In Pace Christi

Aveva 10 anni Giampiero Pini quando manifestò ai genitori il desiderio di entrare in seminario per diventare sacerdote. Della vocazione - per quanto si possa parlare di vocazione a 10 anni, ma Dio chiama dal seno materno - garantiva il coadiutore che seguiva il ragazzino fin dai primi anni delle elementari e lo vedeva espertissimo e disinvolto chierichetto, scorrazzante tra la sacrestia e il presbiterio. Ma nei momenti importanti sapeva anche essere devoto.

Benché fosse piuttosto mingherlino e basso di statura, aveva la grinta del capo. E come gli obbedivano i compagni!

In famiglia la scelta del figlio fu accolta con gioia perché il cristianesimo era praticato e vissuto senza rispetto umano. Papà Rinaldo, commesso in banca, prima di recarsi al lavoro assisteva alla prima messa in parrocchia; mamma Giovanna Chiodo si dedicava totalmente alla famiglia e sulle sue ginocchia i due figli che il Signore le concesse impararono le preghiere.

Nel 1936, dunque, Giampiero entrò nel seminario minore di San Pietro Martire dove frequentò le medie. Poi passò nel seminario di Seveso, che dista dal primo un centinaio di metri, per il ginnasio. Poi passò a Venegono Superiore dove avrebbe dovuto frequentare il liceo e la teologia.

Qui il Signore lo aspettava. Infatti conobbe ben presto i missionari comboniani che da Venegono Superiore, dove aveva sede il noviziato, andavano di tanto in tanto a parlare ai seminaristi milanesi. Giampiero, con i suoi compagni, andò anche a visitare il noviziato. Se era rimasto impressionato dai racconti di vita missionaria dei reduci dall'Africa, fu altamente edificato dal modo di vivere dei novizi che gli parevano tutti dei san Luigi. In seminario, inoltre, entrava abbondante la stampa missionaria che egli divorava con avidità.

"Missionario o non missionario?", era la domanda che cominciò ad assillarlo. Ne parlò col rettore e con il p. spirituale i quali esaminarono la cosa fino a concludere che la sua era vocazione autentica. Provò a parlarne con il papà. Salvati cielo!

"In questi ultimi tempi - scrisse Giampiero il primo agosto 1943 - ho dovuto sostenere una grande lotta con il papà. Dice che io sono matto, e che è stato il signor Rettore a mettermi in testa queste idee. Sono sicuro che le preghiere dei novizi aiuteranno me nel parlare ed il mio papà, se non proprio ad essere contento, almeno a rassegnarsi".

Se questi era orgoglioso di avere un figlio sacerdote, non era per niente del parere di vederlo missionario. Giampiero puntò tutte le sue batterie sulla mamma che divenne sua alleata, pur nella sofferenza, ed ella, sostenuta dal parroco mons. Bernasconi, tanto disse e tanto fece finché anche il marito si dimostrò contento della scelta del figlio.

Nella lettera di consenso, scritta il 30 maggio 1943 i genitori diedero il loro permesso solo se "i suoi superiori troveranno che è veramente chiamato alla vita missionaria".

Dobbiamo dire che, col passare degli anni, il papà fu addirittura entusiasta del figlio missionario tanto da permettere anche al secondo - se lo avesse voluto - di mettersi sulla stessa strada, e ne divenne un validissimo collaboratore.

Novizio

Dal seminario diocesano di Venegono, il 6 giugno 1943 Giampiero scrisse al cardinale di Milano la seguente lettera: "Eminentissimo principe, sono un chierico di quinta ginnasio che ha sentito chiaramente in cuore la voce del Signore che lo chiama allo stato religioso missionario. Chiedo pertanto a Vostra Eminenza Illustrissima e Reverendissima facoltà di lasciare il seminario per entrare col prossimo anno nel noviziato dei missionari comboniani a Venegono Superiore.

Assicuro Vostra Eminenza di aver pregato molto a questo riguardo, d'aver pensato e chiesto consiglio al direttore spirituale ed il permesso ai miei genitori i quali pregustano la gioia di aver un figlio missionario.

Mentre ringrazio l'Eminenza Vostra per tutti i benefici ricevuti nei vostri seminari, nutro certezza che questa mia supplica abbia ad essere esaudita. Prostrandomi al bacio della santa porpora, mi professo...".

Mons. Giovanni Colombo, rettore del seminario, assicurò che "la sodezza di questa vocazione missionaria è confermata dall'ottima condotta del giovane, dalla sua pietà squisitamente mariana, dal suo carattere mite e docile".

Nell'animo di Giampiero, tuttavia, c'era un velo di mestizia. Lo scrisse in una lettera del primo agosto 1943: "Al pensiero di darmi tutto al Signore per la salvezza dell'Africa provo tanta gioia, ma questa gioia è un po' offuscata dal pensiero di dover abbandonare i genitori. Però vorrò essere tanto e tanto generoso con Gesù che è stato tanto generoso con me".

Il 23 agosto 1943, Giampiero entrò nel noviziato di Venegono Superiore e subito si mise ad emulare il fervore dei novizi.

P. Antonio Todesco, maestro dei novizi, scrisse: "In principio trovò qualche leggera difficoltà, ma poi lavorò con calma e con generosa volontà. Il suo profitto è buono. La sua pietà non è esagerata, ma sinceramente convinta. Come carattere è generoso, tranquillo, adattabile, anche se sotto sotto è piuttosto vivace e irrequieto. Buono il desiderio di progredire nella virtù.

Obbediente e molto adatto per la vita comunitaria data la sua allegria e capacità di andare d'accordo con tutti. Durante il secondo anno di noviziato frequentò la prima liceo".

Cavoli, non fiori

Il 15 agosto 1945 emise la professione temporanea e andò a Rebbio (Como) per terminare il liceo. Scrive p. Villotti: "Ci siamo conosciuti a Rebbio, appena neoprofessi. Egli veniva da Venegono mentre io venivo da Firenze. Mi impressionò subito la serenità e cordialità che trasparivano in lui. Sapeva sempre portare una nota di gioia nelle conversazioni e in ogni circostanza".

P. Villotti ricorda un episodio curioso di questo periodo: "Pini era stato scelto come vicegiardiniere. Capo era Pons. Un giorno, passandogli vicino, mi disse ammiccando. 'Senti, Villotti, che ne dici delle idee del mio grande capo?' 'Quali idee?' 'Si è messo in testa di piantare qui astri e là zinnie. Non ti sembra che sarebbero più utili alla comunità cavoli e verze? Quando gli ho prospettato la cosa ha chiesto la mia rimozione dall'incarico perché non sono abbastanza poetico e niente affatto romantico'". L'episodio mostrò ancora una volta il carattere di Giampiero, uomo portato alle cose concrete e pratiche.

P. Cesana, superiore, scrisse di lui: "Buon scolastico, obbediente, di buono spirito religioso, aperto e docile. Qualche volta si adombra, ma poi gli passa subito. Ha il temperamento del capo. Nella scuola fa abbastanza bene. Salute buona. Fa sperare in una buona riuscita".

Un vero educatore

L'anno dopo fu inviato a Brescia come assistente dei ragazzi nel seminario minore comboniano. Era superiore p. Parodi. La sua testimonianza non si scosta molto da quella di Cesana: "Buono nel campo educativo dove si è mostrato di molte iniziative. Ha una spiccata tendenza alla direzione spirituale, desiderando e promuovendo conferenzine e piccole manifestazioni di comunità. Ha buone qualità e sono ben lieto di appoggiare la rinnovazione dei Voti".

Nel 1948 Giampiero era a Trento, sempre come assistente dei ragazzi di quel seminario. Erano con lui altri tre "prefetti" cioè Parolini, Belli e Villotti.

Chi scrive era giovane seminarista proprio a Trento. La prima cosa che c'è da dire sui quattro assistenti è il buon esempio che davano ai ragazzi per l'armonia, la carità, la serena amicizia che esisteva tra loro.

Si erano costituiti in una specie di società dal nome "PI.PA.BE.VI." dalle iniziali dei loro nomi (tre, purtroppo, sono già passati alla Casa del Padre). Le risate che facevano tra loro contagiavano i ragazzi che si sentivano spontaneamente inseriti in un clima di famiglia, di cordialità, di gioia, per cui la vita comunitaria e la disciplina, indispensabile per il buon andamento di un seminario, non pesavano affatto.

Meravigliose erano le iniziative che i quattro inventavano per tenere allegra, occupata e serena la comunità che contava un centinaio di ragazzi. Commedie, operette, canzoni, passeggiate, giochi all'aperto, ma anche lavoro nel prato e nell'orto... sono cose che a pensarci ancor oggi fanno rimpiangere gli anni del seminario. Davvero si era contenti e i nostri assistenti ci facevano gustare la vocazione missionaria e ci rendevano meno pesante l'impegno dello studio, della scuola e della disciplina.

Vita dura

Frequentavano le scuole del seminario diocesano. Era una bella passeggiata partire tutte le mattine, a piedi, da Muralta, scendere in città e ritornare verso le 13.00 per accompagnare i seminaristi al pranzo quando terminavano la scuola. Li vedevamo alla sera, dietro la tenda che separava il loro letto da quello dei ragazzi, che studiavano rischiarando la pagina con una minuscola lucetta.

Scrive p. Villotti: "A Trento, come prefetti dei nostri seminaristi, fondammo la società PIPABEVI della quale ora sono purtroppo l'unico superstite. Il fine della stessa era di dare alla casa, appena ricostruita dopo i bombardamenti della guerra, una sistemazione decorosa. Nel manifesto c'era scritto: 'daremo strade, canali e ponti al popolo'. Ma più prosaicamente dovevamo riempire i crateri lasciati dalle numerose bombe americane in tutto l'ampio terreno destinato a prato, campo, orto e a campo da gioco. E si lavorò con entusiasmo insieme ai seminaristi.

La PIPABEVI diventò anche fabbrica clandestina di birra per la gioia dei Padri e dei Fratelli, fra cui il caro p. Bernardo Sartori, venuto a Trento a predicare il Triduo e la Giornata Missionaria Mondiale del 1949. Pini era sempre l'animatore di tutte le iniziative. Era veramente bello collaborare con lui in ogni cosa che poteva rendere più serena la vita di comunità del piccolo seminario".

A Trento Giampiero ricevette gli ordini minori. Scrivendo al p. Generale che partiva per un viaggio in Africa, gli disse: "Faccia la carità di preparare un posticino anche per me, giacché fra tre o quattro anni spero di poter essere pronto per partire (26 ottobre 1948)".

Era bello anche il rapporto che esisteva tra gli assistenti e il superiore, p. Giorgio Canestrari, e anche con gli altri Padri e Fratelli. Insomma insegnavano agli alunni con l'esempio quanto bella fosse la vita di comunità vissuta come dovrebbe essere vissuta da futuri missionari.

Anche p. Canestrari ha lasciato la sua testimonianza, e la riportiamo volentieri: "Posso testificare la buona condotta di fr. Pini e il suo impegno serio nel suo ufficio di prefetto. Con i ragazzi ci sa proprio fare. E' un vero educatore e formatore di piccoli missionari. Li aiuta in modo efficace ad affrontare con generosità i sacrifici che la vita quotidiana impone, in vista dei grandi sacrifici della missione. E dà l'esempio.

Anche riguardo alla pietà l'ho sempre trovato sollecito nel compimento esatto di ogni suo dovere. Trento 6 luglio 1950".

Per l'ultimo anno di teologia, Giampiero si unì ai suoi compagni a Venegono Superiore (nel 1948 il noviziato era stato trasferito a Gozzano). Ricorda p. Villotti: "Quando in quarta teologia, benché diaconi, ci fu chiesto di incaricarci anche della pulizia della casa (cosa che prima non veniva richiesta ai diaconi per lasciare loro il tempo di recitare il breviario) alcuni ne fecero una tragedia. Pini, invece, accettò serenamente la cosa cercando anche di portare una nota di gioiosa obbedienza nei confronti del gruppo dei 'ribelli'. Ciò fu notato dallo stesso superiore, p. Medeghini, che disse: 'Con gioia ho constatato che tutti i diaconi, reduci dal servizio di assistenti nei nostri piccoli seminari, non hanno trovato nessuna difficoltà ad obbedire, ma anzi sono stati quelli che hanno cercato di far ragionare ed obbedire i ribelli, tutti del gruppo di coloro che erano rimasti sempre nello scolasticato'".

P. Pini venne ordinato sacerdote a Milano dal card. Idelfonso Schuster il 19 maggio 1951.

Vai a pagar debiti

I progetti di partire immediatamente per la missione furono smorzati dall'obbedienza che deviò p. Pini a Carraia (Lucca) dove esisteva un altro piccolo seminario comboniano, con l'ufficio di economo.

Il p. Generale, dandogli quella destinazione, gli aveva detto: "Vai per qualche anno a pagare i debiti della casa di Carraia, poi ti manderò in missione".

Quell'incarico non se lo sentiva addosso, tuttavia lo svolse con entusiasmo e competenza. L'economo, prima di amministrare i soldi della casa, doveva andarseli a guadagnare mediante la predicazione di giornate missionarie. P. Pini divenne missionario "itinerante" percorrendo i paesini della Lucchesia. Furono anni difficili, bisogna dirlo, perché gli spostamenti avvenivano con i mezzi pubblici o con la bicicletta. E c'era da portarsi dietro la pesante macchina per le proiezioni, i libri e la propaganda varia.

"Uomo un po' rude, ma di facile adattamento - scrisse il superiore p. Pietro Albertini. - Affabile e comprensivo, rotto al sacrificio e di compagnia. Cortese con gli esterni, caritatevole con tutti. Intensa vita interiore. Dopo un po' di tirocinio e di pratica potrebbe diventare un uomo di governo. Ne ha le doti di mente e di cuore".

Messico

Finalmente dopo quattro anni di quella vita, p. Pini scrisse al Generale: "Grazie all'aiuto della Provvidenza i debiti sono pagati e nella cassa c'è anche qualcosa di attivo. Vengo, quindi, a ricordarle la promessa fattami, e a chiederle il gran favore di mandarmi in missione. E' da tre anni che faccio, ogni domenica, giornata missionaria presentandomi come missionario, ma quando mi chiedono dove sono stato in missione, devo ritirarmi umiliato... E poi ho lasciato seminario di Milano per andare in missione. Sono disponibile per qualsiasi luogo. Finora mi hanno sempre detto: 'Faccia la volontà di Dio' e sono sempre pronto a farla. Spero, però, che questa santa volontà mi spinga verso la missione".

"Ho ricevuto la tua lettera, gradito saggio di impertinenza supermissionaria. Mi compiaccio con te per il tuo ardore missionario. Prega ancora un po'. Può darsi che la Madonna ti faccia la grazia".

E la grazia venne subito dopo. Infatti, nell'ottobre del 1954 p. Giampiero Pini era in Messico, a Sahuayo, con l'incarico di insegnante, economo, coadiutore; ma anche di propagandista e p. spirituale. P. Turchetti scrisse: "Sa fare tutto e bene".

Attivissimo e sempre ottimista, si fece presto benvolere e stimare da tutti.

Dopo l'esperienza di Sahuayo andò a La Paz come responsabile del collegio, ma intanto si scoprì anche giornalista, ed ecco che divenne primo direttore della rinata rivista missionaria "Esquila Missional", e direttore delle Pontificie Opere Missionarie del Messico.

Nel 1976 venne eletto superiore provinciale e vi rimase fino allo scadere del suo triennio.

Costa Rica

Nel 1979, al termine del suo mandato come provinciale, andò a San José di Costa Rica dove fondò un seminario comboniano.

"E' stato un privilegio averlo tra noi - hanno scritto i confratelli. - Impegnato, sempre contento e generoso, ricco di umanità e mosso dallo Spirito Santo fu modello e stimolo per i confratelli, i collaboratori, i sacerdoti e i laici".

Nel 1981, scrivendo a p. Franco Masserdotti, accennava a "quest'altra avventura per il Regno di Dio nel centenario di mons. Comboni".

"Domenica 8 marzo, presenti il p. Provinciale, i due padri che lavorano a Limón, come pure noi di San José, abbiamo avuto la visita dell'arcivescovo mons. Roman Arrieta Villalobos, che nella chiesa della Sacra Famiglia ha presieduto la santa messa, cui hanno assistito molti fedeli, inaugurando il nuovo postulato comboniano costaricano. I postulanti sono 10".

P. Pini lavorò bene in Costa Rica, ma il suo sguardo si protendeva in avanti. Aveva capito che il Centro America poteva dare tante e buone vocazioni.

Guatemala

Dieci anni dopo, nel 1989, insieme a p. Vincenzo Turri e a fr. Jesús Pérez diede inizio al lavoro comboniano in Guatemala. Fondò la parrocchia Nostra Signora del Miracolo e poi diede vita al Centro di Animazione Missionaria.

In una lettera al fratello Adriano descrisse gli inizi della sua vita in Guatemala: "Mi trovo in un mondo nuovo, il vero ambiente dell'America centrale, dove si notano più che in Messico i grandi contrasti tra persone ricchissime e una miseria tremenda. Abito in una parrocchia ai margini della città in una casetta umile e povera, ma il necessario non manca. Ho con me un fratello che mi aiuta tanto. La gente è buona e ci aiuta portandoci da mangiare fagioli, uova, tortilla, pan dolce, ecc.

Ci si imbatte continuamente in episodi di miseria e di delinquenza tremende. Ubriachi, drogati, delinquenti... che devono essere ricondotti alla casa del Padre. Questi vivono lungo un fiumicello che è come il confine della città, in catapecchie orribili... Non so come facciano a vivere e a mettere nello stomaco qualche cosa ogni giorno. In quei tuguri non manca, tuttavia, la televisione che li fa evadere dalla loro situazione. Alla domenica vado presso di loro per celebrare due messe e durante la settimana ne celebro un'altra durante la notte. Vedessi come mi accolgono volentieri!

Il nostro incarico è soprattutto quello di fondare un Centro di Animazione Missionaria e stiamo facendo i primi passi per trovare un posto in città. Come vedi, il compito è duro, però il Signore ci sta aiutando. Ho bisogno di tante orazioni perché chi fa il vero lavoro è il Signore, noi siamo solo dei poveri diavoli.

Nel nostro lavoro missionario c'è molto ottimismo e questo è il miglior condimento di tutto".

Il Rinnovamento dello Spirito

Una nota è rimbalzata più volte nell'attività di p. Pini: l'ottimismo, il giovanile entusiasmo anche di fronte alle difficoltà (e ne ha incontrate tante come è facile immaginare).

Qual è stato il segreto di questo ottimismo? E' stato ... lo Spirito Santo. Scrive p. Villotti: "In Messico, da quando scoprì il Movimento del Rinnovamento nelle Spirito Santo, la sua vita sacerdotale subì un cambio di qualità. Intendiamoci: è sempre stato un ottimo sacerdote, di preghiera, di sacrificio, di zelo esemplare. Ma quando ha incontrato questo Movimento il suo sacerdozio ne ha guadagnato molto. Lo Spirito Santo è diventato l'unico protagonista nel suo ministero. Egli si adoperò in tutto per non contrastare questo Spirito che soffiava. Me lo disse lui stesso un giorno: "P. Alberto, la mia vita si è riempita di luce e di gioia".

Solo il Signore conosce il gran bene che ha saputo fare in Messico, in Costa Rica e in Guatemala. Pur facendo parte di questo Movimento, ha sempre conservato un equilibrio spirituale e morale meraviglioso, senza cadere in quelle forme di fanatismo nelle quali, purtroppo, possono cadere alcuni sprovveduti. Insomma, p. Pini ha fatto rivivere nel suo ministero le meraviglie della Chiesa primitiva, quella degli Atti degli Apostoli. Questo, solo questo, spiega il successo della sua serenità e degli abbondanti frutti del suo ministero missionario".

Questa convinzione non lo dispensava dall'animare, orientare, guidare con mano ferma e... correggere. Proprio nello stile di san Paolo.

P. Piu ricorda che un giorno p. Pini gli ha detto: "Padre, mettiamo Gesù Cristo al centro del nostro lavoro, della nostra vita, non impediamo allo Spirito Santo di soffiare e vedrai che la Pentecoste non è finita". I fatti gli hanno dato ragione.

Tornare a casa

Quattro mesi prima della morte, p. Pini fu ricoverato all'ospedale per l'estrazione di alcuni calcoli renali mediante frantumazione. L'operazione andò bene e il Padre poté tornare al suo solito lavoro. Ma l'intervento gli lasciò una forte tendenza all'ipertensione. Intanto si svilupparono altri calcoli al fegato e l'ipertensione cominciò a toccare livelli preoccupanti. Lo si voleva operare ma in quelle condizioni era pericoloso.

Col passare delle settimane gli sbalzi di pressione gli procurarono dei piccoli ictus al cervello con paralisi della parte sinistra del corpo. Dopo 15 giorni di degenza all'ospedale poté tornare a casa ed essere in grado di muoversi sulla sedia a rotelle.

Il Padre percepiva che la situazione peggiorava ma, col suo solito ottimismo e forte volontà, era persuaso di farcela. Un giorno, però, fu colto da emorragia intestinale e da collasso. Riportato d'urgenza all'ospedale, si tentò tutto per salvarlo.

P. Piu racconta: "Tre giorni prima della sua dipartita, dopo averci fatto sperare che presto sarebbe uscito dalla crisi, si sentì male. A un amico e dirigente del Movimento carismatico disse che voleva tornare a casa.

`A casa Comboni?', chiese l'amico. ‘No, a quella lassù', aggiunse rinforzando il debole suono della voce con il gesto della mano e degli occhi.

Tornare a casa era la frase che più ascoltavamo da lui nelle nostre frequenti visite all'ospedale. E' il desiderio di ogni ammalato che si trovi all'ospedale, ma Dio trasformò quel desiderio in un grido di speranza di chi aspira alla dimora eterna nella casa del Padre.

La raggiunse nelle prime ore del pomeriggio di giovedì 8 giugno 1995, festa liturgica di Cristo sommo ed eterno sacerdote".

Come san Francesco Saverio

La morte lo ha colto nel pieno della sua attività, con l'agenda ancora zeppa di impegni. Aveva in mente di recarsi in Honduras per partecipare all'ECLA e poi, forse, per qualche altra fondazione comboniana. Gli rimase solo il desiderio negli occhi e nel cuore, come a san Francesco Saverio.

P. Pini è stato un missionario che ha saputo inserirsi meravigliosamente nelle problematiche della Chiesa latino-americana. Con la sua intelligenza e il suo intuito ha capito i tempi e i modi per un'efficace opera di evangelizzazione e di animazione puntando molto sul laicato nel quale credeva.

Dei suo 44 anni di sacerdozio, ben 40 ne ha passati in America latina. I confratelli lo definirono "un buon collaboratore dello Spirito Santo" per la sua capacità di capire l'importanza dei movimenti carismatici nei quali la parte principale è riservata appunto allo Spirito Santo che opera nell'interno degli uomini, cambia i cuori e così "rinnova la faccia della terra". Il suo corpo è rimasto nella terra dove ha lavorato, come seme di altre conquiste missionarie.

Se c'è un rammarico per aver perso un valido collaboratore, anzi spesso il motore di tante iniziative volte allo sviluppo umano, religioso e sociale della gente, siamo certi di avere un valido protettore in cielo. (P. Lorenzo Gaiga)

Da Mccj Bulletin n. 190, gennaio 1996, pp. 80-88

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Giampiero Pini was ten when he told his parents that he wanted to enter the seminary to be a priest. The curate gave an assurance that he had a vocation - insofar as one can talk of a vocation at the age of 10, although God does call people from their mother's womb - because he had kept an eye on the boy since he had started school, and knew him as an able and confident altar-boy, who would dash between the sacristy and the presbytery, although he knew how to be quiet and devout on the important occasions.

Although he was a bit small and skinny physically, he had great determination. And his companions all looked up to him!

In the family the son's choice was welcomed with joy; their Catholicism was lived and practised openly and unashamedly. Rinaldo, the father, who worked in a bank, would go to the first Mass on the way to work; and the mother Giovanna Chiodo gave her whole time to the family; it was at her knee that the two children the Lord gave her learned their prayers.

And so, in 1936, Giampiero entered the Junior Seminary of St Peter Martyr, where he started secondary school. Then he moved on to the seminary of Seveso, only a few hundred yards away, for grammar school. After that he continued to Venegono Inferiore to complete his studies of Philosophy and Theology.

And here the Lord was in wait. Very soon he got to know the Comboni Missionaries who came down from the Novitiate at Venegono Superiore to talk to the seminarians of the Milan Archdiocese. Giampiero went with his classmates to visit the Novitiate. If he had been impressed by the stories of life in the missions told by those who had worked in Africa, he was highly edified by the way of life of the novice, who seemed to him to be a group of Aloysius Gonzagas! Besides, a number of missionary magazines came into the seminary, and he read them avidly.

"To be - or not to be - a missionary?" This question began to pester him. He discussed it with the Rector and the Spiritual Director, both of whom concluded, after careful consideration, that he had a true vocation. Then he talked to his father. Talk about the cat among the pigeons...!

"During the past weeks," he wrote on 1st August 1942, "I have had a tremendous struggle with my father. He says I'm mad, and that the Rector has put me up to it. I am sure that the prayers of the novices will find me the words to say to Dad, and that he will become, if not happy, then resigned."

But if his father was proud to have a son a priest, he did not have the slightest desire to see him a missionary. Giampiero turned all his efforts towards his mother, and won her over to his side, despite the pain she felt. And she, with the able support of Mgr. Bernasconi, the Parish Priest, was able to work her husband round until finally he said that he was happy with his son's choice.

In the letter expressing their consent, on 30th May 1943, the parents put a proviso: they gave their permission only if "his superiors find that he is truly called to the missionary life."

It has to be said that, in later years, the father was enthusiastic about his missionary son, and became a fervent supporter; so much so that he would have allowed his second son to follow the same path, had he wanted.

Novice

On 6th June 1943, Giampiero wrote to the Cardinal of Milan: "Most Eminent Prince, I am a cleric in the 5th Form, and I have heard clearly in my heart the voice of the Lord calling me to the state of a religious and missionary. So I beg your Most Illustrious and Reverend Eminence for the faculty to leave the seminary and enter the Novitiate of the Comboni Missionaries at Venegono Superiore at the start of the next academic year.

I assure Your Eminence that I have prayed a lot over this matter, have given it much thought, and have asked the advice of my spiritual director and the permission of my parents, who are looking forward to the joy of having a son a missionary.

While thanking Your Eminence for all the good things I have received in your seminaries, I feel certain that this petition will be granted...."

Mgr. Giovanni Colombo, Rector of the Seminary, gave his assurance that "the soundness of this missionary vocation is borne out by the excellent behaviour of the young man, by his exquisitely Marian piety, and by his meek and docile character."

But there was a veil of sadness in Giampiero's heart. He expressed it in a letter at the beginning of August:

"The thought of giving myself wholly to the Lord for the salvation of Africa fills me with great joy; but it is slightly obscured by the thought that I must leave my parents. Nevertheless, I want to be absolutely generous towards Jesus, who has been so generous with me."

On 23rd August 1943, Giampiero entered the Novitiate at Venegono Superiore, and immediately set out to imitate the fervour of the novices.

The Novice Master, Fr. Antonio Todesco, wrote: "At first he found it a bit difficult, but he got down to work, calmly and with generous good will. He has made good progress. His piety is not exaggerated, but carries sincere conviction. In character he is generous, quiet, adaptable, although beneath all that he is rather lively and restless. His desire to make progress in virtue is strong.

He is obedient and quite fit for community life, since he is cheerful and able to get on with everybody. During his second year in the Novitiate he has attended the first year of Sixth Form."

Cabbages, not flowers

He made his First Profession on 15th August 1945, and went to Rebbio (Como) to complete Sixth Form. Fr Villotti writes: "We met at Rebbio, both newly-professed. He came from Venegono, and I from Florence. I was immediately struck by the serenity and cordiality that shone in him. He was always able to add a note of joy to conversations, and in other circumstances."

Fr. Villotti recalls an amusing episode from this period: "Pini had been appointed vice-gardener; the head was Pons. One day, as I passed by, he winked at me and said, the poetic feeling, and no romance whatsoever!»" The episode does shed light on Giampiero's character, that tended towards concrete and practical things.

The superior, Fr. Cesana, wrote about him: "He is a good scholastic, obedient, with a good religious spirit, open and tractable.

Sometimes he gets annoyed, but it passes quickly. He has the temperament of a leader. He does quite well at school. Good health. Very promising; he should succeed."

A true educator

The following year he went to Brescia to be "Brother Assistant" of the boys in the missionary seminary. The superior was Fr. Parodi. What he has to say is very similar to Cesana's views: "Good as an educator, full of initiatives in this field. He has a clear aptitude for spiritual guidance, and is keen on organising little talks and other community activities. He has a lot of good qualities, and I am very happy to support his application to renew his Vows."

In 1948 we find Giampiero in Trento, again as Assistant of the seminarians there. There were three other "prefects" with him: Parolini, Belli and Villotti.

The writer was a young seminarian at Trento at that time. The first thing that has to be said about the four Assistants is that they gave great example to the boys through the harmony, the kindness and the serene friendship that existed among them. They had formed a kind of band, called "PI.PA.BE.VI." from the first syllables of their names (and three of them have already gone to the House of the Father). The way they laughed together gave the boys a spontaneous feeling of belonging to a family, with an atmosphere of cordiality and joy; hence community life and discipline, which are essential for the good running of a seminary, were not a burden at all.

The ideas the four thought up to keep the group of about 100 boys happy, busy and contented were marvellous. Comedies, operettas, sing-alongs, hikes, games in the open air - but work in the fields and the gardens too - fill one's mind with a certain nostalgia for the years of the junior seminary. We were really content, and our Assistants made us enjoy our missionary vocation, and made the commitments to study, school and discipline much easier to bear.

A hard life

They themselves studied at the diocesan seminary. It was quite a walk every morning, leaving Muralta to go down into the city, and come back up towards 13.00 to take the seminarians in to lunch when they came out of classes. We would see them at night, behind the curtain that separated their beds from those of the boys in the dormitory, studying by the light of a little torch.

Fr Villotti writes: "In Trento, as prefects, we founded the PIPABEVI GROUP of which, alas, I am the sole survivor. Its aim was to tidy up around the house, which had just been rebuilt after the bombing during the War, and make it look decent. Our poster declared, but what it amounted to was filling the craters left by American bombs in all the area destined to be a meadow, a garden and a playing field. And we and the seminarians worked with enthusiasm.

PIPABEVI also became a secret brewery, to give joy to the hearts of the Fathers and Brothers, among whom was dear Fr. Bernardo Sartori, who came to Trento to preach the Triduum and World Mission Day in 1949. Pini was always the one who started off our initiatives. It was a real pleasure to collaborate with him in anything that could make the community life of the junior seminary more pleasant."

Giampiero received Minor Orders at Trento. He wrote to the Superior General, who was leaving for a visit to Africa: "Be so kind as to prepare a little place for me, because in three to four years I hope to be ready to leave myself" (26th October 1948).

There was also a very good relationship between the Assistants and the Superior, Fr. Giorgio Canestrari, and the other fathers and brothers. All in all, they taught the students by their example how wonderful community life is, when lived as it should be by future missionaries.

Fr. Canestrari made his comments too: "I can vouch for the good behaviour of Bro. Pini, and his serious commitment to his office of prefect. He really knows how to deal with the boys. He is a true educator and formator of young missionaries. He is effective in helping them to be generous in facing the sacrifices that daily life brings, as a preparation for the big sacrifices in the missions. And he leads by example.

As regards piety, too, I have always found him careful to carry out all his duties. Trento, 6th July 1950."

For the final year of Theology Giampiero joined his classmates at Venegono Superiore (the Novitiate had been transferred to Gozzano in 1948). Fr. Villotti recalls: "In the fourth year, although we were Deacons, we were asked to take charge of the cleaning of the house (which previously had not been asked of the Deacons, to leave them free to say their Office), and some made a real song and dance over it. But Pini took it all calmly, and even tried to bring in a note of joyful obedience to win over the "rebels". The superior, Fr Medeghini, noticed this; he said: t never left the scholasticate.»"

Fr. Pini was ordained priest in Milan by Cardinal Idelfonso Schuster on 19th May 1951.

Go to pay the debts

The aim of an immediate departure for the missions was killed off by the assignment that detoured Pini to Carraia (Lucca), where there was another Comboni junior seminary, as bursar.

In assigning him there, Fr. General told him: "Go to pay the debts at Carraia for a few years, then I'll send you to the missions."

He did not feel he fitted the job, but he carried it out competently and with enthusiasm. The Bursar, before managing the money of the house, had to go out first and earn it through Mission Appeals. Fr. Pini became an "itinerant missionary", making the rounds of the parishes in the Lucca area. It must be said that they were hard years, because all travelling had to be done by public transport or bicycle - taking along the heavy projector, books and various promotion materials.

"He's a bit rough and ready, but very adaptable," wrote Fr. Pietro Albertini, the superior. "He is kind and understanding, used to making sacrifices, good company. Courteous towards people, and kind to everybody. An intense interior life. After a bit of training and practice, would make a good superior; he has the qualities of mind and heart for it."

Mexico

At last, after four years of that life, Fr. Pini wrote to the General: "With the help of Providence the debts are paid and there is something in the safe. So I am writing to remind you of the promise you made, and beg the great favour of being sent to the missions. I have been making Mission Appeals every Sunday for the past three years, presenting myself as a missionary; but when asked where I had been in the Missions, I had to retreat in disarray... and besides, I left the Milan seminary to go to the Missions. I am ready to go anywhere. Up to now I have always been told: and I am always ready to do it. But I hope that this holy Will sends me off towards the Missions!"

"I have received your letter, a welcome sample of super-missionary impertinence. I congratulate you on your missionary ardour. Pray a bit more. Maybe Our Lady will obtain this grace for you."

And the grace came immediately. Indeed, by October 1954 Fr Pini was already in Mexico, at Sahuayo, with the tasks of teacher, bursar and assistant - with promotion work and spiritual direction thrown in for good measure. Fr. Turchetti wrote: "He can do anything, and does it well."

Being very active and always optimistic, he soon won everybody's goodwill and esteem.

Following the period at Sahuayo he went to La Paz as Principal of the college, and discovered a calling towards journalism, thus becoming the first editor of the resurrected missionary magazine, "Esquila Missional", and also national director of the Pontifical Missionary Works in Mexico. In 1976 he was elected Provincial Superior, and served out his mandate in Mexico.

Costa Rica

At the end of the three years, in 1979, he moved to San José in Costa Rica, where he founded a Comboni seminary.

"It has been a privilege to have him among us," wrote his confreres. "Committed, always content and generous, rich in humanity, guided by the Holy Spirit, he was a model and a stimulus for confreres, collaborators, priests and laity."

Writing to Fr Franco Masserdotti in 1981, he alluded to "This new adventure for the Kingdom of God, in Bishop Comboni's Centenary year.... On Sunday 8th March, the Provincial, the two fathers who work at Limón and we from San José, have had a visit from Archbishop Roman Arrieta Villalobos, who presided at Mass in the Holy Family church, with a crowd of people, and inaugurated the Comboni Postulancy in Costa Rica. There are 10 postulants."

Fr. Pini did good work in Costa Rica, but he was already looking ahead. He had realised that Central America could give many good vocations.

Guatemala

Ten years later, in 1989, he started Comboni Missionary activities in Guatemala, along with Fr. Vincenzo Turri and Bro. Jesus Perez. He founded the parish of Our Lady of Miracles and then started the Missionary Animation Centre.

In a letter to his brother Adriano, he described the beginnings in Guatemala. "I am in a new world, the real Central America, where the differences between the very rich and tremendous poverty are much more noticeable than in Mexico. I live in a parish on the outskirts, in a small, modest house; but I have all I need. There is a brother with me who is a great help. the people are good, and bring us beans, eggs, tortillas, cake, etc.

We keep coming across tremendous cases of hardship and delinquency. Drunks, drug-addicts, criminals... who must be brought back to the Father's house. They all live along a stream that practically marks the city boundary, in dreadful hovels. I cannot make out how they live, or put something in their stomachs each day. Yet in those shacks they have TV, that takes them out of their miserable world. On Sundays I go over to them and celebrate two Masses, and during the week I celebrate another at night. You should see how they make me welcome!

Our chief task is to found a Centre for Missionary Animation, and we are taking the first steps to find a site in the city. As you see, it is a difficult job, but the Lord is helping us. I need a lot of prayers, because the one who does the real work is the Lord; we are just poor devils.

But there is a lot of optimism in our missionary work, and that gives a good taste to everything."

Renewal in the Spirit

It is a mark that stands out frequently in Fr. Pini's activities: the optimism, the youthful enthusiasm even in the face of difficulties (and he met with many, as can easily be imagined). What was the secret of this optimism? Well, it was simply... the Holy Spirit.

Fr. Villotti writes: "In Mexico, when he discovered the Movement for Renewal in the Spirit, his priestly life underwent a change in quality. Let us be clear: he was always an excellent priest, a man of prayer, of sacrifice, of exemplary zeal. But his priesthood gained immensely from the encounter with this Movement. The Holy Spirit became the main actor in his ministry. He made every effort not to get in the way of the Spirit blowing in him. He told me himself one day:.

Only the Lord knows all the good he was able to do in Mexico, in Costa Rica and in Guatemala. While belonging to the Movement, he still kept a wonderful spiritual and moral balance, without falling into the forms of fanaticism that, unfortunately, capture lesser-equipped souls. In a word, Fr. Pini brought the wonders of the early Church back to life in his priestly ministry - the Church of the Acts of the Apostles. This, and only this, can explain the success of his serenity and the abundant fruits of his missionary ministry."

And his convictions still allowed him to animate, direct, guide with a firm hand and... correct. In the true style of St Paul.

Fr. Piu remembers that once Fr. Pini told him: "Father, let us put Jesus Christ at the centre of our work, of our life; let us not stop the Holy Spirit from blowing, and you will see that Pentecost is not over yet". And facts have proved him right.

Returning home

Four months before his death, Fr. Pini went into hospital to have some kidney stones removed by closed surgery. The operation went well, and the father went back to his normal activities. But a tendency to high blood-pressure had remained. Then other stones were found in the liver, and the blood-pressure began to climb to  worrying levels. It was too dangerous to attempt an operation in those conditions.

The continual ups and downs in pressure caused a series of slight strokes, which led to a paralysis down the left side. He spent a fortnight in hospital, then was able to return home, though he needed a wheelchair to get around.

Fr. Pini could see that things were getting worse, but with his usual optimism and his will-power, he felt he could get the better of his troubles. However, one day he had an internal haemorrhage, which caused a complete collapse. He was rushed to hospital, where every effort was made to save him.

Fr. Piu narrates: "Three days before he died, after assuring us that he would soon have overcome the crisis, he began to feel worse. He told one of his friends from the Charismatic Movement that he wanted to return home. - adding a slight movement of his hand and eyes to the weak voice.

Returning home was the expression we heard most often from him on our frequent visits to the hospital. It is the wish of every patient, but God changed the words to a cry of hope of one who is looking forward to the eternal dwellings in the House of the Father. He reached it in the early afternoon of Thursday, 8th June 1995, the liturgical feast of Christ, the Eternal High Priest.

Like St Francis Xavier

Death took him at the height of his activities. His diary was full of appointments and commitments. He intended to go to Honduras for an ECLA meeting and, maybe, for another Comboni foundation. Like St Francis Xavier, he was left with the desire in his eyes and in his heart.

Fr. Pini was a missionary who was able to grasp all the problems of the Church in Latin America. His intelligence and intuition enabled him to choose the time and the method for an efficient evangelisation and promotion, depending a lot on lay people: he had great faith in the laity.

Of his 44 years as a priest, he spent 40 in Latin America. His confreres called him "a good collaborator of the Holy Spirit", because of his ability to grasp the importance of the charismatic movements, in which the main action is precisely that of the Holy Spirit who works in the souls of men and women, transforms hearts, and thus "renews the face of the earth". His body lies in the land where he worked, as the seed for other missionary successes.

Though there is regret at having lost a valid collaborator - indeed more often the engine that drove many initiatives for the human, social and religious progress of the people - we are sure that we have a valid protector in heaven.