Veronese autentico, fr. Raimondi riassumeva in sé tutte le caratteristiche della sua gente: cordiale, allegro, estroverso, amante della vita, del lavoro e di un buon bicchiere di vino, purché fosse di quello buono.
Da ragazzino manifestò il desiderio di farsi missionario. Il suo parroco, don Orlando Merlini, attestò quanto segue: "Il sottoscritto ben volentieri attesta della buona condotta ed ottima indole del ragazzetto Raimondi Giulio, uno dei pochi che danno buon esempio per religiosità, semplicità e buone speranze per l'avvenire, in questa parrocchia".
Quando si trattò di scegliere se poteva diventare sacerdote o fratello laico, si optò senz'altro per la seconda ipotesi visto che il vivacissimo ragazzo non aveva nessuna inclinazione per lo studio. La sua pagella di terza elementare porta tutti 6. Promosso, quindi, ma a risico.
Papà Giovanni e mamma Corghi Maria non fecero resistenza alla vocazione del figlio, anzi, si dimostrarono contenti per una vocazione così bella come quella missionaria anche se "sapendolo tanto lontano ci piangerà un poco il cuore".
Entrato nella Scuola apostolica per Fratelli a Thiene, apprese molto bene il mestiere del calzolaio, ma manifestò anche altre inclinazioni come quella per la meccanica e per la medicina.
Nella lettera di presentazione per il noviziato, scritta in data 6 marzo 1922, p. Francesconi scrisse di lui: "Giulio Raimondi è un anziano della scuola apostolica. Ha sempre dimostrato spirito di pietà e amore al lavoro. Sa bene l'arte del calzolaio. Riguardo alla sua condotta quanto alla bella virtù fu sempre lodevolissimo. Nella circostanza dolorosa dell'anno scorso, dei quattro tentati fu l'unico che resistette fuggendo.
Il suo esterno sembra qualche volta un po' leggero, o meglio sbadato, ma conoscendolo, troverà in lui un'ottima stoffa e una pasta che si lascia modellare come si vuole. Ecco quanto mi pare di poterle dire in coscienza di questo caro giovane".
Novizio un po' alla buona
Il 7 maggio 1922, dopo un mese abbondante di postulandato, Giulio fece la vestizione per iniziare il periodo di noviziato a Venegono Superiore. Era maestro dei novizi p. Bertenghi, un santo uomo che voleva lanciare i suoi novizi verso i vertici più alti della perfezione religiosa.
Raimondi si impegnò, ma senza ripromettersi di rompersi le ali a furia di volare verso le altezze cui il p. maestro lo invitava.
"Ha buona volontà - scrisse costui - ma si vorrebbe in lui più energia e costanza nell'attendere al suo profitto. In generale è un po' trasandato nell'osservanza delle regole. Come carattere è un po' leggero, distratto e vanitoso. E' anche un po' chiuso con i superiori. La salute è ottima". Insomma, per dirla con p. Bertenghi, fr. Raimondi aveva ancora tanta strada da percorrere prima di vincere i suoi difetti. Ce l'avrebbe fatta?
Ottimo tiratore
Tra i documenti di fr. Raimondi c'è un "Libretto del tiro a segno" intestato alla "Società del tiro a segno nazionale di Tradate". E' la prima volta che nei necrologi dei confratelli ci si imbatte in una cosa simile. Doveva senz'altro trattarsi di un qualche cosa di paramilitare, dato che le lezioni comportavano tiri al bersaglio da 100, 200 e 300 metri con posizioni in piedi, in ginocchio e a terra, con fucile libero o con baionetta in canna. Raimondi frequentò questa scuola nel 1923, quindi durante il secondo anno di noviziato, all'età di 19 anni.
Dal punteggio riportato sul libretto dobbiamo concludere che Raimondi era un ottimo tiratore riuscendo a totalizzare un punteggio molto alto, specialmente nei tiri a lunga distanza.
Probabilmente pensava che quella scuola gli sarebbe venuta buona in Africa quando si sarebbe trovato a che fare con qualche bestia feroce in vena di fargli qualche brutto scherzo.
L'undici maggio 1924 emise i Voti di povertà, castità e obbedienza che lo consacrarono missionario.
Nel pomeriggio dello stesso giorno era già a Thiene con l'incarico un po' di apprendista e un po' di istruttore meccanico. Vi rimase per tre anni riuscendo a farsi benvolere dagli alunni per la sua bonarietà e spirito di spensierata allegria che sempre lo distinse.
Finalmente in Africa
Nell'agosto del 1927 giunse a Wau, nel Sudan meridionale, con destinazione Nyamlell, come meccanico della casa. Erano i tempi in cui la motocicletta aveva preso il posto della bicicletta. Addirittura si cominciava a vedere qualche automobile per cui si richiedeva urgentemente la presenza dell'officina e del meccanico il quale, molto spesso, non avendo il pezzo di ricambio, doveva costruirselo. Cosa che succedeva di frequente, specie se la cosa non risultava eccessivamente complicata.
Oltre all'officina c'erano le costruzioni, c'era l'orto, c'erano quelle infinità di cose che servono per mandare avanti una missione. E poi c'era la caccia. Non per divertimento o per sport, ma per esigenza vitale. I catecumenati cominciavano a riempirsi di ragazzi che si preparavano alla vita cristiana: bisognava insegnar loro a lavorare un pezzo di terra per ricavarne il cibo e, di tanto in tanto, occorreva assicurare un pezzo di carne. "A stomaco vuoto - diceva Raimondi con quel suo umorismo veronese - il cervello non funziona".
Il dentista dei miracoli
Guardandosi attorno, fr. Raimondi si accorse che c'erano anche tante piaghe e malattie da curare. E allora si trasformò in infermiere. Con garze e alcol cominciò a disinfettare e a fasciare; per i mali "che non si vedevano" ma si sentivano, distribuiva pillole e sciroppi. La sua fama si diffuse ben presto in tutta la zona e la gente accorreva a lui con fiducia.
Ma c'era un male che travagliava tante persone: il mal di denti. "Se con lo stomaco vuoto il cervello si chiude, immaginarsi cosa succede se vi si aggiunge anche il mal di denti", disse. E decise di trasformarsi in dentista.
Con una buona pinza e un po' di muscoli avrebbe potuto cavare i denti doloranti e, come si dice, fuori il dente fuori il dolore, ma questo era troppo facile. E poi tanti denti potevano essere salvati con un po' di tecnologia. Raimondi non ci pensò due volte: si costruì un trapano da dentista che funzionava a pedale, si fece mandare dall'Italia le punte e il materiale per le otturazioni e così, senza anestesia, cominciò il suo lavoro.
I confratelli che sono stati con lui affermano che era un mago in quest'arte. Per rendere meno doloroso il momento in cui la punta toccava il nervo, somministrava al paziente un bicchierino di liquore (e magari ne mandava giù uno anche lui per farsi coraggio) e poi via. "E' un momento - diceva al paziente - ma dopo non avrai più male per tutta la vita". Per farla breve, Raimondi divenne il dentista dei miracoli. Non solo eliminò tanta sofferenza dalla bocca degli Africani, ma anche dei confratelli che ormai accorrevano a lui con fiducia e ottimi risultati.
Rimase a Wau-Nyamlell fino al maggio del 1935, superando molti attacchi di malaria; alla fine dovette rimpatriare per rimettersi in salute.
Dal 1935 al 1937 fu a Verona come autista di p. Pietro Simoncelli, superiore generale dei Comboniani e addetto ai lavori della casa.
Nel 1937, dopo il Capitolo che vide eletto p. Antonio Vignato, poté ripartire per la missione di Nyamlell dove, inutile dirlo, aveva lasciato un pezzetto di cuore. E riprese il suo vecchio mestiere di meccanico e infermiere. Questa volta lavorò per undici anni di seguito fino, cioè, al 1948 quando venne nuovamente chiamato a Verona per riprendere il volante della macchina del nuovo Generale, p. Antonio Todesco, eletto l'anno prima. Lavorò con il solito entusiasmo e senso di responsabilità fino al dicembre del 1951 quando si aprirono ancora una volta per lui le porte dell'Africa.
Procuratore a Mupoi
Dal 1952 al 1964, anno dell'espulsione in massa di tutti i Comboniani, fr. Raimondi fu addetto alla procura di Mupoi e al servizio, come autista, di mons. Ferrara. Come è noto, mons. Ferrara, essendo stato negli Stati Uniti per molto tempo, ebbe sempre una grande ammirazione per l'America e per gli Americani tra i quali aveva grandi amici che lo aiutavano nella sua Prefettura Apostolica di Mupoi.
Un giorno arrivarono dall'America quattro nuovi copertoni per la macchina di un tipo tutto nuovo, quelli che funzionano senza camera d'aria.
"Raimondi - disse Monsignore - abbiamo finito di doverci fermare per cambiare le ruote causa gli spini o i sassi. Queste sono invulnerabili. Dureranno per almeno una decina d'anni senza bisogno di sostituirle".
"E se si bucano? Non sono di ferro, mi pare!", disse il Fratello.
"Non si bucano. E poi, anche se ciò succedesse, non si sgonfiano perché il buco si chiude automaticamente. Leggi qua".
"Mi fido di lei. Io capisco più l'arabo che l'inglese".
Al primo viaggio, Monsignore fece togliere dal camioncino le quattro ruote tradizionali per sostituirle con le nuove americane.
Il Fratello, tuttavia, lasciò al suo posto quella di scorta.
"Togli, togli quella, che occupa spazio inutilmente. E al suo posto mettici della merce che lasceremo nelle missioni".
Il Fratello obbedì. Però, dopo aver caricato tutto quanto Monsignore aveva preparato, trovò ancora un posticino per infilarvi la ruota di scorta. Non si fidava mica tanto di quelle novità americane.
Partirono verso Juba e, dopo alcune ore di strada, una di quelle famose ruote imbattendosi in una buca scoppiò di botto. I due si fermarono. Monsignore non riusciva a darsi pace e non voleva credere ai suoi occhi ripetendo di tanto in tanto: "Non è possibile, non è possibile!".
Fr. Raimondi, assumendo un aspetto desolato, disse: "Monsignore, qui c'è un'unica soluzione. Io sto di guardia al camion e alla merce, lei s'incammina a piedi fino a raggiungere la missione più vicina. Marciando di buon passo, in quattro o cinque ore ci arriverà e poi tornerà con qualche altro mezzo e con la ruota".
"Credo che sia la soluzione migliore, disse il Vescovo. E dopo aver preso con sé un paio di bottiglie di acqua s'incamminò lesto lesto.
Raimondi si sedette sotto un albero e fece un buon riposino poi, piano piano, tirò fuori la ruota di scorta e la mise al posto di quella rotta. Poi si mise al volante e partì. Ma intanto erano passate un paio d'ore.
Quando mons. Ferrara si vide raggiungere dal suo camion, strabuzzògli occhi. Era così affaticato e sudato che non si accorse che una delle ruote era diversa dalle altre. Allora, rivolgendosi all'autista che non sapeva se ridere o fare il serio, gli disse: "Accidenti, te lo avevo detto o no che queste ruote americane si gonfiano da sole? Guarda quanto ho camminato per niente!".
Questa volta fu il Fratello a strabuzzare gli occhi e, senza dir niente, fece accomodare accanto a sé Monsignore e raggiunsero Juba senza scambiarsi tante parole.
Aiutava tutti
Dal 1952 in poi ci restano le "carte" con i giudizi dei superiori sul Fratello. Essendo procuratore, doveva spostarsi spesso con il camion per fornire le missioni di ciò che occorreva sia per gli alimenti come per i materiali da costruzione. Teniamo presente che in questo periodo l'espansione missionaria, anche come edifici, era al massimo, quindi era un continuo via vai.
Il giudizio che risalta con maggior frequenza è questo: "Ha un grande amore per i confratelli e fa di tutto perché nessuno resti privo di ciò che ha domandato".
Anche quanto a vita religiosa p. Seri, suo provinciale, afferma: "Nonostante le molte incombenze che ha, nei limiti del possibile non manca mai alle sue pratiche di pietà. E' molto stimato dalla gente e dai confratelli. E' uomo di equilibrio e di giudizio per cui di lui ci si può fidare".
P. Luigi Parisi, che è stato con lui, ci lascia questa testimonianza: "Ho avuto la sorte di vivere e lavorare vicino a lui nella missione di Mupoi dal 1952 al 1963. La caratteristica che io ho sempre notato in lui fu questa: amava lavorare ed essere utile in tutto senza chiacchiere, senza ostentazione, di nascosto, senza far apparire la sua presenza. Ma di fatto la sua competenza era grande in tante cose: dalla meccanica alla professione del dentista, dal disegnatore per le varie costruzioni alla fotografia che eseguiva con competenza e sviluppava per le nostre riviste di Verona. Ci si poteva rivolgere a lui sicuri di trovare una risposta ed un servizio.
Ciò che non vedeva bene era far mostra delle proprie qualità e molto meno vanagloriarsi di esse. Suo merito, secondo il mio giudizio, fu quello di rendersi utile sempre e in tutto, ma senza farsi accorgere, senza ostentazione, nel silenzio, nella modestia e nel nascondimento.
Mi sembra che questo confratello sia riuscito proprio in questo: essere utile e servizievole senza farsi notare".
Definitivamente in Italia
L'espulsione di tutti i missionari dal Sudan meridionale del 1964 coinvolse anche fr. Raimondi. Sentì in modo particolare il colpo, ma cercò di farsi coraggio e di reagire come del resto fecero tutti gli altri. Del resto dopo 12 anni di missione vissuta in un clima di persecuzione anche la sua salute aveva bisogno di un ripasso generale. Fu mandato a Gordola in Svizzera come addetto alla casa. Lavorò nell'orto, diede una mano in cucina e si prestò perfino per il reparto lavanderia. Ma nel 1965 non trovandosi più a suo agio chiese ed ottenne di essere trasferito ad Arco, dove esercitò con competenza, amore e senso di responsabilità, l'ufficio di infermiere.
Dal 1970 al 1976 fu a Verona come aiutante nell'economato. Molti ricordano ancora i lavori in ferro che il Fratello eseguiva riproducendo scene africane, villaggi e capanne. Alcuni di questi quadri sono rimasti appesi in refettorio di Casa Madre fino alla recentissima ristrutturazione. Dello spirito artistico del Fratello hanno parlato più volte e i superiori nelle loro relazioni dall'Africa, avendo egli disegnato case, chiese e scuole.
Nel 1976 passò alla casa di Rebbio sempre come aiutante finché, declinando la salute, dovette tornare a Verona per essere ospitato nel Centro Assistenza Malati.
Scrive fr. Gianni Smalzi: "E' stato otto anni presso il nostro Centro, affetto da cirrosi epatica, broncopatia cronica ed enfisema polmonare e poliartrosi. In un primo tempo si è sentito come un uccello in gabbia e ha sofferto per la forzata immobilità, lui che era sempre stato così dinamico durante tutta la vita.
Recentemente ha avuto un infarto miocardico con emiparesi destra per cui dovette usare la carrozzella per i suoi movimenti. In seguito si aggiunsero complicazioni renali e vescicali, nonché un aggravamento polmonare.
Eppure la sua forte fibra e il carattere volitivo hanno fatto sì che fosse sempre presente, lucido e cosciente del suo stato per cui sapeva sempre reagire con intelligenza ad ogni sua situazione, sia nella gioia come nel dolore.
Negli ultimi tempi tutti notarono in lui un grande cambiamento: all'irrequietezza era subentrata una consapevole calma e serenità spirituale; segno che il Signore gli stava dando gli ultimi tocchi per prepararlo all'incontro con Lui. Raimondi si lasciò lavorare, sforzandosi perfino di sorridere e di lasciarsi andare a qualche battuta umoristica con chi lo avvicinava.
Il 27 febbraio ebbe un ennesimo collasso. Prontamente assistito, tornò nella sua normalità. Purtroppo, alle ore 4 del giorno 28, un nuovo collasso cardiaco lo introduceva nella Casa del Padre. Impressionò tutti la lucidità e la serenità con cui accolse questo ultimo gesto della sua vita. Era stato un valoroso missionario, e volle dimostrare questo valore fino all'ultimo".
I funerali sono avvenuti sabato 2 marzo, alle ore 10 in Casa Madre, con tumulazione nella tomba della famiglia comboniana al numero 53 del cimitero giardini di Verona. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 171, luglio 1991, pp. 77-82