Uomo esuberante, si potrebbe dire anche stravagante, è il vero tipo del missionario rotto ad ogni fatica, umile, che sapeva nascondere un grande cuore sotto una scorza ruvida.
Figlio di contadini, ha sempre amato la terra e il lavoro dei campi tanto da essere chiamato "il prete contadino". Questo lavoro, tuttavia, era come riempitivo del suo tempo libero dal ministero e dalla preghiera. In esso si realizzava e si rilassava.
Fece il ginnasio, il liceo e il secondo corso teologico nel seminario vescovile di Vicenza... Erano i tempi in cui il seminario di Vicenza diede alla congregazione comboniana ottimi missionari, tra i quali anche un martire (p. Silvio Dal Maso), tanto da mandare in tilt il vescovo che ad un certo punto sbarrò le porte dicendo:
"Se voi comboniani mi portate via i migliori, che cosa resta alla diocesi?".
Il travaglio vocazionale di Igino fu lungo e sofferto. Percepiva la chiamata del Signore, ma sentiva che il passo non era da farsi a cuor leggero. Parlò di questo suo desiderio con il p. spirituale e con il rettore i quali, saggiamente, gli dissero di non aver fretta, tanto, finché non fosse giunto al sacerdozio, non sarebbe partito per l'Africa.
Bisogna andare
Ad un certo punto l'interessato disse che per andare in Africa come missionario bisognava prepararsi adeguatamente, e questa preparazione avveniva in congregazione. Ed ecco che, il 10 aprile 1935, scrisse al p. generale: "Dopo aver lungamente pregato Iddio, stando al consiglio dei miei superiori e del mio direttore spirituale, faccio a lei domanda di essere accolto nella congregazione dei Figli del Sacro Cuore. Con questa decisione intendo seguire la volontà di Dio e soddisfare alle mie aspirazioni.
Prima di fare questo passo, ho chiesto e ottenuto il consenso dei miei superiori ed il permesso del mio vescovo di potermi ritirare dal seminario.
Riguardo alla mia condotta, poiché nessuno è giudice in causa propria, mi rimetto completamente al giudizio che le potranno dare i miei superiori.
Quanto al mio stato: sono chierico e frequento il secondo anno di teologia...".
I genitori, Francesco e Regina Negro, lo lasciarono libero nelle sue scelte, anche se avrebbero preferito che avesse svolto il suo ministero nella diocesi di Vicenza.
Il rettore del seminario, mons. Marco Scaleo, assicurò "che il Mazzocco è uno dei nostri chierici sui quali possiamo ben fondare le migliori speranze per un sacerdozio sotto ogni aspetto fruttuoso.
Di carattere è aperto e gioviale. La salute è buona e l'ingegno pure. La pietà è sentita e la condotta lodevole. Anche negli studi diede risultati molto soddisfacenti. Ha tutte le carte per diventare un degno missionario".
Giovane con i piedi per terra, prima di imbarcarsi nella nuova avventura, volle andare a Verona a trovare il p. generale, p. Pietro Simoncelli, col quale ebbe un approfondito colloquio sulla vita missionaria.
P. Bombieri stesso, maestro dei novizi a Venegono, gli fissò il giorno dell'entrata: 19 agosto 1935.
La sua esuberanza era, a detta del p. maestro, un'esuberanza sana, per cui il giovane andò avanti senza traumi.
"E' di costumi illibati, di pietà, delicatissimo quanto a castità e di osservanza regolare", scrisse.
Accanto ai suoi compagni di noviziato, tutti giovani di quinta ginnasio, egli faceva la parte del vecchio, del saggio. La sua età e gli studi compiuti lo misero naturalmente su di un gradino più alto che egli occupò dignitosamente sforzandosi di dare buon esempio.
Frequentò il terzo corso teologico nel seminario arcivescovile di Venegono Inferiore e il 07 ottobre 1937 emise i primi Voti.
Poi passò a Verona per la quarta teologia. Il superiore generale, p. Antonio Vignato, che lo volle interrogare prima dell'ordinazione, lasciò scritto: "Dacché ha emesso i Voti religiosi si è sempre comportato da buon chierico religioso, amante della preghiera e dello studio, osservante della regola, docile, desideroso di giungere al sacerdozio. Nulla vi è da eccepire circa la castità, la temperanza e l'ortodossia della fede".
Fu ordinato sacerdote nella città scaligera il 10 luglio 1938.
Troia e Trento
Dopo alcuni mesi a Troia come prefetto in sostituzione di un altro che doveva arrivare, passò a Trento come economo e insegnante (1938-1939). Economo significava soprattutto battere i paesi del Trentino predicando giornate missionarie. Fu un anno difficile perché, a causa di una prolungata siccità, la gente non poteva essere generosa quanto avrebbe voluto, e gli alunni da mantenere erano una settantina.
Grazie all'intraprendenza del Padre e alla sua infaticabile attività anche in quell'anno si poté sbarcare il lunario. E quando già c'era odore di guerra, con la previsione di tempi ancor più difficili, p. Mazzocco ricevette il via per la missione.
In Sudan meridionale
La prima tappa africana di p. Mazzocco fu Torit, la missione fondata nel 1920 grazie a una magnifica torta preparata e offerta da p. Cesare Gambaretto al governatore del Sudan meridionale in visita da quelle parti (la zona era vietata ai cattolici).
P. Mazzocco vi giunse quando la missione era già ben sviluppata e vi lavorò solo un anno (1939-1940) come coadiutore, giusto il tempo di imparare la lingua.
L'anno dopo, infatti, per causa dell'entrata in guerra dell'Italia contro l'Inghilterra, i missionari italiani furono internati nella missione di Okaru. Vi rimasero per tutto il 1941.
Dal 1942 al 1943 p. Mazzocco fu a Loa e poi a Isoke (1943-1947). Il suo ruolo, fino a questo punto, fu sempre quello di coadiutore.
Missionario tra la gente
E' interessante dare un'occhiata al suo modo di essere missionario. Mazzocco, esuberante ed estroverso qual era, amava stare con la gente. La sua passione principale era quella dei safari. Con l'indispensabile per la messa e per la sopravvivenza, partiva a cavallo della sua bicicletta e passava un villaggio dopo l'altro intrattenendosi con la gente, specie con gli anziani.
Aveva imparato bene la lingua per cui gli era possibile parlare su argomenti diversi. Prima di affrontare il tema religioso vero e proprio, si informava della salute, del lavoro nel campo delle donne, della caccia per gli uomini e poi, piano piano arrivava al punto.
Distribuiva qualche medicina, sale e tabacco attirandosi così la simpatia specie dei vecchi che, in quella regione, erano considerati persone importanti.
Con i ragazzi in missione e nel catecumenato sapeva organizzare giochi e gare sportive per cui era ascoltato anche quando, poi, parlava di Dio, raccontava episodi della storia sacra o spiegava i sacramenti.
Come zelo per le anime ce la metteva tutta nei limiti della sua salute sempre cagionevole. Sapeva sottoporsi a marce forzate per arrivare a portare i sacramenti ai morenti. In comunità teneva alto il morale e aveva una notevole capacità di sdrammatizzare le situazioni un po' tese salvo, poi, a causarle lui stesso specie quando stava male.
La croce della malattia
Una croce particolare, infatti, erano le febbri. Lo prendevano di frequente e con una veemenza impressionante. Più di una volta fece pensare di essere sull'orlo della tomba. Le febbri erano accompagnate e seguite da terribili mal di testa che lo rendevano inquieto e lo facevano scattare creando qualche turbativa nella comunità. Purtroppo alle volte scattava anche con gli africani. Appena si rendeva conto di quanto aveva fatto, si pentiva e chiedeva perdono.
"Ho la testa che mi scoppia. Mi pare di diventar matto", diceva. Queste sue arrabbiature lo facevano soffrire particolarmente "perché - afferma p. Patroni, suo provinciale - il Padre è sensibilissimo di cuore e di una grande carità. Per questo amore per gli altri, però, la gente lo perdona volentieri e le autorità lo stimano assai".
Parentesi padovana
Nel 1948 p. Mazzocco dovette rimpatriare se voleva salvare la pelle. Del resto, dopo quasi 10 anni di Africa, e di quell'Africa, aveva veramente bisogno di una revisione.
Tanto per riposarsi e rimettersi in sesto andò a Padova come insegnante. Entusiasmò i giovani seminaristi con le sue avventure di missione: il racconto delle scene di caccia e dei gesti di zelo per le anime. La sua vivacità e allegria fecero il resto.
Dopo un anno, però, era nuovamente in missione. Questa volta a Lowoi (1949-1953) con l'incarico di quasi parroco. E dal 1953 al 1955 fu a Palotaka come superiore.
Ma la malaria e il mal di testa ricominciarono a perseguitarlo di giorno e di notte per cui i superiori decisero di rimandarlo in Italia definitivamente.
Vi giunse nel 1955 quando già nel Sudan meridionale cominciavano le lotte tra arabi e neri, che sarebbero sfociate nella grande espulsione dei missionari del 1964. Fu insegnante a Trento (1955-1957), parroco a Troia (1957-1958), nuovamente a Trento come addetto all'animazione missionaria (1958-1968), a Pordenone dal 1968 al 1992 e finalmente a Cordenons dal 1992.
Chi andava a Pordenone era sicuro di vedere p. Mazzocco nell'orto intento a lavorare la terra. Al mattino, però, si recava presso le suore dell'ospedale per la messa, e in determinati pomeriggi si dedicava al ministero delle confessioni in vari istituti.
Alla domenica si prestava, nei limiti del possibile, per il ministero nelle parrocchie e per la predicazione di qualche giornata missionaria.
I suoi penitenti lo chiamavano "il ministro della misericordia" e per questa sua larghezza di cuore e capacità di capire le debolezze degli uomini, era molto ricercato.
Esternamente non parlava troppo, preferendo vivere piuttosto ritirato. Dava un buon tempo alla preghiera, specialmente alla sera, e durante il giorno si rifugiava nell'orto dove sembrava ritrovare se stesso. Lì diventava perfino loquace se qualcuno andava a trovarlo.
Poi ci fu l'incidente col motorino e, da allora, non fu più lui. Portato al centro malati di Verona, ha vissuto nella rassegnazione il tempo che il Signore gli concesse, senza lamentarsi, senza protestare, quasi anzi in una gioiosa attesa di incontrarsi col Signore.
Ricoverato d'urgenza all'ospedale di Negrar per un ennesimo blocco renale, fu sottoposto a cure intensive che non diedero nessun risultato. E dopo pochi giorni chiuse in serenità la sua giornata terrena.
Una testimonianza
Scrive p. Roberto Cona: "La conversazione col Padre era sempre piacevole e gioiosa. Si stava bene con lui e anche i parenti e gli amici che venivano a trovarlo erano dello stesso parere. Pur ammalato e quasi in fin di vita, continuava a donare giovialità, speranza, sdrammatizzazione di quelli che ci sembravano i nostri problemi. Era bello il suo modo di ridere e gradevoli le sue battute".
Dal cielo dove si trova, p. Igino aiuterà certamente tanti confratelli ad essere ottimisti, come lo è stato lui, e a prendere la vita con serenità, giorno per giorno, come viene dalle mani di Dio senza farla troppo difficile. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 186, gennaio 1995, pp. 100-104