Con la scomparsa di p. Roberto Cona è venuto meno il "corrispondente" attento e fedele del secondo piano di Casa Madre dove sono ricoverati una ventina di missionari malati.
E' venuta meno anche la voce che, ogni giovedì o quasi, faceva un commento puntuale e ricco di spunti ascetici e di attualità al vangelo della domenica attraverso Radio Maria. Per questo suo ministero il Padre si è fatto stimare, amare e rimpiangere da mezza Italia, e ha potuto realizzare se stesso come sacerdote e come missionario.
Di lui ci sarebbe da dire molto, anche perché - consapevole delle fatiche dell'incaricato dei necrologi per scovare notizie sul "de cuius" di turno, e pienamente consapevole della sua prossima fine, - si è premurato di redigere una cinquantina di fogli dattiloscritti sulla sua vocazione e attività missionaria. Ma anche le numerose testimonianze giunte ci dicono l'impatto positivo che ha avuto sui confratelli e sulla gente, specie per i due grandi amori che, da alcuni anni, pilotavano la sua vita: l'Eucaristia e la Madonna.
Infanzia sofferta
"Io sono nato a Verona, in via Cimitero austriaco n 33 (ora via Forte Procolo n 5) terzo di 5 fratelli, figli di Giovanni Cona, ortolano, e di Pasetto Carolina, una donna dolcissima ed abilissima in tutte le faccende di casa.
La mia mamma - che io conobbi troppo poco perché morì quando avevo 5 anni - era una santa, stando a quanto mi hanno detto. Spirò tre giorni dopo aver dato alla luce il quinto dei miei fratelli. Sul letto di morte raccomandò al papà di tirar su i figli nel santo timore di Dio. Per questo frequentammo le scuole presso le Orsoline di S. Zeno.
Senza la mamma, la vita era triste assai, anche se il papà, i nonni e gli zii facevano del loro meglio per esserci vicino", scrisse il Padre.
In casa Cona si è sempre pregato e nessuno perdeva la messa domenicale. Il primo venerdì del mese era una tradizione consolidata e irrinunciabile.
P. Roberto serbava in cuore alcuni ricordi della sua prima infanzia... quando, per esempio, la mamma andava sulla riva dell'Adige a lavare la biancheria e il papà rompeva il ghiaccio con la mazza perché potesse raggiungere l'acqua... o quando, durante il Congresso eucaristico di Verona del 1938, sfuggì alla sorveglianza della mamma e, dopo aver camminato in testa alla processione, si perse in mezzo alla folla e quasi morì di spavento, finché fu ritrovato.
Nel 1942 il papà si risposò con Tomaroli Elisabetta. Proprio in quell'anno il fratello Luigi entrò dai Comboniani (poi è uscito), seguito, l'anno dopo, da Vittorino, ambedue attratti dall'esempio dello zio p. Ettore Pasetto che dal 1934 era missionario in Sudan.
Dopo il famoso 8 settembre 1943 Roberto vedeva dalla sua casa le armate tedesche che scendevano dal Brennero. Papà Giovanni si prestava con la sua barca a traghettare i soldati italiani in fuga dalle caserme, rischiando ogni volta la vita. Cominciarono anche i bombardamenti americani, l'urlo delle sirene e le fughe improvvise... e in casa mancava tutto, perfino la polenta.
La vocazione
Negli ultimi due anni di elementari (1944-1946) Roberto frequentò l'Oratorio di San Zeno e lì conobbe il comboniano p. Germano Pilati che, non potendo partire per le missioni, dava una mano in parrocchia. Un giorno Roberto gli si avvicinò e gli disse in un orecchio: "Anch'io voglio diventare missionario".
Qualche giorno dopo p. Carlo Cappelletti, allora incaricato delle vocazioni, andò in casa Cona e parlò con Roberto che era a letto ammalato, col papà.
"In questa mia scelta comboniana fu determinante l'esempio di p. Pilati - scrisse p. Roberto. - Prima della mia entrata in seminario, fui un vero discolo: disobbediente, senza voglia di lavorare, deciso a diventare un fruttivendolo, bisticcione con i miei cugini, ladruncolo di frutta altrui...".
Nell'ottobre del 1946, con una valigetta di cartone e pochi indumenti preparati dalla seconda mamma, Roberto entrò nel seminario comboniano di Padova dove già c'erano due dei suoi fratelli: Luigi e Vittorino. Il seminario aveva sede a Luvigliano, essendo la casa di via S. Giovanni di Verdara troppo vicina alla stazione ferroviaria, in restauro per le conseguenze dei bombardamenti.
"Eravamo in 31 in prima media. Arrivammo al sacerdozio in due e ora io solo sono ancora tale. E non ero né il più buono, né il più bravo", scrisse.
Sono il peggiore
Curiose sono alcune letterine che, in questo tempo, scrisse al superiore per chiedere perdono delle marachelle che combinava...
"8 - 4 - 48. In questa lettera voglio dirle tutte quelle cose che mi pare bene dirle. Con le mani giunte le chiedo perdono di quella brutta risposta che le ho dato. Da due giorni sono triste e mi vedo in un oceano di difficoltà... Tutti mi dicono: 'Potresti fare di più, potresti essere migliore', e hanno ragione anche se in questi due ultimi mesi ho fatto tutto il possibile per correggermi al punto di restare perfino senza pane o senza frutta e qualche volta anche senza pietanza per castigo alle mie sventatezze, ma non vedo alcun risultato... Io sono un verme schifoso in confronto ai miei compagni. Essi si sforzano e sono bravi, mentre io... Sono rabbioso come un cane e non risparmio nessuno. Se faccio bene mi vanto, se faccio male lo nascondo. Se non ci fosse l'Eucaristia e la mia mamma in cielo, sarei perfino fuggito perché non riesco a corrispondere alla grazia di Dio. Come lei mi disse, sono disordinatissimo, ed è vero; confusionario al cento per cento, ed è vero. Se avessi mia madre sarei più ordinato, più obbediente, più caritatevole. Padre, lei non può immaginare quanto sia doloroso perdere a sì giovane età il più grande sostegno della vita. Io l'ho provato e soffro e piango. Se non ci fosse la Madonna, che ora ho scelto per mamma, sarei fuggito per la vergogna e non sarei più in questo divin fabbricato. Sono contento di esserci, anzi contentissimo, e il Signore mi dà tutte queste croci per provarmi... Essendo sacrestano sono al miglior posto possibile mentre molti miei compagni, più buoni di me, ne sono esclusi... Accludo un foglio per la risposta".
Per un ragazzo di 13 anni, maturato alla scuola della sofferenza, questa è una lettera che dice molto.
Anche più avanti, da sacerdote, Roberto avrà dei simili momenti di "depressione spirituale" derivanti, secondo il parere dei superiori, da un basso sentire di sé; insomma, da un ben radicato principio di umiltà.
Gesù mio amico
Fece parte del coro della cattedrale di Padova, coprì l'incarico di sacrestano nella cappella dei seminaristi e si prestava per rappresentazioni teatrali. Quanto a studio se la cavava bene, tanto che poté dedicarsi anche alla musica, imparando a suonare l'harmonium e l'organo.
"Ragazzo di bella intelligenza - scrisse il superiore, p. Giacomelli - volonteroso, deciso. Si applica bene nello studio. E' di tanta iniziativa, ma tanto sensibile e per natura irascibile. Alquanto trascurato e un po' permaloso".
Dal 1949 al 1951 fu a Brescia, nell'Istituto Comboni, per il ginnasio. "A Brescia compresi meglio la vocazione missionaria e ho imparato meglio a studiare. Mi piacevano le meditazioni del p. spirituale, p. Dalvit, e le conferenze del superiore, p. Parodi, poi ambedue vescovi. Decisivo fu un corso di esercizi predicato da p. Cirillo Tescaroli.
Durante le vacanze, Roberto diventava uno zelante propagandista della stampa missionaria. Nei 20 giorni di permanenza in famiglia riuscì a trovare 130 abbonamenti a Nigrizia e vinse il primo premio: 30.000 lire, un bell'aiuto per il papà che faticava a pagare la retta del seminario. Durante il periodo bresciano ci fu il pellegrinaggio a Roma per l'Anno Santo.
Le cose che maggiormente lo impressionarono in quel viaggio non furono le Basiliche romane, le catacombe o il Colosseo, ma lo stupì il pittoresco vociare di un certo Beppe nel Battistero di Pisa (dove la comitiva aveva fatto tappa), per far "gustare" l'acustica ai turisti.
"Beppe, l'acustica!" gridava la guida. E l'altro gridava: "oh, oh, oh". Vai a capirli i ragazzi!
Novizio
Terminato il ginnasio, Roberto fu inviato nel noviziato di Firenze. Si era nel settembre 1951. "Così terminarono le preoccupazioni economiche per il mio papà che non ce la faceva a pagare la misera retta", scrisse.
Per lui i due anni di noviziato costituirono un periodo bellissimo, caratterizzato da continui atti di generosità (cominciando da quello di lasciare fuori dalla porta la Gazzetta dello Sport, suscitando le risa dei compagni e dello spazzino comunale presente alla scena).
Il nostro novizio rimase impressionato da un predicatore degli esercizi, un gesuita che aveva il dente avvelenato contro le donne. In una predica aveva gridato: "Ti ringrazio, Signore, che non mi hai messo vicino nessuna strega". Commento di Roberto: "Io soffrii dentro, pensando alla bontà e alla dolcezza delle mie due mamme Carolina ed Elisabetta. Per me erano angeli, non streghe".
P. maestro era p. Audisio. Scrisse di lui: "Ricco di buoni propositi, di santi entusiasmi che depongono a favore della bontà del novizio. Conscio dei suoi doveri, ne sente la responsabilità. Sente al vivo le leggere inosservanze, gli pesano e lotta per eliminarle. Ottimo criterio, intelligenza aperta e superiore alla media, applicazione lodevole. Bravo musicista perfezionatosi anche durante il noviziato. Carattere espansivo, generoso, focoso, un po' autoritario. Dice ciò che pensa senza paura e senza complessi. Sarà un ottimo missionario". Emise i primi Voti il 9 settembre 1953.
Verona, Crema, Portogallo
Nello scolasticato di Verona Roberto incontrò come superiore p. Igino Albrigo "un vero papà" e un gruppo di professori molto comprensivi. Fu eletto organista e, alla domenica, andava a fare catechismo nel villaggio dell'Oca Bianca, una zona molto depressa alla periferia della città. Qui risaltò il suo zelo per aiutare tanti poveri ragazzi incamminati sulla via del latrocinio e della violenza.
Alla fine della seconda liceo si buscò un brutto esaurimento per cui fu inviato a Crema come assistente dei piccoli seminaristi comboniani. Si dedicò al canto, alle rappresentazioni teatrali e alle attività ricreative. Dimostrò che con i ragazzi ci sapeva fare.
Ritornato a Verona ritemprato nella salute, trovò una bella novità. Insieme ad un compagno, era destinato al Portogallo per fare l'assistente ai seminaristi comboniani di Viseu.
Durante le vacanze del 1956 imparò i primi rudimenti della lingua portoghese e il 12 agosto dello stesso anno partì in treno per la nuova destinazione.
Due avventure segnarono quel viaggio: i due polli cotti che le suore avevano dato ai due partenti, con tutto quel caldo marcirono infettando lo scompartimento del treno. Per non buttarli (temevano di mancare alla povertà e poi ... non c'era altro da mangiare) li mandarono giù turandosi il naso. Poco dopo furono presi da vomito e dolori di pancia con le conseguenze che tutti possono immaginare.
Seconda disavventura: alla dogana, dai sorrisi maliziosi delle guardie Roberto capì che il suo nome voleva dire burattino e il cognome "Cona" salvati cielo! era una gran brutta parolaccia, sicché, giunto a destinazione, dovette cambiare nome e anche cognome.
Tre presepi, tre operazioni
Dall'agosto del 1956 al settembre 1959 fu a Viseu, come assistente dei seminaristi comboniani.
Il giorno dopo l'arrivo, il superiore p. Calderola disse ai due nuovi arrivati di approfittare di quello scorcio di vacanze per preparare, a Lisbona, un bel presepio con luci, movimenti e scenari.
"Nessuno dei due sapeva niente di falegnameria, di elettricità, di meccanica... e inoltre anche la lingua era piuttosto incerta. S. Giuseppe deve aver avuto compassione di noi se il presepio ebbe un successo strepitoso e ci permise di mettere insieme una buona somma di cui il seminario aveva estremo bisogno.
Il presepio fu ripetuto anche negli anni seguenti. Pur usando materiale inadeguato e fili elettrici scoperti o rabberciati alla meglio, non successe mai nessun disastro, anzi, tutto funzionò alla perfezione fino alla fine.
In quegli anni - prosegue p. Roberto - subii tre operazioni all'ernia: una ogni presepio. I corsi teologici ebbero luogo nel seminario diocesano lontano appena 500 metri da casa. E andarono sempre bene".
Una botta in testa
Ma non mancò una particolare sofferenza. Quando nel 1957 il fratello Vittorino venne ordinato sacerdote comboniano, il superiore non permise a Roberto di andare in Italia, anche se i familiari erano disposti a pagargli il viaggio. "Ne soffrii molto e mio padre pianse di dolore", scrisse Roberto. Tornò in Italia due anni dopo per unirsi ai suoi compagni che terminavano il quarto anno di teologia (ottobre 1959 - aprile 1960) a Venegono Superiore.
Venne ordinato sacerdote a Milano, il 2 aprile 1960, dall'ausiliare del card. Montini. Durante la prima messa, a Verona, celebrò il matrimonio del fratello Luigi, quello che per primo era partito per il seminario comboniano e che poi scoprì essere un'altra la sua strada.
Professore in Portogallo
Dopo l'ordinazione sacerdotale, i due amici, p. Roberto e colui che lo aveva accompagnato la prima volta, furono inviati di nuovo in Portogallo. Il primo come insegnante, il secondo come animatore vocazionale. Quest'ultimo, dopo dieci anni di sacerdozio, perdette la fede e si fece pastore protestante. Fu un dolore grandissimo per p. Roberto che fece di tutto per salvarlo, ma non ci fu niente da fare. Ormai aveva moglie e figli.
P. Roberto insegnò storia, geografia, matematica, latino e greco. "Studiavo di notte ciò che dovevo insegnare di giorno", scrisse. Un lavoro massacrante che il nostro Padre affrontò con grande entusiasmo. In seminario si soffriva il freddo e anche la fame, ma l'entusiasmo missionario in quei giovani seminaristi ripagava ogni fatica. P. Roberto estese la cerchia dei benefattori e delle zelatrici per assicurare un aiuto al seminario. Così, un poco alla volta, riuscì a pagare i debiti e ad assicurare il cibo sufficiente ai ragazzi.
Oltre che l'insegnante, p. Roberto fece il vicerettore, il propagandista, il predicatore, l'economo.
L'eresia dell'azione
In questo periodo la spiritualità di p. Roberto entrò in crisi. Il superlavoro lo assorbiva al punto tale da impedirgli di dare il tempo necessario alla preghiera, alla meditazione e alle pratiche di pietà. Insomma, l'eresia dell'azione a scapito della contemplazione s'impossessava della sua vita. Scrisse: "Mi resi conto che l'attività mi assorbiva troppo. E Dio dov'era? Dove l'avevo lasciato? La Madonna non era più la mamma che mi seguiva, ma solo un'immagine dipinta, lontana, indifferente. La santa messa e il breviario erano portati avanti alla svelta, con poca convinzione. Gli altri avevano una grande stima di me, io invece non meritavo niente. Costruivo sulla sabbia. Imparai anche a fumare".
Sì, forse si era lasciato un po' andare, ma probabilmente si trattava di un altro attacco di scrupoli come aveva avuto da bambino, che, tuttavia, lo spinse a impegnarsi di più nella vita spirituale.
I superiori scrissero di lui proprio in questo periodo: "Ottimo padre, pieno di zelo e animato da un grande spirito di sacrificio. Cura le sacre celebrazioni in maniera superlativa coinvolgendo i ragazzi che ha vestito da “pagetti". Anche la gente lo stima e ha venerazione di lui".
La grande sofferenza
Dal 1966 al 1970 fu superiore e rettore a Famalicão, nel seminario minore per il nord del Portogallo. Qui rilanciò la rivista comboniana "Além Mar" che era stata sospesa dalle autorità governative per punire l'italiana Nigrizia troppo anticolonialistica nei confronti del Portogallo; restaurò il seminario che era parte di un vecchio convento e instaurò una disciplina degna di un seminario; pubblicò una grammatica latina semplice, comprensibile, essenziale, con le norme di sintassi e preceduta da un capitolo sull'analisi logica. Introdusse la telescuola: scuola per mezzo della televisione, controllata dallo stato e con diploma riconosciuto civilmente alla fine del corso. Scrisse a parecchi vescovi per avere aiuti, e molti risposero...
Ma l'ombra della croce, di una croce veramente grande, sovrastava le sue spalle. La cuoca, che era sposata con un ciabattino, rimase incinta. E fin qui niente da dire. Il guaio è che il marito cominciò a dire in giro che il figlio non era suo, ma di p. Roberto. "Giuro sul Vangelo che non ho mai toccato una donna neanche col pensiero", scrisse il Padre. Intanto la diceria si diffuse e i superiori, per tagliare la testa al toro, spedirono p. Roberto in Italia senza approfondire la questione, e ciò tutto a scapito del Padre che dovette fare i fagotti portandosi dietro l'infamia di disonesto, di sacrilego e di adultero.
"Scoppiavo di tristezza - scrisse il Padre - anche perché tutto era stato deciso senza interpellarmi. Fui sul punto di abbandonare la Congregazione per diventare cappellano degli immigrati portoghesi in Francia. La Madonna mi protesse e mi portò a Roma per il Corso di aggiornamento dove trovai degli ottimi maestri che mi aiutarono e mi ridiedero fiducia".
Brasile: il morso del serpente
Alla fine del 1970 p. Roberto era in Brasile nella parrocchia di San Gabriel da Palha. Aveva già cominciato a inserirsi e a visitare le cappelle sparse nel territorio, quando venne chiamato nel seminario comboniano di San Gabriele come insegnante.
Una notte, dietro il seminario, si sviluppò un incendio che poteva avere conseguenze disastrose. Tutti fuori a spegnere. Anche p. Roberto che, per la fretta, non aveva indossato le scarpe. Rientrato, notò la caviglia sinistra gonfia, con due forellini che sembravano fatti dai denti di un serpente.
La notte fu dolorosa. Alla mattina un confratello lo portò dal dottore della città, che si affacciò alla porta dell'ambulatorio già ubriaco e con una bottiglia di grappa in mano. Guardò la gamba tutta gonfia e disse: "Se non è morto finora, non muore più. Bom dia", e chiuse la porta.
Tre giorni dopo la gamba era come un pezzo di ghiaccio e si era bloccata. P. Roberto fu portato all'ospedale di Nova Venecia e poi a quello di Vitoria dove subì un by-pass femorale, sette ore di operazione. Sembrava guarito tanto da poter tornare a San Gabriele dove gli assegnarono l'incarico di rettore del seminario.
L'anno dopo dovette subire uguale operazione alla gamba destra. Il veleno del serpente, che non fu mortale solo perché di minima quantità (il rettile, imprigionato tra le fiamme, aveva certamente morso qualche altra cosa), era rimasto nel sangue e tendeva a coagularlo.
Nel 1974 p. Roberto passò a Ibirasù dove c'era il liceo, come segretario della formazione. Si trattava di un liceo frequentato da seminaristi, da esterni e anche da ragazze. Moralmente l'ambiente era degradato al massimo. Come si pretendeva di cavar preti da quell'ambiente? P. Roberto, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a migliorare la situazione. Due anni dopo scrisse: "Abbiamo lavorato molto e non abbiamo raccolto niente".
Spagna: dalla pentola nella brace
Nel 1976 una lettera del p. generale chiedeva a p. Roberto di andare in Spagna come formatore dello scolasticato comboniano di Granada, un lavoro di grande responsabilità.
Lo scolasticato di Granada viveva un momento di grave crisi interna . L'aria del '68' era passata in Spagna con effetti disastrosi. Il formatore che lo reggeva, si ritirava spesso in chiesa a piangere sulla situazione. P. Roberto, inoltre, non conosceva la lingua e la deambulazione gli era sempre più difficoltosa. Ogni 200 metri dovevo fermarsi e attendere che le gambe si ossigenassero.
"Meglio così - scrisse il Padre - altrimenti sarei fuggito subito. Il lavoro si presentò arduo, logorante. Percepivo che c'era qualcosa che non funzionava, ma non riuscivo a capirne la causa. Solo dopo due anni mi accorsi che gli studenti che occupavano l'ultimo piano avevano installato un potente canocchiale attraverso il quale si divertivano a 'contemplare' le ragazze di un collegio non troppo lontano e tenuto da suore, quando alla sera si spogliavano".
Inutile dire che di quei "guardoni" fortunatamente nessuno arrivò al sacerdozio. Ma quale fu l'amarezza di p. Roberto quando anche il rettore se ne andò con una ragazza che poi sposò.
Come se tutto ciò non bastasse, gli studenti spagnoli gli fecero sapere che non gradivano un educatore italiano, uno straniero, e per di più esigente nel senso che voleva che le cose andassero come dovevano andare in un seminario. P. Roberto patì le pene dell'inferno.
Alla fine dell'anno anche la casa di Granada fu chiusa e il Padre fu inviato a Moncada con l'incarico di vendere quella casa ai Legionari di Cristo, un istituto messicano molto attivo, seriamente impegnato e ricco di vocazioni.
I guai continuano
"Tu sai, Signore, quanto ho pianto e sofferto in questo periodo. Davvero la mia vita procedeva tra un fallimento e l'altro. Tu sai anche quanta fatica ho fatto per percorrere strade, salire scale, consultare persone. Eppure i superiori continuavano ad aver fiducia in me. Mi incaricarono di vendere anche la casa di Corella, troppo grande, per acquistarne una piccola a Saragozza per l'animazione missionaria. Non me ne intendevo di banche, di conti, di contratti. Qualcuno mi ha imbrogliato e io ho sbagliato molte cose", scrisse il Padre.
L'infarto
Ed ecco che, nel giugno del 1983, tornando a casa, p. Roberto si sentì male. Un infarto di prima qualità lo aveva colpito. Ricoverato all'ospedale, dissero che non c'era niente da fare. Doveva essere portato in America per tentare l'operazione. In America lo rimandarono a Madrid con la stessa sentenza: "E' un infarto anomalo, non ci sentiamo di metterci le mani". La colpa era ancora di quel sangue che si coagulava in giro per le vene.
Tornò in Italia d'urgenza e, a Verona, lo operarono in extremis, "ripulendo" la carotide destra e facendo tre by-pass al cuore.
"Grazie, Signore, dell'infarto, grazie dell'ospedale, grazie delle operazioni perché nel silenzio, nel raccoglimento, nella preghiera, mi pare di averti ritrovato. Ho capito che tu non ti eri mai allontanato da me, anche se io ero occupato in tante cose materiali e non ti pensavo come avrei dovuto. Grazie, Maria, che ti ho ritrovata. Ti vedo vicina e con te c'è la mia mamma Carolina. Grazie anche a voi fratelli medici. Che Dio vi ricompensi". Dopo l'infarto smise di fumare.
Ministro della misericordia
Nel gennaio del 1984 p. Roberto andò a Madrid per fare le consegne poi tornò a Verona. La sua salute aveva bisogno di controlli continui anche se procedeva benino.
In una lettera al p. provinciale chiese di essere assegnato alla chiesa di S. Tomìo (San Tommaso apostolo) dove c'è l'adorazione perpetua e dove quattro missionari si dedicano a tempo pieno al ministero delle confessioni, tutto l'anno. "Però - aggiunse il Padre - ti prego di non farmi più superiore. Non ne ho la salute, la forza e neanche le capacità".
Fu mandato a San Tomìo come superiore. E vi rimase per 6 anni con soddisfazione di tutti.
"I 6 anni che passai a San Tomìo furono veramente anni sacerdotali, i più belli della mia vita. Un dono di Gesù a questo suo amico che troppo poco lo aveva amato prima di arrivare in quella chiesa dove l'unico lavoro era la preghiera, l'adorazione e la distribuzione della misericordia di Dio attraverso il sacramento della riconciliazione".
Medjugorje
Nel febbraio del 1986 p. Roberto venne a contatto con gente che era stata a Medjugorje dove si diceva apparisse la Regina della pace. Il 2 marzo anch'egli si recò in quel luogo benedetto.
"Dicano quello che vogliono - scrisse al ritorno - io la Madonna l'ho vista con il cuore, io l'ho sentita, io l'ho abbracciata e baciata". E la vita di p. Roberto prese una piega tutta mariana. Dal 1986 al 1990 vi andò 10 volte fermandosi anche più giorni per pregare e per aiutare nel ministero delle confessioni.
Paladino della Madonna
A Verona diede subito vita a un incontro settimanale per i devoti della Madonna. Ci furono opposizioni da parte dei confratelli e da parte anche dell'autorità religiosa che non vedeva bene quel movimento e i pellegrinaggi a Medjugorje. P. Roberto non si perse d'animo, non mollò. In un articolo pubblicato sul "Nuovo Veronese", un giornale laico (il giornale diocesano non glielo avrebbe pubblicato), si domandò come mai l'autorità religiosa diocesana proibiva i raduni di preghiera, mentre non diceva una parola per i raduni allo stadio dove trionfava il turpiloquio, si bestemmiava e si commettevano violenze di ogni genere. Non gli poterono dar torto. E tutto finì con una tiratina d'orecchie da parte di un vicario episcopale.
L'ultima missione
"La mia ultima missione è stata la più difficile, ma la più bella", scrisse p. Roberto.
Nel giugno del 1990 le vene che portavano il sangue al cervello e alle gambe erano nuovamente intasate. I medici che lo seguivano con affetto e con ammirazione, questa volta sentenziarono che ogni operazione era proibita, perché impossibile.
P. Roberto pregò il p. provinciale di toglierlo dall'ufficio di superiore e gli chiese di rimanere nella chiesa di San Tomìo come semplice confessore. Ma le vertigini e i giramenti di testa erano così frequenti, che venne inviato al Centro Assistenza Malati che si trova nella Casa Madre dei Comboniani a Verona.
"E' un momento difficile per la mia vita - scrisse - ma anche bello perché sento la presenza costante di Gesù e di Maria".
Nessuno avrebbe detto che gli restavano ancora cinque anni di vita. Ogni giorno sembrava morire e poi si riprendeva quel tanto da potersi muovere, scendere in refettorio (non sempre) per il cibo, girare per le stanze dei confratelli più gravi per portare la sua parola di conforto e di fede. I ricoveri all'ospedale erano frequenti e lasciavano nei medici, negli infermieri e nella gente un'impressione ottima. Davvero p. Roberto era un uomo di Dio.
Per ogni confratello che tornava alla Casa del Padre, p. Roberto scriveva una testimonianza che leggeva al funerale e poi passava all'incaricato dei necrologi. Tra quei missionari malati, consumati dalle fatiche missionarie, c'erano santi, eroi e martiri.
Radio Maria
A Verona il Padre iniziò anche l'apostolato di Radio Maria. Ogni giovedì interveniva mediante telefono per offrire il suo contributo nella spiegazione della Parola di Dio. Si preparava con cura, ma quasi sempre poi lasciava parlare il cuore. E fece un gran bene. Qualcuno disse che la Madonna lo teneva in vita solo per esercitare quel ministero.
Non era nuovo, p. Roberto, all'apostolato attraverso i mass media. Aveva fatto lo stesso in Portogallo, in Brasile e in Spagna.
Radio Maria gli ha dato la possibilità di parlare a migliaia di persone. E dalle sue parole tanti hanno imparato ad amare Dio e i fratelli; hanno trovato una madre amorosa in Maria, hanno trovato la forza di accettare le loro malattie e le loro sofferenze. Attraverso la radio entrava nelle case, entrava nei cuori. L'ex p. generale Francesco Pierli ha detto: "P. Roberto è stato un missionario fino alla fine".
L'unico tempo è quello dell'amore
Egli considerava "validi", da un punto di vista sacerdotale, solo gli ultimi 12 anni di sacerdozio, quelli dall'infarto in poi, perché solo in questo periodo - secondo lui - conobbe veramente il Signore e la Madonna. Il resto lo considerò tempo perso...
"Ci sono voluti 23 anni di sacerdozio per capire che tu sei mia madre, che tu mi conduci verso la speranza. Dal 1971 al 1983 ho sofferto molto per le gambe che non funzionavano. Dopo di allora ho sofferto di più ma ho sofferto meno perché non ero più solo.
Il salmo 72 mi dava tanto conforto. 'Quando si agitava il mio cuore e nell'intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a Te stavo come una bestia... Il mio bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio...'".
Il Signore mi sta chiamando
In una lettera del 18 ottobre 1994, pochi mesi prima della morte, scrisse al p. generale: "Ieri sera, durante la messa, ho chiesto a Gesù che, per intercessione di Maria, sua e nostra Madre dolcissima, mi concedesse di scriverle questa lettera. In questi giorni mi sento male, mi sembra che il cuore stia cedendo. Molto spesso ho la sensazione o il presentimento che il Signore mi chiamerà presto. La Madonna mi è ora particolarmente vicina, è presente e attiva ed ottiene per me la serenità e mi infonde speranza.
Molto mi aiuta il ricordo nella preghiera di alcuni confratelli, dei parenti e degli ascoltatori di Radio Maria. In questo momento, in cui mi sembra di essere ancora lucido e prima che il Signore mi chiami o permetta che la mia testa non funzioni più, voglio ringraziare la Congregazione di avermi accettato e di essersi fidata di me, nei vari luoghi e incarichi a cui sono stato chiamato.
So che in molte occasioni non sono stato all'altezza di ciò che mi veniva assegnato, so di aver sbagliato tante volte. E di questo chiedo perdono a lei per chiederlo a tutto l'Istituto. Ciò che ugualmente posso dire davanti a Dio è di avercela messa tutta, fino al limite delle mie forze fisiche. Quella che mi è mancata, molte volte, è stata la fede in Dio e la fiducia in Maria, e di essermi fidato troppo di me stesso. La mia fede era spesso troppo cerebrale, mancava il cuore, mancava l'affetto vero verso il soprannaturale. E' questa mancanza di fede vera, a parer mio, che poi si traduce in mancanza di preghiera, di adorazione, di affidamento a Maria.
Le chiedo di far sì che il mio futuro necrologio, che non credo tanto lontano, non trascuri i miei sbagli, la mia testa dura e la mia superficialità. Non è costruttivo per la vita eterna che chi legge il Bollettino possa pensare che io sia stato un buon comboniano e, forse, mi dimentichi per questo nelle preghiere di suffragio. Ho bisogno di essere perdonato di molte cose e di essere purificato".
Dopo il suo testamento spirituale, chiese alcune cose per il suo funerale:
1. Essere avvisato per tempo per ricevere con piena coscienza l'Unzione degli infermi.
2. Essere messo nella bara con la sua veste talare e la fascia comboniana.
3. "Chiedo soprattutto ai confratelli e parenti di celebrare e far celebrare tutte le messe che potranno. Non le merito, ma proprio per questo le chiedo".
Come possiamo vedere, anche in questa circostanza p. Roberto sente in modo quasi drammatico la sua imperfezione, il suo non essere santo come il Signore e la Madonna volevano.
Il testamento spirituale
Nel testamento spirituale, dopo aver offerto la sua vita per varie intenzioni, concluse: "O Cuore di Gesù, ti offro la mia attuale situazione di salute con tutti i pericoli che essa suppone. Non rifiuto nulla, neppure la perdita della vita o della ragione". La perdita della ragione era ciò che maggiormente gli sarebbe costata. Questa offerta è stata vissuta intensamente da p. Roberto, mentre la croce della sua malattia diventava sempre più pesante e la salita al Calvario sempre più difficile.
Dedicato alla formazione in Portogallo, Brasile e Spagna; al ministero delle confessioni e dell'Eucaristia a San Tomìo, e all'apostolato della sofferenza specialmente nei lunghi anni passati al Centro Ammalati, p. Roberto è stato un punto di riferimento per tanta gente. Si andava al suo letto per trovare serenità, non per portare a lui serenità. Comunicava fede e gioia.
"Arrivato a questo punto della mia vita - scrisse poco prima di morire - cosciente della situazione della mia salute fisica sempre più precaria, cosciente che tutto è stato fatto per alleviare le mie sofferenze, riconoscente verso i responsabili del Centro Assistenza Ammalati di Verona e verso i medici che mi hanno assistito con somma pazienza e amore, mentre mi trovo in pace con tutti e completamente sereno nella mia esistenza, riconoscente a Dio per tutto ciò che sono e come sono, riconoscente verso la Madonna, mia madre dolcissima, che sempre mi assiste e mi si rivela come guida e conforto... ringrazio la santa madre Chiesa di cui mi professo figlio devoto ed obbediente, ringrazio la Congregazione che mi ha sempre stimato fin troppo e alle volte mi ha affidato incarichi ai quali non ero assolutamente preparato, ringrazio i superiori e confratelli che mi hanno trattato sempre meglio di quanto meritassi...".
Il Signore lo colse in piena coscienza alle ore 20,45 di domenica 23 aprile 1995 presso l'ospedale di Negrar (VR) ed ora riposa nel cimitero di Chievo accanto ai suoi genitori.
P. Roberto ci lascia un esempio meraviglioso di fede, di speranza e di amore. Ha accettato senza condizioni la volontà di Dio nella sua vita, sia nei momenti di gioia, sia in quelli dolorosi. Ha abbracciato la croce con l'entusiasmo e la generosità di mons. Comboni, offrendo i suoi lunghi anni di sofferenza con serenità, ha offerto tutto al Signore per la salvezza del mondo. Il p. generale dei Comboniani ha scritto dopo la morte del Confratello: "Sono certo che gode già la gloria del Signore".
Noi, tuttavia, desiderosi di non dispiacergli, lo accompagniamo con le nostre preghiere di suffragio perché dal Cielo ci aiuti e ci protegga. (P. Lorenzo Gaiga)
Da Mccj Bulletin n. 189, ottobre 1995, pp. 76-88
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With the death of Fr Roberto Cona, we have lost our faithful and attentive "correspondent" from the second floor of the Mother House, where a score of our sick missionaries are cared for.
But another voice has fallen silent: the one that spoke on Radio Maria more or less every Thursday, giving reflections full of spiritual and topical insights on the Gospel reading of the following Sunday. This ministry made Fr. Roberto known, respected and mourned all over Italy; and through it he found continual fulfilment as a priest and missionary, even though seriously weakened in health.
There is a great amount that could be written about him: partly because, knowing how difficult it is for the obituary writer to gather information on each "de cuius", he had left almost 50 pages on his missionary vocation and work; and partly because the number of testimonies received show the impact he had on confreres and on many lay people, especially regarding the two great loves that drove and guided him: the Eucharist and Our Lady.
Difficult early years
"I was born in Verona, 33, Austrian Cemetery Rd. (now 5, Via Forte Procolo), third of the 5 children of Giovanni Cona, gardener, and Carolina Pasetto, a very sweet lady and very good at all household activities.
"From what I heard, my mother - I knew her too little, because she died when I was 5 - was a holy woman. She died three days after the birth of her fifth child. On her deathbed she urged our father to bring us up in the holy fear of God. And so we were sent to school at the Ursulines, right by St Zeno.
"Without a mother life was sad, even though our father, grandparents and uncles and aunts did their best to cherish us."
In the Cona home everyone prayed, and never missed Sunday Mass. The First Friday was a solid tradition, also never to be missed.
Fr Roberto remembered some details of his early childhood, such as when his mother went down to the river Adige to do the laundry, and his father would break the ice with a sledgehammer in Winter, so that she could get at the water... or when, during the Eucharistic congress in Verona in 1938 he wandered away from his mother and, having walked at the head of the procession, got lost in the crowd and almost died of fright before he was found.
In 1942 his father married Elisabetta Tomaroli. That same year one of the boys, Luigi, entered the Comboni Missionaries (later he left), followed twelve months later by Vittorino; both of them were drawn by the example of an uncle, Fr Ettore Pasetto, who had been a missionary in Sudan since 1934.
Following the Armistice Day (8th September 1943) Roberto watched the German troops coming down from the Brenner Pass. His father, risking his life each time, helped fleeing Italian soldiers to cross the river by boat. Then came the Allied bombers, with the blare of sirens and the sudden flight... There was hardly a thing to eat, even maize flour for polenta.
Vocation
During his final two years of elementary school (1944-1946) Roberto used to attend Sunday School in St Zeno, and there he met Fr Germano Pilati, who was helping in the parish while he waited for the chance to go to the missions. One day Robert went up to him and whispered: "I want to be a missionary, too".
A few days later Fr Carlo Cappelletti, who was the vocations promoter, arrived at the Cona house to see Roberto, who was in bed ill, and his father.
"Fr Pilati's example was the decider in my choice," wrote Fr Roberto. Before entering the seminary I was a naughty child: disobedient, no inclination to work, set on being a fruiterer, quarrelsome with my cousins, scrumper (= stealer of fruit, translator's note).
In October 1946, with a cheap suitcase containing a few clothes packed by his stepmother, Roberto entered the Comboni seminary in Padua, and joined his two brothers there. The seminary was in Luvigliano, since the house in Via S. Giovanni di Verdara was too near the station, being rebuilt after all the bombing.
"There were 31 of us in the first year of Secondary. Two of us were ordained. I was neither the best nor the cleverest".
I'm the worst
There are some odd little notes that he wrote around the time to the superior to ask his forgiveness for some prank or other...
"8-4-48. In this note I want to say everything I think should be said. With hands joined I beg your forgiveness for answering back. I have been unhappy for two days, and am lost in a sea of difficulties... Everybody says `you could do more, you could be better', and they are right, even though I have done my best to correct my ways during the past two months, even going without bread or fruit, and sometimes skipping a meal to punish myself for my thoughtlessness, but I see no results... I'm a miserable piece of work compared to my friends. They try, and they are good, but I... I'm like a rabid dog, and I spare nobody. If I do well, I boast, and if I do wrong, I hide it. If it were not for Communion and my mother in heaven I would have run away, because I am unable to correspond to God's grace. As you said, I am very untidy, and it's true; completely scatter-brained, and it's true. If I had my mother I would be tidier, more obedient, kinder. Father, you cannot imagine how painful it is to lose the most important support in your life while you are very young. I have had the experience, and I still suffer and cry. If it were not for Our Lady, whom I have chosen for my mother now, I would have run away out of shame, and would no longer be in this holy house. I am happy to be here - indeed, very happy - and the Lord gives me all these crosses to test me... As sacristan I am in the best possible job, while people much better than me are not... I enclose a blank sheet of paper for your reply".
For a boy of 13, becoming mature in the school of suffering, the letter says a lot.
Even as a priest Fr Roberto would have similar periods of "spiritual depression", which some superiors put down to inferiority complex. Maybe we should say a deeply-rooted principle of humility.
Jesus my Friend
He was in the choir in Padua cathedral, and sacristan in the seminary chapel, and a good actor in the plays they put on. He did well in his studies, and was able to give time to music, and learned to play the harmonium and the organ.
Fr Giacomelli, the superior, wrote: "He has a fine intelligence, and he is willing and decisive. He works hard at his studies. Has a lot of initiative, but is sensitive and quick-tempered. Rather untidy, and tends to bear a grudge."
He did his middle school in Brescia from 1949-1951, in the Istituto Comboni.
"In Brescia I understood the missionary vocation much better, and learned to study properly. I enjoyed the meditations of the Spiritual Father, Fr. Dalvit, and the talks by the superior, Fr. Parodi, both of whom became bishops. A decisive moment was the retreat preached by Fr. Cirillo Tescaroli on `Jesus our Friend'."
During the holidays, Roberto was a zealous promoter of the missionary press. In three weeks at home, he managed to find 130 subscriptions for Nigrizia, and won the first prize of 30,000 lire, which was a great help towards his fees in the seminary.
It was also while he was in Brescia that he went on the Holy Year pilgrimage to Rome. Yet - just like a boy! - what impressed him most on the trip was not the basilicas, the catacombs, the Colosseum in Rome; it was a certain Beppe in the Baptistry at Pisa, where the group of pilgrims stopped off: their guide shouted, "Beppe, the acoustics!", and Beppe responded with a remarkable "Oh, oh, oh!" to demonstrate the echoes around the building.
Novice
At the end of his grammar school, Roberto was sent to the Novitiate in Florence; it was September 1951. "And my father worries over money also came to an end," he wrote, "because he had a terrible job scraping together the modest fees."
The two years of the novitiate were a wonderful time for him, characterised by continuous acts of self-sacrifice (starting with putting the sports paper, Gazzetta dello Sport, outside the door, to the amusement of his friends and the road-sweeper who witnessed the act.
One of the retreats during the novitiate left a mark: it was given by a Jesuit who definitely hated women. In one talk, he had shouted: "I thank you Lord, for not putting me beside any witch!" Roberto commented: "I was hurt inside, thinking of how good my two mothers Carolina and Elisabetta were. They were angels to me, not witches!"
The Novice Master Fr Audisio wrote about him: "Full of the best intentions, and a holy enthusiasm; they reflect his goodness. He is aware of his duties, and feels the responsibility. He is sensitive to his slight shortcomings: he feels their weight, and struggles to overcome them. Find judgement, open intelligence above the average, praiseworthy application. A good musician, much improved during the novitiate. Expansive and warm character, a bit quick-tempered and rather domineering. He says what he thinks without hesitation or complexes. He will make a very good missionary". He made his First Vows on 9th September 1953.
Verona, Crema, Portugal
In the scholasticate at Verona Roberto found Fr Albrigo as superior ("a real father") and a group of very understanding lecturers. He was appointed organist, and went to teach catechism on Sundays in the village of Oca Bianca, a poor area on the outskirts of the city. His zeal showed here, in his efforts for the poor lads who had set out on the road of petty theft and violence.
At the end of his second year he had a breakdown, and was sent to Crema as prefect of the juniors in the Comboni seminary. He taught singing, and worked on plays and other recreational activities. He showed that he could deal with boys. When his health had recovered he was sent back to Verona.
Here he found a pleasant surprise. He had been assigned to Portugal with another student, to look after the junior seminarians in the Comboni seminary at Viseu.
During his holidays in 1956 he studied the rudiments of Portuguese, and set out by train for his new destination on 12th August.
There were two mishaps on the journey. First of all the two chickens the Sisters had cooked for the journey soon went bad in the heat, and began to affect the air in the compartment. Partly through scruples about their vow of Poverty and partly because they had nothing else to eat, the two held their noses and forced the meat down. Shortly afterwards they became violently ill, with vomiting and the other consequences everybody can imagine.
The second misadventure came at the border crossing: from the grins of the officials, Roberto understood that his first name meant "puppet", and that his surname was rather a foul word in Portuguese! He had to change them both once they reached Viseu.
Three Cribs and three operations
He stayed in Viseu from August 1956 until September 1959. The day after their arrival the superior, Fr Calderola, told the two newcomers to use the free days they still had to prepare a nice Crib in Lisbon, complete with lights, moving figures and scenery.
"Neither of us had any idea of carpentry, electricity of mechanics... and hardly any knowledge of the language! St Joseph must have taken pity on us, because the Crib was a great success, and brought in some much-needed funds for the seminary.
The Crib was put up again in the following years. And despite the use of poor materials and sub-standard wiring, we never had an accident: indeed, everything worked for the whole time the Crib was up.
"In those years," continues Fr Roberto, "I had three operations for hernia: one for each Crib. The Theology lessons were in the diocesan seminary about a quarter of a mile away; and they went very well too."
Not everything was perfect, though. When his brother Vittorino was ordained a Comboni Missionary in 1957, Roberto was not given permission to travel to the ceremony in Italy, even though his family offered to pay the fare. "I was very upset, and my father wept with disappointment", wrote Roberto. He returned to Italy two years later to conclude his Theology with his classmates (October 1959 - April 1960) at Venegono Superiore. He was ordained in Milan on 2nd April 1960, by the auxiliary of Cardinal Montini.
His first Mass in Verona was a Nuptial Mass for his brother Luigi, the one who had been the first to go to the seminary, but had found that his calling was different.
Teacher in Portugal
After his ordination Roberto and the classmate who had gone with him to Portugal, were sent back to that Province; the first to teach, and the other as vocations promoter. However, after ten years as a priest, the other lost his faith and became a Protestant pastor, with wife and family. Fr Robert was greatly saddened by this, and made great efforts to make him change his mind, but things had already gone too far.
Fr Roberto was asked to teach History, Geography, Maths, Latin and Greek. "I used to spend half the night studying what I had to teach the next day!" he wrote. It was a huge labour, but he tackled it with great enthusiasm. Even the cold and hunger that they all suffered in the seminary were accepted with the same missionary enthusiasm, and seeing it in the youngsters made the effort worthwhile for the teachers. Fr Roberto worked to extend his circle of benefactors and supporters to obtain help for the seminary. And a bit at a time he managed to pay off the debts and ensure a better diet for the lads. Because, besides teaching, he was bursar, as well as Vice-Rector, animator and preacher.
Too much activity
During this time his spiritual life went through a crisis. He was so taken up with all his activities that time for prayer, meditation and devotions was greatly reduced. The heresy of action. It takes the place of contemplation and can take over a whole life. He wrote: "I realised that activity was absorbing me too much. And where was God? Where had I left Him? Our Lady was no longer a mother who was close to me, but a painted image, distant and meaningless. Mass and the breviary were dealt with summarily, with little conviction. The others held me in great esteem, which I did not merit. I was building on the sand. I even took up smoking!"
Well, he may have slackened a bit, but maybe it was also a matter of another attack of scruples, such as had affected him as a lad - but which had the effect of making him work harder at his spiritual life.
In fact, his superiors wrote at the time: "A very good father, full of zeal and a great spirit of sacrifice. He prepares his Masses in a superlative way, and involves the boys, whom he dresses as pages. The people have a great esteem and even veneration of him."
A great crosss to bear
From 1966 to 1970 he was superior and Rector at Famalicão, in the junior seminary in North Portugal. Here he re-launched the magazine "Além Mar" which the government had suspended to get back at "Nigrizia" in Italy, over it strong anti-colonialist stance towards Portugal. He also repaired the seminary building, which was part of an old monastery, and brought in discipline that fitted a seminary. He published a simple Latin grammar that was clear, basic and easily understood, with an introduction on parsing. He even introduced school by television: lessons on television, under the control of the state, and with an officially-recognised public diploma at the end of the course. He wrote to a lot of Bishops asking for help, and a good number responded...
But the shadow of a cross - a big cross - fell on him. The cook, who was married to a shoemaker, became pregnant. Nothing unusual in that; but the husband started to say all around that the child was not his, but Fr Roberto's.
"I swear by the Gospel that I have not touched a woman even in thought!", wrote the Father. But the word spread, and the superiors, intending to put a quick end to this, sent Fr Roberto back to Italy without going into the matter publicly. This made things look bad for him, unfortunately, as he had to pack and leave with a mark over him, being guilty, in some minds, of adultery and sacrilege.
"I was heart-broken," wrote Roberto, "because everything was decided without a word to me. I felt like leaving the Congregation to be chaplain to Portuguese immigrants in France. But Our Lady took a hand, and led me to Rome, for the up-dating course, where I found first-class teachers who helped me to recover my confidence and trust."
Brazil: bitten by a snake
We find Fr Robert in Brazil at the end 1970, in the parish of São Gabriel da Palha. He had found his feet and had begun visiting the far-flung chapels of the area when he was called to the Comboni seminary of St Gabriel, to teach.
One night a fire broke out at the back of the seminary, and everyone rushed round to put it out, as it could have been very dangerous. Fr Robert went with them, barefoot because of the haste. When he got back to his room, he saw his left ankle was swollen, with two small punctures - like a snake bite.
The night was long and painful. In the morning a confrere took him to town to see a doctor, who came out already drunk, with a bottle in his hand. He looked at the leg, which was all swollen by now, and said: "If he's not already dead, he's not going to die. Have a nice day!" (or the local equivalent) - and shut the door.
Three days later the leg was cold and stiff. Fr Roberto was taken to the hospital at Nova Venecia and then that of Vitoria, where he had a femoral artery by-pass: an operation that lasted seven hours. He seemed to recover well enough to return to St Gabriel, where he was made Rector of the seminary.
But the next year he needed a similar operation in his right leg. It seemed that the snake's poison, of which he had received only a small amount, was still affecting his blood, which tended to clot easily.
In 1974 Fr Roberto moved to Ibiraçu, where there was a Senior Secondary school, as Secretary of Formation. The School was attended by seminarians and by day-pupils, both boys and girls. The moral atmosphere was not very sound. How were priests supposed to come out of such conditions? In spite of all his efforts, Fr Roberto could not change the situation for the better. Two years later he wrote: "We have made enormous efforts, but we have not had any results."
Spain: from the frying pan...
In 1976 a letter came from the Superior General asking Roberto to go to Spain as formator in the Scholasticate of Granada, a post with very great responsibilities.
Granada was going through a serious crisis at the time. The student upheavals in Europe in 1968 had left savage marks. The formator would go to the chapel to weep over the state of the scholasticate. Besides, Fr Roberto did not speak Spanish, and still had trouble walking: he had to stop every 200 yards or so to let the poor circulation get oxygen into his legs.
"It's a good thing, too! he wrote. "I would have run away long ago otherwise. I could see at once that the work would be exhausting and very difficult. Something wasn't working, but the immediate cause was not obvious. It took me two years to find out that the students on the top floor had a powerful telescope, with which they watched the girls undressing in the sisters' college not too far away!"
Needless to say, none of that particular group went on to ordination. But a much bigger anguish came when the Rector himself went off and got married. As if that were not enough, the Spanish students made it clear that they did not want an Italian formator: foreign and demanding - he wanted things to be as they should in a seminary. It was a real torment for Fr Roberto.
At the end of the academic year Granada was closed down. Roberto was sent to Moncada to sell the property to the Legionarios de Cristo, a Mexican institute with a lot of money and vocations.
"When troubles come..."
"Lord, you know how much I suffered and wept during those days. Indeed, my life went from one failure to another. You also know how much it cost me to walk along streets, go up and down stairs, consult people. Yet the superiors continued to put their faith in me. They even sent me to sell the house in Corella, which was too big, and buy a smaller one at Saragoza, for missionary animation. I did not know much about banks and accounts and contracts. Some people managed to cheat me, and I made mistakes myself..."
Heart attack
Then in June 1983, on his return from a j