La "crisi", che sarebbe sfociata nella vocazione missionaria di fr. Angelo, lo colse all'età di 23 anni. Terminate le elementari al paese, il giovanetto pensò di trovarsi un mestiere. E scelse quello del falegname e motorista. In una sua dichiarazione di molti anni dopo, fr. Fiori dirà: "Ho fatto carpenteria e motoristica studiando da solo. L'esito, solo Dio lo conosce. Gli uomini, giustamente, vogliono i diplomi". La frase ha un leggero sapore di quella salutare polemica che caratterizzò tutta la vita del Fratello. Tutti siamo d'accordo che l'esito della sua arte, non solo Dio, ma molti confratelli e squadre di giovani africani lo hanno conosciuto e apprezzato.
Con il suo bravo mestiere in mano, Angelo pensò di formarsi una famiglia. Per questo si trovò la fidanzata. Ma non era sereno, non riusciva a capire esattamente quale doveva essere la sua strada. La ricerca gli provocò sofferenza e tensioni. In una sua lettera, scritta ai superiori dei Comboniani quando ormai aveva deciso di entrare in Congregazione, dice fra l'altro: "Il Signore ha esaudito meravigliosamente la mia preghiera dandomi la forza di resistere a quanto voleva offuscare la mia idea di abbandonare la famiglia, il mondo e darmi alla vita puramente religiosa. Da quando ho lasciato la fidanzata, non ho più avuto relazione alcuna e, umanamente parlando, mi sento sicuro di me stesso e tutto mi dà a pensare di essere perseverante. Passo i miei giorni lavorando da falegname, nel tempo libero attendo allo studio del catechismo e leggo qualche libro di apologia. La mia salute è ottima e i miei mi lasciano libero nelle mie scelte".
"Un po’ in imbarazzo"
Stando alle parole del suo parroco, don Giovanni Dall'Armellina, Angelo non era uno stinco di santo e anche come innamorato si era dimostrato piuttosto scarso. Alla richiesta dei superiori di informazioni sul giovane don Giovanni rispose: "La sua lettera mi mette un po' in imbarazzo. Come posso io dare un giudizio sul giovane Fiori Angelo? E' vero, lo conosco fin dall'infanzia: sempre irrequieto, sempre vivo, e anche un po' nervoso; però sempre attivo e relativamente buono. Il suo cambiamento data da circa sei o sette anni, da quando incominciò a trattare un po' intimamente con i miei cappellani. Allora, poco a poco, cominciò a farsi più serio e praticante e si diede a studiare con passione la Religione perché, diceva, voleva farsi una cultura. Da qualche anno si trovò pure la fidanzata, ma fu sempre un innamorato da poco e più per sport che per vero sentimento. Col passare del tempo si diede a frequentare la Chiesa e i sacramenti con più devozione e assiduità. L'anno scorso mi disse che aveva intenzione di lasciare la fidanzata per farsi religioso. Lo esortai a pregare molto, e mi ascoltò. Cominciò a far meditazione tutte le mattine, ad accostarsi alla Comunione tutte le domeniche e qualche volta anche fra settimana. Poi si rivolse a loro chiedendo di farsi missionario. Dato il suo passato, penso che si possa ritenere che la sua vocazione sia abbastanza provata. Sono persuaso che con la buona volontà di cui è animato e con la tenacia che gli è naturale possa riuscire un ottimo religioso. La sua condotta religiosa e morale è irreprensibile... Però io non mi assumo nessuna responsabilità". Era il 25 agosto 1932.
Il 17 settembre Angelo scrisse ai Comboniani: "Eccomi con questa mia a ringraziarla d'avermi accettato nella sua Congregazione e di avermi ammesso al Noviziato come fratello coadiutore. Mi mandi, per favore, il numero di matricola. Sono contentissimo. Il Signore mi tiene per mano; spero di far sempre la sua volontà santificando così me stesso e dedicandomi all'apostolato del lavoro in Africa".
Missionario
Il 21 settembre 1932 Angelo entrò nel noviziato di Venegono dove poté mettere a buon frutto la sua arte di falegname per completare le rifiniture della casa. Con altri Fratelli perfezionò il mestiere frequentando un corso teorico e pratico di falegnameria tenuto da esperti (ciò entrava nella formazione dei Fratelli di quel tempo), ma soprattutto cercò di acquistare le virtù proprie del religioso e del missionario con la preghiera e lo studio delle tradizioni e regole dell'Istituto. Fr. Fiori dovette combattere contro la sua "giovanile esuberanza" che lo portava a scatti di ira e a dire senza tante circonlocuzioni il suo parere. In compenso era un lavoratore instancabile e molto fine nella carità. "Se c'è uno che è nel bisogno, lo aiuta senza farselo chiedere e senza pretendere ringraziamenti".
Emessi i Voti l'8 maggio 1935, chiese di partire per l'Africa dato che aveva già 27 anni. Invece fu inviato per alcuni mesi a Verona dove c'era urgente bisogno di un falegname e poi a Thiene come istruttore falegname dei ragazzi che si preparavano a diventare Fratelli.
Come istruttore fr. Fiori ci sapeva fare. Lo dimostrerà ancora di più in Africa con gli africani che erano meno preparati ad apprendere rispetto ai ragazzi di Thiene. Spiegava, ripeteva, mostrava in concreto come si faceva e poi... lasciava che chi si mostrava troppo sicuro sbagliasse. In questo modo il suo insegnamento risultava efficace non solo quanto a imparare il mestiere, ma anche come autocontrollo di sé.
In quegli anni era superiore a Thiene p. Giacomo Andriollo il quale era impegnato nel rimettere a posto la casa per renderla più adatta allo scopo. Fr. Fiori trovò in abbondanza pane per i suoi denti, non solo come maestro, ma anche come lavoratore. Egli passò a Thiene dieci anni, fino al 1945. Non dimentichiamo che sono stati gli anni della guerra, con gli spaventi, le fughe, le restrizioni economiche e alimentari, anche se Thiene, grazie alla sua caratteristica di città prevalentemente agricola (allora), se la cavò meglio di altre località quanto al problema del "mezzogiorno".
Dopo brevi prestazioni per sistemare i serramenti delle case di Angolo e di Trento (quest'ultima distrutta dalle bombe durante la guerra), fr. Fiori ebbe via aperta per l'Africa.
L'Africa di domani
Sua prima destinazione fu la scuola artigianale di Wau, nel Sudan meridionale. In una sua lettera ai parenti, fr. Fiori si rallegra di questa destinazione in quanto "la scuola artigianale di Wau fu il pretesto in base al quale i missionari comboniani poterono aprire una missione vera e propria in quella città". Era l'anno 1905. Le autorità governative invitarono mons. Geyer a mandare a Wau un suo coadiutore laico, per dirigere una scuola di falegnameria. Imponevano però un assoluto divieto di propaganda religiosa. Il vicario apostolico approfittò per affiancare a fr. Enrico il p. Ernesto Firisin, giustificando la presenza del sacerdote con la necessità dell'assistenza religiosa al confratello. La base di Wau venne organizzata come una procura destinata a provvedere ai bisogni delle missioni di Kayango e di Mbili. L'abitazione dei due fu un capannone costruito a un cento metri dal fiume Giur, all'ombra del tamarindo che un anno addietro aveva protetto con la sua ombra l'accampamento della pattuglia comboniana in arrivo da Khartoum. Il luogo, basso, umido, infestato dalle zanzare, era malsano. Solo nel 1906, dopo una fitta ecatombe di vittime, ai missionari è stato concesso di costruire alcune capanne su una vicina altura e di sostituirle, l'anno dopo, con una casa prefabbricata in legno, i cui pezzi furono portati da Khartoum col battello Redemptor. Nel 1908 la missione fu nuovamente fatta sloggiare per lasciare il posto all'ospedale. La nuova missione sorse in un posto meno bello ma più popolato. La scuola artigiani assurse a grande importanza tanto da diventare il fiore all'occhiello del governatore inglese Gordon che, qualche anno prima, aveva affermato che quattro mercanti giallaba erano più utili al progresso del Sudan di otto missionari cattolici. Fr. Fiori arrivò 40 anni dopo questi avvenimenti e si inserì in un alveo ben tracciato e ormai glorioso. A chi gli chiedeva in che cosa consistesse il suo lavoro, egli rispondeva: "Stiamo costruendo l'Africa di domani". Fr. Fiori non si limitò a insegnare arti e mestieri, ma nei momenti liberi amava intrattenersi con i ragazzi per raccontare episodi della Storia sacra o discorrere con gli anziani di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi. Insomma, accanto alla promozione umana voleva che camminasse di pari passo l'evangelizzazione, e ciò proprio come fratello missionario, sembrandogli non confacente alla sua vocazione riservare l'evangelizzazione al solo missionario sacerdote.
A Kuajok per la scuola artigiani
Dal 1950 al 1955 andò a Kuajok, fra i Denka. Suo compito questa volta era quello di iniziare la scuola artigianale. Fu un lavoro duro perché dovette imparare la lingua denka ... e ormai non era più un giovanotto. Tuttavia vi riuscì molto bene grazie alla sua cocciutaggine e al grande amore alla missione. Dopo aver aperta la scuola, vi rimase come direttore e istruttore. "Nel dicembre 1923 i padri Olivetti e Nebel partirono da Wau con pochi carri trainati da buoi, alcuni operai e altro personale indigeno, ed arrivarono a Kuajok dopo cinque giorni di cammino. Dopo cinque settimane di tenda allestirono una casetta in mattoni crudi e vi alloggiarono. Seguirono anni di grandi tribolazioni che furono benedette dal Signore perché, da quella missione, se ne staccarono molte altre ottenendo ottimi frutti di conversioni. Noi oggi ci moviamo con mezzi più adeguati e abbiamo a disposizione tante cose che allora non esistevano, tuttavia il lavoro richiede una buona dose di sacrificio. Ma è proprio qui dove sta il bello del lavoro del missionario". Nei cinque anni di permanenza a Kuajok fr. Fiori, oltre che responsabile della falegnameria, si prestò per la costruzione e la sistemazione di varie case e chiese. I suoi operai gli volevano bene, come anche i ragazzi della scuola, per il suo bel modo di trattare. Con il passare degli anni aveva fatto ottimi progressi anche quanto a pazienza. Di fronte a certe marachelle sorrideva e diceva: "Se non foste così sarebbe inutile la nostra presenza". Anche fr. Fiori venne espulso nel 1964 con gli altri missionari. In quel periodo stava terminando la chiesa di Nyamlel. Fu un colpo duro, ma non si perse d'animo perché la sua tempra spirituale era pronta ai distacchi. Quando giunse a Verona, un confratello lo compianse e gli disse che "laggiù" tutto il suo lavoro era stato vano. Egli rispose: "Basta aver lavorato per il Signore; niente andrà perduto".
In Ecuador
Dopo un paio d'anni di permanenza in Italia per riprendersi dalle fatiche della missione sudanese, fu inviato in Ecuador. A Quinindé avevano bisogno di un responsabile dell'officina. Fr. Fiori, che aveva già 58 anni, partì con l’entusiasmo di un novellino, si applicò allo studio dello spagnolo e poi si tuffò nel lavoro con l'entusiasmo e la competenza che gli erano consueti. "Grazie a Dio lo spirito missionario e comboniano è sempre vivo nel mio cuore", scrisse. Per uno che non lavorava per una soddisfazione personale, bensì per costruire il Regno di Dio, non poteva essere diversamente. "Africa o America, il Padrone è sempre lo stesso". Con questo spirito fr. Fiori si immunizzava contro le depressioni o lo scoraggiamento. Anzi, infondeva in tutti quello spirito di ottimismo e di allegria che rende la vita semplice e gradevole. Nel 1967 scriveva da Esmeraldas: "Ormai credo di poter dire d'essermi acclimatato senza disturbi. Sto bene: del resto il clima, pur essendo un po' bizzarro, è buono e qui al centro abbiamo case confortevoli. Vivo al Collegio Sagrado Coraz6n, ma ordinariamente lavoro alla Città dei ragazzi dove ho sistemato macchine e ambienti per qualche operaio che assumeremo. I pochi ragazzi allievi falegnami sono con il loro istruttore in un'altra parte". Poi si lamenta della mancanza di fratelli in Ecuador. "Non avrebbero certo tempo da perdere e darebbero una buona testimonianza alla gente come lavoratori".
Come una trottola
Invece della risposta sugli aiutanti, ricevette l'ordine di lasciare in fretta e furia l'Ecuador in quanto urgeva la sua presenza a Pordenone, come istruttore dei fratelli. Partì immediatamente come un buon soldato. "Gli impegni affidatimi a Pordenone mi occupano poche ore e mi sono relativamente facili. Così mi riposo e approfitto per prendere parte ad alcune lezioni che trovo interessanti per la mia formazione. La salute è sempre ottima salvo un po' di sordità che ora i medici forse riusciranno a tenere sotto controllo". Poi, nella stessa lettera, c'è un accenno a ciò che costituirà il cruccio di fr. Fiori per gli ultimi anni della sua vita e che lo spingerà a scrivere alcune lettere ai superiori maggiori ... "Le dico il vero, Padre generale,. sono un po’preoccupato per certi atteggiamenti assunti da certi nostri confratelli, dopo tante esortazioni anche del Santo Padre. Ma non perdo la fiducia e l'entusiasmo" . Questi atteggiamenti erano soprattutto la "moda di non mettere più la veste talare e di volere i fratelli declericalizzati (come dicono qui)". Per convalidare l'importanza della veste porta l'esempio della vecchietta che, alla giornata missionaria in un paese, comincia a gridare: "Al ladro, al ladro!" quando vede "un signore" che mette le buste dentro una borsa. "Se quel 'signore' avesse avuto la sua brava veste - prosegue il fratello - la donna avrebbe visto che si trattava del Padre che aveva appena terminato di celebrare la messa". O l'altro caso del Padre che attende invano i penitenti davanti alla porta del confessionale perché nessuno osava avvicinarsi non ritenendolo un sacerdote. L'impari lotta contro il "secolarismo" si protrasse fino al 1976, anno in cui il Fratello fu inviato in Egitto con l'incarico "ad omnia". Rinfrescò l'arabo che aveva imparato in Africa e si dedicò al suo lavoro con tenacia. Ovunque c'erano porte, finestre, sedie, tavoli, armadi che avevano bisogno di manutenzione per cui il suo lavoro di falegname fu estremamente apprezzato dai confratelli. Ma non si tirò indietro quando c'erano da fare altri lavori come servire in chiesa o pulire la casa. "Il tipo di lavoro non conta - diceva - conta l'Impresa per la quale si lavora".
"Dove vuole"
Il Padre generale, intanto, gli fece la proposta di tornare a Pordenone dove si sentiva la sua mancanza, ma anche in Spagna lo volevano. "Caro p. Calvia - scrisse - Pordenone, Egitto o Spagna, per me non fa differenza. Mi mandi dove vuole io dico: eccomi pronto". Tanta disponibilità commuove in un missionario di 73 anni. Ma questi era fr. Fiori. Dal primo giugno 1982 il Fratello fu assegnato alla Provincia di Spagna. Mentre attendeva le pratiche per la partenza, eseguì il mobile che si trova nella sala delle consulte a Roma. Fece in tempo anche a portare a termine la grande predella per la sala del museo di Verona. "Questa mattina (29 marzo '82) ho tenuto l'ultima lezione ai nostri aspiranti. Così concludo il mio impegno qui a Pordenone con tante mancanze e limiti, ma, grazie a Dio, mi pare di poter dire che ho fatto tutto con amore e fiducia. Perciò parto contento". "Mi trovo veramente bene in Spagna anche se gli anni sono tanti e me li porto dietro tutti. Il lavoro non manca e l'affetto dei confratelli è veramente di grande aiuto". Nel 1984 altra chiamata. "Sareste ancora tanto utile a Pordenone. Con i giovani ci sapete fare. Oltre il mestiere c'è anche il vostro buon esempio... Caro fr. Fiori - prosegue p. Calvia - vorrei approfittare ancora di questa occasione per ringraziarvi della vostra disponibilità e dell'esempio di dedizione che avete dato. Il fatto stesso che vi desiderano sia in Spagna come a Pordenone, dimostra che apprezzano la vostra opera e la vostra presenza. Di questo ringraziamo il Signore".
Il cinquantesimo di professione
"Ho letto la sua lettera con mucho gusto. Grazie della stima e apprezzamento a mio riguardo, ma guardi che io sono tanto piccolo. Ma è anche vero che sono grato a Dio per le buone disposizioni a fare ciò che i superiori vogliono senza obiezioni. Vengo in Italia". Domenica 30 giugno 1985 era nella sua parrocchia di Recoaro a celebrare il cinquantesimo di professione religiosa. Al vangelo, tenne un discorso di quindici minuti presentando la testimonianza della sua vita. Tutti ascoltarono con commozione e, alla fine, dall'assemblea si levò un fragoroso e cordiale applauso. Dopo la santa messa un assessore del Comune, a nome del Sindaco e della cittadinanza, gli consegnò una targa onorifica per i suoi 50 anni di vita missionaria e per il contributo al progresso civile dei popoli del Terzo mondo. La salute intanto perdeva colpi. Il cuore alle volte faceva le bizze rendendogli affannosa la respirazione. Il Fratello tuttavia non volle perdere la sua "buona abitudine" di andare in laboratorio tutti i giorni, anche se a Pordenone giovani non ce n'erano più, essendosi trasferiti a Bologna. Lavori da fare ce n'erano sempre e lui non riusciva a stare con le mani ferme. Quando non era al lavoro, lo si vedeva in chiesa "a prepararmi all'incontro col Signore che ormai non è lontano". Così trascorse serenamente i suoi ultimi anni. Il 4 ottobre 1988 i confratelli, non vedendolo arrivare ai vesperi (era sempre puntualissimo alle pratiche di pietà) si allarmarono e andarono a cercarlo. Lo trovarono nel laboratorio. Il cuore si era fermato improvvisamente. Fr. Angelo Fiori lascia in tutti coloro che lo hanno conosciuto il ricordo di un vero Fratello comboniano ché si è pienamente realizzato attraverso il lavoro. La sua disponibilità a recarsi sempre e allegramente dove l'obbedienza lo mandava ha messo in luce l'autentico spirito religioso di cui era animato. Che dal cielo ottenga alla nostra Congregazione fratelli missionari della sua tempra. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 163, luglio 1989, pp.29-34