In Pace Christi

Tarantino Angelo

Tarantino Angelo
Data di nascita : 08/04/1908
Luogo di nascita : Portogruaro VE/I
Voti temporanei : 01/11/1927
Voti perpetui : 01/11/1931
Data ordinazione : 19/03/1932
Data consacrazione : 01/05/1959
Data decesso : 15/04/1990
Luogo decesso : Arua/UG

Dopo la terza media nel seminario vescovile di Concordia, Angelo Tarantino chiese di entrare tra i missionari comboniani. Fu accettato. Il rettore era soddisfatto di quel ragazzo volitivo e intraprendente, dall'intelligenza non comune. La pagella dell'anno 1922-23 riportava due dieci, tre nove e tre otto. È da notare che un dieci era proprio in italiano, segno evidente che, fin da piccolo, Angelo sapeva esprimere molto bene le sue idee sia con la penna che con la lingua.

Frequentò la quarta e quinta ginnasio al Collegio Arici di Brescia dove si recavano anche gli alunni dell'Istituto Comboni di Brescia. Nei primi tempi trovò qualche difficoltà dato il cambiamento di metodo e di insegnanti, ma poi partì ottenendo i soliti lusinghieri risultati.

I genitori, Giuseppe e Florian Regina, si dichiararono contenti che il loro figlio si facesse missionario e che, da grande, "venisse mandato nelle missioni estere dell'Africa centrale, secondo le disposizioni dei responsabili della Congregazione stessa".

Suo superiore a Brescia fu p. Bombieri che dimostrò molta stima per il giovane seminarista, grazie alla sua decisa volontà, a una certa rudezza di carattere, e a un accentuato spirito di sacrificio unito a una sentita pietà, anche se si trattava di un soggetto portato ad "arieggiare un po' troppo la lingua".

Entrato in noviziato a Venegono Superiore, fece la vestizione il primo novembre 1925 e i Voti esattamente due anni dopo.

P. Bertenghi, maestro dei novizi, scrisse di lui: "Ha sempre tenuto ottima condotta e procede bene combattendo contro le sue passioni e tentazioni. Mi pare, però, un po' superficiale e alquanto esagerato, specialmente nell'esterno. Criterio ed ingegno mediocri; carattere mite, un po' leggero ma sincero e obbediente. Salute ottima".

A Trento con i seminaristi

Tarantino trascorse gli anni della sua formazione al sacerdozio come assistente dei ragazzi del seminario comboniano di Trento. Esuberante com'era, sapeva organizzare teatri e recite che rendevano gradevole la vita piuttosto "militare" dei futuri missionari.

Era uno specialista nelle passeggiate. Con le sue gambe lunghe, trascinava anche i più pigri e li faceva muovere ripetendo questa catastrofica sentenza: "Se non impari a muoverti morirai di sete in Africa. Inoltre il sole ti arrostirà come un pesce!". Arrivati alla meta prestabilita, inventava giochi e passatempi per cui la "truppa" non correva il rischio di annoiarsi.

Il suo superiore lo giudicò "paternamente autoritario". Infatti, un tipo come lui, non poteva non essere autoritario, ma lo sforzo di essere comprensivo e caritatevole faceva sì che la sua autorità fosse stemperata dalla paternità. Ciò grazie alla "tenerezza di cuore" di cui era dotato.

Venne ordinato sacerdote a Trento il 19 marzo 1932, dopo aver ottenuto la dispensa di 21 giorni dall'età canonica "questo in vista delle urgenti necessità di personale da inviare in missione".

58 anni d'Africa

Partì per l'Uganda nell'ottobre del 1932. Sei anni dopo venne eletto superiore e parroco di Lira-Ngeta. Sia p. Santi come p. Urbani diedero di p. Tarantino il seguente giudizio: "È un Padre che ha fatto un bene immenso; dirige ottimamente, dà consigli, sarebbe anche un bravo amministratore".

Dal 1953 al 1959 fu vicario generale della diocesi di Gulu, diretta da mons. Giovanni Battista Cesana. Alla notizia della morte di mons. Tarantino, questi disse: "La sua scomparsa mi addolora grandemente perché ci si voleva bene; venne scelto come vescovo della nuova diocesi di Arua in considerazione del suo zelo ed attività pastorale: un'attività di contatto con la popolazione che apprezzava e stimava l'opera sua".

Il primo maggio 1959 fu ordinato vescovo della diocesi di Arua. La funzione ebbe luogo nella sua parrocchia di Portogruaro.

Dava sicurezza ai missionari

Lo stile missionario di p. Tarantino è egregiamente descritto in una lunga testimonianza di p. Giuseppe Galeotti che sotto di lui ha iniziato la sua esperienza missionaria in Uganda. Così lo ricorda:

"Il Tarantino, come noi giovani lo chiamavamo allora, l'ho conosciuto a Lira-Ngeta il 4 novembre 1951, come mio diretto superiore e parroco. Mi accolse a braccia aperte. Il suo caloroso benvenuto, la sua parola facile, la sua battuta sempre arguta senza mai offendere, la sua allegria, pur in mezzo a tanti problemi, portò in me sicurezza e fiducia all'inizio della mia vita missionaria. Ero arrivato in un paese dell'Africa meraviglioso, l'Uganda, con un popolo buono, semplice, ospitale, ma diverso, non solo per il colore della pelle, quanto per il modo di concepire la vita. Quella sera seduti al freso sotto la veranda della casa dei missionari, p. Tarantino aprì alcune bottiglie di birra per festeggiare il mio arrivo. Si parlò dei problemi della missione e di altre cose, ma ricordo che mi raccomandò in modo particolare di incominciare subito a studiare la lingua e a conoscere gli usi e i costumi della gente, che era buona e voleva bene ai missionari.

In seguito mi diede alcuni libri Lango scritti da lui e il catechismo locale. Mi disse che la cosa migliore era stare in mezzo ai ragazzi, ascoltarli e sforzarsi di parlare con loro, con i catecumeni, con gli operai che venivano ogni giorno alla missione a preparare i mattoni.

Dopo qualche settimana (avevo una conoscenza molto superficiale della lingua) mi mostrò la sua moto e mi disse di andare a celebrare la messa nella cappella di Ogur, a circa 20 km. di distanza. Lì il catechista mi avrebbe assistito. Così, sotto la sua guida, mi avviai alle fatiche della vita missionaria".

Il lebbrosario di Alito e le scuole

"Nei primi mesi del 1952 - prosegue p. Galeotti - p. Tarantino ricevette il permesso di aprire il lebbrosario di Alito, richiesto con tanta premura e fatica. Incaricò fr. Mostosi di andare sul luogo per raccogliere il materiale, cercare operai per mettere in piedi una casetta per l'abitazione delle suore; a me diede il compito di celebrare la santa messa e di animare la preghiera, prima in una povera capanna di paglia e fango, poi in una cappella. Inoltre mi aveva chiesto con insistenza di curare l'istruzione dei catecumeni per prepararli al battesimo.

In quegli anni il problema dello sviluppo delle scuole era sentito da tutti i missionari come una scelta prioritaria per la diffusione del vangelo e per lo sviluppo sociale del popolo d'Uganda. P. Tarantino sentiva questo problema in modo tutto particolare; non si dava pace finché non era riuscito ad aprire una scuola o una cappella in un posto nuovo della sua estesa missione. In questo lavoro è stato meraviglioso. Eresse scuole dappertutto causando spesso la malcelata reazione dei protestanti che si ritenevano gli unici privilegiati del Protettorato inglese.

Ad un certo momento riuscì ad avere più scuole primarie lui che non il suo antagonista mr. Moore, supervisore dei protestanti di Boroboro. P. Tarantino ne fu felice, ne parlò in lungo e in largo con noi suoi collaboratori, perché la Chiesa cattolica in questo modo faceva passi avanti e metteva radici fra i Lango. Infatti, a causa del suo carattere estroverso, la parola non gli veniva mai meno; era il primo a incominciare l'argomento e l'ultimo a lasciare la parola. Gli effetti di tutto questo lavoro si videro una decina d'anni dopo, quando il Paese cominciò a richiedere la sua indipendenza. Allora si trovarono molti elementi cattolici istruiti e pronti ad entrare nella lotta politica".

Fondatore di missioni

Durante la sua permanenza come parroco di Ngeta, il territorio della missione si estendeva sopra tre quarti del distretto Lango. P. Tarantino, con la sua intraprendenza e tenacia, riuscì, superando difficoltà di ogni genere, ad aprire diverse missioni succursali. Nel 1951 fu la volta di Aliwang, 50 km. ad est di Lira; nel 1953 quella di Aduku, 30 km a sud; nel 1958 quella di Aboke, 25 km. ad ovest, mentre stava preparando la missione di Alito, 20 km. a nord.

Riuscì ad ottenere rinforzi di personale missionario: padri, fratelli e suore, con la possibilità di aprire dispensari, maternità ed orfanotrofi. Il beneficio di tutto questo è palese anche oggi nella tribù dei Lango.

Contatto umano

"Amava il contatto umano con la gente - continua p. Galeotti - era benvoluto dai maestri delle scuole anche se non risparmiava loro qualche rimprovero, quando lo meritavano, ma la parola di incoraggiamento c'era sempre. Insisteva perché i catechisti facessero il loro lavoro di formazione dei catecumeni, anche se - almeno all'inizio - lo eseguivano in modo rudimentale. Amava trattenersi con gli anziani per conoscere gli usi e i costumi dei Lango. Lo aiutava in questo una conoscenza profonda della lingua e una cultura etnologica abbastanza ampia. Su questi argomenti ha lasciato anche degli scritti. Era stimato dai capi locali, dalle autorità inglesi e dalla gente.

Come supervisore delle scuole cattoliche aveva frequenti contatti con gli ufficiali governativi. A loro portava il contributo di una lunga esperienza e di una profonda conoscenza dei luoghi e delle persone. Venne richiesto diverse volte di tenere corsi di lingua Lango agli ufficiali inglesi appena arrivati sul luogo, guadagnandosi la loro stima. I suoi consigli sul modo di trattare la gente venivano seguiti e il Distretto restò sempre in pace.

La nomina a vescovo di Arua non lo scompose più di tanto, perché già era nell'aria ed egli l'accettò con semplicità. La sera del suo ingresso ad Arua, salutandomi mi diceva che ancora non riusciva a capacitarsi di restare lontano dalla missione di Ngeta. Amò molto ed aiutò i preti indigeni nelle loro necessità anche materiali. Prima di lasciare il suo ministero episcopale volle che ogni sacerdote indigeno avesse la sua auto".

Elemento di coesione

Lo zelo apostolico del vescovo Tarantino ricalcava le orme di mons. Comboni: ardente e gioioso. Fu per questo che i vescovi d'Uganda lo nominarono segretario nazionale per tutte le opere cattoliche di assistenza, ed era veramente un mago quanto ad ottenere aiuti dal governo, permessi e sussidi in favore della gente e delle missioni.

Non era certo facile per nessuno fare il vescovo di una nuova diocesi che, ancor oggi, abbraccia tre tribù con lingue e culture proprie. Di più, si era in tempi in cui stava maturando l'indipendenza dell'Uganda dalla sovranità inglese, e quindi ad una svolta importante per gli Ugandesi, senza poter prevedere le conseguenze ed il rischio di un Governo locale, al quale la gente non era ancora preparata. Nonostante tutto il vescovo Tarantino fu visto come l'uomo provvidenziale dei tempi, fu il valido elemento di coesione. Un sacerdote ugandese disse un giorno: "Finché abbiamo il vescovo Tarantino, ci sentiamo sicuri, felici e fortunati, perché sa tenere unite le tribù della diocesi e i preti locali provenienti dalle varie tribù. Non sappiamo cosa potremmo fare senza di lui".

Un autentico comboniano

Amò l'Africa fino a dare tutto se stesso, senza calcoli e senza risparmio. Il motto del Comboni "salvare l'Africa con l'Africa" trovò in Tarantino un realizzatore instancabile e indefesso.

Il suo carattere forte, talora forse anche duro, gli causò qualche penoso contrasto, qualche reazione dei suoi collaboratori e lacrimevoli delusioni. Non per questo si perse d'animo. "L'Africa e gli Africani mi hanno rapito il cuore. Se avessi cento vite tutte le darei per l'infelice Nigrizia". Tarantino viveva questi ideali.

Anche la croce fu sua compagna inseparabile durante i lunghi anni di vita missionaria. Durante la seconda guerra mondiale fu imprigionato a Katigondo con gli altri missionari. Al tempo del governo di Milton Obote prima, e di Idi Amin dopo, e poi ancora nell'invasione tanzaniana ebbe a soffrire non poco nel vedere la città di Arua rasa al suolo, almeno 300.000 persone fuggirono in Zaire o in Sudan, senza cibo, senza medicine, senza assistenza, aiutate solo dalla solidarietà dei missionari che si unirono a loro per condividere tutta quella miseria e dire parole di conforto. Soffrì enormemente per le espulsioni di missionari, per angherie contro i cristiani, per saccheggi spietati contro le missioni.

La stessa cattedrale di Arua, che aveva dato rifugio a molte centinaia di inermi cittadini, fu attaccata e profanata ed egli stesso maltrattato insieme ai suoi sacerdoti. Le suore bianche e ugandesi furono fatte sloggiare dai loro conventi. Una di esse venne fucilata, il seminario semidistrutto, i seminaristi dispersi, i sacerdoti smarriti o profughi. In questa tragedia balzò all'evidenza di tutti la forza fisica e morale del Vescovo che non indietreggiò di fronte alle intimidazioni, anche se la sua salute riceveva colpi formidabili.

Con i pochi superstiti dovette fuggire a Warr, 50 Km a sud, tra la tribù Alur non coinvolta nella lotta. Delle 29 missioni della sua diocesi, la maggioranza delle quali erette durante il suo servizio episcopale, 14 vennero distrutte con tutte le loro opere (chiese, case, conventi, scuole, dispensari, opere assistenziali). Ma le rovine morali della guerra d'Uganda risultarono infinitamente più gravi ed erano proprio queste che opprimevano il suo cuore.

A lui stesso fu più volte ritirato e poi restituito il passaporto. Fu un tempo doloroso per tanta insicurezza, mancanza di libertà pastorale, insufficienza di personale e di mezzi.

Per mons. Tarantino fu un lungo e sanguinoso venerdì santo per il suo cuore di pastore e di padre.

Sapersi tirare in disparte

Quando il cielo d'Uganda cominciò a rasserenarsi e la sua gente ritornava ai campi e ai villaggi con una certa sicurezza, egli si ritirò dalla cura pastorale della diocesi e lasciò il posto ad un successore africano.

Lasciava una Chiesa costituita da mezzo milione di cattolici con una quarantina di sacerdoti locali, un gran numero di seminaristi, di catechisti e di operatori pastorali, e tante opere sociali e di promozione umana.

I due Istituti che aveva fondato, quello delle Suore Contemplatrici della Santissima Trinità e dei Fratelli di Maria Immacolata, prosperavano con l'evidente benedizione di Dio. Ormai l'intrepido combattente per il Regno di Dio poteva tirarsi in disparte con intima soddisfazione anche se nell'intimo del suo cuore non cessava di proclamare l'inutilità del servo.

I confratelli lo invitarono con insistenza a rientrare in Italia per rimettersi in salute (gli acciacchi ormai non si contavano), per riposarsi un po' e anche per non essere di qualche impedimento nell'esercizio del ministero episcopale al nuovo venuto. Egli rispose che per rimettersi in salute gli bastava un po' più di riposo e l'opera dei medici Marsiaj e Spagnolli. Quanto all'impedimento temuto avrebbe saputo mettersi silenziosamente in un angolino senza far ombra a nessuno. Si sentiva ancora in grado di servire il popolo e i fedeli come un sacerdote qualsiasi. Cosa che fece con intima convinzione e sincerità.

Come poteva, dopo 58 anni di lavoro missionario, pieni di amore per Cristo e per gli Africani, gettare armi e bagagli? Sul solco doveva cadere, in quella terra che aveva eletta come sua terra e che amava più di ogni altra.

Pasqua in cielo

E venne il 15 aprile, giorno di Pasqua. Mentre la liturgia cantava:

"Sfolgora il sole di Pasqua

risuona il cielo di canti,

     esulta di gioia la terra

Dagli abissi della morte

Cristo ascende vittorioso

insieme agli antichi padri..."

il vescovo Angelo Tarantino si unì al coro che inneggiava a Cristo risorto e cominciò la sua salita alla gloria del Cielo insieme a coloro che per Cristo avevano saputo impegnare generosamente la vita.

Alla notizia della morte, p. Ettore Pasetto che lavorò con lui per tanti anni, prese la penna in mano e gli scrisse una lettera che inizia così: "Tu, l'apostolo delle missioni della tribù Lango, tu lo studioso della lingua, dei costumi della tua gente, tu il programmatore di un piano completo per la conquista della tribù alla Chiesa, tu hai saputo andar d'accordo con tutti per portare tutti a Cristo.

La tua venuta tra i Lango fu una vera benedizione per la Chiesa del Nord Uganda, perché Lira diventò presto un punto di riferimento e di confronto. Ciò che il grande missionario mons. Antonio Vignato fece per gli Alur, tu lo facesti per i Lango. Non spendesti un minuto inutilmente della tua lunga vita. A te si possono applicare con verità le parole della Scrittura. 'Beati pedes evangelizantium bona, evangelizantium pacem'. Certamente i tuoi piedi sono stati benedetti dal Signore e da un grandissimo numero di anime portate a vedere la luce del Vangelo grazie al tuo zelo instancabile.

Fisicamente alto di statura, potevi spingere molto lontano il tuo sguardo; ma spiritualmente lo spingevi fino ai confini del mondo. Mai stanco di camminare nei boschi, di pedalare lungo i sentieri, e poi in auto. Il tuo andare era meditazione, preghiera e riflessione, perché raccoglievi notizie, informazioni di famiglie e persone sane e malate, di catecumeni, di catechisti. E giunto a casa trovavi sempre i tuoi quaderni aperti per scrivere note ed impressioni e nuove parole per il tuo vocabolario lango.

Ringrazio il Signore di avermi dato il dono di lavorare accanto a te, vero missionario comboniano, che resterai per sempre nella storia della Chiesa della tribù lango. Grazie per tutto ciò che mi hai insegnato e del costante incoraggiamento morale che mi hai dato".

Mons. Tarantino è certamente un prezioso dono di Dio alla Chiesa missionaria ed alla Congregazione del Comboni. Voglia Dio che sia anche un valido intercessore di pace per la terra d'Uganda e un instancabile suscitatore di vocazioni missionarie tra i giovani che hanno continuamente bisogno di modelli autentici.

Ora riposa nella terra di Arua, accanto a tanti confratelli e cristiani che lo hanno preceduti nella casa del Padre.         

P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 168, ottobre 1990, pp.67-73