell’elemosina e picchiato a sangue da un ladro, un ex poliziotto nero, che il Padre perdonò evitandogli il carcere. Costui, pentito del suo peccato, divenne un fervente cattolico. Il fatto avvenne lunedì 5 maggio 1952.

Dal 1953 al 1956 p. Alfredo coprì il ruolo di economo e insegnante nel noviziato di Monroe. Padre Gabriele Chiodi, suo compagno di professione, scrisse di lui: “E’ stimato dai confratelli, rispettato ed amato dagli esterni. Si comporta bene. Non dà grattacapi ai superiori”.

Fu poi parroco a Washington, Georgia, dal 1956 al 1961; a St. Anthony, Cincinnati dal 1961 al 1962; a St. Michael, Cincinnati, dal 1963 al 1970. Sue caratteristiche furono l’accoglienza specialmente dei neri che battevano alla porta dell’istituto, la capacità di fare amicizia con la gente, la gentilezza e la cortesia nel tratto e la serenità che sapeva diffondere in comunità. Grazie al suo lavoro e alla facilità di approccio e alla bontà nel tratto seppe conquistare tanti amici e benefattori all’Istituto.

Tappa di riflessione

Nel 1966 p. Alfredo sentì il bisogno di un momento di riflessione, di fare una tappa nella sua vita. E chiese di poter fare l’anno di aggiornamento a Roma. “Sento il bisogno di un cambiamento un po’ radicale dopo 20 anni in America. A dire la verità mi sento stanco, e non solo fisicamente, di questa ripetizione di lavoro in zone molto aride e insoddisfacenti dal punto di vista umano: 12 anni in Cincinnati in zone con solo il 4-5 per cento di cattolici; cinque anni in Georgia con la percentuale più bassa di cattolici (3 %).

Moralmente ho subito l’umiliazione di dover chiudere ed abbattere una delle vecchie e venerande chiese di Cincinnati, per obbedire al nuovo piano regolatore della città. In più la continua pressione per accumulare fondi per la Provincia e per la Congregazione mi ha alquanto logorato. Nel 1962 ho subito un’operazione ed ora sto ancora curando l’ulcera. Devo fare una pausa e raccogliere i pensieri finché mi resta un po’ di energia”.

Venne in Italia per il corso e poi tornò al suo lavoro con rinnovato entusiasmo.

A Roma, aiuto procuratore

Dopo 26 anni di servizio negli Stati Uniti e una buona prova come economo, oltre che come parroco e animatore missionario, i superiori lo chiamarono a Roma per un servizio alla Congregazione. Iniziò il suo nuovo impegno il primo ottobre 1972 come addetto alla Procura Missioni.

Il Padre accettò l’incarico senza commenti anche se il distacco dagli Stati Uniti, dopo tanti anni di permanenza, gli costò e gli costò anche doversi sedere a un tavolo a fare conti dalla mattina alla sera. Tuttavia si inserì nel lavoro con la migliore buona volontà ma, quello, non era proprio il suo mestiere per cui si trovò subito a disagio, e non solo per i numeri.

“Sono considerato un minorenne al quale non si manifestano tutti i segreti del mestiere. Manca il dialogo col capo ufficio, sono trattato alla stregua di un impiegatuccio che deve solo eseguire e battere numeri su numeri senza sapere altro. Inoltre le quotidiane prediche del mio capo ufficio sull’umiltà le so a memoria e ormai mi fanno solo sorridere se penso che, oltre che amministratore di quattro parrocchie negli USA si oportet gloriari ho contribuito allo sviluppo della Provincia con non meno di mezzo milione di dollari, e qui mi sento dire: ‘poverino!’. Detto questo, se i superiori credono bene rimandarmi tra le minoranze nere e indiane degli USA, vi andrei volentieri”.

“Il Consiglio Generale ha accolto il tuo desiderio e, col 1° gennaio 1974, sei nuovamente assegnato agli Stati Uniti. P. Sergio Contran (Provinciale degli USA) è molto contento del tuo ritorno. Starai per il momento al Montclair con p. Branchesi dove c’è molto da fare nel settore dell’animazione missionaria”, gli rispose p. Agostoni (Generale) il 29 novembre 1973. Vi restò due anni facendo un bel lavoro di animazione.

Dal 1976 al 1977 venne rimandato a Monroe “il suo primo amore” per dare una mano nell’animazione missionaria, specie attraverso la predicazione di giornate missionarie; per altri tre anni (1977-80) svolse lo stesso compito a Yorkville, sempre nell’intento di cercare vocazioni e aiuti all’Istituto.

L’incontro con mons. Bartolucci

Durante le vacanze in Italia del 1979 p. Paolucci si incontrò con mons. Bartolucci, vescovo ad Esmeraldas, il quale tanto disse e tanto fece finché lo convinse a chiedere ai superiori di andare con lui in Ecuador. Dobbiamo dire che, come altri confratelli della provincia americana, anche p. Alfredo macinava da tempo il desiderio di un’esperienza missionaria dove c’è vera missione (lo abbiamo visto anche per Branchesi che è andato in Kenya). L’incontro con Bartolucci gli sembrò provvidenziale. “Il nostro vescovo, mons. Bartolucci - scrisse a p. Calvia, Generale - mi invitò con una certa insistenza e il suo invito mi parve un segno dal cielo. Tuttavia la mia opzione sarebbe - strano - per l’Egitto. Non solo perché l’Egitto è così comboniano, ma perché Comboni è così egiziano. In Egitto, inoltre, mia sorella comboniana lavora da più di 30 anni”. Il Generale, pur ringraziandolo per la sua disponibilità, lo deviò in Ecuador. “Pensiamo che un lavoro in Egitto senza sapere l’arabo non sarebbe così proficuo e così fruttuoso per te, come invece lo può essere in Ecuador”, gli rispose.

P. Walter, provinciale degli USA si arrabbiò un pochino vedendosi soffiato un uomo così valido, ma poi, da bravo americano pieno di umorismo, lo lasciò partire con la benedizione e anche con un buon gruzzolo per la missione di Esmeraldas. Qui p. Alfredo fece il vice parroco a Santa Marianita e l’economo provinciale a Quito, operando con soddisfazione di tutti.

Sei anni dopo, il 30 dicembre 1986, la “pace” tra Ecuador e Stati Uniti a proposito di p. Alfredo venne ristabilita col ritorno di quest’ultimo negli USA. P. Pierli, nuovo Generale, gli scrisse: “Ti ringrazio per il lavoro svolto in Ecuador in questi ultimi sei anni e della tua disponibilità a renderti utile dove maggiori sono le necessità. Tornando negli USA troverai una Provincia un po’ cambiata; una evoluzione a livello sociale, ecclesiale, e anche di Congregazione. Sono sicuro che saprai inserirti con slancio e gioia nella nuova realtà”. Cosa che p. Alfredo puntualmente fece.

L’aria fine di Quito non aveva aiutato p. Alfredo. Aveva perduto quasi del tutto la voce, trovava difficoltà a respirare, doveva appoggiarsi alle ringhiere per scendere le scale ed era diminuito di 10 chili (ed era già uno stuzzicadente prima).

A Monroe, dove fu inviato, e dove rimase dal 1986 al 1991, ritrovò le forze di tanti anni prima e l’entusiasmo che gli davano gli amici che aveva battezzato e comunicato e che ora erano uomini adulti e sempre amici dell’opera missionaria.

Dal 1991 al 1994 gli fu chiesto di andare a Cincinnati per dare un aiuto nel ministero e alle riviste “e per fare ricerche sulla storia della Provincia negli ultimi 50 anni e su alcuni confratelli”. P. Pierli lo lodò per questa sua iniziativa e gli rispose: “Durante questi 6 anni di governo ho cercato di insistere per un recupero della storia dell’Istituto affinché gli esempi, la tradizione, la ricchezza che Dio ci ha donato non venga perduta. Nella Bibbia sovente si parla del peccato di dimenticanza, che poi genera infedeltà. Questo può capitare anche nell’Istituto. Il recupero della storia è mezzo sine qua non per promuovere la perseveranza. Il recupero della memoria è un servizio all’Istituto e tu sei uno dei benemeriti in questo campo”.

Ormai p. Alfredo non poteva più permettersi grandi spostamenti perché l’anno prima (1990) aveva celebrato il 50° di Messa, tuttavia godeva ancora di una mente lucida e di sufficiente energia per starsene nel confessionale ad attendere alle confessioni o per visitare gli ammalati e i poveri.

Animatore in famiglia

Nel 1994 il Padre venne in Italia con sede a Pesaro. Si dedicò al ministero e ai rapporti con gli amici e i benefattori della casa. Ormai il suo ministero consisteva nella testimonianza di una vita dedicata all’Istituto, allo studio su Comboni e sui confratelli che considerava il prolungamento vivo del carisma del Fondatore.

P. Torquato scrive: “Non che io sappia molto su mio zio, perché siamo stati pochissimo tempo insieme. Certamente lui ha influito su di me e sulla mia vocazione. Anche se è apparso così raramente nella mia vita di ragazzo, era presente nella nostra famiglia attraverso il suo ricordo e le sue lettere. I nonni e il mio papà (fratello maggiore di p. Alfredo) parlavano spesso di lui che era partito per l’America giovane sacerdote. C’era un grande rispetto, molta considerazione e anche timore in noi ragazzi. Le sue lettere venivano lette prima che incominciassero i pasti e subito dopo le preghiere (sempre molto lunghe, anche 5 pater ave e gloria). Dio occupava il primo posto in casa.

La sua presenza morale e la nostra casa sempre aperta ai missionari, ha fatto nascere in me un grande affetto per l’Africa e le missioni. Ho incominciato ad avere con lui una relazione epistolare solo dopo la mia partenza per l’Africa, nel 1972. Questa corrispondenza mi è stata di grande aiuto e di incoraggiamento per cui porto di lui un ricordo riconoscente. Sì, p. Alfredo è stato un dono di Dio a me e alla mia famiglia.

Due sono state le cose che ho sempre ammirato in lui: il suo amore alla missione nella quale ha voluto tornare anche da vecchio. Amava gli Stati Uniti ma il suo cuore era in Africa. Poi l’amicizia con mons. Bartolucci lo ha portato in Ecuador e lì ha trovato ciò che cercava: l’apostolato diretto con i più poveri.

Il secondo aspetto che mi piaceva in lui, e che ammiravo, era la sua identificazione con l’Istituto comboniano. Nelle sue lettere faceva spesso riferimento al Comboni. Gli piaceva parlare dei vecchi missionari conosciuti”.

Ritorno perché sono missionario

Dopo l’esperienza di Pesaro, la nostalgia della missione cominciò a disturbare il sonno a p. Alfredo. Dopo 38 anni negli Stati Uniti, particolarmente tra i neri, 6 tra gli afro-americani in Ecuador dove era vescovo mons. Bartolucci, e 3 nella casa di Pesaro, nel 1996 chiese ed ottenne di tornare in missione. “La decisione - scrisse - è maturata dopo molta preghiera, affidandomi a Dio e rimettendomi ai superiori per comprendere la volontà del Signore”.

In data 1° novembre 1996 si rivolse al Padre generale con queste parole: “Mons. Arellano e p. Lafita insistono perché torni, inoltre la missione è sempre in cima alle mie aspirazioni nonostante la ‘certa età’. L’Ecuador sarà per me la nuova avventura per il regno di Dio, e prego il Signore che accetti almeno gli sgoccioli della mia vita. Ritorno in missione perché sono missionario. Non deve sembrare strano che un missionario desideri la missione... C’è gente che cerca Dio. Bisogna dunque andare perché qualcuno glielo indichi! Non tutti possono. Io posso per vocazione e per scelta. Perché non andare?

Mons. Bartolucci, a 65 anni, dilaniato da un cancro, in agosto 1994 ci disse: ‘Vado per amore’. Andò e morì nel febbraio seguente. Anch’io mi accingo a partire. E andando ho chiesto, con la preghiera, un chilo di riso, magari un quintale, una tonnellata, che di riso non ce n’è mai abbastanza, e non solo fa buon sangue, ma aiuta a mettere in onda la Buona Novella che riporta speranza, serenità, perdono e giustizia”. Era convinto che i poveri si amavano così; le parole non bastavano. “Non basta protestare contro le ingiustizie, condannare le armi, fotografare gli orrori. Bisogna andare, condividere”.

Col 1° gennaio 1997 fece parte della provincia dell’Ecuador e fu accolto in episcopio ad Esmeraldas, dedicandosi alle confessioni in cattedrale e al ministero spicciolo tra la gente. Ma prestò il suo servizio anche in Colombia dove i Comboniani hanno una buona presenza.

L’annuncio della sua morte

In una lettera del 16 gennaio 1999, 20 giorni prima della morte, p. Alfredo scrisse: “La vita è bella, ed è bella anche la morte. Ci attende un incontro”.

A Natale, mandando come sempre il suo ricordo, i suoi auguri in una lettera quasi circolare, raccontava i difficili mesi dovuti alla corrente del Nigno che si era scatenata con tutto il suo furore arrecando tragedie e distruzioni. Missionari, missionarie e fedeli laici fecero tutto ciò che poterono per ricostruire, per aiutare. Tra la documentazione del Padre c’è anche una foto di piccole nuove casette di canne e di pali. Nella scritta fatta dalla mano del Padre si legge: “Pare un villaggio turistico della Svizzera”. Poi aggiunge: “Non possiamo risolvere tutti i problemi. Chi lo può? Ma risolvendone alcuni si dà alla gente l’ispirazione per risolverne altri. Noi non perdiamo nessuna opportunità che si presenta”. Poi parla di sé: “Pregate affinché la mia età avanzata mi faccia più sapiente, dal momento che non mi fa più forte”.

Nella lettera confidenziale al fratello don Antonio ammetteva “problemi di salute tanto da perdere diversi chili di peso... I dottori hanno trovato ciò che dovevano trovare: i pezzi si consumano sempre di più con l’uso. Pezzi di cui qui non hanno i ricambi, come il cuore, i polmoni, la circolazione. Non sono cose nuove... Nonostante questo, il lavoro pastorale non manca. Qui c’è molto da fare. Il solo pasticcio è l’età e gli acciacchi che si fanno sentire sempre più: la digestione, il respiro e una grande stanchezza... Faccio quello che posso: ogni giorno confessioni, ultimamente ogni giorno un funerale”.

Quando arrivò la notizia della morte improvvisa di p. Branchesi e di don Grini, un sacerdote della diocesi, p. Alfredo scrisse: “Queste morti mi hanno dato un’altra picconata interiore”.

Tra le confidenze, c’è anche quella del sogno. Lo racconta con la semplicità di un fanciullo rivelando che “la nostalgia di casa è cronica e non si guarisce più”. Nel sogno immagina di costruire un appartamentino al suo paese. C’era anche la mamma, il babbo ed i fratelli, tutti giovani, con begli abiti e un incantevole sorriso.

“Per una casa qui ci vorrà il permesso del Comune”, disse Augusto. Così p. Alfredo smise di lavorare. “Quando mi svegliai rimasi contento - prosegue il Padre - e ciò fu un buon antidoto al desiderio di tornare in patria, al paese, a portare le ossa. Ora tutto quello che voglio è finire la mia vita in missione ed essere sepolto qui”.

La morte arrivò improvvisa

Scrive il vescovo di Esmeraldas, mons. Eugenio Arellano:

“Sabato 6 febbraio 1999 alle ore 15.00 gli avevo detto di andare a vedere la nuova chiesa dell’Annunciazione, nella quale un sacerdote venuto da Bergamo, don Evasio Alberti, stava dipingendo un grande quadro dell’Annunciazione. Dopo aver fatto alcune foto, uscì dalla chiesa, e cadde a terra fulminato da un infarto. Nonostante i soccorsi dei presenti, tra i quali don Corinno Scotti, parroco, sacerdote Fidei Donum, la dottoressa italiana Mariella Anselmi che tentò di rianimarlo, tutto fu inutile. Don Corinno lo prese allora sulle braccia e, in macchina, lo portò in Curia.

P. Alfredo è morto come era vissuto: con grande discrezione e senza disturbare nessuno... Già da qualche tempo non stava bene. Due volte lo abbiamo mandato a Quito da uno specialista. Avevamo anche l’impressione che presentisse la sua morte, ne parlava spesso ultimamente, ma con grande serenità.

Io lo conoscevo da molti anni: siamo vissuti insieme nella parrocchia di Santa Marianita quando mons. Bartolucci ci inviò là per cominciare il seminario del Vicariato. Più tardi, quando mi nominarono Superiore provinciale dei Comboniani dell’Ecuador, gli chiesi di fare l’Economo provinciale , finalmente, in questi ultimi mesi, venne definitivamente da Cali, in Colombia, pieno di allegria ‘per aiutare il Vescovo’, diceva.

Era sempre disponibile a qualsiasi servizio, visitava gli ammalati dell’ospedale e cercava di aiutare i poveri, andava con frequenza nei rioni poveri della parrocchia e parlava con le persone confortandole e animandole nelle loro difficoltà. Si prestava per le celebrazioni in cattedrale, puntuale mezz’ora prima della messa per le confessioni... Soffriva quando doveva celebrare il funerale di qualche ragazzo, ucciso nelle lotte tra bande giovanili, tre, quattro, anche cinque ogni mese”.

Attorno al feretro in cattedrale, verso le 18.00, cominciò a raccogliersi molta gente. Tanti rosari e canti senza tregua fino al mattino. A mezzanotte abbiamo offerto a tutti i presenti caffè e biscotti come è l’abitudine di qui quando si veglia un morto. Alle 7.00 ci fu la prima messa celebrata da p. Silvino, parroco della cattedrale, con tutta la gente che, ogni domenica, assisteva a quella messa celebrata proprio da p. Alfredo. Poi canti e preghiere fino alla 16.00, ora delle solenne concelebrazione presieduta da me, accompagnata dal Superiore provinciale, p. Enea Mauri, e da altri 32 sacerdoti. Erano presenti suore e religiosi e tantissime persone che erano come la testimonianza del bene compiuto e del dono che il Signore ha fatto alla Chiesa e alla Congregazione chiamando p. Alfredo alla vita missionaria. Io sono sicuro che ora abbiamo un nuovo intercessore davanti al Padre e che dal cielo otterrà grazie e benedizioni per coloro che ha amato e con i quali ha lavorato”.

Anche ad Urbania fu fatta una solenne celebrazione con la partecipazione dell’Arcivescovo di Urbino, sacerdoti e molta gente, nonostante la forte nevicata di quel giorno.

La memoria dell’Istituto

Tra le opere di p. Alfredo ricordiamo la traduzione in inglese dei profili biografici dei confratelli passati alla Casa del Padre, contribuendo, così, a far conoscere la Congregazione e la vita dell’Istituto ai giovani che parlano inglese e che si preparano a diventare Comboniani “perché i giovani possano scoprire il Comboni nella vita dei Comboniani dove il carisma del Fondatore continua a vivere e ad operare. Con questo ho terminato la traduzione dei profili di 441 confratelli, cioè di tutti quelli che apparvero sul Bollettino solo in italiano. Dal 1988 le necrologie vengono pubblicate in inglese nel Bollettino”, scrisse nel 1990, inviando a Roma il secondo volume della sua opera. Abbiamo appena letto l’elogio di p. Pierli per questo suo lavoro.

Per questo suo lavoro p. Alfredo è giustamente considerato “la memoria dell’Istituto”. Ha anche raccolte le memorie di due confratelli della sua terra: p. Violini, del quale poi è stato scritto un libretto, e di p. Ceccarini, che attendono chi le valorizzi.

Sempre fragile di salute fin da giovane, prese la vita con metodicità e con ordine, riuscendo così a campare fino all’età di 83 anni facendo tante cose. E’ sepolto nella cappella del cimitero municipale di Esmeraldas vicino al suo Vescovo e quasi compaesano mons. Enrico Bartolucci e ad altri confratelli che lo hanno preceduto nella casa del Padre.

Padre Alfredo ci lascia in eredità la testimonianza di una vita donata alla Chiesa americana ed ecuadoregna, senza rumore, senza grandi discorsi, però con fedeltà, costanza e laboriosità. Umanamente tutti lo ricordano per la sua bontà, gentilezza, arguzia e soprattutto per l’amore ai più poveri della missione. Una profonda identità comboniana e un grande desiderio di spendere la vita per la missione e in missione (per questo è partito per l’Ecuador in età avanzata quando molti gli suggerivano di passare gli ultimi anni a Pesaro, vicino ai suoi cari e in un ambiente conosciuto e dove era apprezzato) sono state le caratteristiche più evidenti della sua vita come comboniano. Il Signore lo ha ascoltato permettendo che cadesse sulla breccia come un soldato valoroso e fedele.

In data 03 marzo 1999 il Sindaco (Mayor) di Cincinnati ha conferito alla memoria di p. Alfredo una onorificenza per i 20 anni spesi per il bene della gente della città, specialmente per la sua opera in favore dei poveri e dei bambini neri che allora erano ancora emarginati.                           P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 204, ottobre 1999, pp. 86-96