Bambino vivacissimo e sempre in vena di fare scherzi, Luigi era ultimo di 9 fratelli e proveniva da una famiglia di contadini. Papà Angelo e mamma Teresa, infatti, erano coltivatori diretti. I genitori e i fratelli lo vedevano rincasare senza i libri e senza i quaderni. Nel pomeriggio, invece di fare i compiti, cercava qualche libro e si dava alla lettura. Alla mamma che lo rimproverava, rispondeva che aveva già studiato la lezione mentre il maestro la spiegava e che aveva fatto i compiti... mentre venivano dettati.
“Anzi - aggiunge la sorella Rita - quando nel pomeriggio doveva andare nel campo a lavorare con il papà e gli altri fratelli diceva a Michelangelo, che aveva tre anni più di lui e che non aveva nessuna voglia di studiare: ‘Se vai a girare il fieno al posto mio o a mungere la mucca o a zappare... io ti farò i compiti’.
“Era un discolo numero uno e molto furbo, ma tanto sensibile - prosegue la sorella. - Un giorno si arrampicò su un albero altissimo per prelevare dal nido un uccellino. Ma, subito dopo, pentito di aver sottratto la povera bestiolina alla sua mamma, scalò di nuovo l’albero per rimetterlo nel nido”.
“Tutti i pomeriggi - afferma il cognato, quasi contemporaneo di p. Luigi - mi chiamava e mi diceva di andare con lui a fare una visita al Santissimo in chiesa. Io dopo un po’ mi stancavo, ma lui diceva che non ci si deve stancare a stare con Gesù e con la Madonna”.
“A proposito della Madonna, senta cosa mi ha detto poco prima dell’incidente che lo ha ridotto come sappiamo - interrompe la sorella. - Parlavamo della morte ed egli disse: ‘Io non ho paura della morte, proprio niente perché mi consente di vedere la Madonna. Ho sempre desiderato di vederla, ma per riuscirci, bisogna morire’. Mi disse proprio così”.
“Per la Madonna - prosegue il cognato - faceva tanti fioretti. Io parlo di quando era bambino. Alle volte avevamo della frutta o dei pasticcini. Egli ne prendeva un po’ e poi diceva: ‘Basta adesso. Mangiarne di più sarebbe un peccato di gola e ciò non piace alla Madonna’. Era anche molto severo e non risparmiava il rimprovero a chi, in famiglia, si lasciasse andare a qualche espressione poco ortodossa”.
La vocazione
Dopo le elementari il suo parroco, don De Giugli, gli disse che riscontrava in lui la stoffa per diventare sacerdote e Luigi, con molta gioia, entrò nel seminario minore della diocesi di Novara, che allora aveva sede ad Arona, dove era già entrato il fratello Rocco.
Un giorno don Francesco Maria Franzi, futuro vescovo ausiliare di Novara, che era andato a Bogogno a trovare un suo fratello che gestiva un negozio, incontrò il giovane seminarista che era in vacanza. Parlò più volte con lui, pregarono insieme nella chiesa parrocchiale e recitarono tanti rosari. Don Franzi, infatti, era un gran devoto della Madonna. Al termine di quella vacanza insieme, il pio sacerdote disse al giovane seminarista:
“Io credo che la vita di sacerdote diocesano a te stia un po’ stretta; ti consiglio di farti missionario”.
“Missionario? Andare in Africa? Mi piacerebbe moltissimo, ma non conosco i missionari”.
“Li conosco io: hanno il loro noviziato a Venegono Superiore in provincia di Varese, e sono molto in gamba”.
Nell’agosto del 1945, dopo la quinta ginnasio, Luigi lasciò il seminario diocesano ed entrò a Venegono per il noviziato. Il rettore di Arona si dichiarò “ben contento che questo bravo figliolo, Sacco Luigi, sia venuto tra i Comboniani per esaudire il suo slancio ardente per le missioni”.
In data 19 agosto 1945, il suo parroco scrisse: “Ringrazio il Signore che ha fatto alla mia parrocchia una grazia straordinaria, donando la vocazione missionaria al seminarista Sacco Luigi di Angelo e di Sacco Teresa. Fin da bambino ha dimostrato una chiara tendenza alla pietà. Ancora piccolino volle essere iscritto al Piccolo Clero, distinguendosi per umiltà, prontezza e obbedienza. Era sempre puntuale tutte le mattine. Finite le elementari al paese, entrò in seminario svolgendo quella vocazione che sentiva viva in cuore fin da bambino. Ora il Signore lo vuole più vicino a sé nella loro Congregazione per farne un apostolo. Deo gratias et Mariae. Preghiamo perché il Signore lo plasmi secondo il suo cuore”.
Verso il sacerdozio
“Giovane di grande slancio ed entusiasmo, ancora semplice e bambino - scrisse p. Todesco, maestro dei novizi. - Buono, generoso, pieno di buona volontà, assai schietto e socievole”. Una nota curiosa: durante il noviziato Luigi faceva il fiorista. Fratel Pelucchi aveva i tacchini che... beccavano i fiori appena sbocciati, e con tanto amore coltivati da Luigi. Ne uscì una vivace disputa che finì per portare anche Pelucchi ad amare i fiori, a scapito dei tacchini che finirono in pentola con l’approvazione, anzi il plauso, dei novizi.
P. Sacco fece parte dell’ultimo gruppo di coloro che furono novizi a Venegono, prima del trasferimento di questo a Gozzano.
Emessi i Voti il 9 settembre 1945, Luigi andò a Rebbio di Como per terminare il liceo e iniziare la teologia (1947-1950). Dal 1950 al 1953 fu a Roma per terminare la teologia. Nel 1952 fu operato di ulcera allo stomaco e dovette passare un periodo ad Arco di Trento per riprendersi in salute. Ciò non gli impedì di conseguire la licenza in filosofia e teologia.
P. Capovilla scrisse il 6 luglio 1950: “Di buona volontà, desideroso di progredire nella virtù, amante della sua vocazione, è di capacità distinta. Ha qualche disturbo di cuore ed è debole di vista. Sarà un ottimo missionario”. Venne ordinato sacerdote dal Card. Carlo Micara nella Basilica Lateranense il 19 dicembre 1953.
Professore e animatore
Dall’anno 1954 al 1960 p. Luigi Sacco fu insegnante di filosofia agli studenti missionari di liceo a Verona. Una caratteristica del suo insegnamento era la chiarezza. Possedendo perfettamente la materia, riusciva a trasmetterla altrettanto perfettamente per cui tutti potevano penetrare i meandri non sempre facili della filosofia e della metafisica.
Con la chiarezza c’era la bontà, la comprensione, specie verso coloro che erano meno pronti ad afferrare i concetti. Il Padre si prestava per chiarificazioni a parte, ripeteva, semplificava e poi, con estrema concretezza aggiungeva: “Tutte cose belle, ma guardate che la vita non sta tutto in questo”, come per dire agli studenti che non c’era solo la filosofia per la vita di un missionario.
Il sabato e la domenica erano riservati alle giornate missionarie. Terminata la lezione, partiva per città lontane, sovente fino in Liguria. Erano strapazzate terribili. Tornava alla domenica notte e, alla mattina, era in classe puntuale. Quasi sempre portava con sé qualche studente che lo aiutasse.
Alle volte gli studenti dicevano. “Speriamo che non faccia in tempo a tornare”. Egli sapeva che correvano queste battute e allora, alla mattina, diceva: “Credevate voi, ma il lupo è qua!”. E si riprendeva la settimana con una bella risata. Era molto affettuoso e si interessava personalmente di ognuno.
Dice p. Alberto Anichini: “Una volta siamo andati insieme a Carpi in moto. Lui guidava e io ero seduto dietro. Abbiamo perfino forato. Dopo qualche tribolazione ci fermammo presso un benzinaio mangiapreti che non voleva aggiustare la ruota, ma p. Sacco riuscì a convincerlo, anzi a rendersi simpatico tanto che l’uomo non chiese neanche un soldo per il servizio.
Dopo, nel duomo di Carpi, fece una predica stupenda sul valore dell’anima. Il duomo era gremito e la gente era incantata ad ascoltare un predica così. E di lì poi partiva per parlare di missione”.
Gli episodi della sua vita, come animatore missionario, sarebbero moltissimi. Ne ricordo uno un po’ doloroso. In una piccola diocesi si è recato a far visita al vescovo per chiedergli il permesso di fare qualche giornata missionaria nella sua zona e, come presente, gli offrì una biografia di Mons. Comboni. Sua Eccellenza afferrò il libro e lo gettò con disprezzo in un angolo del suo studio e poi investì il Padre con una valanga di titoli tra i quali il più gentile era “accattone”.
P. Sacco si lasciò investire da quel temporale e poi disse con voce pacata e atteggiamento umile:
“Eccellenza, se non ha piacere che veniamo a celebrare le giornate missionarie mi dica liberamente di non venire, quanto ai titoli le chiedo un po’ di rispetto, se non per me, almeno per il sacerdozio che è in me e che anche lei condivide, in maniera più piena, con me”. Salutò, si scusò per averlo fatto inquietare e se ne andò. Alcuni giorni dopo ricevette una lettera di scuse con il permesso di tenere tutte le giornate missionarie che voleva.
Canto, zappa e donne
Il 14 giugno 1960, p. Sacco ricevette la destinazione per l’Uganda, diocesi di Arua, previo soggiorno in Inghilterra per apprendere l’inglese. Dalle lettere che p. Luigi scrisse ai superiori si vede il suo interesse per i catechisti e per i lebbrosi. Evangelizzazione e promozione umana erano le direttive del suo ministero missionario. Ecco le tappe della sua vita missionaria: 1961-1963 vice parroco a Ediofe (Arua); 1963-1964 parroco ad Uleppi; 1964-1965 parroco a Maracha; 1965-1968 superiore e parroco ad Olovu. P. Anichini parlando del metodo missionario di p. Luigi Sacco in Uganda, disse:
“Un giorno ad Olovo mi disse che in missione avevano tre capisaldi per una buona pastorale. Erano i cantori, le zappe e le donne. E mi spiegò che col canto i Logbara accorrevano alle funzioni in massa perché erano amanti della musica e del bel canto.
Con le zappe si facevano campi per i poveri, quindi ci fu un impulso notevole all’azione caritativa. Le donne, poi, erano delle lavoratrici formidabili, come in genere tutti i Logbara, inoltre sapevano dirigere bene le loro famiglie. Con queste basi l’evangelizzazione era molto facilitata”.
“Ho incontrato p. Sacco in Uganda - disse p. Trabucchi. - Un segno che la missione gli aveva lasciato un’impronta profonda si poteva vedere dal fatto che, a Venegono, io gli parlavo in logbara ed egli rispondeva in italiano, e rispondeva a tono. Tra i misteri di p. Luigi c’è anche questo, ma è certamente un segno che il cuore era rimasto in missione.
Tutti lo ricordano per il suo entusiasmo travolgente. Non solo, ma ha saputo creare dei modi nuovi di evangelizzazione. In particolare tra i logbara ha iniziato i famosi ‘safari della fede’. I missionari, preceduti dall’azione dei catechisti battevano una determinata zona passando cappella per cappella, direi capanna per capanna. L’anima di tutto era sempre lui con le sue catechesi chiare, fondamentali, comprese da tutti.
Non sentendosi sicuro con la vista, non usava l’auto e questa menomazione, se così si può dire, gli pesava un po’, ma la accettava come un contributo alla riuscita del suo ministero missionario. Ha lavorato intensamente fino al 1969, anno in cui è tornato in Italia per prendere parte al Capitolo generale della Congregazione. Tutti i missionari hanno riconosciuto che la tribù logbara ha fatto notevoli passi nella via della fede anche grazie all’opera di p. Sacco”.
Il Signore lo preparava al sacrificio
Il martirio dei quattro confratelli del Congo costituì uno stimolo a maggior santità per tutti gli altri Comboniani. Anche p. Sacco, che si trovava sul confine del Congo, sentì queste morti come richiami del Signore a una maggior disponibilità per donarsi alle anime. E lui colse l’invito, come possiamo capire da una lettera che scrisse al p. Generale il 25 luglio 1965: “...nonostante la mia pochezza e povertà spirituale, per non dire miseria, mi sento sempre più legato alla mia vocazione missionaria e religiosa, e sarei felice di dare la mia vita per queste anime come hanno fatto i nostri confratelli del Congo, dal quale sono separato solo da una stradicciola. Mi commuove il pensiero che Dio mi usi come suo sacerdote nonostante le mie incapacità. Qui c’è un fortissimo movimento di conversioni: dallo scorso ottobre a luglio oltre 1.000 adulti hanno ricevuto il battesimo. Ventisette catechisti lavorano a pieno ritmo e i catecumeni premono alle porte”. In quel momento p. Sacco lavorava insieme a p. Silvio Serri che, anni dopo, avrebbe coronato col martirio la sua vita.
Il Capitolo generale della Congregazione, per il quale p. Luigi era rientrato in Italia, sarebbe cominciato venerdì 16 maggio 1969. I padri capitolari erano già in patria fin dai primi di aprile e molti si prestavano per aiutare i parroci nel ministero pasquale. Anche p. Sacco era tra questi.
Quel triste giorno
Ma ecco la notizia: “Incidente a p. Sacco. Alle ore 14,30 del Giovedì santo, 3 aprile 1969, p. Sacco fu vittima di un grave incidente mentre si recava, in auto, a Fino Mornasco (Como) per il ministero pasquale. Arrivato presso un incrocio, il Padre stava consultando la carta topografica per dare le indicazioni all’autista poco pratico del luogo, quando l’auto, nell’imboccare la via principale, andò a scontrarsi violentemente contro un camion.
Il Padre ebbe la peggio perché ha battuto la testa contro il parabrezza. Ai primi soccorritori parve morto, e la tardata rianimazione gli causò la disfunzione cerebrale. Venne portato a Tradate e, poco dopo, a Varese. Pare che cominci a dare qualche segno di conoscenza; ma la ripresa è lenta e il suo stato rimane grave”.
La ripresa non ci fu mai anche se il Padre, di tanto in tanto, aveva momenti di lucidità seguiti da altri più lunghi di fitta tenebra mentale.
In data 12 gennaio 1972, con grafia incerta riuscì a scrivere alla sorella Rita queste poche parole che, tuttavia esprimono il suo costante desiderio di missione: “Cara Rita, il mio pensiero è a Bogogno. Vorrei andare in Africa, ma non so se il passaporto è ancora valido”.
Il suo itinerario spirituale
P. Francesco Antonini, superiore provinciale d’Italia, che ha vissuto per tanti anni a Venegono con p. Luigi, ha presieduto la messa funebre, concelebrata da una cinquantina di confratelli e altri sacerdoti. All’omelia ha tracciato l’itinerario spirituale di p. Luigi, visto come un cammino verso il Calvario con una pesante croce sulle spalle.
“Ci siamo riuniti con un affetto molto particolare insieme alla sorella, ai nipoti, al cognato. Ricordiamo il fratello sacerdote che la salute non gli ha consentito di essere presente. Abbiamo mantenuto le letture dell’esaltazione della santa Croce per questa celebrazione, perché il funerale avviene in questo giorno e credo che abbia il suo significato, soprattutto per p. Luigi che è arrivato all’identificazione totale col Cristo sulla croce. Morto nel giorno del nome di Maria, lui che era così devoto di lei, è entrato in cielo illuminato dalla luce che proviene dalla croce nel giorno della sua esaltazione, raccolto dalle mani della Madonna che lo introduce nel Regno. Esaltazione della Croce significa l’apice dell’amore di Dio, realizzazione della salvezza.
Come confratelli, come Congregazione, siamo molto debitori a p. Luigi perché lui per 30 anni, con la Congregazione, ha svolto la funzione di Cireneo, nel silenzio della casa di Venegono. Ha portato la croce perché i novizi potessero rispondere fedelmente alla chiamata del Signore, perché i giovani andassero al GIM e rispondessero positivamente a quanto il Signore chiedeva loro.
Quando si parlava di missione, quando p. Luigi riusciva ad esprimersi, era sempre molto vivace e il suo volto si illuminava. Fu un missionario veramente identificato con la missione. La sua vita va contemplata, un po’ come la croce, come la vita di Gesù. E’ difficile spiegarla. Per leggerla bisogna entrarvi dentro con la logica di Gesù Cristo, della Croce”.
C’è croce e croce
“P. Luigi non ha scelto la croce sulla quale è stato inchiodato per trent’anni, non l’ha voluta. La Croce non si sceglie e quella che si sceglie non è la Croce che salva. La croce è data dal Signore attraverso le circostanze della vita. Noi possiamo accettarla o rifiutarla, o arrabbiarci e imprecare. La croce è saltata addosso a p. Luigi come è saltata addosso al Cireneo. Questi stava tornando dalla campagna e andava a casa per prepararsi per la Pasqua, lavarsi e vestirsi bene e mettersi in clima di celebrazione di Pasqua. La croce gli ha rovinato tutto ed egli, senz’altro, all’inizio ha sentito la rabbia, poi ha guardato colui dal quale prendeva la croce e lì c’è stato il resto del cammino.
Ricordo uno dei primi anni in cui ero a Venegono. Un giorno andai a trovarlo con una persona. Quando questa seppe che il Padre era in quelle condizioni da vent’anni, disse: ‘Sono tanti vent’anni’. P. Luigi ha risposto: ‘No, non sono tanti’. Davvero ormai era identificato con la croce. Non solo l’aveva accettata, ma ormai la amava. Era arrivato proprio qui. Infatti non l’hanno mai visto ribelle alla sua croce”.
Croce e Comboni
“Identificandosi con la Croce, si è identificato anche con Comboni che, alla fine, diceva: ‘Guarda come è dolce la croce’. Il Vangelo ci ha appena detto: ‘Dio ha tanto amato il mondo da darci il suo Figlio unigenito’. Ma lo ha dato sulla croce. Fino a quando riusciva ad esprimersi, p. Luigi ripeteva spesso. ‘Dio è amore purissimo’. Credo che sia stata l’ultima parola che ha pronunciato. Dalla sua scuola abbiamo imparato queste cose e ci sentiamo debitori verso di lui che ha portato la croce per la Congregazione.
P. Luigi era una di quelle persone graziose che eccelleva. Era intelligentissimo, perspicace, con un costante sottofondo di sano umorismo. Per questo è stato mandato a Roma a studiare perché potesse essere abilitato all’insegnamento. Ha conseguito la licenza in teologia e in filosofia poi ha passato alcuni anni nell’insegnamento a formare i futuri missionari.
Poi la missione. C’è una crescita in quest’uomo. In missione è stato uno di quelli che si è impegnato per una inculturazione, per capire la gente, per amarla. Ha lavorato bene per cui, nel 1969, è stato scelto dai confratelli di Arua come loro rappresentante per il Capitolo generale della Congregazione. Il Capitolo del rinnovamento dal quale ci si aspettava tanto. La sua fedeltà poi è maturata in quell’incidente, in quei trent’anni di crocifissione.
Oggi preghiamo per lui ma, soprattutto, chiediamo la sua intercessione. Finalmente sarà in quella visione beatifica che lui viveva già in quelle giornate lunghe di silenzio. Finalmente è sciolto da quei limiti che per tanti anni lo hanno trattenuto.
Un particolare: fino a pochi anni fa, chi lo avvicinava doveva guardarsi dal suo potente sinistro, un gesto istintivo, non razionale. Ultimamente, chi lo avvicinava si prendeva una carezza sulla guancia e una parola di incoraggiamento. Anche nel suo mondo fatto di tanta nebbia e di rari sprazzi di luce aveva trovato la via della tenerezza. Sono stati tanti coloro che lo hanno aiutato, ma in realtà hanno ricevuto molto di più di quanto hanno dato”.
Uno scolastico che, da novizio, lo ha accudito a Venegono, ha sottolineato la gioia, il desiderio di scherzare, le battute umoristiche che il Padre scambiava con chi lo accudiva.
“Ricevendo la notizia della sua morte - ha detto - non mi sono sentito triste. Pensando a p. Gigi non si può essere tristi. In noviziato era una presenza, uno che ci faceva vedere in concreto che cosa era missione, una missione diversa da come la immaginavamo noi, ma vera missione secondo lo stile di Gesù Cristo che ha fatto missione con la croce”.
Alle tre del mattino, quando l’infermiere, fr. Coto, ha fatto l’ennesimo giro per controllare se tutto andava bene, si accorse che il Padre era appena spirato. I sanitari hanno detto che è stato colto da emorragia cerebrale durante il sonno.
Questo confratello ci ha indicato una via molto particolare per essere missionari, quella della croce, una via difficile, che incute paura. Ma lui l’ha amata e, per questo, come Comboni poté dire: “Non vedi come è dolce la croce?”.
“Come avete vissuto questi 30 anni di malattia?”, è stato chiesto alla sorella.
“Come? Dobbiamo chiederlo ai padri comboniani come li hanno vissuti. Loro lo hanno sempre avuto, curato, amato come nessun altro avrebbe potuto fare. Se è vissuto tutto questo tempo in quelle condizioni è proprio perché è stato assistito di giorno e di notte, e tenuto su un piatto d’argento. Oh, mi ricorderò per tutta la vita di come è stato trattato mio fratello. Se tutti gli ammalati fossero curati così, il mondo sarebbe certamente migliore. Lo adoravano, lo accarezzavano e lo consideravano come un santo, tutti: padri, fratelli e infermiere. Gli davano perfino da mangiare con una specie di siringa per consentirgli di mandare giù qualcosa”.
E così p. Luigi si è trovato di fronte al volto della Madonna che aveva tante volte desiderato di contemplare. Dopo il funerale nella chiesa della Madonna di Fatima, la salma è stata traslata a Bogogno dove è stato sepolto accanto ai suoi familiari.
P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 202, gennaio-aprile 1999, pp. 105-112