«È un bel giovanottone grande e forte, abbastanza spigliato e rispettoso e a quanto sembra di criterio. Insomma, guardino loro, ma se mi è lecito esprimere un'opinione mia, direi che non sarebbe il caso di fermarsi sulla difficoltà dell'età, avendo egli superato i 25 anni di 13 mesi soltanto». Questo è l’identikit che padre Uberti, superiore a Padova, fornisce ai padri Meroni e Bombieri. Si nota anche l'arguzia del buon Uberti: siccome la regola impediva di accettare futuri fratelli che al momento dell'entrata avessero compiuto i 25 anni, il Padre dice che ha solo 13 mesi oltre l'età consentita.
Lotta in famiglia
Nella sua domanda, Fr. Franceschi esprime i suoi sentimenti e la situazione della sua famiglia . «Perarolo di Vigonza (Padova) 26 marzo 1933 . ... Le dico quanto mi detta il cuore, Rev.mo Padre Generale. Nella mia scelta non ci sono fini materiali per godere una vita più comoda e pacifica, ma invece per servire meglio il Signore. Sino a questo momento le prometto di assoggettarmi a tutti quegli incomodi e fatiche che si incontrano nella vita di missione. Le mie generalità sono: Franceschi Eugenio; figlio di Valentino e di Pedron Angela, nato il l0 febbraio 1907 nel comune di Piazzola sul Brenta, domiciliato nel comune di Vigonza, frazione Perarolo. Non ho mai avuto nessuna malattia grave e tuttora mi sento bene di salute. Di scuola ho fatto la quarta elementare e di professione sono agricoltore. Sono stato militare per sei mesi. La mia famiglia è composta dal padre e dalla madre tuttora viventi, di 50 anni, e di 5 fratelli: tre maschi e due femmine tutti più giovani di me ... ».
Papà Valentino non era disposto a privarsi del primogenito che gli dava un aiuto determinante nel la· voro dei campi. Per questo, appena seppe dei desideri apostolici del figlio, cominciò ad ostacolarlo in tutti i modi. Eugenio si appoggiava alla preghiera e all'aiuto del suo parroco, don Eugenio Dugo, che parteggiava per lui. In una lettera ai Superiori del 31 agosto 1933 padre Uberti incalza: «La sua famiglia resiste ancora, ma finirà per accettare il fatto compiuto perché adesso cercano solo di procrastinare la partenza. Qui a Padova c'è scarsità di domande. Vicenza non ne dà quasi nessuna». Padre Uberti ricordava ai Superiori la carestia di vocazioni, in quanto essi avevano sospeso la domanda di Franceschi, per il motivo sopra ricordato, fino al ritorno del padre Generale. Franceschi, vedendo che la risposta da Verona tardava, si fece nuovamente vivo: « ... credo cosa opportuna rinnovarle la mia domanda di accettazione (scrive al padre Generale) e di ricordarle l'attrattiva e il desiderio che sento di entrare nell'Istituto delle Missioni Africane. Con la grazia del Signore, cooperata dalla mia volontà, spero di adempiere quanto desiderano da me i Superiori » .
Quando finalmente venne accettato: «So che lei mi ha fatto un'eccezione per l'età; io non ho parole di ringraziamento che soddisfino il di lei atto di bontà». Il parroco stesso aveva scritto che l'interessato «è veramente uniformato allo spirito religioso, e ha dato sempre segni di vera vocazione con la frequenza alla Chiesa ed ai Sacramenti, con una vita intemerata e irreprensibile sotto ogni rapporto. Appoggio quindi la sua domanda con tutto il cuore, pregandovi di assecondarlo nel suo desiderio».
In Portogallo
Dopo tante lotte e trepidazioni, il 18 aprile 1934 Fr. Franceschi faceva la vestizione nel noviziato di Venegono. Si dimostrò subito un uomo maturo, posato, di poche parole e di lavoro sodo, il tutto condito con tanto spirito di sacrificio e di preghiera. Il 2 febbraio 1936 emise i primi Voti e poi fu destinato a Troia dove vi rimase per 11 anni come sagrestano. Qui il 2 febbraio 1942 emise i Voti perpetui. Nella domanda risalta una frase che esprime tutta la sensibilità e delicatezza dell'anima di Fr. Eugenio: «Quel fortunato momento lo vado sognando da molto tempo. Quante volte ho detto fra me: vieni presto o giorno beato, affinché possa consacrarmi interamente e per sempre al mio Dio, e appartenere alla amata congregazione.».
Passò poi a Crema (un anno) come portinaio e sagrestano, quindi un altro anno a Brescia come infermiere. Nel 1949 valicò le Alpi e andò a Viseu con l'incarico di cuoco. «Buono, umile, obbediente. Nel suo ufficio di cuoco fa quello che può» - scrive padre Giorgio Ferrero. Con l'ultima battuta padre Ferrero voleva forse indicare che come cuoco non era da gare internazionali di gastronomia, comunque risulta che non sia morto nessuno di fame in quel periodo. La vera missione per Fr. Franceschi cominciò nel 1952 quando ricevette la destinazione Brasile.
In Brasile con i primi
L'8 maggio partiva dal seminario di Viseu il primo scaglione di missionari comboniani. Dopo una tappa a Fatima, i partenti (quattro sacerdoti e due fratelli, tra i quali Eugenio) s'imbarcarono sul transatlantico «Vera Cruz» giungendo nella baia di Guanabara il 19 maggio. Dice il cronista: «Per coprire gli ultimi 250 chilometri , abbiamo impiegato 13 ore a bordo di un camion. Che razza di strade! Sabbia, bosco, fiumi , scossoni, salti e ... canti.
L'entrata a Balsas fu trionfale. Il menù della nostra cucina è costituito da riso, fagioli e carne secca (quando c'è), senza pane, senza vino, senza verdura». Un contadino come Fr. Eugenio trovò subito pane per i suoi denti. E cominciò a dissodare un pezzo di terreno per ricavarne un orto. Nel giro di qualche mese i missionari potevano mettere sulla tavola una discreta varietà di verdure. «È un elemento veramente prezioso - scriveva monsignor Parodi - è prudente, caritatevole, di grande aiuto ai confratelli». «Fedele e preciso nel compiere i suoi doveri, è di molto buono spirito. Che Iddio ce lo conservi a lungo» - aggiungeva padre Seri. «Sono stato con lui in missione - afferma padre Masserdotti -. A differenza di altri che sapevano muovere le masse popolari, Eugenio si distinse per la discrezione. Passava senza quasi farsi accorgere, sempre sereno, sempre uguale a se stesso e con un costante sorriso da un orecchio all'altro. Delicatissimo, non avrebbe detto una parola meno gentile neppure a un animale. Quando cedemmo il collegio ai Maristi, egli continuò a portare avanti il pollaio e la stalla che sorgeva vicino al collegio. Per non sottoporsi a troppi disagi mangiava e dormiva nella comunità dei Maristi, ma ogni giorno veniva in bicicletta nel nostro seminario per condividere la vita di preghiera (in questo era esattissimo) e un po' di vita comune con i confratelli».
Fratello realizzato
Fr. Franceschi restò in Brasile 30 anni , fino al 1981. Scrive padre Angelo La Salandra: «Credo che i non pochi confratelli che hanno avuto la sorte di conoscerlo durante i 48 anni di vita religiosa, abbiano avuto molte cose da imparare, vivendo con lui. Ripensando un po' agli anni vissuti con Fr. Franceschi, dal volto sempre sorridente e umile, mi pare di veder in lui l'immagine del Fratello comboniano realizzato: dal lontano 1936 a Troia, al seminario prelaziale aiutandomi nella formazione dei seminaristi e infine a Verona già veterano di missione come membro attivo della dinamica comunità del Centro Assistenza Ammalati. Con i suoi 77 anni di vita cristiana vissuta nel compimento gioioso, diligente e nascosto della volontà di Dio negli uffici ordinari e molto necessari in una comunità comboniana sia d'Europa che di missione, mi pare che abbia dato una risposta adeguata alla sua vita di consacrato, nello spirito della Casa di Nazaret.
Si trovò fianco a fianco con altri fratelli addetti alle costruzioni, alla scuola tecnica professionale, alla formazione e promozione di leaders agro-sociali, agli uffici amministrativi... eppure mai gli è passato per l'anima un sentimento d'invidia o un complesso di inferiorità. Sempre faceto, sorridente, soddisfatto del suo umile lavoro, sollevava lo spirito di chi era nella tribolazione. Aveva una stima dignitosa verso i confratelli sacerdoti che amava e aiutava; per essi e per il buon esito del loro ministero pregava. All'uopo sapeva anche correggerli con carità e franchezza come dice il vangelo, anche se si trattava di superiori. Per esempio si mostrava giustamente amareggiato di fronte a certe battute o barzellette ambigue. In relazione al popolo, sebbene non sia mai stato agente di pastorale parrocchiale, sapeva esercitare in modo ammirevole il suo carisma di missionario fratello, nell'apostolato spicciolo, individuale, con l'esempio di una vita sempre attiva di lavoro, e con la parola piena di spirito di fede, discreta, senza predicozzi, appropriata alla persona e alla circostanza in cui si trovava: in sacristia, alla porta come portinaio, con la fruttivendola del mercato, con il caboclo della strada, consolando nelle loro case coloro che erano colpiti dalla malattia o dal dolore. Aveva poi una premura direi materna verso i seminaristi ammalati che trattava con la dedizione del Buon Samaritano. Il medico, un ateo professo, chiamato di sovente da Fr. Franceschi per i seminaristi di Troia, visitava sempre gratuitamente e diceva che, tra tutti, ascoltava con rispetto e devozione il nostro infermiere. Un'altra cosa: pur essendo la sua formazione religiosa ante Concilio, sapeva adattarsi alle innovazioni che accettava di buon grado e nelle quali si sforzava di approfondire la sua cultura. Allo sguardo di un osservatore superficiale - prosegue padre La Salandra - quel continuo sorriso sul volto del Fratello poteva essere interpretato come un dono di natura; chi riceveva le confidenze della sua anima sapeva bene che il suo era un temperamento focoso, vivo, e quella serenità sul volto era frutto di lotta interiore e di grazia di Dio ottenuta con la fedeltà alla preghiera comunitaria e specialmente con la prolungata preghiera personale di fronte a Gesù Eucaristico e alla Madonna che venerava con profondo amore filiale e con la recita quotidiana del santo rosario».
Grazie per il tuo silenzio
Quando il padre Generale gli comunicò che dal primo settembre 1981 era destinato alla provincia italiana come aiutante presso il Centro Assistenza Ammalati di Verona, egli rispose: «Se il Signore vuole questo da me, sia fatta la sua volontà». A Verona si impegnò subito con serietà e competenza, senza però prendere iniziative fuori dagli ordini del capo infermiere. Il suo provinciale del Brasile gli scrisse: «Grazie, caro fratello, per i tuoi anni passati qui, per quello che ci hai dato, per le cose buone che preparavi per i nostri incontri, per il tuo silenzio, per la tua preghiera». In queste poche frasi c'è tutto il programma di vita, vissuto fino alla fine, di Fr. Franceschi. Anche sul letto della malattia, la paralisi, conservò la sua calma, la sua serenità derivanti da una fede che era diventata abito di vita. «Padre Angelo, preghi molto per me la Madonna - disse a padre La Salandra prima che questi partisse per il Brasile - preghi la Madonna che mi dia la forza di soffrire e morire, perché mi sento molto debole». Quando disse queste parole stava ancora bene, ma già sentiva nel suo corpo i sintomi della morte. L'immobilità di alcuni mesi non fu una posizione comoda, tuttavia la sofferenza e la consapevolezza della morte che già era alla porta non lo impressionarono. Egli accettò. Soffriva? Non soffriva? Fu sempre uguale a se stesso e in grado di intendere fino agli ultimi istanti. «Certo che soffriva - dice l'infermiere - ma non lo dava a vedere perché aveva paura di disturbare» . L'I11 agosto alle prime luci dell'alba chiuse per sempre la sua giornata terrena, lasciando a tutti l'esempio di un Fratello che ha vissuto nella gioia e nella fedeltà la sua consacrazione missionaria. È stato sepolto al suo paese natale . P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 143, ottobre 1984, pp.74-77