In Pace Christi

Audisio Giovanni

Audisio Giovanni
Data di nascita : 04/04/1904
Luogo di nascita : Entracque CN/I
Voti temporanei : 25/06/1927
Voti perpetui : 25/06/1930
Data ordinazione : 06/11/1927
Data decesso : 16/03/1988
Luogo decesso : Verona/I

 Giovanni Audisio sentì la vocazione allo stato sacerdotale fin da bambino. Per questo chiese ed ottenne di entrare nel seminario diocesano di Cuneo dove frequentò con profitto tutte le classi  fino alla conclusione del secondo corso teologico.            

             Il suo comportamento in seminario è riassunto da una frase in latino scritta dal suo rettore: "...pietate, disciplina ac studio excelluit". La pagella, sulla quale il voto più basso è un otto e mezzo in eloquenza, conferma l'impegno e la serietà del giovane seminarista, così solennemente proclamate dai superiori.

             Quanto a vocazione missionaria, oltre alla grazia di Dio, ci fu lo zampino dello zio padre Pietro Audisio che con la parola, ma più ancora con l'esempio e con l'entusiasmo contagiò il nipote. Questi, dopo un lungo travaglio spirituale, prese la decisione di farsi comboniano. E il 9 settembre 1925 fece il suo ingresso nel noviziato di Venegono Superiore.

             Padre Bertenghi, maestro dei novizi, notò subito che la pasta del nuovo venuto era di ottima qualità. "Ha fatto sempre molto bene, ed è sempre stato quieto e tranquillo circa la sua vocazione. Carattere mite e riflessivo, sincero ed energico. Nel suo modo di fare alle volte appare un po' impacciato".

             Il 25 giugno 1927 emise i primi Voti. Sei mesi dopo venne ordinato sacerdote a Brescia. Durante i due anni di noviziato e nei pochi mesi che seguirono i Voti aveva completato gli studi teologici. Per l'ordinazione si dovette chiede la dispensa per i sei mesi che mancavano all'età canonica. La motivazione adottata per anticipare l'ordinazione è stata la necessità di missionari per le missioni dell'Africa centrale.

Tra gli Shilluk

             Padre Audisio fu trattenuto ancora un anno a Venegono per addestrarsi nel ministero sacerdotale e per esercitare l'ufficio di insegnante ai novizi poi, appena giunsero i permessi (1928), s'imbarcò per le missioni di Lull e Detwok tra gli Shilluk, nel Sudan. "Lull è formata da una pianura ondulata - scriveva padre Tappi - che si estende formando sul fiume Nilo una esse allungata e quasi circondata, un chilometro e più entro terra, da una corona di piante tra le quali si innalzano i villaggetti degli Shilluk. Poco lontano dalle capanne si distendono i campi e le praterie. Piogge incessanti si riversano su questa regione per cinque mesi all'anno".

            Nel periodo delle piogge la zona è circondata da paludi, erbacce e fango con tutti gli abitatori degli acquitrini come serpenti, rane, topi, zanzare e moscerini di ogni genere. La malaria, regina incontestata della zona, incute terrore perfino all'equipaggio del battello che ogni mese o due passa sul fiume.

             Padre Audisio lavorò insieme a padre Brambilla dal quale  imparò l'ottimismo e del quale ricordò per tutta la vita le battute scherzose e le trovate originali. Quelle missioni erano state testimoni degli eroismi di padre Tappi, di padre Beduschi e di fratel Giosuè Dei Cas. Padre Giovanni farà tesoro della loro eredità spirituale, soprattutto sottolineando la "teologia della croce" che aveva fatto grande Comboni e quei suoi missionari generosi.

             A Lull padre Audisio emise i Voti perpetui il 25 giugno 1930. In calce alla lettera di domanda dei Voti, scritta dallo stesso Padre, padre Pedrana aggiunge: "Da parte mia approvo ex toto corde l'ammissione ai Voti perché padre Audisio mi dà l'impressione di un sacerdote pieno di buona volontà, di buon senso, di obbedienza e di spirito di sacrificio".

             Padre Giovanni si dimostrò uno zelantissimo evangelizzatore. Col suo modo gentile di fare seppe conquistarsi il cuore degli Shilluk che non erano certo teneri nei confronti dei missionari, anche se erano passati parecchi anni dai tempi in cui si divertivano a bruciare le abitazioni dei medesimi e a storpiare le parole perché i nuovi "intrusi" non imparassero la loro lingua.

             Otto anni trascorsi a Lull e Detwok, prima come coadiutore e poi come superiore, temprarono padre Giovanni e gli misero a dura prova il fisico e il sistema nervoso. Ma egli superò la prova brillantemente per cui i superiori, quando ebbero bisogno di un uomo per una missione importante, misero gli occhi su di lui.                                                                                                                                                           

Cappellano militare in Etiopia                                                                 

             Verso la fine del 1935 i Comboniani furono invitati dal governo italiano a mandare dei missionari in Etiopia come cappellani al seguito delle truppe che andavano ad invadere quella nazione. I missionari accettarono, sia per assicurare l'assistenza  spirituale ai soldati e sia per poter, in seguito, aprire delle missioni vere e proprie. Cosa che fecero in un arco di tempo  abbastanza breve.                                                       

             Uno dei prescelti per quest'impresa fu proprio padre Giovanni Audisio. Egli, insieme ai confratelli sacerdoti Rizzi, Selis, Giordani e mons. Villa, vescovo di Gondar, in seguito affiancati da alcuni Fratelli, si lanciò nella nuova avventura.         

             L'esercito italiano, dopo una serie di  battaglie vittoriose, riuscì a costituire l'Impero Italiano d'Etiopia, la cui solenne proclamazione ebbe luogo il 9 maggio 1936. Ma il 10 giugno 1940 l'Italia e la Germania dichiararono guerra alla Francia e all'Inghilterra, dando così il via, per l'Italia, alla seconda guerra mondiale. All'inizio le battaglie più sanguinose e feroci si ebbero proprio in Africa. E per l'Impero Italiano d'Etiopia fu la fine. In questo contesto abbiamo avuto l'uccisione di padre Alfredo De Lai e il "quasi martirio" di Fratel Lamberto Agostini.

             Dall'ottobre del 1936 al dicembre del 1942 padre Giovanni Audisio fu a Debra Tabor come cappellano militare. Se sfogliamo "La Nigrizia" dagli anni 1938 in poi troviamo una nutrita serie di articoli scritti da padre Giovanni, che parlano della fondazione di missioni in Etiopia da parte dei Comboniani. Sono pagine veramente belle... "un tucul dell'ex ras Cassa ci serve da cappella provvisoria; chi ci aiuterà a dare una vera e propria chiesa a Debra Tabor?", scriveva padre Giovanni nel giugno del 1938. A quella chiesa (quella spirituale e quella materiale) dedicò tutte le sue forze. Nell'agosto del '39 aggiungeva un altro articolo: "Attorno alla nuova chiesa che sorgerà a Debra Tabor", e nell'aprile del 1940 tre lunghi servizi danno ragguagli interessanti sulla missione di Debra Tabor.

             Padre Giovanni  ha intrecciato rapporti di vera amicizia con gli ortodossi (cosa non sempre facile) e con i soldati che vedevano in lui il vero amico che li confortava e li sosteneva nei momenti di difficoltà. Il Padre ha ricordato questo periodo come uno dei più belli della sua vita missionaria. Infatti ha conservato e portato con sé, fino all'ultimo, una piccola foto  che lo ritraeva  con i suoi confratelli davanti alla chiesa di Debra Tabor.

             A proposito degli ortodossi dobbiamo dire che padre Giovanni ha nutrito per loro grande stima e ammirazione. Anche negli anni della vecchiaia ricordava le loro liturgie e le solennità celebrate con grande magnificenza.                                                     

             Dal gennaio del 1943 al giugno del 1946 fu prigioniero, e cappellano, in India insieme ai suoi soldati. Il bene che ha fatto in questo periodo è noto solo al Signore a quei giovani che vedevano in lui l'unico punto di riferimento per poter sopravvivere. Sempre da "La Nigrizia" sappiamo che le difficoltà climatiche di Calcutta misero a dura prova la salute del Padre. Queste difficoltà, insieme a quelle proprie della vita militare e agli stenti della prigionia, temprarono ancora di più il carattere di questo nostro confratello.

Maestro dei novizi

             Dal settembre del '46 al marzo del '47 padre Audisio fu a Bologna per riprendersi dalle fatiche della guerra. Tuttavia non rimase in ozio. Le parrocchie della città e dei dintorni lo videro missionario ardente ed entusiasta della sua vita trascorsa in Africa... in quell'Africa che aveva nel cuore e nella quale desiderava ardentemente ritornare. I superiori lo ascoltarono e gli diedero il via per il Sudan. Aveva appena raggiunta Rejaf quando un contrordine lo richiamò in Italia. A Firenze c'era bisogno di un maestro dei novizi. Per padre Audisio fu una mazzata in testa, ma obbedì, proprio come un buon soldato... Riempiendo un formulario inviatogli dal suo provinciale, alla domanda: "Ti sei trovato bene nella tua vita missionaria? Perché?", egli rispose: "Sì, perché ho cercato di riconoscere la volontà del Signore nelle disposizioni dei superiori". Questa sarà la linea su cui marcerà l'obbedienza del Padre per tutta la vita. E  cominciò subito il suo nuovo e delicato ministero di formatore dei novizi che portò avanti per 6 anni, fino al settembre del 1953.

             Sono molti i novizi passati sotto di lui, e tutti hanno un ricordo magnifico. Padre Audisio era un uomo buono, comprensivo, aperto al dialogo. Sapeva capire i limiti della persona umana e sapeva incoraggiare chi era nell'incertezza. Aveva grande rispetto e attenzione alla persona, anche ai giovani ai quali dava fiducia e senso di responsabilità. La sua esperienza africana e e il servizio militare lo avevano addestrato a soffermarsi sull'essenziale delle cose, sulla sostanza, senza perdersi in quisquiglie di poco conto o, comunque, di secondaria importanza. Insomma era un vero educatore. La  fama dello "spirito di comprensione" di padre Audisio si diffuse  presto,  e i giovani della scuola apostolica di Brescia, che si accingevano ad entrare in noviziato, si auguravano di essere inviati a Firenze.  

             Padre Audisio educò i giovani soprattutto con l'esempio di uomo di preghiera e di contemplazione in un contesto di silenzio interiore.

            Uno degli insegnamenti molto importanti di padre Audisio è stato "il senso del tempo". Egli lo ha vissuto e lo ha insegnato. Scrive padre Gesuino Podda, suo ex novizio e poi suo confratello di missione e suo padre provinciale: "Padre Audisio non ha mai perso un minuto di tempo. Egli trovava sempre qualcosa da fare, sia in Italia, sia in missione. Diceva che il tempo è un preziosissimo dono di Dio del quale dovremo rendere conto. In missione faceva l'insegnante, il portinaio, il giardiniere... quando non era dedicato ai sacramenti, alla preghiera o alle visite agli infermi. Ha messo in pratica in pieno il comandamento del Signore: 'Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte'".                        

             Con molta delicatezza, ma con fermezza, richiamava ai giovani la proposta comboniana collocata sempre in chiave di generosità e di radicale donazione al Regno di Dio. La gigantesca figura del Comboni era sempre al centro  delle meditazioni e delle catechesi del padre maestro, e non mancavano frequenti richiami  ai missionari che seppero imitare il fondatore, come padre Beduschi, padre Vianello, Fratel Giosuè e altri.

             La grande austerità di di cui era dotato non gli impediva di essere molto delicato e attento agli altri, senza però transigere sui principi anche se spesso, nelle sue catechesi, sapeva creare un clima di ilarità. Scrive un suo ex novizio: "La ricca esperienza vissuta e sofferta in Africa e in India fa del padre Audisio un educatore veramente aperto, evangelicamente saggio, sensibile alla gerarchia dei valori e alle caratteristiche di ogni novizio. Sbalordiva davvero la fiducia che sapeva riporre nei giovani e la capacità di orientarli a un profondo senso di responsabilità e maturità umana che permetteva un discernimento critico tra ciò che era essenziale e ciò che era accessorio. Tutti gli ex alunni di Firenze lo ricordano con simpatia, ammirazione e vera amicizia".

In Brasile

             Nel novembre del 1953 padre Audisio lasciò Firenze e partì per Balsas, nello Stato del Maranhao. Il Maranhao è un territorio che ha una superficie più vasta dell'Italia e appena 4 milioni di abitanti. Era, ed è, una delle regioni economicamente più depresse del Brasile, anche se ricca di risorse naturali. E' situata tra la regione del Nordest, flagellata da una siccità diventata quasi cronica, e gli Stati del Parà e dell'Amazzonia. Padre Audisio resterà in Brasile 33 anni

             Balsas dista quasi mille chilometri da San Luis, capitale del Maranhao. Con le comunità di Pastos Bons e di Paraibano  raggiunge una superficie di 75 mila chilometri quadrati e una poplazione di 200 mila abitanti. I Comboniani vi giunsero nel 1952, appena un anno prima dall'arrivo di padre Audisio.

             Questi fu destinato alla comunità di Alto Parnaiba distante da Balsas 240 chilometri, percorribili - allora - solo a dorso di mulo. Per arrivarvi doveva andare fino a Floriano, una cittadina dello Stato del Piauì, situata lungo il rio Parnaiba a 500 chilometri da Balsas. Padre Giovanni, accompagnato dal suo coadiutore e da Fratel Todesco, dovette raggiungere Alto Parnaiba risalendo le acque del fiume in battello. Il viaggiò fu lungo, estenuante e pericoloso a causa delle frequenti rapide che rendono il Parnaiba difficilmente navigabile. Per giungere a destinazione impiego  tre settimane.

Alto Parnaiba

             Alto Parnaiba è una cittadina situata lungo il fiume omonimo. La missione è vasta 16 mila chilometri quadrati con una densità quasi insignificante. La visita ai cristiani sparsi su di un vastissimo territorio era possibile solo nei mesi della siccità, da maggio a novembre, servendosi del mulo.

             Ma ciò che rendeva la missione difficile e delicata era la presenza massiccia dei protestanti e dei massoni che formavano l'élite della cittadina, soprattutto nella sfera politica.

             I missionari si rimboccarono le maniche e cominciarono da zero, lavorando essi stessi alla fornace dei mattoni per la costruzione della residenza. Gli inizi furono molto duri e imposero un regime di stretta austerità, data l'estrema povertà della gente e dei missionari.

             Sull'altra sponda del fiume c'era un sacerdote tedesco, padre Guglielmo, che animava la comunità di Santa Filomena, nello Stato del Piauì. L'amicizia di questo sacerdote rese meno pesante la vita dei missionari, tagliati completamente fuori dal resto del mondo.

             Ciò che diede maggiore efficacia all'attività pastorale fu la testimonianza di una vita povera e vissuta nel più disinteressato servizio al popolo. Il coadiutore di padre Giovanni (un confratello che poi ha lasciato la Congregazione) era idolatrato dalla gente per la sua capacità di entusiasmare e di trascinare dietro a sé la gente. Ma, col passare del tempo, gli osanna si trasformarono in vere croci per padre Audisio che era il superiore della nuova missione.

             Ingenuamente quel coadiutore si lasciò strumentalizzare dai politici per la costruzione di una scuola ginnasiale statale, e la comunità ne pagò amaramente le spese restando  divisa in due blocchi contrastanti. Questo fu uno dei momenti più dolorosi, un vero calvario, per l'anima sensibile di padre Giovanni. La situazione divenne così insostenibile che, dopo quattro anni dal loro arrivo, i due missionari dovettero lasciare Alto Parnaiba e ritornare a Balsas come degli sconfitti.

             Padre Audisio accettò l'umiliazione con quello spirito di fede che aveva inculcato nei novizi e cercò di imparare che, alle volte, con certe teste calde bisogna mettere da parte la "comprensione ad ogni costo".

Precorre i Documenti di Puebla

             Questi tristi avvenimenti ebbero luogo nel 1958. I due missionari reduci dall'alto Parnaiba integrarono l'équipe comboniana di Balsas. A padre Giovanni fu chiesto di collaborare in tutto e per tutto  con il vicario generale, padre Fabio Bertagnolli. Inoltre attese instancabilmente al sacramento della riconciliazione, alla catechesi domenicale degli adulti, alla formazione dei fidanzati.

             Padre Giovanni era sempre pronto alla celebrazione dei battesimi, allora numerosissimi, dei matrimoni e alla rispettiva registrazione. A qualsiasi ora sapeva attendere ed accogliere alla porta gli ospiti con il suo costante sorriso. Nei tempi liberi si rendeva utile per i mille lavoretti che sono indispensabili in una missione dove ci sono sempre tante cose da fare. Una cosa che amava compiere personalmente era la confezione delle ostie e delle particole per la santa messa.

             Ciò che caratterizzava meglio questa figura di missionario era la carità. Visitava gli ammalati a domicilio e, due volte al giorno, quelli ricoverati in ospedale. Quando c'era un moribondo la gente chiedeva lui, ed egli non mancava di correre immediatamente, sia di giorno che di notte.

             Padre Giovanni divenne un ricercatissimo padre spirituale  al quale ricorrevano tanti giovani del collegio, i seminaristi del  seminario diocesano, numerosi laici e buona parte dei confratelli.

             I poveri, ed erano moltissimi, costituivano la sua porzione prediletta. Animò la Conferenza di San Vincenzo mediante una riunione settimanale, mantenne una frequente corrispondenza epistolare con il "Gruppo San Giuseppe" di Trento il quale, grazie a un gemellaggio con Balsas, ha sovvenzionato la costruzione del ricovero per anziani.

             Ma padre Audisio non si limitò alla dimensione assistenziale della carità. Volle viverne in pieno anche la dimensione promozionale. Infatti insegnò inglese nel "Ginnasio Balsense" e nei due collegi della missione. Più tardi divenne anche insegnante di fisica e di matematica nelle scuole superiori (magistrale e liceo scientifico). In questo modo precorse la Conferenza dei Vescovi Latino-americani che a Puebla "legalizzò" la scelta preferenziale per i poveri e per la gioventù.

             Padre Giovanni rimase a Balsas dal 1958 fino al gennaio del 1964, sei anni che furono intensi di ministero e di opere caritative.

             Su "La Nigrizia" del dicembre 1962 c'è un bellissimo articolo di padre Audisio nel quale lancia uno sguardo retrospettivo sulla sua vocazione e conclude dicendo: "Sarei dispostissimo a ricominciare daccapo".

Il mio posto

             Rientrato in Italia per le vacanze, andò nella casa di Barolo dove c'era un piccolo seminario comboniano. Dopo sei mesi cominciò a sentire la nostalgia del Brasile. E scrisse al superiore generale: "Ormai è ora che rompa il ghiaccio per fare un po' di rendiconto di coscienza prima di chiedere l'autorizzazione per ritornare al mio posto in Brasile. Questa parola 'al mio posto' già è una parola poco religiosa, perché pare voglia restringere il potere dei superiori di disporre dei sudditi. Ma nel mio caso penso non abbia precisamente questo significato: essa indica solamente il mio pensiero e la mia convinzione di non sapermi rendere utile se non nel campo al quale mi sono dedicato negli ultimi anni, cioé in un piccolo settore scolastico. Per questo ormai mi diventa pesante un eccessivo prolungamento di vacanze in Italia, dove mi sento completamente inutile e quasi di peso agli altri confratelli. Io mi vergogno di non essere capace di lanciarmi nel ministero. Veramente l'espormi in pubblico mi è sempre stato molto pesante, ma attualmente ancora di più. I buoni confratelli di questa casa, o per riguardo alle mie vacanze, o perché hanno intuito questo mio punto debole, mi hanno sempre risparmiato e gliene sono grato, ma intanto, invece di rallegrarmene, sento il peso della mia inutilità e mi domando se non sarebbe ormai tempo di ritornare a Balsas. Sempre se i confratelli di là sono contenti di riavermi tra loro... Mi sembra di essere in grado di compiere il mio dovere sia nelle classi ginnasiali, sia in quelle liceali, dato che è desiderio nostro portare i nostri chierici, ai quali si unirebbero anche studenti esterni, fino alla teologia. So che tutto questo potrebbe essere fatto da altri, e meglio di me, ma se mi si toglie questo lavoro in che cosa mi potrei occupare? Alle volte qualche confratello ha lasciato intendere che questo lavoro nel campo scolastico per un Padre sia un venir meno alla nostra vocazione, a me però sembra che cooperare per la formazione di una classe dirigente cristiana e più affezionata al sacerdote non sia tempo sciupato, tanto più che contemporaneamente ho sempre cercato di portare avanti gli uffici e i ministeri propri del sacerdote... Tuttavia stabilisca di me come meglio crede. Io sono disponibile in tutto. E preghi per me, perché mi sento figlio tanto freddo ed indegno di quel Cuore santissimo al quale siamo votati. Gli chieda per me di essere più fervoroso, più zelante, più umile e di non demeritare questo glorioso titolo di figlio del Sacro Cuore".

             In questa lettera  c'è un po' la spiritualità di padre Giovanni Audisio.

Il campanello d'allarme

             Nell'ottobre del 1964 padre Audisio era nuovamente a Balsas con gliincarichi di vicesuperiore e di insegnante. Dal 1969 al 1977 passò al seminario come insegnante e cappellano dell'ospedale e, per un po' di tempo, fu anche parroco della parrocchia di Balsas.

             Intanto arrivavano fino a Balsas gli effetti delle Conferenze di Medellin e di Puebla. Alla direzione della Diocesi c'era mons. Rino Carlesi, succeduto a mons. Parodi nel 1967. Ormai si respirava il clima della "missione nuova", del Concilio Vaticano II, si dava enfasi alla formazione del laicato che doveva diventare protagonista nella storia della Chiesa brasiliana, si camminava verso le comunità ecclesiali di base.

             Anche a Balsas si delineavano le diverse correnti pastorali e le conflittualità assumevano proporzioni drammatiche quando le discussioni vertevano sulla formazione da dare agli alunni del seminario diocesano.

             Padre Audisio soffrì molto questi momenti. Ma, sempre coerente con se stesso, studiò i documenti ufficiali della Chiesa brasiliana, lesse riviste teologiche impegnative, sempre alla ricerca della verità, e godette molto quando scoprì le motivazioni serie e convincenti che favorivano l'aggiornamento pastorale nella linea voluta dalla Chiesa. Nel 1973 scrisse: "Nonostante i miei 69 anni faccio ancora qualche cosa. Oltre al resto, insegno nel nostro Collegio San Pio X e cerco di adattare il vecchio spirito ai nuovi tempi".

             L'anelito per la missione di prima linea, di tanto in tanto si faceva sentire. E fu gioia grande quando, nel febbraio del 1977, poté tornare ad Alto Parnaiba, la sua prima missione. Erano passati 20 anni... Scrive padre Gesuino Podda: "Il Padre partì dando ancora una volta l'esempio di un totale distacco da tutto e da tutti, soprattutto da se stesso. Trovò la sua prima missione in condizioni ben diverse  da come l'aveva lasciata. Alto Parnaiba era ormai legata a Balsas da una  strada statale con servizio giornaliero di pullman. Era arrivata l'energia elettrica, già funzionavano i mezzi di comunicazione sociale. Padre Audisio rivide molti dei suoi primi cristiani che lo accolsero con grande entusiasmo... Ma la gioia di padre Audisio durò poco. Dopo alcuni mesi venne colpito da un infarto e dovette essere ricoverato all'ospedale di Balsas".

             Egli stesso in una lettera del 5 aprile 1978 scrisse: "Mi sono sentito un po' male l'ultima notte degli Esercizi. Credevo che si trattasse di una indisposizione banale che sarebbe passata subito. Don Rino chiamò il medico e questi disse che si trattava di infarto, come difatti constatarono poi all'ospedale di Balsas".

             Il medico, dottor Bernardino Pereira da Silva, preso da grande ammirazione per questo malato, disse: "Padre Giovanni supererà brillantemente anche questa prova. Ha una grande personalità, una fibra di ferro e una straordinaria carica di ottimismo".

A Mangabeiras

             Padre Giovanni confermò il pronostico del medico. Si riprese e chiese di poter lavorare ancora. I superiori, tuttavia, lo trasferirono nella comunità di Mangabeiras, collegata a Balsas dalla strada federale e da molti servizi di pullman. Padre Audisio obbedì ancora una volta senza obiezioni. Là si ritrovò a lavorare con padre Bertagnolli e, più tardi, col conterraneo padre Francesco Cordero. Oltre al lavoro pastorale, padre Giovanni trovò il tempo di coltivare anche un orticello con vero entusiasmo giovanile.

             Il 4 aprile 1984 celebrò i suoi 80 anni. Tutti i Comboniani della provincia del nord andarono a Mangabeiras per condividere la gioia del popolo che festeggiava in maniera solenne questa bella ricorrenza.

             Nell'estate dello stesso anno padre Audisio rientrò in Italia per alcuni mesi di riposo e per un atto di carità verso i parenti che lo volevano festeggiare. Ma la sua passione erano sempre gli ammalati. Passò quindi buona parte del suo tempo presso il Centro Ammalati di Verona prodigando ai confratelli sofferenti le sue  premurose attenzioni. Pochi mesi dopo rientrò in Brasile dove rimase fino a che una malattia implacabile lo costrinse al rimpatrio definitivo nel 1986. "La volontà di Dio ti chiede ora un contributo alla missione fatto di preghiera e di sacrificio... Ovunque il Signore ti è stato vicino e ti ha protetto... La salute deteriorata ti ha sottratto al lavoro diretto, ma non al contributo dell'intercessione per tutti i missionari, per la Chiesa del Brasile, per la Congregazione, per le nuove vocazioni pronte a portare avanti il lavoro iniziato dalla tua generazione", gli scriveva il padre generale assegnandolo alla provincia italiana dal primo gennaio 1987.

             Presso il Centro Ammalati di Verona padre Audisio testimoniò  la sua fede mediante la serenità e la capacità di sorridere sempre, anche nella sofferenza. Era un piacere andare a fargli visita. Aveva sempre una parola, un sorriso, un incoraggiamento per tutti, lui che soffriva tanto!

             Ai suoi disturbi cardiaci si aggiunse l'insufficienza renale che si trasformò ben presto in blocco renale. Per ordine del medico venne ricoverato all'ospedale di Borgo Trento. Ma alla mattina dopo, alle ore 7, la morte entrò nella sua stanza. Egli l'accettò con serenità e con spirito di obbedienza alla volontà del Signore che lo chiamava. Era il 16 marzo 1988.

             Dopo i funerali in Casa Madre, presieduti dal  suo ex provinciale padre Gesuino Podda, la salma venne traslata nel cimitero di Entracque, dove riposa nella tomba di famiglia. Il parroco del paese ha detto che la presenza delle spoglie mortali di un sì insigne missionario arricchiranno, con la loro presenza, la comunità nella quale il Padre ha avuto i natali, mediante l'irradiazione della fede e della carità che hanno caratterizzato questo autentico figlio di mons. Comboni.

             A noi Comboniani padre Audisio lascia l'esempio di una povertà radicale, di una carità vissuta nelle piccole circostanze di ogni giorno, di un' obbedienza a tutta prova, di una serenità costante anche nei momenti di tribolazione, di un impiego coscienzioso del tempo e di uno spirito di preghiera eccezionale... Cose tutte che hanno costituito per lui motivo di gioia e di pace nella sua vita di religioso e di missionario. Che la sua autenticità e la sua trasparenza siano in ciascuno di noi.                       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 159, ottobre 1988, pp.64-73