In Pace Christi

Locatelli Santino

Locatelli Santino
Data di nascita : 04/12/1923
Luogo di nascita : Sueglio/I
Voti temporanei : 07/10/1942
Voti perpetui : 07/10/1947
Data ordinazione : 06/06/1948
Data decesso : 08/10/1995
Luogo decesso : Sueglio/I

La notizia dell'improvvisa scomparsa di questo nostro confratello arrivò scarna e dura come la lama di un pugnale: "Questa mattina, dopo aver celebrato la santa messa delle 8,30 a Sueglio, suo paese natale, p. Santino Locatelli, mentre tornava a casa, si è accasciato al suolo. Portato immediatamente all'ospedale, spirava pochi minuti dopo stroncato da infarto".

P. Santino si trovava al paese per un po' di vacanza, reduce dalla missione di Marsabit, Kenya, dove era vicario generale. La sorella Gioconda scrisse: "E' stato per noi un dolore grande anche perché sembrava si fosse ripreso abbastanza bene". Il Padre, infatti, era tornato dall'Africa appunto per rimettersi da una sofferenza cardiaca che lo teneva sotto tiro da tanto tempo.

Secondo di quattro fratelli, due maschi e due femmine, p. Santino proveniva da una modestissima famiglia di lavoratori. Papà Antonio era calzolaio e la mamma, Domenica Acquistapace, casalinga. Poveri ma di una fede adamantina per tradizione di famiglia. Il fratello del papà, don Giuseppe, era morto durante la guerra del 1915-18 esercitando il ministero di cappellano militare.

Vivace e sempre allegro, il piccolo Santino divenne chierichetto ancora in giovanissima età, tanto che il parroco, don Gaspare, doveva dargli una mano a trasportare il messale da una parte all'altra dell'altare (come si faceva a quel tempo) altrimenti il ragazzino se lo sarebbe rovesciato sulla testa.

Dopo le elementari, frequentò la prima media alla scuola del coadiutore che vedeva in Santino stoffa per un futuro sacerdote.

La vocazione missionaria

Ma proprio in quel periodo passò dal paese il vescovo comboniano mons. Stoppani che parlò ai ragazzi infiammandoli di entusiasmo per l'Africa e per gli africani che attendevano chi portasse loro la parola del Signore.

Santino, generoso com'era e spontaneo nel manifestare il suo interno, disse subito che, nelle parole del Vescovo, aveva sentito con chiarezza la voce di Gesù che gli diceva: "Vieni e seguimi, ti farò pescatore di uomini".

"I genitori - afferma la sorella - e anche noi fratelli, fummo molto contenti della scelta di Santino e cominciammo a pregare per lui tutti i giorni perché non avesse a pentirsi del proposito fatto e perché vincesse le tentazioni che certamente il diavolo gli avrebbe mandato". La retta stabilita per il seminario fu di lire 400 annue, poca cosa diremmo noi, ma un notevole sacrificio per papà Antonio.

L'11 settembre 1935, a 12 anni, Santino entrò nella scuola apostolica di Padova e subito si mostrò un ragazzo allegro e generoso, anche se la sua vivacità gli attirava qualche ammonizione da parte dell'assistente. Amava la preghiera e aveva una devozione speciale per la Madonna. Cosa, questa, che gli era stata inculcata dalla mamma. Negli studi riusciva bene, grazie anche al suo impegno nella scuola e a una buona intelligenza.

Una testimonianza del parroco del tempo, don Gaspare, ci assicura che il giovane seminarista trascorreva le vacanze in famiglia "lavorando per aiutare i genitori e pregando, perché pregavano molto anch'essi".

Dopo la terza media, Santino andò a Brescia per il ginnasio, continuando il ritmo di vita che aveva a Padova, arricchito tuttavia dalla maturità che il trascorrere degli anni comportava.

Novizio a Venegono

Il 06 agosto 1940 Santino entrò nel noviziato di Venegono Superiore dove era maestro p. Antonio Todesco. Erano tempi duri, di grande povertà, che la guerra imminente avrebbe ulteriormente esasperati. Molto lavoro, molta preghiera, molti sacrifici e qualche volta poco cibo. Qualche novizio si ammalò. Locatelli resistette grazie anche alla sua fortissima costituzione, tuttavia accusò molto spesso forti dolori ai ginocchi a causa del freddo e dell'umidità dell'inverno o "forse - come suggerì il medico - a motivo dei calci presi durante le partite a pallone a Brescia".

Si sa che in noviziato il futuro missionario deve formare il suo carattere e la sua personalità di religioso-missionario. Il p. maestro studiò il giovane e poi gli indicò la traccia da seguire per riuscire un "buon soggetto".

Abbiamo già detto che Santino era vivace, allegro, alle volte spensierato. Queste caratteristiche, in parte positive, potevano sconfinare nella leggerezza, nella superficialità, nel prendere un po' tutto sottogamba. Anche con i compagni alle volte si mostrava piuttosto rozzo, anzi, grossolano nei suoi modi di trattare... Insomma si vedeva che Santino sarebbe diventato un ottimo missionario di frontiera, di quelli - come farà in Sudan meridionale - che si attaccavano alla coda del mulo per farsi trainare quando erano stanchi morti da non poterne più, eppure avevano ancora tanta strada da fare per visitare qualche malato.

"Carattere forte, rozzo e montanaro - scrisse p. Todesco - fece un po' di fatica all'inizio ad introdursi. Alla fine, però, comprese assai bene il suo dovere ed ora lavora con impegno e convinzione. E' generosissimo, di grande sacrificio, pronto a sostituirsi agli altri nei lavori più duri. Ama la vocazione e trova gusto nella preghiera. Con i superiori è sincero, riconosce i suoi limiti e si sforza per migliorarsi. Sarà un bravo missionario".

Con queste credenziali Santino, che i compagni di noviziato ricordano come uno dei più forti e resistenti del gruppo specie quando si trattava di falciare il fieno, di portare grossi tronchi sulle spalle, di spalare la neve d'inverno... il 07 ottobre 1942 emise i primi Voti.

Verso il sacerdozio

Verona lo vide scolastico per un anno (1942-1943), poi dovette emigrare a Rebbio, essendo la città scaligera troppo pericolosa a causa dei bombardamenti, e la casa madre dei comboniani occupata dai tedeschi. Quindi ritornò ancora a Verona (1945-1948) per concludere la teologia.

Durante la sua permanenza a Verona nel 1943 frequentò il corso infermieri presso l'ospedale civile conseguendo il diploma di "Infermiere e di Aiutante di sanità nel Reale Esercito Italiano". Molti nostri confratelli frequentarono questa scuola per due motivi: in caso di chiamata alle armi sarebbero andati in Sanità, comunque questo corso diretto dal dottor Brugnoli, grande amico dei missionari, sarebbe servito ai missionari in Africa.

Nello scrutinio per l'ammissione agli ordini sacri, p. Capovilla scrisse: "Giovane di buona volontà, costumi ineccepibili, docile, di carattere un po' rozzo, un po' fracassone e molto intraprendente anche nei lavori manuali. Pietà buona e grande spirito di sacrificio. Mostra sincera volontà di diventare sacerdote e missionario. I Padri insegnanti non hanno da lamentarsi di lui e danno parere favorevole alla sua promozione agli Ordini. I superiori precedenti ne diedero sempre buone referenze".

Il 06 giugno 1948 venne ordinato sacerdote a Verona da mons. Girolamo Cardinale.

Destinazione Gozzano

P. Santino fu uno dei primi comboniani che abitarono la casa di Gozzano, acquistata dai Gesuiti nel 1947, e destinata a divenire la nuova sede del noviziato.

Egli vi fu mandato il 12 luglio 1948 con l'incarico di economo. In settembre avrebbe dovuto accogliere la prima muta di novizi. La casa era in condizioni penose da un punto di vista di abitabilità per cui il nuovo economo - beato lui che era tagliato per quel genere di lavoro - dovette rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare di cazzuola, piccone e badile.

"Anche se era sacerdote - afferma fr. Giuliani che fu uno dei primi novizi a Gozzano - p. Santino ci insegnò con l'esempio come si faceva a lavorare. Era instancabile, sempre contento e pieno di iniziative. Terminato il lavoro, diventava un vero prete, dedito alla preghiera e al ministero che gli consentiva di portare a casa qualche aiuto per il mantenimento della comunità. Furono anni belli, perché ci si voleva bene. P. Santino s'intratteneva volentieri con noi aspiranti Fratelli, ci incoraggiava, ci dava buoni consigli e soprattutto era sempre il primo quando c'era qualche fatica da sostenere".

Dopo la breve parentesi di superiorato a Gozzano di p. Egidio Ramponi, vennero p. Giovanni Giordani e p. Pietro Rossi, maestri dei novizi. Le loro testimonianze su p. Santino sono buone e sottolineano l'uomo portato all'essenziale, al concreto, senza badare troppo a certe formalità che alle volte si trovano nella vita di comunità. "E' un ottimo economo e potrebbe anche essere un buon superiore, ma non nelle case di formazione", scrisse p. Pietro Rossi.

Missionario in prima linea

Finalmente scoccò anche per p. Locatelli l'ora dell'Africa. E che Africa! Proprio in prima linea nel Sudan meridionale. Alla fine del 1953, a 30 anni di età, lo troviamo nella missione di Mayen come coadiutore.

L'apprendimento della lingua gli costò parecchio, ma egli si applicò nello studio con quella caparbietà che gli era propria ed elesse i ragazzi come suoi maestri. In breve tempo fu in grado di cavarsela. Per cui gli fu affidata la parrocchia e la scuola.

Dopo 6 anni di quella vita, passò a Warap, come parroco e incaricato delle scuole (1960-1963), quindi fu la volta di Kuajok (1963-1964).

La sua avventura sudanese si concluse con l'espulsione in massa di tutti i missionari, uno schianto anche per p. Santino che ormai amava quella terra come la sua terra.

Sempre contento, anzi entusiasta

Di questo periodo sudanese ci resta qualche testimonianza che raccogliamo dai diari di missione pubblicati sul Bollettino del tempo. Da queste fonti constatiamo che il Padre era un uomo sempre entusiasta della vita di missione. Portava avanti l'impegno scolastico con dedizione, anche se le sue preferenze erano per i safari e il ministero diretto. Conosceva abbastanza bene l'inglese e molto bene il denka per cui poteva intrattenersi con la gente a suo agio. Gli anziani lo stimavano come un uomo saggio, e i ragazzi lo seguivano per la sua vivacità e per le sue continue iniziative.

Nel diario si parla spesso delle battute di caccia e delle "pesche miracolose" fatte insieme ai ragazzi della scuola, nei giorni di vacanza, nei fiumi in prossimità delle missioni. Questo contatto, dal quale traspariva il suo amore autentico per gli africani, amore ricambiato, gli apriva la porta del cuore dei ragazzi e quella dei loro genitori che finivano per stimare la religione cristiana e chiedere il battesimo.

Nella vita di comunità sprizzava allegria e ottimismo, anche se qualche confratello aveva da ridire per qualche sua "espressione lombarda", controbilanciata da un intenso spirito di preghiera e da una vita di sacrificio spinta all'estremo.

Si impegnò anche nelle opere materiali. Teniamo presente che il periodo in cui fu missionario in Sudan fu quello della massima espansione delle missioni. Si costruiva dappertutto, si curava specialmente la scuola, vista come base per la futura classe dirigente sudanese, ed elemento indispensabile per la costituzione di una Chiesa africana preparata e responsabile.

Quando si trattava di correggere i ragazzi diventava un po' duro, ma era giusto e misurato nell'infliggere i piccoli castighi che dovevano aiutare gli interessati a correggere qualche difetto o qualche mancanza. Questo suo modo di fare non gli allontanava la stima degli scolari, anzi proprio per questo era considerato come un "capo" saggio ed equilibrato.

Nel 1959, scrivendo al p. Gaetano Briani, Superiore Generale, disse: "Qui fame tanta e piogge scarse. I pozzi sono asciutti e la durra comincia a seccare. In compenso il nostro lavoro va avanti bene e abbiamo un buon gruppo di catecumeni in missione". Lavoravano con lui p. Piotti e fr. Bastianelli, un'allegra compagnia che si teneva su di morale. P. Santino termina la sua lettera al generale con una nota che indica l'umore di quei missionari. "Auguri per san Gaetano. Non mancherò di un memento e di aprire una bottiglia di birra, ma se ghe fusse Recioto o Bardolin, starìa un po' meio anche p. Santin".

I missionari erano sottoposti a un lavoro stressante, reso ancor più difficile dalla mancanza di rinforzi dall'Italia perché il governo, dopo l'indipendenza del Sudan dall'Inghilterra, cominciò a mettere restrizioni che presto sfociarono nella persecuzione vera e propria e nell'espulsione in massa di tutti i missionari dal Sudan meridionale.

Animatore a Gordola

Giunto in Italia, p. Santino venne rimbalzato a Gordola come superiore e animatore di quella comunità di anziani e malati. Il Padre, che godeva di una salute di ferro, non si risparmiò per battere le parrocchie della zona alla ricerca di ministero e di nuovi amici delle missioni.

Lavorò bene, con entusiasmo, infondendo la sua carica di ottimismo nei confratelli anche se il cuore era continuamente proteso all'Africa, in particolare al Sudan meridionale.

Nel 1973 parve che il governo sudanese concedesse qualche permesso di rientro in Sudan ad alcuni missionari, in particolare fratelli e suore per il servizio ai malati di lebbra. Con i fratelli e le suore, doveva partire anche qualche sacerdote. A p. Santino fu proposto di tenersi pronto, e Dio sa con quanta gioia accettò tale invito.

Ma poi il governo strinse le corde e il permesso tanto aspettato non arrivò mai per cui p. Santino chiese ripetutamente di essere inviato in qualche altra parte dell'Africa. I superiori lo accontentarono.

In Kenya a battere un record

Dopo otto anni di permanenza in Svizzera, e un corso accelerato di inglese in Inghilterra, poté finalmente imbarcarsi per il Kenya. Giunse a Moyale nel dicembre del 1973.

E qui lasciamo la penna a p. F. Colombo: "Appena giunto in Kenya fu affidato alla diocesi di Marsabit dove è rimasto per 20 anni. I primi 10 li ha trascorsi come parroco della missione di Moyale, agli estremi confini del Kenya con l'Etiopia. Gli altri 10 è stato a fianco di mons. Ambrogio Ravasi come suo vicario generale con sede a Marsabit.

A Moyale p. Santino ha incontrato un ambiente difficile sia geograficamente che socialmente e religiosamente.

Geograficamente Moyale si trova a 850 Km da Nairobi al di là dei deserti del nord del Kenya. Vi si giunge mediante l'unica strada che per oltre 500 km non è asfaltata ed alle volte è impraticabile anche con la Land Rover. Inoltre questa pista va percorsa (almeno nel tratto Sololo-Moyale) in convoglio militare per via dei numerosi banditi che assaltano chi la percorre.

Socialmente la zona è a stragrande maggioranza musulmana con tutto quello che ciò comporta per la piccola comunità cristiana mai favorita e spesso emarginata.

Religiosamente oltre alla maggioranza musulmana vi sono molti Borana di religione tradizionale, pochi cristiani di altre denominazioni e solo 2.000 cattolici molti dei quali a dimora temporanea per motivi di lavoro.

La popolazione vive prevalentemente di commercio e di pastorizia, ed è condizionata dalle piogge scarse e irregolari. Il commercio è esclusivamente in mano ai musulmani.

P. Santino ha saputo resistere in tale ambiente con iniziative varie ed ottimismo per 10 anni, battendo il record di ogni altro missionario. Visitava periodicamente tutte le famiglie cristiane, riuscendo a farsi molti amici anche tra i musulmani".

Il Padre dei Borana

"Nonostante l'ambiente arido e alle volte ostile - prosegue p. Colombo - il Padre ha saputo trovare entusiasmo nel suo lavoro missionario. Quell'entusiasmo basato sul Vangelo e sulla Parola di Dio che alle volte suona così: 'C'è chi semina nel pianto'. Ed egli fu un buon seminatore. Quando, in seguito, tornava a Moyale fu sempre accolto come 'il Padre'".

La sua personalità era rumorosamente gioviale. Amava la conversazione aperta in cui aveva la possibilità di esprimersi spontaneamente. Sapeva creare immediatamente un'atmosfera di allegria e di buon sangue ovunque arrivasse. Carattere un po' burbero e alla buona, andava diritto all'essenziale e poteva incontrare difficoltà con persone un po' sofisticate e calcolatrici. La sua immediata spontaneità aliena da formalismi gli creava forse qualche problema con chi non lo sapeva accostare con piena apertura. Anche la sua facilità nel manifestare i suoi sentimenti è stata alle volte occasione di qualche malinteso. Era però fuori dubbio in lui la volontà costante di aiutare tutti per il maggior bene del Regno di Dio.

Uomo apparentemente tagliato giù alla grossa, era capace di attenzioni personali insospettate, manifestate con piccoli regali ed aiuti al momento opportuno; e non dimenticava i favori ricevuti. Generoso e ottimista per temperamento, era felice quando poteva aiutare qualcuno".

Vicario generale

Nel 1983 il vescovo di Marsabit, mons. Ravasi della Consolata, lo volle come suo vicario generale. P. Santino si trasferì allora nelle sede episcopale della diocesi. Il servizio doveva essere temporaneo, ma venne continuamente rinnovato per volere del Vescovo che trovò in p. Santino un amico instancabile e fedele.

La diocesi di Marsabit è costituita da una ventina di missioni sparse tra popolazioni dedite alla pastorizia, che seguono il loro bestiame, formato spesso da sole capre e cammelli, nei deserti del nord del Kenya.

Marsabit è una delle diocesi più vaste del Kenya. Le varie missioni sono collegate da piste di sabbia e polvere. P. Santino ha affrontato fino ai suoi ultimi giorni quei percorsi con la sua Land Rover (che spesso si insabbiava) per tenere i contatti con i vari agenti pastorali delle varie missioni. Un lavoro duro, sfibrante, alle volte da disperati ma è meglio dire da missionari zelanti ed eroici. In quei viaggi spesso mancava anche l'acqua da bere, oppure bisognava accontentarsi di quella un po' salata e inquinata che si trovava nei pozzi, con grave rischio per il fegato e i reni.

Quando nel 1993 i superiori chiesero al vescovo di Marsabit di lasciar libero p. Santino per una normale rotazione, questi scrisse una lunga lettera nella quale appare con evidenza la stima che nutriva verso questo nostro confratello. Riportiamo alcuni passi:

"Devo dire che è difficile per ora trovare in diocesi una persona che possa coprire questo importante e delicato ufficio (di vicario generale) e che abbia la stima e la fiducia della totalità del personale missionario non solo religioso, ma anche laico, della diocesi. E' stimato dai catechisti, dai leader e dalle autorità civili, dai padri della Consolata, dai sacerdoti Fidei Donum e dai membri di altri istituti e ancor di più dai miei giovanissimi e pochissimi sacerdoti autoctoni.

Mi sono sempre trovato bene con p. Santino, ci siamo stimati, ci siamo aiutati come fratelli, ci siamo accettati anche nei nostri limiti e difetti. E lui ha sempre adempiuto i propri doveri in modo generoso e leale, sentendosi parte viva ed interessata della diocesi e della famiglia comboniana. Si è sempre mantenuto vicino ai suoi confratelli anche se fisicamente era separato in quanto faceva comunità con me nella sede vescovile. Quanti confratelli venivano a trovarlo o di proposito o perché di passaggio!

Circa l'adempimento dei propri doveri come religioso e come vicario generale è sempre stato di esempio ai giovani. Ha mai tralasciato nulla e mi è sempre stato di valido aiuto per il suo equilibrio e per la sua saggezza, frutto di una lunga esperienza missionaria. Ha sempre ispirato in tutti fiducia e amore verso il Vescovo e tra i sacerdoti...

Per cui vi prego di lasciarmelo ancora per qualche anno. Tengo a precisare che non è in nessun modo lui a chiedere di rimanere. Anzi, lui è disposto a fare l'obbedienza, qualunque essa sia.

Intanto rinnovo i miei più sentiti ringraziamenti per quanto i missionari comboniani hanno fatto e ancora fanno e certamente faranno per l'evangelizzazione, la promozione umana e la crescita della nostra giovane ma pur sempre ancora tanto fragile Chiesa locale di Marsabit". E' veramente una bella lettera.

Pur lontano dalla comunità, p. Locatelli seguiva con attenzione l'attività dei propri confratelli partecipando a tutte le riunioni e per alcuni anni servendo anche come Consigliere provinciale.

Il Signore chiama

Nel 1994 il Signore cominciò a preparare p. Santino all'incontro con lui. La sua robusta salute segnò qualche incrinatura. Pur non diminuendo la sua intensa attività, lo si sentiva lamentarsi per la salute che non era più quella di prima. Cercava di auto-gestirsi con disinvoltura come aveva sempre fatto, ma ormai le cose precipitavano.

Finito il giro della diocesi per la consueta visita ai missionari, agli agenti pastorali e ai cristiani, dovette farsi ricoverare all'ospedale di Wamba per l'operazione di ernia. Seguì poi un fortissimo attacco di febbre malarica accompagnato da coliche renali che lo indebolirono all'estremo, mettendogli sotto sforzo anche il cuore.

Rientrato in Italia per riposo e per cure, la morte lo colse improvvisamente al suo paese natale, immediatamente dopo la celebrazione della messa domenicale.

"Siamo contenti di averlo qui nel nostro cimitero - scrive la sorella Gioconda. - Lo consideriamo un nostro protettore, non solo per la famiglia, ma anche per il paese che lo stimava e lo venerava perché si fermava a parlare con tutti, andava a trovare gli ammalati, scherzava con i ragazzi e raccontava loro tanti bei fatti di vita di missione.

Il suo spirito è con noi come è con il suo Istituto che tanto amava e con la sua missione di Marsabit di cui parlava sempre con tanto entusiasmo. Ci manca tanto, ma dal cielo non ci farà mancare la sua protezione. Questo rende meno dolorosa questa morte che ci ha così tristemente sorpresi".

Missionario tradizionale e tutto d'un pezzo, non conosceva dubbi circa la necessità e la validità del lavoro missionario, pur muovendosi in un ambiente dove i frutti erano scarsi e incerti.

A noi ha lasciato l'esempio di una vita missionaria vissuta in pienezza e con ottimismo, nella gioia che gli veniva dalla propria vocazione e con la tenacia che lo ha sempre distinto.

Dal cielo comunichi a noi un po' del suo spirito e interceda per i pastori nomadi del Kenya che ancora non conoscono il Vangelo.                    (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

Da Mccj Bulletin n.193, ottobre 1996, pp. 40-48

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The news of the sudden death of this confrere came like the blow of a thin, sharp blade: Fr. Santino had been home for a short holiday from his mission in the diocese of Marsabit, Kenya, where he was Vicar General. His sister Gioconda wrote: - the father had returned from Africa with a heart problem that had been with him for some time.

He was the second of four children, two boys and two girls. The family was working class: Antonio was a shoemaker and his wife Domenica Acquistapace, a homemaker. Poor, but with a long tradition of solid faith. A paternal uncle, don Giuseppe, had died as a military chaplain during the 1915-18 war.

Santino was a lively and cheerful boy. He became an altar server very young - don Gaspare, the PP, had to help him to move the missal over for the Gospel (as was done in those days).

After primary school, he entered the first secondary year in the school run by the curate, who noted the makings of a future priest in him.

Missionary vocation

But a missionary bishop passed through right at that time: Bp. Stoppani. He spoke to the boys and filled them with enthusiasm for Africa and those who were waiting for the Word of the Lord to be taken to them. Santino, always generous and spontaneous, said straight away that he could hear the voice of Jesus saying:  His sister remarks that his parents and the rest of the family were overjoyed, and prayed every day that he would not change his mind. The seminary fees were set at 400 lire a year: a pittance, it would seem, but a big sacrifice for the Locatelli parents.

So at the age of 12, on 11th September 1935, Santino entered the Scuola Apostolica of Padova. His character was still the same, and he was scolded now and then for being too boisterous. But he loved prayer, and had a special devotion for Our Lady, having learned it from his mother. He did well in his studies, because he was both intelligent and hard-working. Don Gaspare, the PP, noted that he spent the holidays . After Padova, Santino moved on to Brescia, where he continued to mature spiritually as he grew physically.

Novice at Venegono

Santino entered the Novitiate at Venegono on 6th August 1940. The Novice Master was Fr. Antonio Todesco. They were hard times, with the war getting into full swing and making things worse. Lots of work, lots of prayer, lots of sacrifices, and sometimes not enough to eat. Some of the novices became ill, but Locatelli's strong constitution stood him in good stead, though he did complain of pain in his knees because of the Winter cold and damp - or maybe, as the doctor said, because of all the kicks he had received playing football in his inimitable style at Brescia.

As we have said, Santino was very lively and spontaneous. These characteristics, though positive, could lead to superficiality and thoughtlessness. He was sometimes rough towards his companions and in his behaviour... He had the makings of a good frontiersman in the missions, of the type - as he indeed was in Southern Sudan - to hang on to the donkey's tail and be pulled along when he was too tired to walk any more, but needed to get to where a sick person waited.

"Strong character, rough and a bit uncouth," wrote Fr. Todesco. "He found it hard to settle at first, but soon saw what his duty was, and now works with commitment and conviction. He is very generous and self-sacrificing, ready to take the place of others in the hardest tasks. He loves his vocation and takes pleasure in prayer. Open with his superiors, he recognises his shortcomings and tries to improve. He will make a very good missionary."

With these credentials Santino, whom his fellow novices remember as one of the strongest and with the most stamina for the hard jobs - scything, carrying logs, shovelling snow - made his first Vows on 7th October 1942.

To the priesthood

He was a Scholastic at Verona for a year (1942-1943), then the city became too dangerous because of the bombing - and because German troops moved into the Mother House - and he went to Rebbio. He returned in 1945 to complete his Theology.

During that first year in Verona he did a nursing course in the hospital, and received a diploma as "Nurse and Medical Assistant in the Royal Italian Army". Many confreres did the same course, for two reasons: to go into the Medical Corps if called up, and because the Course - directed by Dr. Brugnoli, a great friend of the Institute - would always come in useful in Africa.

He was admitted to Holy Orders with all his qualities "intact": good will, unquestionable morals, obedient, a bit rough and noisy, a willing worker full of initiative, good piety and great spirit of sacrifice. His sincere desire to be a missionary priest and the good reports of superiors all along the line also added to the decision in favour, which was written by Fr. Capovilla. Fr. Santino was ordained in Verona on 6th June 1948 by Bishop Girolamo Cardinale.

Appointment: Gozzano

Fr. Santino was one of the first Combonis to live in the house at Gozzano, which had been bought from the Jesuits in 1947 for a Novitiate. He was appointed there on 12th July 1948 to be bursar. The first group of novices was supposed to enter in September. The house was in a sorry state, so the new bursar - luckily just the man for the job - rolled up his sleeves and attacked the house with pick, shovel and trowel.

 says Bro. Giuliani, one of the early novices at Gozzano, upkeep of the house. They were good years, because there was love. Fr. Santino liked to spend time with the Brother novices, with encouragement, advice... and being at the forefront when there was hard work to be done.»

After the brief period as superior of Fr. Egidio Ramponi, there followed Frs. Giovanni Giordani and Pietro Rossi, superiors and Novice Masters. Both noted that he was a very direct man, getting down to the point and sometimes skipping formalities.

Front-line missionary

At last the time came for Fr. Locatelli to go to Africa. And what a place: right to the front line in S. Sudan. At the end of 1953, aged 30, we find him at Mayen as assistant priest.

He found learning the language tough, but stuck to his studies with his characteristic determination, and appointed children to be his teachers. In the end, it did not take him long to manage - so he was entrusted with the parish and the schools.

Six years later he moved on to Warap, as parish priest and responsible for the schools (1960-1963), then went to do more of the same in Kwajok (1963-1964). But his missionary adventure in Sudan came to an end with the mass expulsion of the missionaries, a tremendous shock for Fr. Santino, who had come to love the land as his own.

Always content, or rather, enthusiastic

There are some accounts of this time in Sudan, written in mission diaries that were published in our Bulletin. We can gather from these sources that the Father was always full of enthusiasm for the missionary life. He was dedicated to his responsibility for the schools, even though he preferred safaris and direct ministry. He knew English quite well and Dinka perfectly, so was at ease with people. The elders looked on him as a wise man, and the youngsters were attracted by his lively character and his constant new ideas.

The diaries talk of going hunting for meat, and of the "miraculous" hauls of fish from the river, usually with the school children during the holidays. It was this close contact with them, demonstrating his deep love for the people (which they returned), that opened the hearts of the children, and then of the parents, who would end up by appreciating his Religion and ask for Baptism.

He was full of liveliness and optimism in community, though some confreres complained about his occasional "French"; and the balance was in his intense spirit of prayer and of almost extreme self-sacrifice.

He took on a lot of material work too. His time in Sudan came during a period of rapid expansion in the Mission. Buildings went up everywhere, special attention was given to schools, which were seen as the basis for the future governing classes in Sudan, as well as an indispensable element for the building up of an African Church ready to take on its own responsibilities.

He was rather strict when it came to correcting the children, though never too heavy with punishments; he saw them as a means of teaching them to mend their ways. So he never lost the esteem of the pupils: indeed, they saw him as a wise and balanced "chief".

He had Fr. Piotti and Bro. Bastianelli with him: a merry band who kept each other's spirits up. It was needed at times. Writing to Fr. Gaetano Briani in 1959, he notes: "Plenty of hunger here, and little rain. Wells dry, and the durrah is withering. But our work is progressing well, and we have a good number of catechumens. Best wishes for your Saint's day. I will remember you at Mass, and open a bottle of beer - though if it was Recioto, or even Bardolino, it would be a lot better for Fr. Santino."

The missionaries' life was full of pressures, and the burden was made worse by the lack of reinforcements from Italy, because the government, after Independence, began to tighten the screw at once, with restrictions becoming out and out persecution, up to the final mass expulsion.

Propagandist at Gordola

On his arrival in Italy, Fr. Santino was posted straight to Gordola, as superior and animator in that community of elderly and sick confreres. Since his health was still robust, he got down to going round the parishes in the area, to offer his ministry and find new friends for the Missions. He worked hard and enthusiastically, communicating his optimism to the community, even though his heart was still yearning for Africa, particularly Southern Sudan.

In 1973 it seemed the Sudanese Government would grant some permits for re-entry into Sudan, especially for Brothers and Sisters to work among leprosy sufferers. One or two priests would be allowed to go with them. Fr. Santino was told to hold himself in readiness, and his joyful acceptance of the invitation can be imagined. Unfortunately the Government slammed the door again, and the permit did not arrive. Fr. Santino began to beg the superiors to send him to some other part of Africa. Finally, his insistence brought what he wanted.

Beating a record in Kenya

After eight years in Switzerland, and a quick course in England to brush up the language, he finally set off for Kenya. It was December 1973. And here Fr. F. Colombo takes up the story:

s his Vicar General, living in Marsabit.

In Moyale he found a very difficult environment, from several points of view. Geographically, it is 850 km from Nairobi, beyond the northern desert. There is a single track to reach it, with no tarmac for over 500 km, sometimes impassable even for a Land Rover. Besides this, the stretch from Sololo to Moyale has to be covered in a military convoy, because of the many bandits who attack travellers.

Socially, the vast majority of the population in the area is Moslem, with all that is entailed for the tiny Christian community, never favoured and more often pushed aside.

As far as religion is concerned, besides the Moslem majority, many Borana still follow traditional religion; there are only about 2000 Catholics, many of whom are there because of their work; and very few of other denominations.

The people live mainly by trading or keeping animals, and the scarce, irregular rains affect their lives greatly. Trade is almost exclusively in the hands of the Moslems.

Fr. Santino was able to survive in those surroundings with optimism for 10 years, trying various initiatives, and lasting longer than any other missionary. He would do the rounds, visiting every Catholic family, and managed to make many friends among the Moslems, too.»

Father of the Borana

Fr. Colombo continues: Boisterous and friendly, he loved free conversations where he could say what he had in mind spontaneously. He always created an atmosphere of friendliness and good humour wherever he went. He was direct, and would get straight to the point - which made contact with people who were more reserved and calculating rather difficult: people had to handle him with the same openness. On occasions his manner caused misunderstandings, though his good will was never in doubt.

Despite the rough exterior, he had a gentle touch that could be surprising. He would give little gifts, or some help just when it was needed; and he never forgot a favour. Being naturally generous and optimistic, he found happiness when he was able to help someone.»

Vicar General

In 1983 the Consolata bishop of Marsabit, Ambrogio Ravasi, asked for him as Vicar General. Fr. Santino moved to the bishop's residence. It was meant to be a temporary service, but ended up by being constantly renewed at the request of the Bishop, who found in Fr. Santino a tireless and faithful friend.

Marsabit Diocese is made up of a score of parishes among a scattered and mainly nomadic population, who follow their herds of goats and camels all over the desert areas of northern Kenya. So it is one of the biggest dioceses in the country. The parishes are connected by dusty tracks. Fr. Santino drove along those tracks right to the end of his life, using a Land Rover (that often stuck in the sand) to keep contact with the various pastoral agents. Theirs was a difficult and exhausting task, fit only for maniacs, one might say - or rather, for zealous and heroic missionaries. The journeys were equally difficult. Often there was hardly any water, except for the liquid, a bit salty and more than a bit muddy, that was in the scattered wells - and a danger to liver and kidneys!

In 1993 the superiors asked the Bishop to free Fr. Santino for a period of normal rotation. In reply they received a long letter in which the esteem the bishop had for our confrere shows clearly. We quote some lines:

egarded by the catechists, lay leaders and civil authorities; by the Consolata fathers, the Fidei Donum priests and the members of other Institutes; and more still by my few and very young Kenyan diocesan priests.

I myself have always been happy with Fr. Santino. There is mutual esteem, we help one another like brothers, we get on well, even with our limitations and defects. And he has always carried out his duties generously and loyally, feeling that he is a living and involved part of both the diocese and the Comboni family.

In carrying out his duties as a religious and as Vicar General, he has always been an example to the young men. He never skipped anything, and his balance and wisdom - the fruit of his long missionary experience - have always been a great help to me. He has constantly inspired the people to trust and love their Bishop and clergy.

And so I beg you to leave him with me for a few years yet. I wish to point out that he has not asked in any way to remain. Indeed, he is willing to obey, whatever he is told to do.

In the meantime I repeat my heartfelt thanks for everything the Comboni Missionaries have done, continue to do, and certainly will do for the evangelization, human development and growth of our young and still very fragile local Church of Marsabit.»

As mentioned, Fr. Locatelli followed the activities of his confreres closely. He attended all meetings and even served as Provincial Councillor for several years.

The Lord is calling

In 1994 the Lord began to prepare Fr. Santino for their encounter. His robust health began to show some cracks. Though not reducing his intense activity, he began to complain that his health was not what it used to be. He tried to carry on regardless, but things were taking a turn for the worse.

After completing a tour of the Diocese for the usual visitations, he had to go into hospital at Wamba for a hernia operation. Then he had a violent attack of malaria with renal colic; this brought him to death's door, and must have strained his heart considerably. He returned to Italy for rest and recuperation, but death came suddenly, just after Mass on a Sunday, in his birthplace.

 writes his sister Gioconda. His spirit is with us, with his Congregation and with his mission in Marsabit, about which he always spoke with such enthusiasm. We miss him a lot, but he will be sure to look after us from Heaven. This makes his death a little less painful: it was such a tremendous shock!»

A traditional and consistent missionary, with no doubts about the worth and the necessity of missionary activity, even though he worked in an area that produced rather scarce fruit. He has left us an example of a missionary life lived fully and optimistically, in the joy he found in his vocation, and with the tenacity that came from his character. May he transmit some of his spirit to us from Heaven, and continue to intercede for his nomadic shepherds in Kenya.