Ultimamente appariva un po' stanco, ma non aveva per nulla rallentato il suo lavoro: assistenza alla parrocchia di Lisungwi e insegnamento nel seminario di Blantyre. Il suo ultimo giorno, lunedì 21 aprile, non lasciava presagire nulla: aveva accompagnato all'aeroporto i due fratelli p. Alberto e p. Giuseppe Buffoni che partivano per l'Italia ed era rientrato in seminario per le lezioni. A pranzo non mangiò e disse di non sentirsi troppo bene. Fece alcuni passi all'aperto con un altro insegnante, ma si lamentava di sentire freddo e sudava. Si ritirò in stanza, diede una telefonata al Vescovo che gli mandò il rettore e il segretario. Venne chiamato il medico ma quando questi arrivò, dopo mezz'ora, il Padre era già spirato, vittima d'infarto. Aveva 61 anni e 45 giorni.
Il giovane Giuseppe Gusmini frequentava il liceo nel seminario di Bergamo quando manifestò al suo parroco il desiderio di farsi missionario. Il buon Don Nodari così lo raccomandò a p. Castelletti nel settembre 1938: «Ho lavorato sicut bonus miles X. Jesu pro COMBONIANIS... e pare non invano... l'ho incanalato AD VOS. È soggetto pio, obbediente e zelante, il migliore de' miei 7 seminaristi BUONI. Quest'anno fece la 2ª liceo, ma nimis timido non fu promosso in filosofia (“è la prima volta che resta bocciato”, assicura da parte sua il Rettore, “ha capacità sufficiente, ottima indole, intenzioni rette”). Se filosoficamente non ha penne d'aquila, sono sicuro che farà egualmente OTTIMA riuscita. È poverissimo, ma robusto, abile pel militare e homo bonae voluntatis».
In noviziato a Venegono venne giudicato «vivacissimo, un po' buffone e loquace, ma sincero, sensibile, buono e generoso, attaccato alla sua vocazione, amante della preghiera». Il 7 ottobre 1940 fece la sua consacrazione a Dio per le missioni, e subito dopo iniziò gli studi teologici a Verona, coronandoli con l'ordinazione sacerdotale a Como il 3 giugno 1944.
Dopo un anno di ministero sacerdotale a Verona, fu mandato a Bologna dove si era organizzato un corso di lingua inglese «per Padri e Fratelli in attesa di essere chiamati in Africa». Il corso gli permise di apprendere l'inglese in grado sufficiente per poter essere addetto all'insegnamento fin dal primo arrivo in Sudan nel settembre 1947. Più tardi, nell'anno 1951-52, frequentò il Colonial Course all'Università di Londra e meritò tra l'altro questo elogio dal Direttore del corso: «...The Southern Sudan, to which he returns, is fortunate to Have missionaries of this calibre».
Insegnò nel seminario di Okaru, nella prefettura apostolica del Bahr-el-Gebel (ora arcidiocesi di Juba) e nel Collegio («Intermediate») diretto dai Sacred Heart Brothers dal 1947 al 1951. Fu anche cappellano di questo collegio e incaricato della Procura.
Al suo ritorno da Londra nel dicembre 1952 raggiunse «i due solitari del Kit», p. Simonelli e fr. Vanzo, che da parecchi mesi stavano faticando nella costruzione dei locali destinati ad alloggiare i primi aspiranti di quella che doveva divenire la Congregazione di Fratelli di S. Martino da Porres, fondata da Mons. Sisto Mazzoldi il 14 maggio 1952. Il posto era ancora selvaggio, infestato da bufali, elefanti e coccodrilli. P. Gusmini, leggiamo nel diario della casa (Bollettino 44, p. 881), arriva «portando con sé da Londra, oltre ai programmi scolastici e metodi relativi, anche fresche energie ed entusiasmo per il nuovo compito che l'attende. Intanto, essendo ormai esperto in quest’arte, perché ha dato anche buona mano a fr. Pedrinolli a Kator, sarà il mattoniere e il sopraintendente all'impresa mattoni, che gli sarà assegnata da p. Simonelli partente per gli Esercizi. Così è la vita del missionario; dalle aule scolastiche lucide e terse di un’università al banco del mattoniere imbrattato di fango, o vicino ad una fornace per essere di aiuto agli altri confratelli quando il bisogno lo richieda...».
E con la sua tipica allegra pacatezza p. Gusmini sa fare il mattoniere, l'insegnante e anche il cuoco, oltre che il religioso e il missionario. «È da lodarsi - scrive di lui p. Simonelli - la sua prestazione pronta e generosa per il ministero ed il suo desiderio di imparare la lingua del posto». Espansivo, cordiale, indulgente, si fa amare dagli studenti e dagli operai».
Quando si deve iniziare il noviziato dei «Brothers», p. Gusmini è nominato Padre Maestro e in tale ufficio rimane fino al febbraio 1964 quando arriverà l’ordine di espulsione di tutti i missionari dal Sudan meridionale. Il suo compito non è certamente facile, dovendo dare un'impronta spirituale ai giovani novizi che, benché generosi e docili, non hanno ancora nessuna tradizione di vita religiosa e nessun modello da seguire se non i missionari stessi.
Gli interessi pastorali di p. Gusmini si estendono oltre il noviziato del Kit, ad esempio all'Azione Cattolica, tanto che quando nel Natale 1954 si tiene a Khartoum il Congresso nazionale dell'Azione Cattolica andrà lui a rappresentare il Vicariato di Juba.
La situazione politica nel Sudan meridionale peggiora di anno in anno e rende sempre più precaria la presenza dei missionari e sempre più difficile il loro lavoro. L'opera di p. Gusmini e dei suoi collaboratori progredisce nonostante tutto e sta portando buoni frutti. Ma nel febbraio 1964 tutti i missionari vengono espulsi. La guerra civile si estende a tutto il Sudan meridionale e i Fratelli del Kit devono trovare rifugio in Uganda, dove saranno assistiti da altri Comboniani.
Il 22 luglio dello stesso anno p. Gusmini è nominato Superiore Regionale della Regione di Milano. Essa comprende le due case di Milano, lo scolasticato di Venegono, il noviziato di Gozzano, le scuole apostoliche di Barolo, Brescia, Crema e Rebbio, e le due comunità di Gordola e Losanna in Svizzera, con 75 Padri, 20 Fratelli, 97 scolastici, 47 novizi e 333 aspiranti. Un confratello che gli era vicino in quegli anni scrive: «L'immagine che mi è rimasta nella memoria è quella di un uomo che accettò con semplicità e coraggio le responsabilità di superiore regionale in un periodo non facile. Eravamo nei tempi di Concilio aperto, con i fermenti degli anni sessanta; nello stesso tempo il nostro Istituto viveva ancora con le direttive del Capitolo del 1959. Davanti ai problemi e alle contestazioni, p. Gusmini assumeva l'atteggiamento di chi non ama le complicazioni; nello stesso tempo non scelse le semplificazioni dell'autoritarismo. I problemi aperti non gli toglievano il sonno. Naturalmente c'era anche il lato opposto della medaglia: una certa difficoltà di trovare una soluzione definitiva ai vari problemi. Lui sperava sempre che, con la calma, col dialogo e soprattutto col tempo, tante cose sì sarebbero sistemate. Qualche volta succedeva, altre volte no.
«In ogni caso sapeva ispirare fiducia nei confratelli, dando spazio a suggerimenti e iniziative. Ciò contribuiva a dare vitalità alla Regione, ma non la salvava da una certa confusione e da qualche piccola avventura.
«Gusmini non era un politico, nel senso peggiore della parola, cioè non era capace di usare i raggiri con i confratelli. Più di uno può dire di avere “raggirato” p. Gusmini; ma penso che nessuno può dire di essere stato “raggirato” da lui.
«Senza dubbio la Regione di Milano conobbe meno tensioni di certe altre parti e questo si deve al fatto che p. Gusmini seppe dare spazio ai fermenti di rinnovamento dell'Istituto che erano esigiti dal Concilio e sentiti soprattutto dai giovani».
Dopo aver partecipato al Capitolo del 1969, p. Gusmini venne nominato superiore della casa di Pordenone. Coadiuvato dagli altri membri della comunità, egli iniziava e portava avanti con coraggio la nuova linea formativa dei Fratelli, suggerita dal Capitolo. Pordenone diventava il primo Scolasticato internazionale per Fratelli. Purtroppo la forte diminuzione di vocazioni ha impedito, in parte, che l'esperimento fosse valido. Ciò nulla toglie al merito di p. Gusmini che aveva per i Fratelli una predilezione speciale.
Nel luglio 1973 p. Gusmini cedeva l'ufficio di Superiore a fr. Pelucchi e si metteva a disposizione per la missione. Il 1° settembre 1973 fu nominato rappresentante del Padre Generale per le missioni del Malawi e dopo pochi giorni partì con il primo gruppo di Comboniani destinati a quella nuova missione.
I missionari si stabilirono nelle quattro parrocchie del Mulanje, ma decisero di fare una comunità unica con p. Gusmini superiore. Nel 1976 si iniziò la comunità dello Shiré con le parrocchie di Lirangwe e Lisungwi; nel 1977 fu eretta la Delegazione del Malawi. P. Gusmini venne in Italia per assistere la mamma, 85enne, essendo rimasto l'unico dei quattro suoi figli. Dopo meno di tre mesi, per desiderio della mamma, ritornò in Malawi e assunse la cura pastorale di Lisungwi e più tardi anche l'insegnamento nel seminario di Blantyre. Avendo la residenza a Lirangwe, ciò significava un continuo spostarsi da un posto all'altro, e «qualche volta - scrive p. Franceschini - si vedeva che era un po' stanco; ma lui non si lamentava ed era sempre pronto ad aiutare gli altri col suo ottimismo, col sorriso, e con la sua saggia parola sdrammatizzante. Amava la comunità e sullo spirito comunitario non faceva alte disquisizioni teologiche ma lo viveva, e provocava gli altri a viverlo senza fare prediche.
«Quando fu proposto per l'insegnamento in seminario, qualcuno obiettò per quel suo presentarsi un po' trascurato e per il suo modo di fare un po' facilone; ma appena si accorsero chi era, guai a toglierlo dal seminario. Nel giro di pochi mesi aveva trasformato l'atmosfera con la sua naturalezza e semplicità e tutti volevano la sua compagnia.
«Il Vescovo ha sentito moltissimo la sua perdita: p. Gusmini era per lui il consigliere più fidato, l'amico, il fratello. Se noi comboniani qui in Malawi godiamo di una certa stima e simpatia è merito suo che fin dall'inizio ha saputo presentare una certa figura di comboniano che non si mette in cattedra, che è sempre pronto ad andare là dove la situazione è più difficile, sempre sereno, ottimista, aperto ad accogliere tutti, pronto a venire in aiuto di tutti, senza badare a se stesso: sempre annunciatore della novità di Cristo. E la gente lo ha apprezzato, ma soprattutto lo ha amato. Indescrivibili le scene di dolore a Lisungwi, sua parrocchia, appena è giunta la notizia della sua morte. Ai funerali fedeli, suore, seminaristi, fratelli e padri, bianchi e neri, hanno gremito la cattedrale. Hanno concelebrato due Vescovi e più di ottanta sacerdoti di varie diocesi. Molti non pregavano per lui, ma lo hanno pregato».
Non possiamo finire senza riportare un episodio che mostra la grande virtù di mamma Gusmini, ora rimasta sola all'età di oltre 86 anni. P. Gusmini avrebbe dovuto lasciare al più presto il Malawi per venire ad assistere la mamma che dal 1975 viveva praticamente sola. A metà aprile del 1980 il Padre Generale riceveva dal Padre una lettera con cui lo informava che ormai la questione era finita: la mamma gli aveva scritto queste testuali parole: «riguardo al mio aiuto per la vecchiaia, tu non disturbarti a parlare coi tuoi superiori. Ti raccomando di non lasciare il tuo posto d'Africa perché faresti molto male e mi recheresti molto dispiacere. Il Signore vuole sacrificarmi e che faccia un po' di penitenza per i miei 86 anni».
Pochi giorni prima che la morte le togliesse l'unico figlio, l'unico sostegno che le rimanesse, la generosa mamma volontariamente lo ridonò a Dio. (P. Felice Centis mccj).
Da Mccj Bulletin n. 129, settembre 1980, pp. 74-78