Trevenzuolo, il paese natale di p. Cestaro, era frequentemente battuto dai missionari comboniani di Verona, che vi si recavano per la predicazione e per il ministero delle confessioni. Non fu difficile individuare tra i chierichetti Mariano, un ragazzino minuto, vivace e tanto generoso che, alla domanda di rito: "Ti piacerebbe farti missionario?", rispose con un pronto ed entusiasta: "Sì, Padre".
Il missionario gli spiegò che la vita in Africa era tanto bella, ma anche irta di sacrifici. Il piccolo Mariano, anziché scoraggiarsi o tirarsi indietro, aggiunse: "Il sacrificio non mi ha mai fatto paura... Se poi ci si sacrifica per salvare le anime, me ne fa ancora meno".
Dobbiamo riconoscere che il ragazzino era abituato al sacrificio. Scrive il fratello Egidio: "Eravamo 14 fratelli, undici femmine e tre maschi. Papà Giovanni lavorava la terra: pochi campi in proprietà. La mamma, Venturini Clarice, gli dava una mano e poi, anche noi, a seconda che crescevamo ed eravamo in grado di tenere in mano un arnese, partivamo al seguito. Il problema numero uno era quello di ricavare da quella poca terra il cibo sufficiente per tutti; un'impresa non sempre facile. Alla sera, benché con le ossa rotte dalla fatica, ci trovavamo tutti attorno alla tavola per il rosario che seguiva alla cena. E come si pregava bene! E come eravamo contenti! Mariano era il più giovane dei maschi, quindi il coccolino. Ma in casa nostra c'era poco da coccolare. I miei genitori erano dei santi. Lo posso proprio dire con tutta sincerità. Il Signore guardò con occhio di benevolenza la nostra famiglia. Delle sorelle, quattro si fecero suore: sr. Remigia e sr. Elide divennero Pie Madri della Nigrizia; sr. Elda entrò in clausura tra le Visitandine di Padova, e sr. Zorilla andò tra le Suore della Misericordia. Quando si è in tanti, ce n'è anche per il Signore. Il più anziano dei maschi, Gerardo, morì nel 1947 a causa delle tribolazioni sofferte durante la guerra in Grecia. Fu un vero testimone di Cristo tra i soldati. In un certo senso fu anche lui un autentico missionario. Si era preparato all'apostolato nell'Azione Cattolica che, a Trevenzuolo, era fervorosissima e preparava veri uomini e veri cristiani sotto la guida sicura di mons. Mazzi, allora parroco. Gerardo era il punto di riferimento di alti ideali tra i giovani della parrocchia".
Apostolino
Quando, alla fine delle elementari, i missionari di Verona si resero conto che la "vocazione" di Mariano era una cosa seria, confortati in questo anche dalla parola del parroco, lo avviarono alla scuola apostolica di Padova. "I genitori - prosegue il fratello Egidio - videro come un segno di benedizione di Dio questa chiamata alla vita missionaria, anche se non si può negare una certa preoccupazione della mamma che giudicava la vita missionaria superiore alle forze del figlio. Ma Mariano era molto determinato nella sua scelta e diceva che, con il passare degli anni, sarebbe diventato più robusto. Anche se non lo ha dato a vedere, sono sicuro che lasciare il paese, i compagni e soprattutto i genitori e i fratelli (ci volevamo tanto bene) gli sarà costato molto. Tuttavia partì volentieri".
Il giovinetto si mise subito di impegno, specie nella scuola, dato che trovava qualche difficoltà nell'apprendimento delle materie. Ma anche nella pietà e nella condotta ce la mise tutta. I suoi voti in queste "discipline" furono sempre dieci. Teniamo presente che si era in piena guerra, e Padova divenne una città pericolosa, anche perché la casa dei missionari è abbastanza vicina alla stazione ferroviaria. Alla paura, alla quale per la verità i ragazzi non pensavano troppo, si aggiungeva la scarsità di cibo. Questa sì impressionava quei ragazzi che erano sempre forniti di ottimo appetito. I superiori approfittarono della situazione per trovare spunti di formazione. "In missione - dicevano - non sempre si trova il cibo sufficiente e molto spesso neppure l'acqua per dissetarsi". A quella scuola gli apostolini, così si chiamavano i seminaristi comboniani, imparavano la lezione della croce che deve accompagnare sempre la vita del missionario.
Terminate le medie, Mariano passò a Brescia e subito dopo a Crema (essendo Brescia più soggetta ai bombardamenti americani) per la quarta e quinta ginnasio. Anche qui si impegnò al meglio per prepararsi al noviziato che ormai non era troppo lontano. Quanto al cibo - lo ricordava lui stesso - c'era quella santa anima di fr. Norbiato che si era fatto mendicante per assicurare ai futuri missionari lo stomaco sempre pieno.
Tra le sue carte c'è la lettera con cui chiede al p. generale l'ammissione al noviziato. E' interessante sottolineare i sentimenti che lo accompagnavano in questo passo importante per un giovane di 19 anni. Ne citiamo qualche brano. "Il divin Maestro mi ha fatto conoscere per mezzo di chi dirige l'anima mia, che questa è la strada che io devo percorrere. Da principio ho provato un senso di turbamento per una grazia così grande, ma il cuore esultò di gioia al pensiero che una Madre munifica mi assiste dal cielo e che Gesù sarà la mia forza... Così, sotto il manto di Maria e nel Cuore di Gesù, intendo spendere tutta la mia vita, fino all'ultimo respiro, per la salvezza delle anime, nella speranza cristiana di possederlo totalmente un giorno nel cielo, insieme a una bella schiera di anime da me salvate".
Novizio
Il noviziato di Firenze, nel quale entrò il 18 settembre 1945, rappresentò per Mariano un periodo di "impegnato riposo". Impegnato, perché sotto la paterna e illuminata guida di p. Patroni, ognuno doveva impegnarsi al meglio, ma anche riposo perché non c'era più da sudare su quei benedetti libri scolastici che avevano rappresentato per Mariano una fatica di Ercole.
"Fin dai primi giorni - scrisse p. Patroni - si mise con impegno e generosità, direi con preoccupazione eccessiva, nel suo lavoro di formazione. Schietto e obbediente, si liberò ben presto dalle ansietà di spirito che lo tormentavano". Da queste parole del p. maestro, possiamo desumere che il giovinetto fu tormentato anche dagli scrupoli. Schiettezza e obbedienza furono il binario per uscirne.
"Nella pratica della virtù - prosegue il formatore - casca in esagerazioni, ma subito si ritira con docilità al cenno dell'obbedienza. Nel lavoro spirituale è bisognoso di essere regolato e guidato. Come carattere è piuttosto timido, tranquillo e portato un po' al pessimismo. Quanto a salute, nella visita radiologica si notò ancora quel disturbo al cuore che aveva nella scuola apostolica".
Alla vigilia dei Voti "l'obbedienza è perfetta - scrive p. Patroni - e le limitate qualità di intelligenza sono ampiamente supplite da pietà soda e virtù genuina. Credo che riuscirà un ottimo religioso e un fervente missionario". La professione ebbe luogo il 9 settembre 1947.
Sacerdote e insegnante
Con i suoi limiti quanto a studi, egregiamente suppliti da un notevole senso pratico e concretezza nelle cose, e con la sua bontà e generosità, affrontò il liceo a Rebbio e la teologia a Venegono Superiore.
P. Medeghini, superiore a Venegono, scrive nel 1953 (Cestaro frequentava la terza teologia): "Si nota un ascendere verso la perfezione con più intenso amore alla pietà e all'adempimento dei suoi doveri. In tutto il suo comportamento è esemplare. Il suo spirito di pietà è distinto. In chiesa tutti notano la sua compostezza e devozione. Obbedientissimo e premuroso per aiutare gli altri. E' scrupoloso nel chiede anche i minimi permessi. Manifesta grande premura nel disimpegno dei suoi uffici ed è animato da genuino spirito di sacrificio.
Quanto a carità, essendo molto esigente con se stesso, lo è anche con gli altri, ma si vede che ciò proviene dal sincero desiderio di santità".
L'anno dopo, alla vigilia del sacerdozio, p. Medeghini annota: "Riuscirà molto bene in missione in qualche catecumenato. Con i ragazzi e i giovani ci sa veramente fare. Lo ha dimostrato facendo catechismo nei paesi vicini. Avrebbe potuto fare l'assistente dei ragazzi in qualche scuola apostolica se ciò non gli avesse rubato tempo allo studio".
I superiori presero questa nota nel verso giusto e, dopo l'ordinazione sacerdotale che ebbe luogo a Milano il 30 maggio 1953, inviarono p. Mariano a Pesaro come insegnante. Vi rimase dal 1953 al 1957 dando buona prova di sé, anche se i libri da studiare per prepararsi le lezioni e i compiti da correggere gli rendevano la vita amara.
La domenica era riservata alle giornate missionarie. Lì sì p. Mariano si sentiva a suo agio anche se la fatica non era indifferente soprattutto per la carenza dei mezzi di trasporto.
In Sudan Meridionale
La "liberazione" ebbe luogo nel 1957 quando fu inviato nel Sudan Meridionale. Mboro (1957-1959), Dem Zubeir-Gordhim (1959-1962), Kpaile-Raffili (1963), furono le tappe del suo ministero.
Al suo arrivo nella "terra del Comboni" l'entusiasmo era alle stelle. Il Sudan, indipendente dal primo gennaio 1956, quindi da appena un anno, era ricco di promesse, anche se i soliti "lungoveggenti" pronosticavano tempi duri di cui c'erano già stati i prodromi.
P. Cestaro si buttò nel ministero anima e corpo. Imparò la lingua ndogo, iniziò i safari e il catechismo a gruppi sempre più numerosi di catecumeni. "Bisogna evangelizzare, bisogna battezzare", insistevano i vescovi, in modo che i musulmani, sostenuti dal governo, siano una minoranza di fronte ai cattolici. E c'è da dire che quelli furono anni fortunati per la Chiesa cattolica. Pareva che la semente seminata nel pianto dai missionari della prima ora, stesse ora trasformandosi in una messe abbondantissima. Ma ben presto cominciarono le limitazioni, le persecuzioni, le incarcerazioni e le espulsioni, fino a quella che coinvolse tutti nel 1963.
Spulciando nelle lettere di questo periodo, notiamo tanto entusiasmo per la "bella vita missionaria come l'ho sognata negli anni giovanili", ma anche "una certa paura per il futuro che non si presenta per niente roseo", "una grande fiducia nel Cuore di Gesù che vuole che tutti gli uomini raggiungano la salvezza", "il bene che fa il missionario soprattutto con gli anziani, i malati, i lebbrosi".
Chi fu con lui in quegli anni afferma che p. Mariano si fece subito notare per il suo zelo, per il desiderio di stare con la gente, di parlare con tutti, specie con gli anziani. Aveva un dono tutto particolare per insegnare ai bambini e per intrattenerli con giochi e scherzi che essi gradivano. Davvero quella vita era troppo bella perché potesse continuare ancora a lungo.
Si può capire, quindi, come l'ordine di espulsione improvviso e crudele sia stato uno sgradevole risveglio da un bel sogno... P. Cestaro accettò con fede anche questa prova e, insieme ai confratelli, molti dei quali avevano trascorso la vita con gli africani, rientrò in Italia.
"Solo 5 anni di missione - ripeteva - solo 5 anni dopo tanti di preparazione e di sacrifici".
La lunga giornata italiana
Rientrato in Italia, andò a Pesaro (gennaio '63 - agosto '63) come propagandista. Gli pareva di aver appena lasciato quella casa, di aver appena salutato i parroci e la gente che incontrava nelle giornate missionarie, che già era nuovamente tra loro a raccontare la sua esperienza e il martirio di un popolo che annoverava già i suoi martiri.
Dal settembre 1963 al settembre del 1969 fu a Verona con l'incarico di economo provinciale e propagandista. Trovò debiti da pagare, case vecchie da restaurare, inquilini da accontentare. Si batté per una sistemazione di "San Raffaele", sopra il parco di Casa Madre, ma il generale (p. Briani) lo dissuase. Riuscì a ricostruire le casette di piazza Cisterna, che poi furono cedute alla Curia di Verona per ospitare sacerdoti anziani; fece anche qualche aggiustamento in Casa Madre, ma sempre all'insegna dell'economia all'osso perché i tempi erano duri.
Riprese con vigore le giornate missionarie per arrotondare i conti, contribuendo a suscitare tra i sacerdoti del veronese tanta simpatia per le missioni e in particolare per la situazione del Sudan che peggiorava continuamente.
"Ogni volta che tornava al paese - scrive il fratello Egidio - aveva un occhio sempre attento alla situazione della parrocchia. Si prestava volentieri per le confessioni, per la predicazione e per la visita agli ammalati. Tutti hanno ancora la sensazione di aver avuto a che fare con un uomo di Dio, un sacerdote tutto di un pezzo, completamente dedito alla sua vocazione missionaria".
Dal 1969 al 1978 fu inviato a Padova, sempre come economo, visto che era un mago per far tornare i conti anche nelle situazioni più disastrate. Lavorò sodo anche lì, animato dal solito entusiasmo.
Intanto la voglia di missione si faceva sempre più impellente. Scrisse in questo senso ai superiori, e p. Agostoni, in data primo luglio 1974, lo destinò all'Uganda. "Dato che conosci l'inglese, ti troverai bene". All'ultimo momento venne confermato ancora economo a Padova e poi, dal 1978 al 1984 a Milano in via Giuditta Pasta.
Qui lo raggiunse la proposta di p. Salvatore Calvia per una prossima partenza per le missioni: "Dove ti sentiresti maggiormente a tuo agio", gli scrisse il p. generale.
"Riguardo all'opzione per una missione piuttosto che un'altra - rispose il Padre - mi rimetto alle sue decisioni". Lo spirito di obbedienza che lo aveva caratterizzato in noviziato, aveva lasciato il segno.
In Messico come un dono
L'obbedienza lo dirottò in Messico, previa una tappa in Spagna per imparare la lingua. A 58 anni di età, affrontare una nuova lingua, una nuova cultura, rappresentò un colpo duro per p. Mariano, tuttavia scrisse: "L'entusiasmo per la missione è ancora ben vivo in me. Ho bisogno invece di capire la croce della mia salute (sono ridotto a 54 chilogrammi) come dono della mano di Dio per poterla portare meglio a salvezza mia e degli altri". In una lettera del luglio 1984 aggiunge: "Frequenterò il corso al Ceial di Verona in modo da prepararmi bene alla partenza... Sto pregando di più perché il Signore mi dia la grazia di fare sempre e ovunque la sua volontà, meglio che posso, con i limiti che ho".
P. Joaquin Orozco, provinciale del Messico, gli scrisse: "Arrivi tra noi come un dono. Riguardo allo studio della lingua non andare in Spagna. Qui ci sono scuole ottime". Dal primo gennaio 1985, p. Mariano fu assegnato, dunque, alla provincia messicana. Fu a La Paz (1985-1988) come addetto al ministero, e a San Francisco del Rincòn, parrocchia e seminario, dal 1989 alla morte. Nel 1989 (gennaio-giugno) fu a Roma per il Corso di aggiornamento.
La lenta salita al Calvario
Scrive p. Tano Beltrami: "Ho conosciuto p. Mariano in Italia. Era un gran lavoratore, amante del dovere e compito in tutte le sue cose, incurante del sacrificio anche se la sua salute non era delle migliori. In Messico ho ammirato la sua forza di volontà e la sua generosità che lo portarono a imparare la lingua, gli usi e la mentalità con una grande carica di entusiasmo.
Lavorò bene con la gente e tra la gente che amava e dalla quale era riamato. Si trovava bene; sembrava che una nuova giovinezza fosse entrata nelle sue vene e gli desse vigore. Fu forse questo entusiasmo che non gli permise di controllare le sue reali capacità di resistenza. Dopo la sessantina bisogna scalare qualche marcia, pena pagarne le conseguenze. Ed ecco che anche per p. Mariano venne l'ora della prova. Una forma di depressione cominciò a tormentarlo. Si rendeva conto che non riusciva a possedere bene la lingua e ciò lo limitava. La responsabilità di quella grande parrocchia lo spaventava. I ritmi stessi della vita e la diversità di cultura rispetto a quella africana e italiana gli davano un senso di impotenza... Non sono sufficienti - prosegue p. Beltrami, laureato in psicologia - l'entusiasmo vocazionale, la buona volontà e la fede per conseguire un risultato apostolico. Bisogna tener presente l'età dell'individuo e le capacità di inculturarsi in un popolo... Il pessimismo segnalato dal p. maestro negli anni del noviziato, fece nuovamente capolino. P. Mariano ricorse prontamente ai medici i quali lo rimisero in forma. Ma le ricadute si ripetevano, per cui i superiori avevano deciso di rimandarlo in Italia per curare meglio la sua salute. Cosa che avrebbe fatto il 5 settembre 1992. Intanto tutta la Comunità si era stretta attorno a lui per fargli coraggio e per aiutarlo a vincere i momenti di tristezza che lo prendevano. Egli si superava mirabilmente tanto da continuare il suo lavoro con apparente naturalezza".
Una morte piena di interrogativi
In attesa dei documenti per la partenza e per essere in grado di fare un "buon viaggio" venne ricoverato presso la clinica di Leòn. Quando uscì per ritornare in comunità si era rimesso abbastanza bene. L'attesa del prossimo ritorno in Italia gli aumentava la serenità che indubbiamente aveva acquistata in ospedale.
Scrive p. Enrique Sànchez, viceprovinciale del Messico: "Domenica scorsa (30 agosto) il superiore della sua comunità gli chiese se voleva andare a celebrare una messa. P. Mariano gli rispose che preferiva restare in casa e celebrare nel pomeriggio. All'ora di pranzo gli altri Padri non lo videro scendere in refettorio, però non si preoccuparono perché era successo in altre occasioni che p. Mariano si fermasse in stanza sua e scendesse a mangiare più tardi. Quando i confratelli non lo videro neppure a cena, cominciarono a cercarlo per tutto il seminario, senza trovarlo. Nella sua stanza tutto era in ordine e tutto lasciava pensare che il Padre fosse uscito per un momento. Dopo ripetute e vane ricerche, il superiore denunciò la scomparsa alla polizia, pensando che si fosse smarrito. Le ricerche proseguirono in maniera ancor più massiccia. La mattina seguente, lunedì, furono interrogate tutte le persone che più lo conoscevano ma, stranamente, nessuno l'aveva visto. Le ricerche continuarono senza sosta fuori e dentro il seminario. Martedì mattina p. Mariano venne trovato morto nella piscina del seminario. Pensiamo che sia andato in quei paraggi per recitare il rosario, come era solito fare, e che abbia avuto un probabile capogiro che lo ha fatto scivolare e cadere.
Le autorità furono immediatamente avvisate. Dopo le pratiche di ufficio e l'autopsia che attribuì la morte ad 'asfixia por immersion', diedero il permesso di preparare la salma per il funerale.
Durante la notte di martedì la salma fu vegliata da moltissime persone che lo avevano conosciuto. Fu una notte di preghiera e di ringraziamento al Signore per tutto il bene che p. Mariano aveva fatto durante gli anni della sua permanenza a San Francisco.
Ai funerali parteciparono quasi mille persone, i sacerdoti della città, tutti i seminaristi appena arrivati dalle loro vacanze e un bel gruppo di confratelli comboniani provenienti da varie parti del Messico".
Fu sepolto nel seminario stesso. La tomba venne scavata vicino alla grotta della Madonna, Nostra Signora di Guadalupe, che p. Mariano aveva contribuito a costruire.
Uomo integro, trasparente e senza pretese
Hanno scritto di lui i confratelli: "P. Mariano è stato un uomo integro, trasparente e senza pretese. Un religioso che, rinunciando ai suoi progetti personali, ha saputo impegnare la sua vita in spirito di obbedienza all'Istituto e alla sua vocazione missionaria.
La morte di p. Mariano proclama la nostra fragilità fisica e psichica. Ci invita a ringraziare Dio per il dono della salute e a curarla come un regalo prezioso e, soprattutto, impiegarla per il servizio del Regno di Dio nel mondo".
Proveniente da una famiglia povera, dalla quale il Signore, come abbiamo ricordato, ha chiamato anche quattro sorelle alla vita religiosa, ha avuto sempre una predilezione per i poveri che, come Comboni, considerava la sua porzione eletta. Come missionario ha saputo attirare il cuore di molte persone che hanno trovato in lui un testimone fedele, un fratello e un amico, povero e silenzioso, un autentico discepolo di Cristo e un innamorato della Madonna. A questo proposito il fratello Egidio scrive: "In ogni discorso, in ogni sua lettera, in ogni contatto vi era sempre, quasi a suggello, il riferimento alla Madonna. Proiezione, credo, del ricordo della mamma che non esagero a definire una santa".
I familiari, specie le sorelle, hanno richiesto la salma. Dopo lunghe pratiche e non poco travaglio, proprio giovedì 4 febbraio 1993, è giunta a Trevenzuolo accolta da tutto il paese che ha preso parte al solenne funerale. Ora riposa nel locale cimitero, nel settore riservato ai sacerdoti.
Le esigenze del cuore hanno avuto il sopravvento. Ed è comprensibile, trattandosi anche di una famiglia, quella dei Cestaro, molto unita. Tuttavia siamo sicuri che p. Mariano, se avesse potuto esprimere il suo parere, avrebbe chiesto di restare in quella terra messicana dove ha tanto lavorato e tanto sofferto, per essere l'evangelico chicco di grano che marcisce per essere seme di nuove vocazioni. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 178, aprile 1993, pp. 63-569