Un ricordo personale. Passavo un giorno da Milano dove padre Toncini si trovava già da qualche mese. Vedendomi un po' stanco, mi chiamò in stanza, mi fece sedere, poi tirò fuori dall'armadio alcune tartine. «Mettile nella borsa; se in viaggio ti viene un po' di debolezza allo stomaco ne prendi qualcuna e ti tirerà su». E me le consegnò con gesto che ricordava quello del nonno quando regala la frutta al nipotino. Poi mi volle accompagnare fino alla fermata del tram e non si mosse dal marciapiede finché non mi vide partire. Questo era padre Toncini: un misto di delicatezza, comprensione e carità.
Padre Giuseppe Cavallera, suo ultimo superiore a Milano ci lascia la seguente testimonianza. «Era un carissimo padre, pieno di zelo per le anime, sempre pronto al ministero. E mai stanco. In confessionale era di una bontà che commuoveva ... ed era molto ricercato. La sua predicazione semplice, piena di esempi e fatta col cuore, colpiva l'uditorio che lo ascoltava attentissimo. In comunità era sempre sereno, ottimista e buono. In tutto e in tutti vedeva solo le cose buone, positive e ne parlava con entusiasmo. Per questo suo buon cuore era ricercato da una fitta clientela di poveri.... che volevano solo padre Carlo. Per noi la sua scomparsa è una grave perdita». Un confratello che era ragazzino a Troia quando padre Toncini copriva gli uffici di insegnante e di padre spirituale ('36-'47) in quella casa, racconta la sua crisi di vocazione e l'aiuto che ebbe dal Padre per superarla. E conclude: «Sono passati 43 anni da quel giorno, ma la bontà e comprensione dell'indimenticabile padre Carlo è ancora presente nella mia anima come allora». Fu forse a Troia dove padre Toncini scoprì la sua vocazione di educatore, che poi «sublimò» in Bassa California nella direzione della «Città dei Ragazzi e delle Ragazze».
Una vocazione di ferro
La vocazione missionaria di padre Carlo era nata nell'ambito della sua famiglia profondamente cristiana - 8 figli e rosario tutte le sere - e si era sviluppata nella vita di Oratorio. Dopo le elementari entrò nel seminario diocesano di San Pietro Martire. La visita e le conferenze dei comboniani che battevano la zona, indussero il ragazzino ad orientarsi per le missioni dell'Africa. «Nelle sue visite in famiglia - scrive il fratello sacerdote - parlava sempre di missioni e della sua futura vita missionaria. Non potendo portarci a Venegono dove c'erano i comboniani, ci guidava al PIME di Milano dove noi fratelli minori, poi religiosi, venivamo a conoscenza delle missioni con immediatezza e vivacità. A padre Carlo e alla sorella Emilia siamo debitori di una educazione santa, serena e forte, congiunta poi ad una uguale vocazione». In una lettera indirizzata a padre Bertenghi, il papà di padre Carlo dice «Carlo vuole assolutamente darsi alle missioni dicendovisi chiamato da vocazione. Questo desiderio affiora nei suoi discorsi da tre anni. Lo scorso mese ha superato gli esami di terza ginnasio ... Ma io prima vorrei parlare con lei» (5 agosto 1926). Due anni dopo, padre Corbelli fa sapere al chierico Toncini che, non essendo stato promosso agli esami, la sua entrata tra i comboniani è sospesa. Allora il padre spirituale del seminario, don Motta, scrive: «lo non ho voce in capitolo, non voglio uscire dal mio campo, ma se dovessi esprimere il mio parere direi: il giovane è maturo la sua parte e non deve perdere l'anno, tanto più che disciplinarmente è tanto ben quotato ». (la lettera non ha data). Carlo intanto scriveva al cardinale di Milano: «Supplico e sospiro l'esaudimento. Da anni sento l'impulso per le missioni per i neri dell'Africa... I superiori sono contenti e i miei genitori mi hanno espresso il loro beneplacito» (6 giugno 1928). Il rettore, monsignor Giuseppe Rotondi, in data 11 giungo 1928 asseriva: «Sono ben lieto di attestare che egli è un giovane di pietà distinta, di buona condotta, assai studioso, sebbene di ingegno limitato, e di sana costituzione fisica. Nessuno più di lui si occupa degli interessi delle missioni. È nato fatto per essere missionario». Ricevuto finalmente il sospirato consenso, Carlo anticipò l'entrata tra i comboniani. «Rompo gli indugi e invece di entrare in ottobre come in un primo tempo avevano deciso per farmi avere un poco di sollievo dopo gli esami, entrerò senz'altro il 24 settembre assieme a Romanò e Mandelli» (8 settembre 1928). La battaglia per la vocazione, tanto ardua e sofferta, era finalmente vinta. A 19 anni Carlo Toncini era nel noviziato di Venegono Superiore dove il 7 ottobre 1930 emise i primi Voti. Cinque anni dopo fece la professione perpetua a Verona. Qui, il 6 giugno 1936, fu ordinato sacerdote. Restò quindi in Italia per 14 anni nella formazione, a Trento, a Troia e a Crema, lasciando ovunque esempi della sua bontà e spirito di iniziativa specie nel campo giovanile.
Con i pionieri della Bassa California
Per conoscere il resto della vita di padre Carlo basterebbe leggere il libro «Città d'amore» scritto dallo stesso Padre, in cui è narrata con dovizie di particolari la sua storia e quella della «Città dei Ragazzi e delle Ragazze». Inoltre, vi è illustrato il suo metodo educativo che si ispira a principi di avanguardia: «porte aperte»; «uniti non mescolati». Stralcia qua e là qualche passo più significativo: «Dopo quindi anni dalla mia ordinazione sacerdotale, trascorsi come formatore in varie comunità, lasciavo l'Italia per la Missione della Bassa California Sud, accompagnato da altri 10 confratelli. Era la sera del 9 agosto 1950. Quando l'Italia scomparve poco a poco dai nostri occhi e la nave si immerse nelle tenebre, un sentimento di tristezza invase il nostro animo e, perché non dirlo?, qualche occhio si velò di lacrime. Ci riunimmo tutti a recitare il santo Rosario ... Nel viaggio che durò quasi un mese ritornavo spesso su questi interrogativi: chi incontrerò in quella penisola? come potrò restarci? che potrò fare? ... Il Messico è grande sette volte l'Italia. Ha tutti i climi, ha molte ricchezze naturali, però quella lunga penisola era allora molto povera, perché isolata dal continente. Non aveva ancora la strada che ora la unisce agli Stati Uniti; non aveva industria e ben poco di agricoltura, perché poteva passare un anno e più senza piovere. Nel 1948 erano arrivati i primi comboniani. La popolazione affidataci era allora di circa 80 mila abitanti, uno per km quadrato; però non era formata da indigeni, ma da discendenti di colonizzatori, commercianti, turisti, avventurieri, venuti dagli USA, dall'Europa e perfino dalla Cina e dal Giappone. Tutti parlavano lo spagnolo ed erano uniti fra di loro (la povertà affratella!). Non mancavano i vizi e le superstizioni propri di ambienti religiosamente abbandonati. Pochi mesi dopo il mio arrivo, fui mandato alla missione di S. Antonio (a 60 km da La Paz), là vi rimasi per circa quattro anni per evangelizzare quella gente povera ma tanto desiderosa della Parola di Dio».
La Città dei Ragazzi
«Nell'anno 1952, nella cittadina di La Paz, capitale del Territorio della B.C., un neonato avvolto nel giornaIe del mattino fu lasciato davanti alla porta della Società "Union". Tutti si commossero e il P. Zelindo Marigo, decise di aprire un'opera assistenziale. Nacque così la Città dei Ragazzi. Alla fine del 1954 il P. Marigo lasciò La Paz per gli Stati Uniti, incaricando Fratel Arsenio Ferrari di assistere quell'opera appena nata. Preoccupati per la mancanza di personale, i Superiori mi mandarono a La Paz. Vi giunsi il 3 dicembre 1954». Nel 1962 padre Carlo fondò la «Città delle Ragazze». A queste opere che salvarono centinaia di ragazzi e ragazze e che procurarono al Padre stima e affetto del popolo e delle autorità, dedicò i 30 anni migliori della sua vita. Anni belli, entusiasmanti, costellati da episodi che egli raccontava colorandoli di fantasia a tutte le persone che incontrava. Ma anche anni di preoccupazioni e di sofferenze... con tutte quelle bocche da mantenere e da assistere, giorno e notte. Assegnato all'Italia nel 1980 (Venegono, Rebbio, Milano) si dedicò a far conoscere e far amare la sua opera che è presentata nei tre volumetti «Nata così», «Famiglia nuova», «Città d'amore». Nel 1975 gli fu conferita, in Messico, l'onorificenza di Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiana. Padre Giovanni Bressani, che è stato con lui in Bassa California, dice: «Padre Toncini ha seminato un bene immenso agli orfani e agli esterni. Si è mostrato uomo dalle intuizioni geniali e dalla capacità di realizzare queste intuizioni. Non era certamente una cosa facile mettere insieme tanti ragazzi e ragazze che dovevano comportarsi come fratelli e sorelle senza esserlo (anche se alcuni lo erano davvero). Occorreva vigilanza e formazione. Cose che il Padre seppe dare in modo da preparare quei giovani alla società e al vivere civile. Per me Toncini è stato un uomo sempre entusiasta e sapeva contagiare di entusiasmo tutti: dal Governatore in giù. Era creativo e geniale. Certi suoi slogan hanno fatto epoca; esempio: porte aperte; uniti non mescolati; più sport, meno vizi... Fu anche audace. Esempio classico quando comprò la casa di prostituzione in fallimento e la trasformò nella sezione infantile della "Città". L'ho visto - e lo diceva lui stesso - pienamente realizzato e sempre contento della sua vita missionaria. Sapeva incantare la gente anche se non possedeva bene la lingua. Buon religioso e buon sacerdote. Quando l'hanno rimosso, ha saputo incassare bene il colpo. E appena giunto in Italia non c'è stato in lui ombra di stanchezza o di scoraggiamento, ma si è dato col solito entusiasmo al ministero e a far conoscere la sua opera. Due mesi prima della morte aveva preparato un gruppo di bimbi alla prima comunione entusiasmandoli di Gesù».
La Chiamata
Padre Toncini cadde sulla breccia, da buon soldato. Il 21 marzo tenne a Monza tre conferenze ed altrettanti gruppi giovanili. Il 26 si recò a Venegono a fare le proiezioni ai novizi; due giorni dopo era a Gordola per riferire all'Assemblea sugli anziani tenuta a San Fidenzio (Verona). Tornò a casa contento, ma disse di aver sofferto tanto freddo nel viaggio. Il 31 accusò un certo dolore al colon, sulla sinistra, dolore che già aveva avuto due anni prima mentre era al mare con sua sorella. Usò subito la medicina che il dottore gli aveva ordinato in quella circostanza e si mise a letto. Il primo aprile i dolori tornarono. Fu chiamato il dottore che venne anche il giorno dopo, due volte, nonostante lo sciopero dei medici. La pressione del Padre intanto scendeva a 90/60 con sensazione di estrema spossatezza, e non c'era verso di farla crescere. Portato dapprima alla Clinica San Giuseppe, non venne accettato perché le condizioni erano gravi e mancava la sala di rianimazione. Allora fu trasferito al Niguarda. Qui venne operato il giorno dopo. Il 4 aprile, mentre entrava in sala operatoria, parlava, era sereno e non dava segni né di sofferenza e neppure di ansietà. L'operazione durò 3 ore: il colon era perforato. Dopo l'operazione il Padre visse in uno stato di sonnolenza. Tra le poche parole che disse, si poterono distinguere queste: «Cammino verso la morte», segno che era consapevole della sua situazione e si stava preparando all'incontro col Signore. I nostri confratelli, la sorella, i parenti e gli amici gli furono vicini nelle ore supreme. L'operazione riuscì bene, ma fu presto seguita da complicazioni: la testa non funzionava forse per mancanza di ossigeno al cervello e l'azotemia aumentava. Verso la fine ebbe pure un edema polmonare. Furono praticati tutti i più moderni ritrovati della scienza, ma inutilmente. Per due giorni il Padre rimase in coma, poi una breve ripresa seguita dalla morte. I funerali si svolsero a San Vito al Giambellino a Milano e la salma fu sepolta nel comune di Cesano Boscone, Milano. La vita, la fede semplice e genuina e l'opera di padre Carlo Toncini infondono in tutti quelli che l'hanno conosciuto un grande senso di fiducia nel Signore e negli uomini e sono motivo di coraggio. «Saggezza, iniziativa e tenacia sembrano essersi date appuntamento in questo missionario » scriveva l'Avvenire del primo novembre 1981. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 142, luglio 1984, pp.71-75