Venuto a casa dopo la prima operazione allo stomaco, mentre celebrava la Messa del Giovedì Santo con la famiglia, P. José Augusto prese la chitarra e cantò una canzone destinata a diventare come un messaggio-ricordo: "Vi lascio la pace, quella pace che mi viene da Dio ... ". Questo è infatti l'ultimo ricordo che abbiamo di lui, di uno che se n'è andato sereno e con il cuore in pace.
Il bambino pastore viene chiamato
La nascita di P. José Augusto coincide con quella dell'Istituto Comboniano in Portogallo. Nacque, infatti, in un paese della diocesi di Viseu, il 15 luglio del 1947. Era il sesto figlio di Bernardino e Gcltrudes, umili lavoratori dei campi che nella loro semplicità seppero trasmettere ai figli i valori della fede ed un senso di rispetto e una grande sensibilità ai problemi degli altri. Nell'estate del 1958, p. Albino Meneguzzo, allora promotore vocazionale del seminario di Viseu, prende la sua bicicletta e va verso il monte di Santa Lucia per visitare questa famiglia, che abitava un po' isolata dal paese. P. Albino conosce il piccolo pastore che si rivela gioioso quando sente parlare di vocazione missionaria. Nell'ottobre seguente José Augusto entrava nel seminario di Viseu dove comincia gli studi secondari. Nel 1965 parte per l'Inghilterra dove fa il noviziato a Sunningdale, e i Voti il 9 settembre 1967. Emette la professione perpetua nello scolasticato di Roma nel 1972, dove studia teologia.
I suoi formatori sottolineano la sua capacità di amicizia e di apertura agli altri. "Fa buona e generosa accoglienza a chi va da lui. Sa aiutare ed anche sacrificarsi". Ordinato a Viseu il 25 giugno 1972, viene destinato alla provincia del Portogallo per l'animazione missionaria.
Felice in Ghana
Nel 1978 parte per il Ghana dove svolge il suo primo servizio missionario ad Abor. Così scrive al superiore generale il 7.10.1981: "La mia corta esperienza di tre anni e mezzo in Ghana, è stata per molti aspetti meravigliosa. Posso dire che amo questa gente e che sono felice di lavorare qui". La sua permanenza in Ghana sarebbe durata poco. Viene infatti richiamato in Europa per la formazione. Dopo un corso di tre anni a Roma, dal 1984 lavora in Portogallo, prima a Santarém e poi come Superiore e Formatore dei postulanti, a Coimbra.
"Quanto prima"
E' stato proprio a Coimbra che la malattia si è manifestata. Lui stesso ci racconta come si sono svolte le cose. "Tante volte scherzando dicevo che per quello che mi riguardava, i medici sarebbero morti di fame. Oggi però non posso più dire così, perché c'è stata una grande svolta nella mia vita. All'inizio di dicembre, ho cominciato a sentire un certo malessere allo stomaco. Convinto che si trattasse di qualcosa di passeggero, non vi ho fatto caso. Infatti non avevo mai avuto disturbi allo stomaco. Parecchi giorni dopo, siccome questa indisposizione continuava, ho deciso di rivolgermi ad un amico medico. Mi ha visitato ed è arrivato alla conclusione che si trattava di una semplice gastrite, che, con un po' di cure, sarebbe finita in breve tempo. Ma questo non si è avverato. Dimagrivo a vista d'occhio e mi sentivo sempre peggio. Tramite un'amica che lavora all'ospedale dell'università di Coimbra, il 20 gennaio sono stato da uno specialista. Mi ha accolto con molta amabilità e mi ha subito sottoposto ad una endoscopia, dopo di che mi ha detto, con una certa apprensione: "Padre Augusto, lei ha una grande lesione allo stomaco. Deve essere ricoverato e sottoposto ad un'operazione, quanto prima". Mi guardava come sc volesse aggiungere qualcos'altro, era perplesso. Perciò gli dissi: "Dottore, mi dica liberamente tutto quello che ha da dire. Come prete mi sento pronto ad accettare tutto". Allora il dottore soggiunse: "Non vorrei allarmarla ma le conviene essere pronto a tutto. Sarà ricoverato lunedì prossimo. Dovremmo sottoporla a vari esami, tra i quali una biopsia, e solo dopo potremo sapere con più chiarezza di che cosa si tratta". Ho ringraziato il dottore, l'ho salutato e me ne sono andato. Ho intuito subito che si trattava di un tumore, forse maligno, forse no. La mia agenda di lavoro prevedeva un raduno a Viseu, mio paese natale. Pur sentendomi turbato, mi sono messo in viaggio. Per strada ho avuto alcuni momenti di angoscia. Anche se il medico non mi aveva detto niente di preciso, avevo il presentimento che fosse una cosa grave.
Una grande pace
Ero solo in macchina, la mia mente volava liberamente. Mi sono ricordato di p. Damiano, morto lebbroso fra i lebbrosi. Avevo visto tante volte il film e tante volte mi ero commosso e avevo ammirato il suo coraggio nell'accettare con serenità la malattia. Mi sono ricordato di Gesù nell'Orto degli ulivi, pienamente cosciente che la sua vita sarebbe finita presto, a 33 anni, in mezzo a tante sofferenze. Alla fine dei conti io avevo 40 anni, ero dunque vissuto più di lui. Quasi senza accorgermi, ripetevo con la mente la sua preghiera: "Padre se questo calice non può passare senza che io lo beva, si faccia la tua volontà". Provai allora una grande pace interiore che fino ad oggi non mi è mai mancata. Alcuni giorni dopo il ricovero in ospedale, sono venuto a sapere che il tumore era davvero maligno. La notizia non mi ha turbato, ho ricevuto l'Unzione degli Infermi e al momento dell'operazione mi sentivo molto sereno. Sapevo che molta gente pregava per me e mio desiderio era quello di aver la forza di accettare tranquillamente la volontà di Dio. In fondo avevo ricevuto tante cose nella mia vita, mi sentivo davvero un privilegiato. Non resistetti al desiderio di condividere con qualcuno ciò che sentivo. Scrissi quindi una lettera ai miei confratelli, esprimendo il desiderio che questa venisse letta durante la celebrazione comunitaria dell'Eucaristia, proprio il giorno stesso dell'operazione: "Carissimi, cosciente della gravità della mia malattia il mio primo atteggiamento è di azione di grazia a Dio. Innanzitutto voglio ringraziarlo. La malattia improvvisa mi ha fatto apprezzare ancora di più i doni che egli mi ha dato in questi 40 anni e mi fa scoprire ancora più profondamente che non importa vivere molto; ciò che conta è non sprecare i giorni che ci dà, siano essi molti o pochi. Per sua grazia e bontà riconosco che la mia vita, malgrado la mia fragilità, non è stata sprecata. Voglio ringraziarlo per i miei genitori e fratelli, per l'affetto e tenerezza che sempre ci ha uniti e che da loro ho sempre ricevuto. Assieme a loro, ricordo tutti gli altri parenti e amici, che durante questi anni mi hanno aiutato a crescere. Lo ringrazio per il dono della fede, ricevuta nel battesimo. Lo ringrazio peri il dono della vocazione, che mi ha aiutato a dare un senso alla mia vita. Sono grato a Dio per l'Istituto comboniano nel quale ho potuto realizzare la mia vocazione. E' la mia seconda famiglia, che molto ho amato ed amo. In essa ho trovato molti fratelli dalla maggior parte dei quali ho ricevuto buon esempio. Infine ringrazio Dio per il dono della malattia ed eventualmente della "sorella morte". Mi sono sempre sentito e in questo momento ancora di più, missionario al cento per cento. Spero che Dio si servirà di questa mia esperienza della croce, per suscitare in altri giovani, sentimenti di generosità e di donazione. Mi sento sereno davanti al progetto di Dio, qualunque esso sia. Sono in pace con Lui, con gli altri e con me stesso. So che durante questi anni ho rattristato tanta gente con parole, atteggiamenti ed azioni. A volte coscientemente, altre, meno. Chiedo e spero di essere perdonato. Da parte mia sono grato a Dio per tutto quello che ho ricevuto" ...
Sapeva tutto
L'operazione era andata bene. La convalescenza procedeva normale. Il 15 luglio p. José Augusto si reca in famiglia per celebrare il suo compleanno, che coincide con quello della mamma. Vuole celebrare l'eucaristia nella casa dei genitori, con i parenti e alcuni confratelli. Alla fine della celebrazione eucaristica, invita genitori, parenti e amici, a fare delle foto con lui, perché - dice - "Questa è un'occasione unica". La mattina seguente, mi mette al corrente del suo segreto. Le analisi fatte la settimana prima hanno rivelato che la malattia si è già estesa ad altre parti dell'organismo. Il 17 luglio dovrà entrare nel reparto di oncologia dell'ospedale di Oporto, per sottoporsi ad una nuova operazione. La sera saluta tutti e nell'abbracciarmi mi raccomanda di restare ancora un giorno o due con i genitori per aiutarli ad accettare serenamente tutto quello che accadrà. "Non preoccuparti di me. Non mi manca nulla. Sono preoccupato di papà e mamma. Ho paura che il colpo sarà troppo duro per loro". L'operazione non servì a niente. P. José Augusto sapeva che ormai gli restavano pochi giorni. Quando i genitori sono venuti a visitarlo il giorno 18 all'ospedale si convinsero che José Augusto non sarebbe più tornato a casa. Baciandolo la mamma gli disse: "Figlio mio, tu non sei più mio. Tu appartieni già a Dio". E, tornata a casa piangendo, ripeteva: "Dio me l'ha chiesto quando è entrato in seminario; ed ora me lo sta chiedendo di nuovo". Il 26 luglio ho chiesto al dottore che gli anticipasse di qualche giorno il permesso di uscire. Volevamo celebrare il compleanno di Alfredo, marito dell'infermiera che lo aveva assistito nei sei mesi di malattia, e parenti di fr. Do Rosario. Anche se esausto, ha voluto animare la celebrazione eucaristica con la chitarra. Il 13 agosto mi chiama in stanza e mi dice: "Ivo, sei mesi fa sono entrato all'ospedale di Coimbra e ho ricevuto l'Unzione degli Infermi. Oggi voglio riceverla di nuovo, perché sento che la mia vita è ormai alla fine. E' questione di pochi giorni o di poche ore. Voglio mettermi nelle mani di Dio e prepararmi a questo incontro". Prima vuole che ascolti la sua confessione. Alla fine gli dico: "Guarda Augusto, vorrei ringraziarti per la testimonianza di serenità che mi stai offrendo. Stando vicino a te anch'io ho cominciato ad accettare con molta pace tutto quello che sta accadendo”. Guardandomi negli occhi mi ha risposto: "Non ringraziare me, ringraziamo il Signore, perché questa pace è dono suo. lo non ho mai chiesto a Dio di guarire. Ho chiesto di avere molta forza per accettare serenamente i suoi disegni, che sono sempre disegni di amore. Eccetto un momento iniziale di angoscia questa pace non mi è mai mancata".
La fine
Il 7 agosto non è più in grado di alzarsi dal letto. Lo visita il p. provinciale. Parlano dei problemi della provincia: era consigliere e vice provinciale. Il giorno seguente lo visita p. Ramiro e si interessa del nuovo centro internazionale per la formazione dei fratelli in America Latina. Era questo uno degli aspetti della vita dell'Istituto che gli stava molto a cuore. Il 9 avverte dei grandi dolori un po' ovunque. La mattina del 10, verso le 9.30, si lamenta di un dolore acutissimo allo stomaco. Dopo aver ripetute con fede alcune preghiere, si spegne serenamente.
Al funerale hanno preso parte quasi tutti i confratelli della provincia e un gran numero di amici e benefattori venuti un po' da tutto il Portogallo. Il ricordo delle sue parole e del suo esempio di forza e di amicizia ha aiutato tutti a trasformare la celebrazione in un inno di ringraziamento. P. Ivo Martins do Vale
Da Mccj Bulletin n. 162, aprile 1989, pp.34-38