In Pace Christi

Celebrando la sua ultima partenza per l'Africa dal paese natale il 26 giugno 1994, p. Albrigo disse: "Comboni morente aveva fatto fare un giuramento a un giovane missionario di essere fedele alla sua vocazione. Anch'io ho fatto quel giuramento in quel giovane e, con la grazia di Dio, l'ho mantenuto. Ed è la forza di quel giuramento che mi dà l'entusiasmo di ripartire per la missione a 80 anni suonati".

Quando p. Igino venne al mondo, ottavo di otto fratelli, la prima guerra mondiale era alle porte, per cui visse i suoi primi anni proprio nel periodo del conflitto tra Italia e Austria con tutto il corredo di spaventi, di morti e di privazioni che ogni guerra impone.

A quattro anni, quando gli morì papà Paolo, forte contadino e ottimo cristiano, Igino venne accolto dallo zio sacerdote, professore in seminario e benemerito per aver costruito l'ospizio presso il santuario della Madonna della Corona. Dal parentado di p. Albrigo uscirono quattro sacerdoti: due missionari e due diocesani.

Il distacco dal paese, dalla mamma, Maddalena Marai, e dai fratelli, a quattro anni di età, ricorda un po' il "Lascia la tua terra e va' nel paese che ti mostrerò" che Dio disse ad Abramo. Forse questo è stato il primo segno della sua vocazione missionaria. E c'è un paragone anche con Daniele Comboni che, a nove anni, lasciò il suo paesello per trasferirsi a Verona.

Igino frequentò le elementari presso la scuola Rubele (Vicino a S. Maria in Organo) e fu ammesso alla comunione a sette anni essendo tra i primi a godere del privilegio di san Pio X a questo proposito.

Due grosse difficoltà

Dopo la quinta elementare, entrò nel seminario diocesano riuscendo brillantemente negli studi. Con uno zio professore alle calcagna, c'era poco da scherzare.

Tra la preghiera e lo studio, trovava il tempo di leggere le riviste e i libri missionari.

Dopo la seconda liceo decise di entrare tra i comboniani, ma subito si presentarono due difficoltà. La prima, il rettore che non voleva lasciarlo partire.

"Se vuoi farti missionario, devi prima lasciare il seminario", gli disse con cipiglio severo.

P. Vianello, col quale il nostro seminarista era in contatto, gli disse:

"Esci ed entra diritto da noi senza neanche andare a casa". Allora il rettore gli diede il benestare scrivendo: "Attesto in coscienza che Albrigo Igino ha tenuto sempre in questo seminario un'ottima condotta sotto ogni riguardo". Anche il vescovo gli diede la benedizione. La seconda difficoltà era costituita dalla mamma la quale, lamentandosi con il Signore, gli diceva: "Me l'hai fatta troppo grossa a portarmi via l'ultimo dei miei figli". La mamma, arrabbiatasi col Signore, lasciò trascorrere molti anni prima di mettere piede in chiesa. Immaginarsi il dolore di Igino! Ma egli aveva fatto questo ragionamento: "La diocesi di Verona ha 1.000 sacerdoti. Diocesi molto più vaste in Africa, ne hanno 10. Non è giusto, e io parto".

Voglia di preghiera

In una lettera del 12 luglio 1932, scrisse dal paese al superiore dei comboniani: "Sono in vacanza da dieci giorni e sto provando quanto sia penosa la permanenza in famiglia. Solo nella preghiera trovo la forza per mantenere la mia vocazione in mezzo a tanti assalti. La famiglia mi è ostile più di quello che credevo. Per fortuna ho l'appoggio di mio zio don Giuseppe. Comunque spero che la mia permanenza in famiglia sia il più breve possibile... Sono stato alla Madonna della Corona per mettermi sotto la protezione della Madre di Dio e per stare un po' lontano dalla famiglia che continua nel suo contegno ostile verso di me".

In un'altra lettera del 19 luglio 1932, aggiunse: "Ho saputo con gioia che in noviziato si dà gran tempo alla preghiera: niente di meglio per me che di nulla mi sono mai lamentato in seminario se non della mancanza di possibilità di andare durante il giorno a fare qualche visita a nostro Signore".

Entrò in noviziato a Venegono il 13 agosto 1932 ed emise i primi Voti il 7 ottobre 1934.

Durante la teologia a Venegono frequentò la Pontificia Facoltà presso il seminario diocesano e si diplomò in teologia dogmatica e morale.

Per l'ammissione ai Voti perpetui (7 ottobre 1937) p. Meroni scrisse: "Igino Albrigo è un religioso di buono spirito, di sode e forti virtù, regolare ed equilibratamente impegnato nella vita religiosa e nella fedeltà alla sua vocazione, pronto sempre a sacrificarsi per gli altri. E' atto ad emettere i Voti perpetui".

Partenza immediata

Ordinato sacerdote nella Basilica di S. Zeno a Verona il 10 luglio 1938 durante le celebrazioni centenarie zenoniane, frequentò un corso di inglese in Inghilterra e poi partì immediatamente per l'Africa. Fu un uomo continuamente bersagliato da potenti attacchi di malaria che lo portarono più volte sull'orlo della tomba.

Esercitò il suo ministero nel nord Uganda e, come lo zio, fece per lunghi anni il professore nei seminari africani. Tra i suoi alunni ci sono quattro vescovi e un buon numero di sacerdoti.

Alla domenica, e nei giorni di vacanza, p. Igino era sempre fuori nei villaggi. Vecchi, lebbrosi, affamati, colerosi, poveri d'ogni tipo erano la sua porzione prediletta.

Albrigo amava gli africani e fu sinceramente riamato. Fu internato durante la guerra con gli altri missionari e poi poté tornare alla sua attività di insegnante.

Ecco le tappe della sua vita missionaria: 1939-1945 formatore e insegnante nel seminario minore di Lacor; 1945-1950 vice parroco a Nyapea e professore nel seminario; 1950-1954 p. maestro a Lodonga e direttore della scuola V.T.T.C. (scuola per maestri di lingua vernacolare); 1954-1959 superiore degli scolastici a Verona; 1959-1964 professore nel seminario di Lacor; 1962-1966 superiore provinciale d'Uganda, restando a Lacor come rettore del seminario maggiore interdiocesano; 1965-1975 parroco ad Alanyi; 1975-1984 parroco a Teboke; 1984-1989 parroco ad Aboke; 1990-1995 a Ngeta per ministero. Assunse anche la responsabilità di cappellano delle Suore Missionarie di Maria Madre della Chiesa dove lavorò fino alla morte che lo sorprese dopo pochi giorni di malattia.

In Uganda fondò anche un Istituto religioso: i Marian Brothers (Fratelli del Cuore Immacolato di Maria) che hanno lo scopo di insegnare nelle scuole. L'incarico gli era stato affidato da mons. Cesana nel 1953.

Superiore a Verona

Un attacco di febbre nera portò padre Albrigo sull'orlo della tomba. Dopo averle tentate tutte, il medico inglese alzò le mani dicendo che non c'era più niente da fare. Una suora infermiera, allora, gli praticò una trasfusione di sangue e il Padre si riprese. Sicuramente ci mise una mano la Madonna di Lodonga, dove p. Albrigo si trovava.

Dopo quella esperienza, che non era stata la prima, tornò in Italia dove lo attendeva un altro compito molto importante.

Dagli anni 1955-1959, infatti, fu superiore dei liceali comboniani a Verona. Si è mostrato un uomo equilibrato, saggio, un vero padre ed educatore, e un salvatore di vocazioni.

Quanti giovani che non riuscivano bene negli studi o perché combinavano qualche marachella dovevano essere dimessi! P. Igino li ha salvati perché guardava alla sostanza e ai bisogni della missione.

Sulla biografia di p. Egidio Ferracin leggiamo questo paragrafo: "La sua preoccupazione più grande (di p. Ferracin) era quella di dover ripetere qualche anno. "Mi costa studiare in queste belle giornate di giugno e non so più quale posizione prendere in studio, perché sto spremendo libri e cervello per essere il meno impreparato possibile".

I superiori annotarono sulla sua cartella: 'Spassoso e parolaio. Sventato. Discreto sforzo per essere più posato'. Ciò nonostante rischiava di essere mandato a casa.

Fortunatamente, alla fine del liceo, venne come superiore a Verona p. Igino Albrigo, reduce dall'Africa, uomo concreto e abituato a guardare oltre la scorza. Egli comprese subito di quale pasta fosse costituito il giovane aspirante al sacerdozio. E senza esitazioni scrisse: "Da ammettersi al rinnovamento dei Voti. La sua leggerezza è ampiamente controbilanciata dalla sua obbedienza, dallo spirito di sacrificio e dalla bontà d'animo: sarà uno che aiuterà i confratelli in crisi, specie in missione, e che farà molto bene".

Tutti sappiamo quale fiore di martire fu p. Egidio Ferracin, grazie proprio a p. Albrigo che lo aveva salvato.

Prima di lasciare Verona per l'ultima partenza per l'Africa, un confratello gli si avvicinò e gli chiese:  "E' lei p. Albrigo?". "Sì, sono io!". "Lasci che le dia un bacio e che le dica grazie per non aver mandato via padre (e qui fece un nome) che lavora con me in Brasile da molti anni. Mi dicevano che doveva essere mandato via perché non riusciva negli studi. E credo che fosse vero perché, in tanti anni di Brasile, non ha ancora imparato bene la lingua, ma opera miracoli di bene, è amato dalla gente ed è il sostegno della parrocchia e di molti confratelli che si rivolgono a lui. Quale danno se lo avessero mandato a casa perché non sapeva fare i logaritmi o confondeva la storia con la geografia! Grazie di avercelo lasciato".

A Verona p. Albrigo fece un'innovazione che "scandalizzò" molti, specie i confratelli anziani e qualche superiore maggiore: permise agli scolastici di levarsi la veste talare per giocare al pallone. Lasciò che tutti si sfogassero, dicessero le loro, ma tenne duro. E alla fine tutti sappiamo come sono andate le cose per via della veste talare.

La croce

Un missionario senza la croce, non è un missionario. E anche p. Albrigo ebbe la sua. La accenniamo appena. Fu nell'occasione del passaggio da Alanyi a Taboke. P. Albrigo aveva messo in piedi un piccolo ospedale con macchina per raggi X, con infermieri che venivano dall'Europa per prestare il loro servizio, con il medico e tutto. Ma ecco l'improvviso ordine di cambiamento di missione. Ciò mandò all'aria tutto, e il Padre dovette disdire gli impegni presi.

"Quali sono le vere ragioni di questo atteggiamento dei superiori? - scrisse al p. Provinciale nel 1975 -. Perché me le nascondete? Partendo da Alanyi penso soprattutto al dispensario per il quale tribolo da anni. Se c'è dialogo si deve fare completo, non dalla metà in su. Tutto questo lavoro l'ho fatto d'accordo col vescovo e non di mia testa come qualcuno può supporre. Se i superiori non hanno fiducia in un confratello, come può, questi, aver fiducia in loro? Finché non conosco le ragioni della mia rimozione non accetterò l'incarico di superiore nella nuova missione. Sono contento di stare con p. Baiani e so che mi troverò bene con lui anche perché vuole bene agli africani e sa lavorare con loro. Qui lascio un popolo che ho assistito fino ai limiti del possibile e che mi vuole bene".

Le testimonianze su p. Albrigo fatte dai diversi provinciali d'Uganda sono lusinghiere.

"Ottime doti per dirigere i giovani, carattere serio ed equilibrato, buone doti di mente e di cuore, ama il ministero pastorale e vi si dedica con zelo, accetta le disposizioni dei superiori, è il Padre di cui tutti cercano la compagnia perché sempre uguale a se steso e gioviale, molto senso pratico in tutto, un caro elemento amato da tutti e molto stimato... Unico difetto: eccede nel fumare".

Un cane fedele

Poi c'è stata la guerra d'Uganda durante la quale una dozzina di missionari hanno trovato il martirio.

Nel 1979 un uomo diede a p. Albrigo una sciabolata con il machete. Il Padre riuscì a schivare il colpo grazie alla sua agilità e prontezza di riflessi.

Nel 1980 p. Igino era solo nella missione di Teboke. Arrivarono i briganti e gli spararono 15 colpi. Il suo fedele cane, visto il pericolo per il padrone, gli si mise davanti alzandosi sulle zampe posteriori, prendendosi tutta la raffica e cadendo a terra morto sul colpo. Ma p. Albrigo fu salvo.

In quei giorni il p. generale passò da quelle parti in visita. Un po' per la guerra, un po' per la fretta, non riuscì a fare visita a p. Albrigo che, dopo quella terribile esperienza, era un po' giù. "Perché il p. generale non ha avuto qualche ora anche per me? - si lamentò. Poi aggiunse: - anche questa è vita di missione. Consoliamoci".

Nel 1887 fu preso di mira un'altra volta, ma il fucile s'inceppò e il colpo rimase in canna. Tre bombe caddero sulla sua missione demolendola. Egli si salvò rannicchiandosi in un angoletto... Insomma, non era la sua ora.

Animatore missionario

Dall'Africa p. Albrigo scriveva spesso ad amici, parenti e anche a qualche seminarista diocesano. Uno di questi, che frequenta la teologia, ha messo a disposizione qualche brano delle lettere di p. Igino.

"04 dicembre 1988. Credi che io abbia pensato di essere un grande missionario perché ho portato a Dio e alla Chiesa tante decine di ragazzi e istruito nella Parola del Signore tanta gente? Non dimenticare che questa folla è venuta spontaneamente perché qualcuno l'ha chiamata e l'ha scelta. Ieri e oggi ho pensato a gente come te che prega e così attira lo Spirito Santo che muove i cuori. Io sono solo uno strumento di Dio. L'opera è tutta sua".

"2 aprile 1989. Di questa chiesa sono stato l'architetto, l'ingegnere e il capomastro. Costruita negli anni 1982-1984 è stata poi consegnata al clero locale... Mi sono ritirato ad Aboke ove sono tutt'ora dedito all'apostolato. Mi fu affidata Teboke nel 1975 e la lasciai nel 1984. Nel 1975 vi erano solo 4.000 cristiani su 30.000 abitanti. Nell'84 i fedeli erano 16.000. Per aiutare la popolazione ho fatto scavare un pozzo profondo 150 metri e ho costruito un piccolo ospedale. I malati sono assistiti da due infermiere africane patentate e un giorno alla settimana passa il medico. Il popolo vuole che torni a Teboke, ma sono vecchio e mi preparo a ritornare al Signore. Di' ai tuoi ragazzi che ci vuole un sostituto".

"3 giugno 1989. (Scrivendo a un gruppo di ragazzi di Gozzano, Novara). Ogni giorno ringrazio il Signore di avermi scelto missionario e non ho mai avuto alcun dubbio sulla mia vocazione, anche quando mi scrissero che mia madre si era rifiutata di andare in chiesa per protesta contro Dio che le aveva rubato il figlio. Fu un grosso colpo per me e, per 10 anni, pregai per lei. Poi venne la sua conversione e tornò alla preghiera. In punto di morte, quando tutti i figli le erano attorno, ebbe l'ultima parola per me assente, in Africa, e disse: 'Vedo che manca solo p. Igino. Scrivetegli che lo benedico e benedico il suo lavoro'. Il Signore aveva vinto.

Le malattie sono un grosso disturbo per l'apostolato, ma non ci fanno paura. Prima che compissi i 30 anni, la malaria mi ridusse in fin di vita più volte tanto che i superiori tentarono per ben tre volte di mandarmi in Italia, ma non poterono perché nel Mediterraneo c'erano i sottomarini che facevano calare a picco le navi. Ma poi mi ripresi. Ogni sera dico al Signore che, se avessi ancora 18 anni e lui mi chiamasse, gli risponderei sempre la stessa cosa: Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.".

"1 aprile 1992. La prima linea tra noi non esiste perché è occupata da Cristo. Noi siamo la retroguardia. Gesù vuole che facciamo la volontà del Padre indifferenti al posto o all'ufficio, come santa Teresina che è una grande missionaria pur non essendo mai uscita dal convento. Ma il Signore la voleva lì".

"31 dicembre 1992. Ho dettato un corso di esercizi alle suore che faranno i Voti perpetui e alle novizie che professeranno domani. A tutte ho ribadito il chiodo che il nostro pellegrinaggio deve sfociare nella santità, cammino che è difficile e gioioso nello stesso tempo, cammino che non è percorso in privato, ma in coppia con Gesù.

Ora che ho detto tante belle cose, ora che ho finito, mi pare di essere stato un tamburo dalla voce squillante, ma solo un tamburo! E non so se in paradiso accetteranno anche qualche tamburo per rallegrare la corale celeste".

Saper coinvolgere

P. Albrigo fu uno che seppe coinvolgere nella problematica missionaria un gran numero di persone. Come Comboni si trovava a suo agio solo quando parlava di Africa e di missione.

Per l'addio al suo paese natale prima dell'ultima partenza per l'Uganda, gli si strinsero attorno almeno 200 persone che, dopo la messa, organizzarono un gran pranzo sotto le tende. Il paese del Padre non arriva a 100 persone; da dove erano saltate fuori tutte le altre? Venivano dai paesi vicini, alcuni perfino da Novara e da altre località lontane.

Il Padre diede la sua testimonianza che commosse tutti e poi raccolse un pesante gruzzolo per la sua missione. "Con p. Igino tutti siamo missionari", ha detto uno dei presenti. "Ci ha fatti diventare tutti missionari", ha corretto un altro.

Amore alla Chiesa africana

Solo il Signore sa quanto p. Albrigo abbia amato i sacerdoti africani. Per la loro formazione ha consumato praticamente tutta la sua vita. Li amava davvero, li capiva, li aiutava, li incoraggiava e non drammatizzava mai di fronte ai loro limiti o debolezze.

Anche dopo il periodo di formazione li seguiva con le sue lettere e i suoi consigli, sempre accettati perché venivano da un cuore generoso. "E tu, Rufino, santificati a Roma mentre io lo farò nel convento di Ngeta. Ma, alla mia età, è difficile essere generosi e non si è più capaci di volare con Cristo risorto" (18 aprile 1993).

"Il 07 ottobre 1993, cadendo da uno scalino, mi sono rotto l'osso del piede. Ora si è aggiustato e posso ancora fare ministero. Ogni giorno ringrazio il Signore che mi dà la grazia di fare un po' di bene".

"I nostri lango continuano ad avvicinarsi al Signore a centinaia, a migliaia. Questo sì che è un conforto per il missionario e per la Chiesa d'Uganda".

"Che bella notizia mia hai data! Dunque sarai sacerdote il 10 dello stesso mese in cui anch'io fui ordinato, ma 56 anni prima. Sono anni che Cristo ti sta seguendo con amore. Il sacerdozio è il dono che Cristo fa a te e tu sarai un dono per la tua gente...".

Le testimonianze di amore da parte di p. Albrigo, che i sacerdoti ugandesi possiedono, potrebbero costituire un libro.

Fino alla morte

"Cosa va a fare in Africa alla sua età. Resti in Italia dove c'è tanto da fare", gli disse un amico quando già p. Igino scalpitava per ripartire durante le sue ultime vacanze. "Ho giurato di servire gli Africani fino alla morte. Lo faccio da 60 anni, vuole che smetta proprio ora?". "Ma hanno tentato di ucciderla!".

"Se avessero conosciuto il vangelo prima, invece del fucile, terrebbero in mano la zappa per lavorare e la corona del rosario per pregare. Quindi, appunto perché ci sparano, hanno bisogno di noi".

Sereno tramonto

Quattro giorni prima della morte, p. Albrigo ebbe un leggero attacco di malaria. Niente di straordinario: ne aveva avuti un'infinità, ma quella volta volle ricevere l'unzione degli infermi. I confratelli si meravigliarono, ma egli insisté per fare le sue cose con calma e bene.

Sabato primo aprile, andò come al solito a celebrare la messa dalle suore. Fece una bella omelia e tutto procedeva normalmente. Prima della comunione, però, si fermò e disse che non si sentiva bene. Lasciò l'altare, uscì e si sedette in veranda davanti alla cappella. Alcune suore lo seguirono ma lui le invitò a tornare in chiesa a terminare la liturgia, mentre le ministre dell'Eucaristia distribuivano la comunione.

Poi disse che si sentiva di poter andare a piedi fino a Casa Comboni e, scherzando, assicurava che non bisogna mai mettere la propria croce sulle spalle degli altri. Una suora, tuttavia, insistette e lo portò a casa in auto.

Il 2 aprile, domenica, dopo colazione due suore andarono a visitarlo. Era sereno e allegro e diceva di sentirsi meglio. Promise che, il giorno dopo, sarebbe andato a celebrare la messa nella loro cappella.

Dopo circa mezz'ora altre due suore andarono a trovarlo. Bussarono alla porta, ma non ebbero risposta. Eppure al mattino il Padre aveva fatto colazione e poi si era ritirato in stanza. Entrarono e lo videro steso sul letto. Non sapendo se dormisse, gli toccarono i piedi. Erano freddi. Il Padre era già morto. Chiamarono p. Maguire che constatò il decesso e pregò su di lui.

Scrive una suora: "Padre Igino è stato un padre, un capo, un nonno per noi. Era vecchio ma ancora attivo nel suo insegnamento e nel trattare con la gente. Di una squisita gentilezza, sapeva condividere i beni spirituali e anche quelli materiali con noi. La sua gioia nel servire il Signore era così esemplare per noi che p. Igino ha veramente aiutato nella nostra crescita spirituale. Tutta la sua vita è stata un insegnamento.

Tutte sentiamo la sua mancanza anche se siamo sicure che sarà ancora con noi con la sua preghiera perché il nostro Istituto cresca in numero e in santità".

Così, dopo 57 anni di missione, padre Albrigo è morto in Africa, e in quella terra che ha tanto amata ha voluto essere sepolto per essere seme di evangelizzazione, lui che dalla gente è considerato uno dei padri nella fede e formatore di sacerdoti.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 189, ottobre 1995, pp. 54-61

******

 

When marking his final departure for Africa from his home town on 26th June 1994, Fr. Albrigo said: "On his deathbed Comboni made a young priest swear that he would remain faithful to his missionary vocation. In the person of that young man, I swore the same oath, and, thank God, I have kept it. It is the power of that oath that gives me the enthusiasm to return to the missions, now that I'm over 80."

Fr Igino was the last of eight children, born on the eve of the First World War; he lived his early years in the shadow of the conflict between Italy and Austria, with all the fears, the deaths and the privations that are brought by war.

He lost his father Paolo, a farm-worker and a devout Catholic, when he was only four. He was taken in by a priest-uncle, professor in the seminary and well-remembered as the founder of the hospice next to the Shrine of Our Lady of the Crown. There were four priests among Fr Albrigo's close relatives: two missionaries and two seculars.

Being removed at the age of four from his home, his mother Maddalena Marai and his brothers and sisters, was a bit like the call of Abraham: "Leave your birthplace and your father's house and go to the land I will show you..." Maybe this was the first sign of his missionary vocation. There is some similarity with Comboni too, who left home to go to school in Verona at the age of nine.

Igino's primary education was at the Rubele school (near S. Maria in Organo) and he made his First Communion at seven, enjoying the privilege that had been introduced only a few years earlier by St. Pius X.

Two big problems

As soon as he finished primary, he entered the diocesan seminary, and did very well. With an uncle-professor breathing down your neck, there's no time for slacking!

But between prayer and study, he found time to read some missionary magazines and books. At the end of his fourth year, he decided to join the Comboni Missionaries, and immediately ran into two big obstacles. The first was the Rector, who did not want to let him leave.

"If you want to be a missionary, you will have to leave the seminary first!" he said with a severe frown.

Fr Vianello, with whom our seminarian was already in touch, advised him:

"Leave then, and come straight to us without even going home". At which the Rector gave his consent, and wrote: "I declare that Albrigo Igino has always been very well-behaved in this seminary, under all aspects". The Bishop gave his blessing too.

The second problem was his mother, who complained directly to the Lord:

"You've really overstepped the mark, taking away my youngest!" In fact, she was so embittered that for a number of years she stopped going to church. Imagine the pain it cause Igino! But he looked at it this way:

The Diocese of Verona has 1000 priests. There are much bigger dioceses in Africa with only ten. That's not right, and I'm going!

Need of Prayer

In a letter dated 12th July 1932, he wrote to the superior: "I have been home ten days, and I am experiencing how painful it can be in the family! It is only in prayer that I find the strength to preserve my vocation in the face of such hostility. The family is much more against me than I imagined. Luckily, I have the support of my uncle, don Giuseppe. Nevertheless, I hope my stay here will be as short as possible. I have been to Our Lady of the Crown to put myself under the protection of the mother of God, and to stay away from the family for a bit. Their hostile attitude towards me is unremitting."

A week later, he writes: "It has given me great joy to know that in the Novitiate a lot of time is given to prayer: nothing better for me, because the only complaint I had in the seminary was the lack of opportunity to make a visit to Our Lord now and then during the day."

He entered the novitiate at Venegono on 13th August 1932, and made his first Vows on 7th October 1934.

During Theology at Venegono he attended the Pontifical Faculty in the Diocesan Seminary, and received diplomas in Dogmatic and Moral Theology.

In admitting him to Perpetual Vows (7th October 1937) Fr Meroni wrote: "Igino Albrigo is a religious with good spirit, solid and strong virtue, regular and well balanced in his commitment to the religious life and fidelity to his vocation, always ready to sacrifice himself for others. He is fit to make his Perpetual Vows".

Immediate departure

After ordination in the Basilica of St Zeno in Verona on 10th July 1938 (during the centenary celebrations of the Saint) he went to England to study the language for a short while, then went straight down to Africa. Here he found that malaria singled him out for some serious attacks, that brought him to death's door more than once.

He did all his work in northern Uganda and, like his uncle, spent a good number of years teaching in seminaries. Several bishops and a good number of priests are his former pupils.

On Sundays and during holidays, Fr Igino would go out to visit people and celebrate Mass. The old, leprosy sufferers, poor and sick of all kinds were his favourites. His great and sincere love for the people was returned.

During much of the 1939-45 War he was interned with other Italian missionaries, then returned to his teaching work.

Here are the main stages of his missionary life:

1939-1945 formator and teacher in the minor seminary at Lacor (when not interned!).

1945-1950 assistant priest at Nyapea and teacher in the seminary.

1950-1954 Principal of the VTTC (Vernacular Teachers Training College) and Novice Master of the Brothers at Lodonga. (In 1953 he was given the task, by Bishop Cesana of Gulu, of "founding" the Congregation of the Marian Brothers - Brothers of the Immaculate Heart of Mary.)

1954-1959 superior of the Scholastics at Verona.

1959-1964 teacher in the seminary of Lacor.

1962-1966 Provincial Superior of Uganda, resident at Lacor as Rector of the Interdiocesan Major Seminary.

1965-1975 Parish Priest at Alanyi.

1975-1984 PP at Teboke.

1984-1989 PP at Aboke.

1990-1995 to Ngeta for ministry. He also took on the task of chaplain to the Missionary Sisters of Mary, Mother of the Church; he was still engaged in this capacity when death surprised him after a very short illness.

Superior at Verona

An attack of blackwater fever seemed to be succeeding where other malarial attacks had only just failed. After trying everything, the English doctor who was treating him gave up, saying there was nothing else he could do. So one of the Sisters gave him a blood transfusion, which helped him to turn the corner. Our Lady of Lodonga must have had a hand in it too: Fr Igino was living next to her at the time!

After this last trial he returned to Italy for a period of rest, and found himself saddled with a very responsible task. From 1955-59 he was superior of the Scholasticate at Verona. He showed himself to be balanced, wise, a true father and educator, and a "saviour" of vocations.

When one or other of the students was in difficulties with studies or in hot water over some prank, the rule was: dismissal! Fr Igino would look beyond the appearances at the substance and the needs of the mission, and was able to help several to continue.

In the biography of Fr Egidio Ferracin we read this passage: "His great worry was the possibility of having to repeat a year. The superiors put him down as But he ran the risk of being sent away.

Luckily, Fr Igino Albrigo arrived just then - straight from Africa, down-to-earth and able to see beyond appearances. He sized up the student and wrote, without hesitation. We all know what a great missionary and martyr Fr Egidio Ferracin was - thanks to Fr Albrigo who "saved" him...

Just before leaving Verona on his final return to Africa, he was approached by a confrere, who asked: "Are you Fr Albrigo?"

"The very one!"

"Let me embrace you and thank you for not sending away Fr (here he mentioned a name). He has been working with me in Brazil for a number of years. He told me he was supposed to be sent away because of the enormous problems he had with his studies. I think he must have been right, because he still hasn't mastered the language; but he works wonders through all his good work, the people love him, and he is the support of the parish and of many confreres who turn to him for counsel. Just think of the loss if he had been sent home because he was no good at logarithms and confused history and geography! Thank you for having kept him for us!"

One of his innovations at Verona "scandalised" a good number of older confreres, and more than one major superior: he allowed the scholastics to take off their cassock to play football! He weathered the storm, let each one have his say - and held firm.

The Cross

A missionary without a Cross is not a missionary. Fr Albrigo had his Cross too, that we can mention briefly. It has to do with the transfer from Alanyi to Teboke. Fr Albrigo had set up a small clinic with an X-ray machine, and had agreed terms with nurses and a doctor from Europe to come to run the place. Then came the sudden order to change mission. This threw the whole plan into disarray, and he had to cancel all commitments.

"What are the real reasons for this attitude on the part of the superiors?" he wrote to the Provincial in 1975. "Why hide them from me? Leaving Alanyi, I am thinking most of the clinic, that I have worked for for years. A dialogue has to be complete, not carried out from the middle upwards! I did all this work in agreement with the Bishop, and not off my own bat, as some seem to think. If superiors do not trust a confrere, how can he trust them?

"Until I am told the reasons for my removal, I will not accept the appointment as superior in the new mission. I am quite happy to work with Fr Baiani, and I know we will get on well together, because he loves the people and knows how to get the best out of them. Here I am leaving behind people that I have helped as much as I possibly can, and who love me."

Several of the Provincial Superiors wrote flattering attestations about Fr Albrigo.

"First-rate gifts for guiding youth, serious and balanced character, good in mind and in heart, loves pastoral ministry and carries it out with zeal, obedient to the decisions of superiors. Confreres seek his company, because he is very friendly, consistent and true to himself, with practical common sense, liked by everyone and much respected. If he has a fault, it is that he smokes too much!"

A faithful dog

Then came the years of war and violence in Uganda, in the course of which a dozen missionaries were killed.

In 1979 a man struck out at Fr Albrigo with a panga (machete); thanks to his still quick reflexes, the father managed to avoid the blow.

The following year, Fr Igino was alone in the mission of Teboke when a gang of robbers arrived. His dog, seemingly fully aware of the danger, stood in front of the father and reared up on its hind legs - and took the full burst of shots that were fired - about 15! Fr Albrigo was unhurt.

The Superior General visited Uganda at about that time. Because of the situation, he was unable to call at every mission, and Fr Albrigo, still suffering from the shock of his remarkable escape from death, was missed out, and felt very disappointed. "Why could he not find an hour or so for me as well? he asked. Then added: "Well, this is the life of a missionary, too. Let's be satisfied."

His life was again in danger in 1987, when a rifle misfired as someone aimed at him. On another occasion the mission was badly damaged by shell-fire, and Fr Albrigo could only curl up in a corner and hope... but even that was not his hour!

Missionary Animation

Fr Albrigo wrote often from Africa to friends and relatives, and to some students in the diocesan seminary. One of these, now in Theology, has sent some quotations from his letters.

"04 December 1988: ...Do you think I imagine myself to be a great missionary, because I have brought dozens of children to God and into the Church, and instructed thousands in the Word of God? Don't forget that this crowd came of their own accord, because Someone called and chose them. Yesterday and today I have been thinking about people like you who pray, and so bring down the Holy Spirit, who is the one who moves hearts. I am only God's instrument; the work is His."

"02 April 1989. I was the architect, the engineer and the foreman in building this church. It went up in 1982-1984, and later was handed over to the local clergy... I retired to Aboke, and I am still here in the apostolate. Teboke was entrusted to me in 1975, and I left in 1984. When I started there were 4,000 Catholics out of a population of 30,000. In '84 there were 16,000 Catholics. To assist the people, I drilled a well almost 500 feet deep and I built a small clinic. There are two qualified African nurses, and a doctor calls once a week. The people would like me back at Teboke, but I'm getting on, and I must prepare to meet the Lord. Tell your young friends that a substitute is needed!"

"03 June 1989. (to a youth group in Gozzano, Novara) I thank the Lord every day for having chosen me to be a missionary, and I have never had any doubts about my vocation, even when they told me that my mother had stopped going to church in protest because God had stolen her son! It was a bitter blow, and I prayed for her for ten years. Then she saw the light and came back to her prayers and religious practice. When she was dying, all the children were around the bed except me - I was away in Africa. She said: "I see Fr Igino is the only one missing. Write and tell him that I bless him and all his work". The Lord had definitely won...

"Sickness can be a great nuisance in missionary work, but we are not afraid of it. Before I reached the age of 30 I was at death's door more than once because of malaria. The superiors tried three times to send me back to Italy, but the Mediterranean was full of submarines. So I recovered in Africa".

"Every evening I tell that Lord that, if I was 18 all over again and He called me, I would give the same answer. "01 April 1992. We do not have a front line: that belongs to Christ. We are all part of the rearguard. Jesus expects us to do the Father's will regardless of our rank and our office, like St Theresa of the Child Jesus, who is a great missionary, even though she never left her convent. Because that is where the Lord wanted her!"

"31 December 1992. I have just preached a retreat to the sisters who will make their Perpetual Vows and the novices who make their First Profession tomorrow. I kept hammering the same point: our pilgrimage must lead to holiness, and it is a journey that is difficult and full of joy at the same time - a journey that is not undertaken alone, but forming a pair with Jesus.

"Now that I have said so many good words - now that I'm done - I feel I have been a drum: a drum with a penetrating tone, but still just a drum! And I wonder whether they will accept a drum in Paradise, to accompany the heavenly choirs...".

Able to involve people

Fr Albrigo was able to involve a lot of people in the cause of the missions. Like Comboni, he always felt at his ease when he was talking about Africa and the missions.

During that last farewell in his native village, there were 200 guests, and after the Mass, a festive dinner under a marquee! Since the population of the village is only 100, it means that most of those present came from outside, some from Novara and even further a field.

Father gave his speech that moved everyone to ... tears and generosity, and quite an amount was collected for his mission. "With Fr Igino we are all missionaries!" exclaimed one of those present. "He has made us all missionaries," corrected another.

Love for the African Church

Only the Lord can tell how much Fr Albrigo loved the African clergy. He spent the greater part of his life in forming and teaching them. And he had a true love and understanding. He would help and encourage them, and was never scandalised by any limitations or weakness.

After their ordination he would accompany them with his letters and counsel. His advice was well-received because it came from a big heart. "Rufino, you become holy in Rome, while I try to do the same here in Ngeta. But at my age, it is harder to be generous, and we are no longer able to fly with the Risen Christ!" (18 April 1993).

"On 07 October (1993), I slipped on a step and broke a bone in my foot. It is better now, and I can start my ministry again. Each day I thank the Lord, who gives me the grace to do a bit of good."

"Our Lango people keep coming to the Lord in hundreds and thousands. It is a great consolation for the missionary, and for the Church in Uganda".

"What wonderful news! So you will become a priest on the 10th of this month - the same month I was ordained, only 56 years ago! Jesus has been accompanying you with his love for years. Priesthood is a gift that Christ makes to you, and you will be a gift to your people...".

All the instances that Ugandan priests could give of Fr Albrigo's love for them would fill a book.

Up to death

"What do you want to do in Africa, at your age? Stay here in Italy; there's plenty to do here!" This was what a friend said during that last holiday, when Fr Igino expressed impatience to be back in Africa.

"I swore to serve the Africans until my death. I have been doing so for 69 years. Do you want me to stop now?!"

"But they tried to kill you!".

"If they had received the Gospel before the rifle, they would have a hoe in one hand to dig, and the Rosary in the other to pray. The fact that they shoot at us means they still need us!"

Peaceful end

Four days before his death, Fr Albrigo had a slight attack of malaria. Nothing unusual - he had had dozens of such fevers; but he asked for the Sacraments of the Sick. When confreres expressed some surprise, he simply said that it was better to do everything properly, and he just felt it was right.

Saturday, 1st April: as usual, he went to celebrate Mass for the Sisters. He gave a nice homily, and everything went normally until just before the Communion, when he said he did not feel well. He went and sat under the verandah by the chapel, telling the Sisters who followed him out to go back for Communion, which was distributed by the ministers.

He finished the Mass, and said he felt well enough to walk back to Comboni House, not wanting - he joked - to place his Cross on someone else's shoulders. But one of the Sisters was insistent, and drove him back.

On the Sunday, two of the Sisters went to see him after breakfast, and found him cheerful. He had eaten breakfast, and was feeling a lot better. He promised he would be at the convent for Mass the next morning.

Half an hour later, two other Sisters came to see him. They knocked, but got no answer, which surprised them. Peeping into the room, they saw him lying on the bed, and touched him, to see if he was asleep. But the skin was cold. Fr Igino was already dead. They called Fr Maguire, who also realised the father was dead, and said the prayers for the deceased over him.

One of the Sisters writes: "Father Igino was a father, a chief and an elder for us. He was old, but still lively in the way he taught us and dealt with people. He was extremely kind, and shared with us both his spiritual and his material goods. His joy in the Lord's service was a tremendous example; it alone made Fr Igino a tremendous help for us in our spiritual growth: all his life was a teaching.

We all miss him very much, even though we are sure that he is still with us with his intercession for our Institute, that it may grow in number and in holiness."

So, Fr Albrigo died in Africa, after 57 years as a missionary in that land that he loved so much. He got his wish to be buried there, like a seed of new evangelisation - one whom the people call a "father in the faith", and who was also a former of priests.