Secondo la buona tradizione veneta, anche la famiglia di p. Mario Dal Maistro marciava sul binario: severa pratica religiosa e lavoro sodo. I sette figli, a imitazione dei genitori, furono tutti incamminati su questa strada.
Mario era il più piccolo della squadra. Terminate le elementari, disse ai genitori che voleva diventare sacerdote. Nessuno si meravigliò, perché il ragazzino già da piccolo aveva mostrato una particolare propensione alle cose che riguardano Dio, la chiesa, l'altare. Il fratello Igino dice che il divertimento del "coccolo" di casa, del resto vivacissimo come un folletto, era quello di costruire altarini e celebrare messa, con tanto di predica che i fratelli maggiori erano obbligati ad ascoltare.
A Schio esisteva un pre-seminario della diocesi di Vicenza; Mario vi frequentò le medie. Ma la presenza dei Missionari Comboniani a Thiene, località a pochi chilometri da Schio, contribuì a irradiare un'aura missionaria molto intensa, per cui ben presto qualcuno di quegli alunni, e tra questi il nostro piccolo Mario, chiese di poter entrare tra i Comboniani in vista di una partenza per l'Africa.
Papà Giuseppe aveva una sartoria da uomo dove, nei tempi liberi dalle incombenze della famiglia, lavorava anche mamma Caselotto Elena. I genitori accolsero la notizia con una certa trepidazione, ma con tanta fede: l'Africa era lontana e piena di pericoli.
Il rettore del seminario, confortato anche dalle parole del parroco di Schio che aveva la massima stima del giovane seminarista, acconsentì a questa vocazione per cui, dopo la terza media, Mario Dal Maistro passò da Thiene all'istituto Comboni di Brescia. Il passaggio non fu senza traumi, tanto che il ragazzo dovette attendere qualche anno. Infatti la pagella scolastica di IV ginnasiale, rilasciata dall'Istituto Comboni di Brescia nell'anno scolastico 1929-30, sta a dimostrare che Mario aveva 18 anni. E' una pagella veramente esaltante che dimostra le doti non comuni di intelligenza del giovane aspirante missionario.
Il 12 settembre 1930 Dal Maistro entrò nel noviziato di Venegono Superiore, aveva 19 anni. Affrontò quel periodo di formazione con serietà ed impegno. Il p. maestro sottolineò il buon esempio che Mario dava ai suoi compagni di noviziato di qualche anno più giovani di lui. Il 7 ottobre 1932, festa della Madonna del Rosario, emise la prima professione religiosa, e dal '32 al '35 fu assistente dei seminaristi a Carraia (Lucca). Questo periodo fu molto fortunato per i ragazzi di Carraia perché Mario Dal Maistro, giovane portato più alle cose pratiche che a quelle astratte, diede vita a tante e tali iniziative (teatri, recite, accademie...) da rendere gradevole la permanenza in seminario a quei giovinetti che avevano lasciato la famiglia.
Passò a Verona per gli ultimi tre anni di Teologia e il 10 luglio 1938 venne ordinato sacerdote da mons. Girolamo Cardinale.
Dall'agosto del '38 all'aprile del '39 il novello sacerdote fu inviato a Sunningdale (Inghilterra) per lo studio della lingua inglese. Infatti la sua destinazione era l'Uganda.
A Lodonga
Nel 1939, mentre in Europa si parlava già di guerra, p. Dal Maistro raggiunse la missione d'Uganda. Fu destinato a Lodonga. Lodonga a quel tempo era ancora terra di lacrime e di sangue. P. Valcavi vi aveva dedicato le sue migliori energie e poi era crollato più per le amarezze che per gli strapazzi fisici, trovandosi la zona nella roccaforte del musulmanesimo più accanito.
A Lodonga incontrò quell'anima ardente di missionario che fu p. Bernardo Sartori il quale, con la Madonna, riuscì ad arginare la marea musulmana che scendeva dal Sudan.
Già i primi frutti di tanto lavoro missionario coronavano l'opera dei due confratelli quando la seconda guerra mondiale venne a rompere i loro piani apostolici. All'inizio del 1940 si cominciò a parlare del pericolo, per i missionari italiani, di essere internati nel caso che Mussolini entrasse in guerra contro l'Inghilterra. I Padri Bianchi offrirono il loro seminario di Katigondo, 80 chilometri a sud di Kampala (e a Nkozi per le suore), qualora giungesse l'ordine di lasciare le missioni. Questo arrivò puntuale l'11 giugno 1940, il giorno dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia agli Alleati.
Il 12, alcune corriere scortate dalla polizia militare portarono i missionari a domicilio coatto. Solo il vescovo, mons. Negri, poteva godere della libertà, ma egli preferì condividere la prigionia con i suoi missionari. Nel seminario regionale di Katigondo si trovarono una quarantina di missionari. All'inizio la vita era difficile: poco cibo, acqua inquinata, dormitori in comune, poliziotti alle porte, proibizione di uscire con minaccia, in caso di disobbedienza, di essere deportati in Sudafrica o in India.
Via radio si potevano seguire le notizie dall'Italia. La situazione andava di male in peggio. Ciò era motivo di sconforto. Tuttavia i missionari cercarono di reagire organizzando corsi di studio di lingue, preparando libri di etnologia, approfondendo la metodologia missionaria, confrontandosi sulle difficoltà che riguardavano le missioni, e anche riposandosi.
Naturalmente venne organizzata anche un'intensa attività ricreativa: tornei di bocce, accademie musicali, teatri. P. Dal Maistro tirò fuori la sua arte drammatica che aveva insegnato così bene ai ragazzi di Carraia, diventando un protagonista in questo genere di cose. Intanto la guerra infuriava in Libia e in Etiopia e le notizie sull'Italia erano sempre più catastrofiche. Lettere dalle famiglie non ne arrivavano, per cui l'incertezza a riguardo dei propri cari acuiva il disagio. Fortunatamente la situazione come vitto e alloggiò andò via via migliorando. I "carcerieri" cominciarono ad apprezzare quegli strani prigionieri che erano preoccupati solamente delle loro missioni e del bene spirituale e materiale dei loro fedeli. In prossimità della festa dell'Assunta del 1941 venne a visitare i prigionieri il governatore d'Uganda sir Dundas. P. Spreafico gli chiese di rimandare i missionari nelle loro missioni; il governatore, che era stato favorevolmente informato della condotta dei missionari, rispose che li avrebbe accontentati molto presto.
Finalmente venne il giorno del ritorno, 6 dicembre 1941. Il giorno 8, festa dell'Immacolata, tutti erano nelle loro missioni. Il capitano del battello "Corindon" che li aveva trasportati sul lago Alberto disse: "Veramente lassù c'è Qualcuno che vi protegge visibilmente; se aveste aspettato un solo giorno a lasciare il campo d'internamento vi sareste rimasti per molto tempo ancora. Questa notte il Giappone ha attaccato Pearl Harbour: è la guerra con l'America e gli Alleati".
P. Dal Maistro ritornò a Lodonga dove rimase per 10 anni consecutivi dedicandosi ad un intenso apostolato. Nel 1946 p. Sartori, spinto dalla sua devozione alla Madonna nella quale vedeva la salvezza per gli africani, diede inizio alla grande basilica di Lodonga. Le sofferenze e le lotte per la realizzazione di questo progetto sono state innumerevoli, ma p. Sartori seppe trovare dei validi sostenitori del suo progetto; uno di questi fu senza dubbio p. Dal Maistro.
La sfida col leone
Di lui ricordiamo un fatto particolare che lo stesso p. Sartori amava raccontare. Silenzioso, lavoratore tenace, missionario testardo (nel senso del bene), al volante di un vecchio camion p. Dal Maistro faceva la spola per portare sassi, mattoni e materiale da costruzione. Un giorno sulla sua strada incrociò un leone che pareva deciso a non lasciarlo passare. Egli chiuse ben bene i finestrini della cabina, spalancò gli occhi piantandoli in quelli della belva e ingranò deciso la marcia.
"Vediamo chi di noi due ha la peggio", gridò.
E, raccomandandosi alla Madonna, puntò diritto sul leone che, all'ultimo momento, con un balzo scavalcò la cabina, rotolò sul carico finendo per terra dietro l'automezzo. Dallo specchietto p. Dal Maistro vide la belva allontanarsi dinoccolata tra i cespugli, con la coda tra le gambe.
Due anni dopo la basilica era terminata e p. Dal Maistro poté legittimamente godersi la sua fetta di soddisfazione per un'opera tanto benemerita.
Tappa in Italia
Da giugno 1952 a maggio 1953, dopo 13 anni di missione, p. Mario venne mandato in Italia e precisamente a Venegono per un po' di vacanza e per assolvere l'incarico di economo e di animatore missionario. Utilizzò al meglio l'esperienza di missione per animare missionariamente le parrocchie del milanese. Aveva un bel modo di esprimersi, ma più ancora si leggeva nel suo volto la convinzione che quanto diceva corrispondeva a verità. Nel suo cuore però la nostalgia dell'Africa si faceva sentire ogni giorno di più, per cui nell'agosto del '53 lo troviamo nuovamente a Lodonga dove rimarrà per quattro anni come superiore.
Nel 1957 passò ad Arua che il 23 giugno 1958 divenne sede della nuova diocesi, distaccatasi da Gulu. Qui ebbe l'incarico di procuratore che portò avanti per 20 anni. E' interessante il giudizio che i confratelli danno di lui in questo periodo. P. Urbani, suo superiore provinciale, dice: "E' un buon Padre, cordiale e allegro, che lavora molto, ma è troppo interessato; se non fosse taccagno sarebbe un missionario ideale". E mons. Cesana: "Buon Padre sotto ogni rapporto, ottimo carattere e come religioso fa bene. Come missionario compie il lavoro di apostolato con zelo e buon criterio pratico ottenendo buoni successi. Compie i suoi safari con regolarità e volentieri; è amato dagli indigeni. Salute buona: dopo la febbre nera del 1943, che lo portò sull'orlo della tomba, non ebbe più disturbi".
Quanto all'accusa di "taccagno" dobbiamo riportarci alla situazione economica del tempo, che era semplicemente tragica.
L'ora del pianto
P. Dal Maistro fu testimone della trasformazione dell'Uganda da giardino "dove scorre latte e miele" a terra di martiri. Dopo l'indipendenza (9 ottobre 1962), anche per questa "Svizzera dell'Africa" cominciarono i guai. Nel 1966 Milton Obote diventò presidente sostituendosi al re del Buganda. Nel 1971 Obote venne a sua volta destituito dal generale Idi Amin Dada la cui spietata dittatura durò sino al 1979 quando fu costretto alla fuga dalle forze di liberazione dell'Uganda appoggiate dall'esercito Tanzaniano. Dal 1986 a capo dell'Uganda si trova Yoweri Museveni che ha combattuto sin dal 1981 contro Obote (tornato al potere nell'80) e poi contro i militari che l'avevano destituito.
Abbiamo citato velocemente questi episodi solo per sottolineare il fiume di sangue che li ha accompagnati. Alla guerriglia non ancora debellata si aggiunse, a periodi alterni, fame, carestia, colera, distruzione di missioni, uccisione di missionari e fuga di altri nei paesi vicini. P. Dal Maistro sopportò tutte queste prove con cuore forte e generoso, esponendosi sempre in prima linea ad aiutare chi aveva bisogno senza guardare il colore politico, la razza o la religione.
Anche la Procura di Arua dovette chiudere i battenti per trasferirsi ad Ombaci e P. Mario andò ad Ediofe (Arua) con un altro giovane missionario. Si pensava che questa destinazione fosse provvisoria invece si protrasse fino alla morte.
Scrive p. Vittorino Cona: "Conosceva tutta la sua gente. Tutti lo stimavano e lo amavano per l'esattezza nel suo impegno apostolico. Pregava molto ed era solerte per i bisogni della missione. Curava tutte le piccole cose della casa e non disdegnava di dare una mano in cucina e al secchiaio. Sapeva accogliere gli ospiti e farli trovare subito a loro agio. Per molti anni fu cappellano delle suore africane del Perpetuo Soccorso, fondate da mons. Tarantino. Qualcuno avrà forse notato anche qualche sbaglio, qualche insuccesso, in p. Dal Maistro; ma tutti dobbiamo ammirare la sua dedizione, il lavoro faticoso e specialmente l'attaccamento alla Congregazione, al vescovo, alla Chiesa ugandese. Lo ricordiamo come il servo operoso e vigilante che ora il Signore ha chiamato al premio".
P. Torquato Paolucci aggiunge: "Sessant'anni di vita religiosa, 54 anni di Africa, una vita consacrata a costruire chiese, scuole, abitazioni, sempre e solo fra i Logbara a Lodonga, Otumbari, Ediofe. Quando il primo vescovo di Arua, mons. Tarantino, lo elesse procuratore della diocesi, p. Mario si dimostrò esecutore impegnato e scrupoloso degli ordini di sua eccellenza. Nel suo discorso funebre, il vicario generale sottolineò proprio questi due aspetti di p. Mario: la sua fedeltà ai doveri sacerdotali di apostolato missionario, ed il suo amore per i poveri. P. Dal Maistro incarnò in se stesso il programma del Sinodo di Arua: 'Una chiesa viva che si affida a Cristo'.
Altra caratteristica di p. Mario - e questa è tipicamente comboniana - il suo affetto e predilezione per i poveri che chiamava 'i nostri padroni'. Ora p. Mario è entrato nella famiglia dei missionari pionieri che ci hanno preceduto nel West Nile e in Uganda: sono il nostro orgoglio, la nostra speranza, i modelli che Dio ci chiede di imitare. Ogni volta che ci raduniamo per meditare sul carisma di Comboni, e relativo metodo, proprio questo dobbiamo capire ed attuare: osservare come lo vivevano i primi missionari e le prime suore. Tra loro c'è anche p. Mario Dal Maistro". Così p. Paolucci.
Verso la fine
Da tempo p. Mario non si sentiva bene, un primo notevole segno lo si ebbe circa un anno fa. Nel maggio del '91 fu portato d'emergenza all'ospedale di Angal; lamentava una oppressione retrosternale e senso di soffocamento, inoltre soffriva d'insonnia. In passato aveva avuto una tbc polmonare da cui si era ripreso. I medici gli diagnosticarono una disfunzione cardiaca con extrasistole ed una insufficienza respiratoria. Nei primi giorni di ricovero in ospedale peggiorò: turbe visive, incontinenza, ecc. I medici riuscirono a riportarlo in discreta salute e nel giro di qualche settimana fu dimesso. Ma nel dicembre dello stesso 1991 fu ricoverato nuovamente ad Angal per una ricaduta. I malanni erano quelli di prima con aggiunta di ritenzione di fluidi.
In susseguenti controlli fu accertata anche un'aritmia sinusale. Nel maggio 1992 non era più trasportabile all'ospedale per cui i dottori lo curavano a domicilio come meglio potevano. Si notò che il cuore stava deperendo velocemente; ben presto le gambe si gonfiarono per insufficienza circolatoria; l'insonnia era persistente e specialmente le notti erano popolate da allucinazioni. P. Piergiorgio Rossi, superiore, scrive: "L'ho trovato più di una volta verso le due o tre del mattino, aggrappato alla sedia in mezzo alla stanza nel buio più assoluto, che gridava pieno di paura. Mi diceva che gli sembrava di cadere in un baratro senza fondo. I medici dicevano che questo era il fenomeno classico che si accompagna alle crisi cardiache. Invitato più volte a recarsi in Europa, si è sempre rifiutato energicamente. Era convinto che presto o tardi i dottori avrebbero trovato il modo di curarlo e tornare così ad essere quello di prima. In tutto questo tempo fu sempre fedele alle sue pratiche religiose, per quanto riguarda la celebrazione giornaliera della santa messa, pur rimanendo seduto, concelebrò giornalmente con un confratello".
Morire in Africa
Nel luglio del 1992, p. Mario chiese di andare in Italia, ma i medici sentenziarono che un viaggio così lungo poteva risultargli fatale. Il Padre allora rinnovò il suo desiderio di restare in Africa, comunque andassero le cose.
Il 9 luglio fu colpito da un intenso dolore al petto. Fu chiamato d'urgenza il suo confessore ordinario, p. Pedrini. P. Dal Maistro fece la sua confessione e poi chiese l'unzione degli infermi. Il giorno successivo, 10 luglio, sarebbe stato il 54ø anniversario della sua ordinazione sacerdotale; nessuno glielo ricordò per non turbarlo, dato che non avrebbe potuto celebrarlo con la santa messa.
Intanto molta gente, e quasi tutti i sacerdoti diocesani e le suore africane, andarono a trovarlo e pregavano con lui. Verso le 17.10 dell'11 luglio il Padre ebbe un sussulto e spirò. Non aveva mai pronunciato una parola dal giorno prima. Presenti alla morte erano suor Rosalena e il superiore p. Piergiorgio Rossi. P. Tonino Pasolini, che si trovava a letto con 39 di febbre, corse subito e rimase per tutto il resto della serata accanto al confratello. Subito dopo giunse pure p. Pedrini.
Come a Pasqua
Immediatamente le campane della cattedrale suonarono a stormo, e nel giro di pochi minuti il cortile si riempì di gente, di sacerdoti e di suore. Le Comboniane, che erano sempre state vicine al Padre, si presero cura di preparare la salma. Quando tutto fu pronto i sacerdoti africani (una decina) insieme alle suore e ai fratelli entrarono in camera e pregarono a lungo per il confratello, quindi fu la volta di tutta la gente.
Quella stessa sera il superiore, insieme ai sacerdoti presenti, celebrò la messa sotto la veranda davanti a una grande folla di gente, quindi portarono la salma in cattedrale.
Alle 9 e 30 di sera iniziò la veglia con un'altra messa concelebrata. La cattedrale era strapiena, poi furono socchiuse le porte e continuò la veglia tutta la notte. Al mattino (domenica) alle 6 e 45 la salma fu portata nella cappella del convento di clausura e vi rimase fino alle 12. Nel frattempo i confratelli di Ombaci prepararono la cassa. Tutti i cristiani, uscendo dalle varie messe domenicali, andavano in processione fino al convento per pregare e rendere omaggio a p. Mario.
Alle ore 12 la salma fu riportata in cattedrale e alle 16 iniziò la messa funebre e quindi la processione al cimitero. Tutto il lavoro e il rito di sepoltura furono organizzati dai sacerdoti diocesani. Ciò dimostrò ancora una volta la loro testimonianza di vera fraternità nei confronti del caro p. Mario che consideravano come un fondatore della fede nel loro paese.
Al funerale, oltre a una folla immensa, presero parte anche varie personalità e i dottori.
Hanno detto di lui
Le esequie furono motivo per esperimentare ciò che gli africani pensavano del Padre che aveva condiviso con loro 54 anni di vita. Essendo il vescovo a Moroto per l'intronizzazione del vescovo di quella diocesi, toccò al vicario generale, mons. Ludovico Ongom, presiedere la solenne concelebrazione. Egli si fece interprete dei sentimenti del vescovo, dei sacerdoti, delle suore e dei fedeli.
Sottolineò l'instancabilità di p. Dal Maistro nel lavoro apostolico e vide quella morte come "una sciagura" personale.
"Fin da giovane apostolo - proseguì Monsignore - p. Mario dimostrò uno straordinario zelo per la salvezza delle anime. Tale impegno lo portò a lunghi viaggi per foreste, savane, monti, sempre e solo in cerca di anime.
La maggior parte di tali viaggi era fatta a piedi o in bicicletta. Non si preoccupava del riposo, passando le notti in capanne di fortuna spesso senza porte o con imposte fatte di mazzi di paglia. Le bestie feroci, durante la notte, avrebbero potuto sbarazzarsi di lui, tanto più che a quei tempi la zona era popolata da leoni, leopardi e iene. P. Mario accettò di buon grado tutti i rischi della vita missionaria perché ci amava. A quei tempi il missionario era tutto per noi. E voi capite ciò che voglio dire.
P. Mario, oltre al bene delle anime, si è prodigato per fabbricare case, chiese, cappelle, magazzini... Sarà sempre ricordato anche per queste grosse imprese materiali che hanno favorito la promozione umana del nostro popolo.
Uomo di buon senso, sapeva dare saggi consigli a tutti ed era un operatore di pace da tutti rispettato e ascoltato. A queste doti univa un profondo spirito di orazione che fece di lui l'uomo della preghiera. Inoltre ha sempre dimostrato una predilezione per i più poveri che considerava i prediletti a imitazione del divin Maestro. Anche la sua morte, avvenuta nella calma e nella tranquillità, ci richiama le grandi figure degli amici di Dio che si spengono in pace, pieni di anni e di meriti... Quale lezione da questo nostro Padre!". A queste parole la gente annuiva, perché sentiva che erano vere.
Così, tra l'ammirazione di tutti, è sceso nella tomba un altro grande missionario che lascia un vuoto tra gli evangelizzatori. Ci auguriamo che dal cielo p. Dal Maistro interceda per le vocazioni, per la Chiesa ugandese che ha tanto amata, e per la pace in quella nazione. "Il suo esempio - ha concluso il Padre provinciale d'Uganda - sia di stimolo alle giovani generazioni di missionari che dagli anziani hanno tanto da imparare". P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 177, gennaio 1993, pp.52-57