In Pace Christi

Biscaro Egidio

Biscaro Egidio
Data di nascita : 22/09/1928
Luogo di nascita : Foresto di Cona VE/I
Voti temporanei : 15/08/1949
Voti perpetui : 15/08/1955
Data ordinazione : 06/04/1974
Data decesso : 29/01/1990
Luogo decesso : Kitgum/UG

Nato a Foresto di Cona (Venezia) il 22 settembre 1928, ultimo di sei tra fratelli e sorelle, crebbe dividendo il suo tempo tra la casa, la chiesa, la scuola e il lavoro dei campi. Papà Antonio era guardia campestre, ma quel lavoro non gli consentiva di mantenere la famiglia per cui, ogni mattina presto, prima del consueto giro nei campi del padrone, andava in un campicello che gli era stato as­segnato e piegava la schiena sulle zolle che la sua vanga andava via via rovesciando. Da quella terra ricava­va quel poco di più, che era sempre troppo scarso, per le numerose boc­che da sfamare.

Bisogna emigrare

Quattro anni dopo la morte della mamma, il papà radunò i suoi figli e disse loro: "Alcuni di voi sono in età da lavoro. Ma qui, su questa terra di altri, non c'è avvenire per voi.

Mi sono consigliato con il parroco e… anche con la mamma che dal cielo ci segue e ci aiuta. Mi pare che sia venuto il momento di andare ver­so Milano dove c'è della buona terra a buon mercato, e poi ci sono anche le industrie. Cosa ne dite?".

"Ciò che decidi tu, va bene - rispo­se il maggiore -. Anzi, sono sicuro che questa è la cosa migliore che possiamo fare. Sapessi quanto mi ir­rita vedere il padrone che non è mai contento e sentire i brontolamenti dei contadini contro di te!".

"Se è per questo non devi illuderti. I padroni sono tutti uguali. Anche a Milano avranno sempre paura che si faccia troppo poco, e i colleghi avranno qualcosa da dire".

"A me dispiace lasciare la parroc­chia e le compagne - disse Elena ­- ma se dobbiamo affrontare il sacrifi­cio della partenza, è bene che lo fac­ciamo finché siamo giovani così ci abitueremo alla nuova vita".

Nel 1937 la famiglia emigrò in quella zona del Lodigiano, a metà strada tra Crema e Milano.

Un missionario troppo piccolo

Don Domenico Locatelli, parroco del paese, accolse la nuova famiglia con sincera cordialità.

"Guai se vi considerate stranieri - ­disse al papà, e intanto distribuiva caramelle ai più piccoli - qui siamo tutti una famiglia e noi siamo con­tenti che sia cresciuta in un colpo di sette persone".

"Cercheremo di essere dei buoni parrocchiani", rispose semplicemen­te il signor Antonio.

"La lettera del vostro parroco mi assicura che siete anche dei buoni cristiani. Bene, bene, così ci intende­remo meglio".

La domenica seguente don Dome­nico volle salutare dal pulpito i nuovi venuti dopo averli presentati alla po­polazione.

Egidio divenne subito chierichetto e gli altri fratelli si mostrarono assi­dui frequentatori dell'oratorio.

Una mattina dopo la messa Egi­dio, prima di andare a scuola, disse al parroco che gli sarebbe piaciuto  diventare missionario.

"Da quando questa nuova idea?", rispose don Domenico. "Da quando è passato dal paese quel missionario con la barba e ci ha fatto vedere le filmine sull'Africa e sul lavoro che fanno i missionari in terra di missio­ne. Da quel giorno sento dentro di me il desiderio di andare tra quella gente a portare il Vangelo".

"Sei così piccolo che ti sperderai tra l'erba!", sorrise il sacerdote.

"Non fa niente, don Domenico, mi farò portare in spalla dagli Africani, come faccio qualche volta col mio

papà”.

L'incontro con P. Semini

La fine delle elementari di Egidio coincise con lo scoppio della guerra per cui, invece della strada del seminario il ragazzo prese quella dei campi insieme al papà e ai fratelli.

Intanto cercava di vivere la vita cri­stiana meglio che poteva. Prima di recarsi in campagna, per esempio, andava in chiesa per la messa e, alla sera, non mancava mai di fare una capatina all'oratorio.

Ed ecco che un giorno passò dal paese P. Gaetano Semini, un ardente animatore missionario. Parlò ai giovani con foga della vocazione al sa­cerdozio e anche di quella di Fratel­lo.

"In missione - disse l'oratore - non occorrono solamente sacerdoti, ma ci vogliono anche dei Fratelli laici che siano in grado di dare una mano al sacerdote per la costruzione delle chiese, della case, delle officine, del­le scuole, degli ospedali... di tutto ciò che serve per lo sviluppo dell'A­frica e della Chiesa africana. I mis­sionari devono anche mangiare. Oc­corrono pertanto anche dei contadi­ni che sappiano lavorare la terra ra­zionalmente in modo da farla pro­durre...".

"Io so fare il contadino - disse tra sé Egidio -. Se non posso diventare sacerdote, posso sempre fare il Fra­tello. È una bella vocazione anche questa".

Alla fine dell'incontro, si avvicinò al missionario esprimendo il suo de­siderio.

P. Semini convenne che, a 15 anni, era difficile iniziare la prima media, per cui gli suggerì di presentare la domanda per essere ammesso nell'Istituto come Fratello laico.

"È vero - disse il parroco interpel­lato poco dopo - Egidio voleva farsi sacerdote già da piccolo, ma poi, un po' per la guerra, un po' per le ne­cessità della famiglia, un po' per la sua timidezza, tutto è caduto nell'o­blio. Le assicuro, tuttavia, che si trat­ta di un bravo ragazzo e che farà molto bene".

Il migliore

Si era ancora in piena guerra quando, nel 1943, Egidio, accompa­gnato dal papà, partì per Thiene (Vicenza) dove i Comboniani prepa­ravano coloro che sarebbero diven­tati Fratelli.

Nella scuola-seminario di quella cittadina, insieme allo studio tecnico si facevano esercitazioni pratiche di falegnameria, meccanica e agricoltu­ra. Egidio mostrò subito una parti­colare propensione per la meccani­ca.

Lo scopo della sua vita, come si vede, doveva essere quello aiutare i popoli del Terzo Mondo con il lavo­ro delle sue mani. Il superiore del seminario di Thiene scrisse in calce alla lettera di Egidio: "A me questo giovane sembra essere il migliore di tutti: pietà soda, umiltà, obbedienza, laboriosità e capacità nel lavoro. Si è specializzato in meccanica".

Con queste credenziali, il 16 luglio 1947, Egidio entrò nel noviziato comboniano di Venegono Superiore (Varese).

Lavoro serio

In noviziato Fr. Egidio s'impegnò con tutte le sue forze per apprende­re le consuetudini e regole della congregazione comboniana, ne stu­diò la storia e la metodologia missio­naria e cercò di esercitarsi in quelle virtù che avrebbero fatto di lui un abile missionario e un perfetto reli­gioso.

Il 7 ottobre 1947, festa della Ma­donna del Rosario, Egidio indossò l'abito dei missionari comboniani. Fu una cerimonia commovente che vide stretti attorno al futuro missionario i familiari, i sa­cerdoti che lo avevano conosciuto e aiutato e gli amici.

Il motivo di così intima e massiccia partecipazione fu determinato anche dal fatto che, dopo la vestizione, Fr. Egidio sarebbe partito per l'Inghil­terra a completare i due anni di no­viziato.

Finalmente missionario

Il padre maestro indugiava sulle capacità di Egidio, tanto importanti per un Fratello: "Dà prova di buon senso pratico, di amore al lavoro realmente profi­cuo e ordinato. Ha amore per la proprietà e la pulizia in tutto.

Per intelligenza si distingue tra gli altri ed apprende molto bene e velo­cemente la lingua inglese. Nel tratta­re è rispettoso, gentile e delicato. È un carattere veramente felice, quie­to, paziente. Ama il silenzio e l'ap­plicazione al suo lavoro.

Gode anche di una salute vera­mente florida. Se il tempo lo per­mettesse, sarebbe una cosa bella far­gli frequentare dei corsi di specializ­zazione in qualche professione.

Riuscirebbe certamente bene in tutto. È di una grande affabilità con tutti. I membri della comunità pen­sano che, se continua così, sarà un Fratello veramente utile alla nostra Congregazione" .

Il 15 agosto 1949 Egidio emise i Voti di povertà, castità e obbedienza che lo consacrarono missionario del­l'Africa. Il padre maestro, alla vigilia di quella data, aveva scritto sulla cartella personale di Egidio che ven­ne poi conservata in archivio: "Se la cattiveria del mondo non muterà il suo cuore, un domani avremo un santo".

Meccanico specializzato

Egidio, con l'entusiasmo dei suoi 22 anni, bruciava dal desiderio di partire per l'Africa. Invece i supe­riori, dietro il suggerimento del pa­dre maestro, lo fermarono in Inghil­terra per dargli la possibilità di fre­quentare un corso di meccanica. In Uganda, dove era destinato, c'era bisogno di validi meccanici perché ormai le macchine vi avevano fatto il loro ingresso da lungo tempo e la categoria dei meccanici era molto occupata. Egidio obbedì con l'entu­siasmo di sempre e, dopo sei mesi, con il suo diploma in tasca, poté sal­pare per le coste d'Africa.

Prima, però, passò dal paese dove il parroco e i giovani dell'oratorio gli si strinsero intorno ricordando il tempo passato, le prime avventure della nuova famiglia in quella nuova terra e la sincera amicizia che aveva intrecciato con tutti.

Doppia benedizione

La sera dell'addio, il papà lo chia­mò in disparte e gli disse: "Pensare che il figlio mio più pic­colo è stato scelto dal Signore per diventare un suo operaio mi rende tanto felice, anche perché, con la mamma abbiamo più volte pregato il Signore perché si degnasse di chia­mare al sacerdozio qualcuno dei nei nostri figli. Non sei sacerdote, ma la­vori accanto a loro e per lo stesso scopo.

Cerca di amarli sempre, di vedere in loro dei fratelli e tu considerati sempre il più piccolo della famiglia, come hai fatto con noi... Il più picco­lo per servire, non per essere servi­to".

Dopo un lungo silenzio, il papà s'inginocchiò per terra e chiese al fi­glio la benedizione: "Non sono un prete, per darti la benedizione, papà".

"Non sei un prete, ma sei un uomo consacrato a Dio, quindi una perso­na sacra... Su, dammi la benedizione, anche perché ho il presentimento che non ci vedremo più su questa terra" .

"Cosa dici mai, papà - esclamò Egidio inginocchiandosi a sua volta davanti al genitore - ricordi quando mi dicevi che eri sano e forte e mi prendevi sulle spalle dopo una gior­nata di lavoro?".

"Eh sì! ma da quei giorni è passato molto tempo, troppo tempo. E poi, queste mani hanno consumato trop­pi manici di zappe... Ma non ho rim­pianti, sai, penso alla mamma che mi aspetta, che aspetta tutti lassù dove non ci sarà più da tribolare".

I due stettero per un lungo tratto uno nelle braccia dell'altro e poi, in­sieme, pregarono e si benedissero a vicenda.

Confortato dalle parole del padre e fortificato dalla sua preghiera che ­- ne era sicuro - non sarebbe mai mancata, Egidio salì sul treno che lo avrebbe portato a Verona dove altri compagni lo attendevano per il bal­zo verso l'Africa.

Tra carriole e motori

Fr. Egidio, fu destinato subito alla grande officina di Gulu dove afflui­vano non solo le auto delle missioni del circondario, ma anche quelle della gente.

Tuttavia il Fratello non disdegnava di passare dall'officina all'orto, dal cantiere alla falegnameria, dalla cu­cina alla stalla, quando si trattava di dare una mano dove maggiore era la necessità.

"È indiscutibilmente un caro Fra­tello - scrisse di lui P. Santi -. Mostra un carattere paziente e docile. Se ha un difetto è quello di fidarsi troppo della gente, per cui alle volte viene ingannato. Ha l'anima del fanciullo nel quale non c'è malizia".

Egidio, scrivendo ai familiari, dis­se: "Mi trovo nella missione più bella del mondo. La vita del missionario è un'avventura che merita di essere vissuta. Mi auguro che altri giovani dell'oratorio vengano presto con me a esperimentare cosa vuol dire lavo­rare per il Signore e per gli Africa­ni”.

Istruttore

Dopo tre anni di lavoro a Gulu, passò a Layibi dove un'altra officina meccanica aveva bisogno di un vali­do meccanico.

Fr. Egidio non si limitava a lavora­re ma, fedele al mandato di mons. Comboni, si preoccupava di insegna­re il mestiere agli Africani. Scrive un confratello: "Egidio aveva un'arte tutta partico­lare nell'insegnare il mestiere ai gio­vani che frequentavano l'officina. Il segreto della sua riuscita consisteva nel grande amore e nella profonda stima che aveva per gli Africani. Non l'ho mai visto una volta perdere la pazienza.

Spiegava prima di eseguire un de­terminato lavoro, poi invitava l'ap­prendista a cominciare ed egli segui­va incoraggiando e intervenendo so­lo quando l'altro stava sbagliando".

I superiori volevano che prendesse in mano anche la scuola, oltre che l'officina. Per far questo gli occorre­va un ulteriore diploma che poteva conseguire a Londra.

"Se è per il bene degli Africani, va­do anche al Polo Nord", rispose. Dal 1958 al 1959 lo troviamo in Inghilter­ra presso il Paddington Technical College. Diplomatosi, ritornò a Layi­bi come istruttore.

E catechista

Alla domenica si recava in qualche missione in compagnia del confratel­lo sacerdote e s'intratteneva con i ragazzi spiegando il catechismo o qualche episodio della sacra scrittu­ra.

Tra il 1963 e il 1964 fu in Italia per le vacanze. La prima cosa che fece fu di andare sulla tomba del papà a pregare. Ricordò una ad una le pa­role che gli aveva dette prima di par­tire tredici anni addietro. Il genitore era stato buon profeta, forse perché già sentiva la morte nelle ossa. Era infatti morto poco dopo la partenza del figlio per la missione.

Dopo tre mesi Egidio era nuova­mente a Layibi. Ormai questa sem­brava essere diventata la sua missio­ne. Il lavoro non mancava e la gente gli voleva bene. Fu nominato re­sponsabile della locale scuola tecni­ca e, qualche tempo dopo, di quella di Ombaci.

L'incalzare degli avvenimenti

Fr. Egidio era stato testimone del passaggio dell'Uganda da colonia britannica a nazione indipendente (1962); aveva assistito alla presa del potere del presidente Milton Obote, un protestante che procurò qualche sofferenza ai missionari, vide l'U­ganda incamminarsi sulla strada per diventare un paese progredito, quasi all'avanguardia tra le nazioni africa­ne. Le grandi tribolazioni con l'on­data di martiri e di sangue, tuttavia, erano alle porte e qualcuno già le in­travedeva.

In quegli anni la Chiesa fece passi da gigante in Uganda. Si moltiplica­vano le diocesi, i seminari e molte missioni passavano al clero indigeno che era numeroso e, in genere, ben preparato.

Tra le riforme conciliari, ci fu an­che quella che riguardava la rivalutazione del Diaconato.

"Se non ho potuto diventare sacer­dote - disse Fr. Egidio - perché non potrei diventare diacono? A quanto pare possono diventare diaconi an­che laici che non hanno emesso i Voti religiosi o, addirittura persone sposate". L'antico sogno che aveva sempre custodito nel segreto del suo cuore, riappariva.

Di più e di meglio

 Non solo il Fratello missionario aveva la possi­bilità di diventare diacono, ma pote­va anche aspirare al sacerdozio.

Egidio fece un salto di gioia. Dun­que il Signore non lo aveva rifiutato! Sì, lo aveva fatto attendere un po', ma la sua ora era finalmente arriva­ta. Dopo alcuni giorni di intensa preghiera, scrisse al Superiore Gene­rale:

"Ho lavorato per circa 20 anni in ­missione quasi sempre addetto al­l'insegnamento nelle scuole tecni­che. Da anni sento una certa attratti­va verso il sacerdozio.

A dire il vero l'ho sempre occulta­ta e ho sempre cercato di distrarmi, tenendomi più occupato nel lavoro materiale e tralasciando volontaria­mente l'apostolato diretto, sperando che questo - usando una parola un po' forte - tormento si sarebbe attu­tito.

Con sincerità riconosco di non avere le qualità richieste per un sa­cerdote dei nostri tempi, ma confido nella grazia divina e nella protezione della Madonna... Ringrazio il Signo­re di aver speso i miei anni migliori nel campo del lavoro sociale. Ciò di cui dovrei rammaricarmi è di aver fatto poco".

Sacerdote

Nel 1971 Fr. Egidio Biscaro fu am­messo al Pontificio Collegio Beda di Roma per gli studi teologici. Piegare la schiena sui libri non fu facile per un uomo di 41 anni e per di più abi­tuato alle scienze sperimentali, ma l'entusiasmo e l'amore che lo spinge­vano gli facevano sentire le ore di studio come una "piacevole ricrea­zione".

Accanto allo studio, Egidio mise tanta preghiera. Sapeva che diventa­re sacerdote in una società scon­quassata dai fermenti del "68" in Eu­ropa e da innumerevoli sconvolgi­menti politici nei territori di missio­ne, non era impresa facile.

Fu ordinato a Milano il 6 aprile 1974. Dal cuore del novello sacerdo­te scaturì un "Magnificat" che non fi­niva più. Scrisse a un confratello: "È veramente mirabile il Signore. Tira la corda, ti fa penare e quando sembra che tutto ormai sia finito, in­terviene con la sua potenza divina. Davvero vuole che crediamo in lui, nella sua bontà e misericordia, nella sua onnipotenza, come hanno credu­to Abramo e la Madonna".

La grande tribolazione

Ritornato in Uganda, esercitò il ministero sacerdotale nelle missioni di Alito e di Aber. Il sorriso, che aveva sempre accompagnato il suo lavoro di tecnico, non lo abbandonò neppure nell'esercizio del ministero sacerdotale. La sua bassa statura e i suoi modi gentili gli attiravano le simpatie della gente.

In Uganda, intanto, avvenivano co­se veramente tristi. Sotto la dittatura di Amin Dada, alcuni missionari fu­rono espulsi, altri minacciati.

Varie missioni furono devastate, alcuni missionari uccisi, altri grave­mente feriti da raffiche di mitra, e "i coccodrilli del Nilo erano sazi di carne umana". Carne di africani per lo più innocenti, naturalmente.

Un giorno P. Egidio percorreva a bordo della sua moto una strada quando fu fatto segno a colpi di ar­ma da fuoco. Si buttò prontamente nell'erba e riuscì a salvarsi, ma lo spavento fu tale da procurargli, in seguito, un paio di infarti che, tutta­via, superò brillantemente.

Dopo quell'esperienza lasciò defi­nitivamente la motocicletta e comin­ciò ad usare l'auto, una Fiat 127. Mentre si recava a Lira, gli spararo­no addosso. Pur con le gomme bucate, riuscì a fuggire e a raggiungere la

missione.

Il confratello che lo accolse si ac­corse che aveva un braccio sporco di sangue. "Cos'è successo?" gli chiese.

"Mi hanno sparato, ma non è nien­te. Dammi un po' di alcol per disin­fettare la ferita".

Dalla sua bocca, intanto, uscivano parole di comprensione e di perdo­no per coloro che lo avevano preso di mira. Alla fine aggiunse: "Poverelli, se hanno tentato di as­salirmi in un modo così violento, si­gnifica che avevano una gran fame, ma non avevo proprio niente da of­frire".

Tutti ai loro posti

Data la situazione, i superiori dis­sero ai missionari che, se non se la sentivano, potevano tornare in pa­tria. Nessuno si mosse. Chi aveva il coraggio di abbandonare il popolo nel momento del pericolo?

"Un tempo erano le malattie che uccidevano i missionari - scrisse uno - ora sono le pallottole, ma noi non abbandoniamo i nostri posti, non la­sciamo sola la gente in un momento di tanta disperazione".

E continuarono a lavorare vivendo in una costante situazione di perico­lo di vita "mossi unicamente dall'a­more verso Dio e verso i fratelli, in ossequio alla fedeltà alla loro scelta missionaria”.

In questo contesto anche l'eserci­zio del ministero diventava difficile. Se si aiutava uno, si diventava nemi­co dell'altro e viceversa.

I missionari cercavano di non guardare in faccia nessuno e di aiu­tare chiunque fosse nella necessità indipendentemente dalla tribù o dal­la religione.

In una lettera P. Egidio scrisse: "Il Signore vuole che ci doniamo agli altri, che lavoriamo, che mettia­mo in comune i nostri beni con i bi­sognosi, che usiamo le nostre facoltà intellettuali e il nostro lavoro per il bene di tutti".

Coerente a questo principio, si buttò in mezzo ai più poveri, ai più perseguitati, mettendo a disposizio­ne tutto ciò che aveva.

Gli ultimi avvenimenti in Uganda

Nonostante gli sforzi per la pace messi in atto dal governo dell'attuale presidente Museveni, la ripresa di alcune industrie e una stagione agri­cola particolarmente favorevole, gli ultimi mesi del 1989 sono stati cari­chi di tensione e di eventi imprevisti e piuttosto preoccupanti.

Gli incidenti per banditismo, non più contro il governo ma contro la popolazione inerme, si moltiplicava­no specialmente nella zona di Kit­gum e nella zona Est dell'Uganda. Quasi ovunque i dissidenti sconfitti sul piano militare si nascondevano nei boschi trasformandosi in banditi che, per sopravvivere, attaccavano i villaggi nelle zone rurali e saccheg­giavano i mercati.

Ci sono stati attentati alla vita a P. Rossi, P. Fortuna, P. Simeoni, P. Mantovani, P. Bernareggi, P. Maf­feis, P. La Braca, P. McGinley, P. Novelli, P. Ambrosi, P. Cristoforet­ti... Alcuni hanno dovuto essere rim­patriati per guarire; altri, appena guariti, sono ritornati ai loro posti, incuranti del pericolo.

In questo clima i Comboniani si accingevano a celebrare l'ottantesi­mo anniversario del loro arrivo in Uganda. La missione di Pakwach, derivata da Omach, che fu appunto la prima missione comboniana in Uganda, è stata ceduta a una con­gregazione religiosa africana, fonda­ta da un comboniano.

Ciò è un segno evidente del cam­mino che la Chiesa ha compiuto sot­to la spinta dei seguaci del Comboni.

Nel 1989 P. Egidio venne in Italia per un corso di aggiornamento a Roma, che concluse con un pellegri­naggio in Terra Santa. Naturalmente andò anche al suo paese a salutare i parenti e gli amici. Uno di questi ha detto: "P. Egidio sprizzava missiona­rietà da tutti i pori. Era entusiasta della missione; un entusiasmo che coinvolgeva, che contagiava".

Per un atto di carità

P. Egidio Biscaro si trovava nella missione di Pajule (diocesi di Gulu) quando lunedì 29 gennaio 1990 deci­se di compiere un atto di carità nei confronti di una donna che aveva ur­gente bisogno di essere ricoverata all'ospedale di Kitgum.

Il confratello, P. Aldo Pieragostini, consapevole del pericolo cui si espo­neva chi usciva dalla missione, si of­frì di accompagnarlo.

"Speriamo che i banditi non ci ve­dano o, almeno, prima di spararci addosso, ci fermino. Noi siamo di­sposti a dare loro tutto ciò che ab­biamo", si dissero prima di salire a bordo della Land Rover.

Questo, del resto, era l'ordine dei superiori: non discutere con i ladri, ma consegnare tutto ciò che chiedo­no, anche i vestiti. E ben lo sapeva un confratello che dovette tornarse­ne alla missione in mutande. Gliele lasciarono solo perché era un sacer­dote, mentre il suo amico medico venne privato anche di quelle. Cose che succedono dove si vive nella di­sperazione.

Il martirio

P. Egidio, P. Aldo e la donna parti­rono alle 8,45. P. Aldo si mise al vo­lante. A Porogali, dieci chilometri dopo Pajule, l'auto fu colpita da al­cune raffiche di mitra sparate da gente nascosta nell'erba. Alcuni pro­iettili colpirono la parte anteriore, molti di più il lato sinistro, proprio dove sedeva P. Egidio. Irene, la don­na che viaggiava con loro, fu colpita ai polmoni e morì quasi subito.

A P. Egidio un proiettile spappolò la gamba destra, altre pallottole lo ferirono sulle spalle, ad un orecchio e sulla fronte. Anche P. Aldo fu feri­to a una gamba, a un braccio e sulla faccia dove una pallottola, dopo avergli tranciato un'arteria e strap­pato il labbro fin quasi all'orecchio, si fermò nella mandibola.

Il motore dell'auto, pure colpito, si bloccò da solo. P. Aldo capì subito la gravità della situazione in cui si trovava il confratello, ma non era in grado di fare nulla perché stava per­dendo sangue dalla bocca e dalle al­tre ferite.

Qualche istante dopo alcuni indivi­dui si avvicinarono alla vettura. Era­no i briganti che avevano teso l'ag­guato. Guardarono un po’, parlottarono tra loro e poi, invece di prestare qualche aiuto, si allontanarono in fretta. Un abitante della zona, allar­mato dalla sparatoria, andò ad av­vertire i militari di Pajule. Ma prima del loro arrivo, trascorse un'ora e mezza. I due missionari, intanto, si erano preparati a morire.

P. Egidio agonizzava e, di tanto in tanto, ripeteva: "Mamma, mamma aiutami; Signore, abbi pietà di me; Madonna santa proteggimi; perdono i miei uccisori; offro la mia vita per la pace in Uganda", ed espressioni simili. P. Pieragostini pronunciò a fatica la formula della assoluzione senza tuttavia riuscire a tracciare il segno della croce essendo pratica­mente immobilizzato. Ad un certo punto P. Egidio trasse un respiro, più lungo degli altri poi reclinò il ca­po e non disse più niente. Era mor­to. I soldati caricarono i tre sul loro veicolo e li portarono all'ospedale di Kitgum. P. Aldo, l'unico superstite, era in stato di shock, con pressione a 60. Immediatamente gli vennero praticate alcune trasfusioni. Un po­co alla volta si riprese.

Riposa vicino alla statua della Madonna

La salma di P. Egidio fu esposta nella chiesa di Kitgum fino al pome­riggio del giorno 30. Al funerale par­tecipò una grande folla, anche se da alcune settimane la popolazione del­la zona si trovava nell'occhio del ci­clone causa i ladri e i guerriglieri che erano tornati in circolazione con in­credibile ferocia.

P. Egidio è stato sepolto nel cimi­tero di Kitgum, vicino alla statua della Madonna che aveva invocato prima di morire.

Il vescovo ha detto: "Tanta gente benedice questo missionario perché ha capito che le voleva bene. La sua è stata una vita ben spesa, ed ora è giusto che riposi in mezzo a noi co­me un dono di Dio agli Africani".

P. Riccardo Bolzanella, commen­tando la morte del confratello, dice: "Egidio era timido all'eccesso eppu­re, quando si trattava di aiutare gli altri, diventava coraggiosissimo. Nel­le missioni di Aber e di Aboke fu più volte assalito e derubato dai ladri, ri­schiò molte volte la vita, eppure riu­scì sempre a cavarsela".

La notizia dell'assassinio di questo missionario comboniano fece molto scalpore anche in Italia. Ai superiori arrivarono partecipazioni e condo­glianze da semplici cittadini e da au­torità religiose e civili. In tutti c'era la consapevolezza che il sangue di questo nuovo martire, caduto per es­sere solidale con il popolo che aveva scelto come proprio, gridava pace, riconciliazione e concordia in un mondo dilaniato da troppe violenze e ingiustizie. Siamo certi che il pic­colo P. Egidio, dagli occhi e dal cuo­re sempre pronti a donare un sorri­so, intercederà dal cielo per le mis­sioni che da ormai troppo tempo co­noscono solo il pianto.                  P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 167, luglio 1990, pp.59-71

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He was born at Foresto di Cona (Venice) on the 22nd of September 1928.

He was the last of six brothers and sisters. His early life was shared out between house, church, school and fields. Antonio, his father, was a ru­ral guard, but his salary was not co­vering the needs of his family, thus, before going into his master's fields, he spent lime hand cultivating a small plot of land his master had set aside for him. It yielded that little extra that was giving him the mini­mum to feed his children.

Emigration

Four years after their mother's de­ath, the father gathered together his children and told them: "Listen, so­me of you are big enough to work. But this land is not ours and there is no future for us here.

I sought the parish priest's opinion and also the opinion of ... your mo­ther who follows us from heaven. It is lime for us to move to Milan. Fer­tile land is cheap and easily available there and then there are also indu­stries. What do you say?"

"What you decide is good for us ­said the eldest -. In fact this is the best thing we can do. I am tired of the continual grumbling of our land­owner who is never pleased and of the quips of the other peasants on you".

"Have no illusions: masters are all the same. Do not think that Milan will be different for this. Even there masters will constantly say out how little the workers apply themselves and the colleagues will always have something to complain about".

"I am sorry to leave the parish and my friends, - said Elena,- but we bet­ter do it now, while we are young. The burden will be easier to bear and we shall find less difficulties in settling down in our new environ­ment".

"And all together", echoed ano­ther.

Too small to be a missionary

Fr. Domenico Locatelli, the parish priest, welcomed the new family.

"You must not feel strangers - he told the father while handing out sweets to the younger ones - our pa­rish is a family and we are happy that it has seven new members".

"We shall try to be good parishioners" was the simple answer of An­tonio.

"The letter of your parish priest states that you are also good Chri­stians. Very good, we shall under­stand each other better".

Fr. Domenico presented the newcomers to the whole parish commu­nity and greeted the newly arrived from the pulpit the following Sun­day. Egidio became an altar boy while his other brothers joined the 'orato­rio'.

One morning after Mass and just before going to school, Egidio told his parish priest of his wish to beco­me a missionary.

"How long have had the idea?" an­swered Fr. Domenico. "Since the co­ming of that bearded missionary who spoke and showed us slides on Africa, on missionaries and on their work. Since then I have been fecling the wish of going among those peo­ple to evangelise them".

"You are so small that you will get lost in the tall grass!" smiled the priest.

No problem, Fr. Domenico, I will ask to be carried on the Africans' shoulders just as I do with my fa­ther.

Fr.  Semini

The end of primary school for Egi­dio coincided with the beginning of the world war. Instead of entering seminary he had to go back to work into the fields with his father and brothers.

He endeavoured, in the meantime, to live a truly and committed Chri­stian life. Before going to work in the fields he would first pass in church for mass and in the evening he used to pay a visit to the Oratory.

One day the village was visited by that fiery missionary that was Fr. Gaetano Semini. He spoke to the youth about the priestly missionary vocation and the missionary vocation of the lay brothers.

"The mission does not need only priests, we need also lay brothers to help the priests by building the churches, the houses, the workshops, the schools, the hospitals... i.e. anything required for the proper develop­ment of Africa and the African Church Missionaries must eat, too. So we need farmers who know everything about the land and agri­culture ...".

"I am a farmer - thought Egidio - If I can't be a priest, then I could be a brother. It is a beautiful vocation too".

He approached the missionary at the end of the meeting and spoke to him about his wish.

Fr. Semini agreed with him that it would be difficult to start secondary school at 15 so he suggested that he should apply to become a lay bro­ther.

"Yes, Egidio has expressed the wish to become a priest long ago ­confirmed soon after his parish priest - but then everything fell through because or the war, the ne­eds of the family and his own timidi­ty. I can assure you that he is a very good boy and will certainly do well".

The best

The war was still on when the fa­ther left far Thiene (Vicenza) to ac­company Egidio to the seminary where the Comboni missionaries pre­pared the lay brothers.

The school/seminary provided theory and practical courses in car­pentry, mechanics and agricultural subjects. Egidio showed his ability and propensity for mechanics.

The goal of his life has always been, and we shall see, to help Third World people with the work of his hands. The superior of Thiene com­pleted the letter of Egidio thus: "This young man is the best of the lot: he has a deep prayer life, he is humble and obedient, industrious and has ability to work. He speciali­sed in mechanics".

These were his credentials for the noviciate in Venegono Superiore, where he entered on July 16lh 1947.

Serious work

In the novitiate Fr.  Egidio applied himself to the study or the traditions and rules or the Comboni Institute, he studied its history and mission methodology and endeavoured to acquire all the virtues that would make him a good missionary and a perfect religious.

He took the religious habit on Oc­tober 71h, feast of the Holy Rosary.

The ceremony of lacking the reli­gious habit was witnessed by many or his relatives, friends and priests who had known him also because he would soon be leaving for England where he was to complete his two years novitiate.

Missionary at last

The novice master was calling the attention on the capabilities of Egidio, very important requirements for a lay brother: "He is very practi­cal, likes work and is very orderly in all he does and the way he does it.

His intelligence is above average and he is learning English well and fast. His trait is respectful, patient and quiet. He likes silence.

His health is good indeed. It would be good, time permitting, if he could attend specialised professional cour­ses.

He can do so many things well and his affability endears him to all con­freres. He will be a very good and useful brother".

He took his first religious vows on August 15th 1949 and was now a missionary consecrated to Africa. On the eve of this event the novice master remarked of him: "If the evil in the world does not spoil his heart, we shall have a new saint".

Specialization in mechanics

Egidio was now 22 and was bur­ning with the desire of leaving for Africa. The superiors instead accep­ted the suggestion of the novice ma­ster and he was asked to attend a course in motor vehicle mechanics. He had been assigned to Uganda where they badly needed good me­chanics, since the era of machines had dawned even there. Egidio obe­yed with the usual enthusiasm and achieved his diploma in six months. He was now ready for Africa.

He passed first through his village, where the parish priest and all his 'oratorio' friends feasted him and re­called the beginnings of his family li­fe in that village and their deep friendships.

Double blessing

The evening before his departure, his father called him aside and told him: "How happy am I to know that the Lord has chosen my smallest son to be one of his workers. We had prayed so much with your mother for the grace of a priest among our children. You are not a priest, but are close to them, work with them and for the same purpose.

Love them, see in them your oldest brothers, consider yourself always the youngest in the family, as you did with us here... The youngest in order to serve not to be served".

After a silent pause his father knelt down in front of him and asked his son's blessing: "I am not a priest to bless you dad!". "You are a man consecrated to God, thus a sacred person... Come on, bless me, I have a feeling that we shall not meet again on this earth".

"What kind of talk is this? - exclai­med Egidio kneeling down himself ­don't you remember when you used to tell me about your health and strength and how you carried me on your shoulders?"

"And how long since? My hands have worn out too many hoe han­dles... But I have no regrets, mummy is waiting for us al1 up there, where there will be no worries".

They embraced, prayed together and blessed each other.

Fortified by prayer and the words of his father, Egidio boarded the train for Verona whence he would start with others his journey to Afri­ca.

Wheelbarrows and engines

Bro. Egidio was assigned to the mechanical workshop of Gulu, that serviced not only the missions' vehi­cles, but also those of the local peo­ple.

He did not confine himself to his workshop. Whenever help was nee­ded he would cultivate the garden, inspect the carpentry, work in the kitchen or even look after the cattle.

"Definitely a good brother - wrote Fr. Santi -. He is patient and docile. May be he trusts the people too much and at times they deceive him. He is like a child, there is no malice in him".

To his family Egidio wrote: "I now am in the most beautiful mission of the world. Missionary life is worth li­ving. I hope other youths from the 'oratorio' will join me in living to work for the Lord and the Africans".

Instructor

After three years in Gulu, he pas­sed to the Layibi school workshop, thus, true to the Comboni spirit, he added technical instruction to just practical work. A confrere wrote of him: "Egidio had a particular way of teaching the trade to the youths. His secret lay in his love and respect for the Africans. I never saw him lose his patience.

He used to explain every work be­fore starting it, then he would invite the apprentice to start it while he

watched, encouraged and corrected as necessary".

The superiors would have liked him to take over the whole school not just the workshops, but to do this he needed another diploma and he could get it only in London.

"I’11 go even to the North Pole for the good of the Africans" he said, and from 1958 to 1959 he was back in England to attend Paddington Te­chnical College. He returned then to Layibi as a fully qualified instructor.

Catechist

On Sundays he used to accompany the priest to some chapels and taught catechism to the boys or nar­rated Bible stories.

He was back in Italy in 1963-64 for holidays. His first visit was to the tomb of his father.

He recalled one by one all the words he had told him thirteen years before on his first departure for the mission. He had been a good pro­phet: he had felt death in his bones and had died soon after his son's de­parture.

Egidio was soon back in Layibi that seemed to have become his perma­nent mission. He had plenty of work and people liked him. He was put in charge of the technical school and, some time later, was sent to Ombachi.

Pressing events

Egidio bad witnessed the inde­pendence of Uganda (9.10.1962), the take over of power by Milton Obote, a protestant who gave some problems to the missionaries; be saw Uganda rise up to be among the first for development in Africa.

But great tribulations were just behind the Corner with blood and mar­tyrs. Far sighted people bad soun­ded the alarm.

And yet the Uganda Church enjo­yed a period of fast development and growth. The number of Dioce­ses increased, the seminaries were full and many parishes passed under the care of the well prepared local clergy.

The Vatican Council bad given new importance to the ministry of the Deacon. "I could not become a priest ­thought Egidio - Why can't I become a deacon? Married or single people can be ordained to this ministry, why not a religious?" The old dream was resurfacing.

More and better

Brothers could not on­ly become deacons, they become ­priests. Egidio jumped for joy. The Lord had not forgotten him! He had to wait, but now the ti me had come. He passed a few days of intense prayer and wrote again to the Superior Ge­neral: "I have now passed twenty ye­ars in the mission, mostly as teacher in technical schools. I have been fee­ling the wisb to become a priest for many years. I have tried to bide it and forget abolii it by getting invol­ved fully in my work.At times I even gave up my apostolate boping that the 'torment' - the term is rather strong - would cease.

I have to admit that I do Not have all the required qualities to be a mo­dero priest but I pIace my trust in di­vine grace and in Our Lady... I thank the Lord who has allowed me to spend my best years in the social field of human promotion.

My only regret is that I did not do enough".

Priest

In 1971 Bro. Egidio Biscaro was admitted to attend theology courses in Beda College in Rome. He was 41 years old and to be back in a class­room as a student was not easy going but his enthusiasm and love made him call the hard hours of study as "pleasant recreation".

Egidio besides studying, put in a lot or prayer. To be a priest after the "68" events and the political uphea­vals in mission lands, was going to be hard.

He was ordained in Milan on April 6th 1974. That day he really sung his “Magnificat” with a full heart and tongue. He wrote to one of his confreres: "How wonderful is the Lord. Tos­ses you about a bit, lets you toil and then when you think he has forgot­ten everything about you, there He is with His redeeming power! He wants us to believe in Him, to belie­ve and trust his power, his goodness, his mercy, just as Abraham and Our Lady did".

Tribulations

Back once again in Uganda be exerted his ministry in Alito and Aber missions.

The smile he had during technical work was with him also in his prie­stly activity. He was not tall, but his gentleness endeared him to the peo­ple.

Very sad events were taking place in Uganda at the time. Amin expel­led some missionaries, while others were threatened.

Missions were looted, missionaries and many people killed, others wounded "the crocodiles of the Nile had their fill of human flesh". Afri­can flesh, of course, and of the most innocent people too. One day he was travelling along a side road on his motobike. He was fired at from the grass with automatic rifles. He esca­ped by hiding immediately in the grass, but the shock was great, and perhaps the reason behind his heart problems.

He never travelled in his motobike since, and used only his small Fiat 127.

On another occasion on his way to Lira he was once again fired on. Two of his tyres burst, but kept going and arrived at the mission. A concrete noticed that he had blood on his arm and inquired: "What happened?". "I was shot al, but I am alright. Give me some alcohol for disinfecting". And all the while he was proclai­ming his forgiveness for the culprits of the ambush.

"May be they were so violent be­cause they were hungry. But I had nothing I could give them".

All at their places

In such a situation the superiors informed the missionaries that they were free to return to Italy. But no­body left his place. Who could aban­don his people in time of danger?

On of them wrote: "In the past missionaries died of illness, now they are brought down by bullets, but we are not running away from our pla­ce, we shall never abandon the peo­ple in such desperate situation".

And they kept going on with their work in a constant situation of mor­tal danger "moved only by love of God and love towards their bre­thren, faithful to their missionary choice".

In such situation even ministry is dangerous: the help tendered to one could turn another into a enemy. The missionaries tried to make no distinction of tribe or religion, they just helped anybody in need.

In one of his letters Fr. Egidio wrote: "The Lord wants us to give up our­selves in the service of others, he wants us to put all we have in com­mon with the needy ones, he wants us to use all our intellectual faculties and material work for the benefit of all".

This became his only guiding prin­ciple and he became poor and per­secuted with the poor and persecu­ted.

The latest events in Uganda

The present government is wor­king for peace in Uganda. there is some awakening of the commercial and agricultural life, but in spite of this the last months of 1989 were full of tension, particularly in Northern Uganda, with some ominous events.

What was a rebellion against the government turned into banditry against innocent and unarmed civi­lians. Around Kitgum and in Ea­stern Uganda episodes of violence against the civilian population by 're­bels' increased. The bush was a very effective hiding place far the bands that found easier to attack villages in rural areas, looting their granaries, for survival.

Frs. Rossi, Fortuna, Simeoni, Man­tovani, Bernareggi, Maffeis, La Bra­ca, McGinley, Novelli, Cristoforelli, Ambrosi etc... all had, at the diffe­rent times, the unhappy experience of being shot at and some of them still bear the marks. Some had to be repatriated for medical treatment, only to return to their places as soon as they recovered.

This is the climate in which the Comboni Missionaries celebrated eighty years of presence in Uganda and they did it by handing over Packwach parish (derived from Omach), their first foundation in Uganda, to a local religious Institu­te, founded by a Comboni missiona­ry.

What better sign of the growth of the local church?

Fr. Egidio came to Italy in 1989 for a renewal course in Rome. The cour­se ended with a pilgrimage in the Holy Land. He went to his home and met relatives, friends and well-wishers. One of them remarked: "Fr. Egidio was enthusiastic of his being a missionary, his enthusiasm was catching".

An act of charity

He was now stationed in the mis­sion of Pajule (Gulu diocese). On Monday 29 January 1990 he decided to go to Kitgum do take a sick per­son to hospital.

Fr. Aldo Pieragostini, though awa­re of the danger of moving along the road outside the mission, offered to go with them. "Let us hope that the bandits do not sec us or that they stop us before shooting" they said as they boarded the Land Rover.

The orders from the Superiors we­re clear: never discuss with robbers, just give all they ask even the clothes you are wearing. You can't discuss with desperate people.

Martyrdom

Fr. Egidio, Fr. Aldo and the lady left the mission at about 8.45 in the morning. Ten kilometres from the mission, at Portogali, the car was hit by a hail of bullets fired by automa­tic weapons from the grass on the si­de of the road. Some hit the front of the car, but the majority entered the car from the left side, where Fr.  Egi­dio was sitting. Irene, the lady they were taking to hospital was hit in the lungs and died almost instantly.

Fr. Egidio was badly hit on his right leg, and other minor wounds on his shoulders, ear lobe and forehead. Fr. Aldo was hit on a leg, an arm and in the face where a bulled teared through his lip and lodged in his jaw, breaking an artery.

The car engine stopped. Fr. Aldo was immediately aware of the gravi­ty of the situation of Fr. Egidio, but could do nothing because he was im­mobilised by his own wounds.

A short while after some people approached the car. They were the bandits that had laid the ambush. They looked around, exchange a few words among themselves then left without helping anybody.

People leaving nearby had heard the firing and run to inform the mili­tary garrison at Pajule. But it took an hour and a half before help could ar­rive and the missionaries prepared to die. Fr.  Egidio was in agony and kept on repeating: "Mother, dear Mother help me; Lord have mercy on me; Virgin Mary help me; I forgive my killers; I offer my life for peace in Uganda". Fr. Aldo said the formula of absolution but was uable to truce the sign of the cross because of his wounds. At a certain point Fr. Egidio after drawing a long breath, bent down his head and stopped lamen­ting. He was dead. The soldiers loa­ded the three of them on their car and took them to Kitgum hospital. Fr. Aldo was the only one still alive, but was under very severe shock. He underwent immediately blood tran­sfusions and little by little he recove­red.

Near Our Lady's statue

The body of Fr.  Egidio was expo­sed in Kitgum church up to the af­ternoon of the 30th of January. A crowd of faithful took part at the fu­neral, in spite of the increased dan­gers from bandits, robbers and gue­rillas, that had intensified their at­tacks.

Fr. Egidio was buried in Kitgum cemetery, near the statue of Our La­dy, whom he invoked before dying.

The Bishop said: "Many people to­day bless this missionary because they have understood how much he loved them. His life was well spent, and it is right that he should rest among us as a gift of God to the Africans".

Fr. Riccardo Bolzonella thus com­mented the death of his confrere: "Egidio was very timid, and yet when helping his neighbour he sho­wed extraordinary courage. In Aber and Aboke missions he was often at­tacked by thieves and robbers, and risked his life several times. Some­how he had always managed to esca­pe".

The news of the murder of this Comboni Missionary shocked Italy. The superiors received participa­tions and condolences from scores of simple citizens and from civilian and religious authorities. They all expressed the certainty that the blo­od of this new martyr, who chose to die with his people and among his people, will become a source of pea­ce and reconciliation in a world torn apart by violence and injustices.

Little Egidio, with his heart and eyes always smiling, will certainly in­tercede from heaven for his missions that for too long now have known only tears.                     Fr. L. G.

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“Il Signore vuole che ci doniamo agli altri, che lavoriamo, che mettiamo in comune i nostri beni con i bisognosi, che usiamo le nostre facoltà intellettuali e il nostro lavoro per il bene di tutti”.

Nato nel nordest veneto, vicino a Chioggia, ultimo di sei tra fratelli e sorelle, cresce dividendo il suo tempo tra casa, chiesa, scuola e lavoro dei campi. Papà Antonio è guardia campestre, ma quel lavoro non gli consene di mantenere la famiglia. Quattro anni dopo la morte della mamma, il papà decide di trasferirsi con i figli verso Milano nel 1937, a metà strada tra Crema e Milano.

La fine delle elementari di Egidio coincide con lo scoppio della guerra, per cui, il ragazzo prende la strada dei campi insieme al papà e ai fratelli. Un giorno passa dal paese P. Gaetano Semini, ardente animatore missionario. Parla ai giovani con foga della vocazione del prete e di quella di Fratello. Alla fine dell’incontro, Egidio esprime al missionario desiderio. P. Semini suggerisce al giovane quindicenne di presentare la domanda per essere ammesso nell’Istituto come Fratello missionario. Nel 1943 Egidio, accompagnato dal papà, parte per Thiene (Vicenza) dove i Comboniani preparavano i futuri Fratelli. Insieme allo studio tecnico si facevano esercitazioni di falegnameria, meccanica e agricoltura. Egidio mostra propensione per la meccanica. Il superiore riscontra in lui: “pietà soda, umiltà, obbedienza, laboriosità”.

Con queste credenziali, il 16 luglio 1947, Egidio entra nel noviziato comboniano di Venegono Superiore (Varese); in seguito è inviato in Inghilterra a completare i due anni di noviziato. Apprende bene l’inglese; è rispettoso. paziente, applicato al lavoro. La salute è florida. Il 15 agosto 1949 Egidio emette i voti religiosi.

Rimane ancora in Inghilterra per un corso di meccanica di sei mesi, torna in famiglia a salutare il papà e i familiari, passa da Verona dove altri compagni lo attendono per il balzo verso l’Africa. Fr. Egidio è destinato subito alla grande officina meccanica di Gulu (Uganda), dove affluiscono le auto dei missionari dei dintorni, e anche quelle della gente. Il Fratello trova tempo anche per altre mansioni: orto, cucina, stalla…

Dopo tre anni, Egidio passa a Layibi, dove un’altra officina ha bisogno di un valido meccanico. Fedele al mandato di mons. Comboni, si preoccupa di insegnare il mestiere agli Africani. Scrive un confratello: “Egidio aveva un’arte tutta particolare nell’insegnare il mestiere ai giovani: aveva amore e stima per gli Africani. Non l’ho