P. Carlo Broggini morì serenamente il mattino del 23 luglio u.s. nella clinica S. Chiara di Locarno (Svizzera), dove era stato ricoverato il giorno precedente in seguito ad un attacco cardiaco. Un'ora prima della morte aveva ricevuto la S. Comunione dal Superiore della nostra comunità di Gordola col quale si era anche trattenuto a parlare. Dopo i funerali celebrati a Gordola alla presenza del Vescovo di Lugano, la salma fu portata a Cantello (Varese), suo paese natale, e tumulata nella tomba riservata al clero. Carlo Broggini aveva compiuto gli studi liceali nel Seminario Arcivescovile di Milano a Monza, quando nel 1922 all'età di 18 anni decise di farsi missionario ed entrò nel noviziato di Venegono. «Fui un seminarista, un novizio ed uno scolastico indisciplinato», confessò 50 anni più tardi. P. Bertenghi, suo Padre Maestro, mitiga un po' tale giudizio, quando lo descrive come «espansivo, molto aperto e sincero, trascurato e dissipato, un po' strano, ostinato nel suo parere, molto amante della vocazione ed anche pio almeno in quanto alla sostanza. L'età e la grazia finiranno col farne uno zelante e utilissimo Missionario». E fu profeta, anche se P. Broggini, per il suo carattere, non corrispose mai all'immagine del religioso tradizionale. Fatti i primi Voti il l novembre 1924, passò a completare la teologia a Verona. P. L. Bano, che lo ebbe compagno in quei tre anni, dice che era un «ingegnaccio». Riusciva in tutto, specialmente nelle cose pratiche e nella meccanica. Nonostante passasse molto tempo a trascrivere musica per la «schola cantorum» dello scolasticato, accontentandosi di una ripassatina della materia al mattino, era sempre pronto a rispondere alle interrogazioni. Conseguì due volte il primo premio. Diede prova del suo ingegnaccio anche quando ripeté a memoria davanti a tutta la classe le più note profezie messianiche dell'Antico Testamento e relativo commento, tutto in latino, come le aveva presentate il Prof. Luigi Zenati. La maratona durò tutta la settimana ed ottenne un entusiastico applauso della scolaresca, anche perché così aveva evitato la loro interrogazione! Fu ordinato sacerdote con P. Bano, P. Santandrea e il defunto P. G. Agostini il 7 luglio 1927. Passò i primi due anni di sacerdozio nel nostro seminario minore di Trento come insegnante ed economo. Ritornerà a Trento come economo, per brevi periodi, nel 1937 e nel 1949. Si racconta che in quest'ultimo periodo, trovandosi la casa in serie difficoltà economiche, l'economo Broggini ricorse ad un metodo radicale: per un mese, e forse più, non comprò nulla. Alla fine il debito era ridotto, ma in casa non c'era più nulla da mangiare! Ben presto si pensò bene di cambiare metodo ed economo. Nell'ottobre del 1929 P. Broggini raggiunse la missione del Bahr el Ghazal nel Sudan meridionale, dove rimase per circa 30 anni, eccettuati tre intervalli. Lavorò nelle missioni di Mbili, Kayango, Nyamlel; ma fu specialmente a Raffili che egli lasciò il più grande ricordo di sé avendovi lavorato con passione ed energia per quasi 15 anni (1932-37 e 1939-48). La missione di Raffili (il nome deriva da «rapids», le rapide del fiume), fondata il 25 aprile 1914, ha una storia intessuta di prove ed eroismi, tribolazioni e benedizioni. Intemperie climatiche, malattie, opposizione di capi e ufficiali governativi, ecc. misero a dura prova la salute e la pazienza dei missionari per molti anni. A causa dell'insalubrità della regione, la tribù Belanda dovette spostarsi e la missione fu trapiantata per ben tre volte; P. Broggini poi la trapiantò ancora una volta. I frutti di tanti stenti si fecero attendere. Solo verso il 1930 si incominciò a notare un notevole movimento verso la fede cristiana. «Nel 20° della fondazione (1934) i battesimi solenni sono 666, nel 25° (1939) raggiungono quasi il doppio, 1160; dopo 5 anni sono di nuovo quasi raddoppiati, 2077; ed ora che scrivo (gennaio 1947) arrivano a 2467. A favorire tale sviluppo contribuirono la migliorata organizzazione catechistica, l'apertura di cappelle nei vari centri della popolazione, lo sviluppo dato alle scuole... Mentre scrivo mi giunge all'orecchio la voce di 300 catecumeni che si preparano al S. Battesimo. Sono divisi in 6 classi e ci sono rappresentati tutti i gradi della vita... 25 catechisti nei villaggi preparano altri 200 catecumeni; 120 ragazzi riempiono fino all'impossibile le nostre insufficienti scuole elementari. Altre 6 scuolette nei vari centri cristiani attendono all'istruzione di altri 300 allievi. Nelle 17 cappelle sparse su 200 km. di strada si raggruppano a pregare i 2200 cristiani viventi» (da una sua relazione nel BOLLETTINO, n. 27, p. 732) . Per il suo zelo e la sua dedizione, si guadagnò non solo l'affetto dei Belanda, ma anche la stima dei confratelli, che lo elessero delegato della loro Regione al Capitolo Generale della Congregazione nel 1937 e di nuovo nel 1953. Nel 1956 P. Broggini fu espulso dal Sud Sudan e non vi ritornò più, ma conservò una profonda nostalgia di quelle «vecchie e prime missioni, quelle che furono veramente Comboniane». Dopo un periodo di attesa in Italia, fu mandato come Superiore a San Sebastian, in Spagna, dove dal 1954 esisteva una nostra piccola comunità che attendeva all'assistenza religiosa di un monastero di Visitandine e si dedicava all'animazione missionaria, specialmente attraverso la rivista «Aguiluchos». Quanto era attento alle necessità dei singoli confratelli, altrettanto era rigido per «evitare il pericolo di introdurre tradizioni meno corrette» nella disciplina della casa. Nella primavera del 1962 fu mandato come cappellano degli italiani che costruivano la diga di Kasm el Girba sul fiume Atbara, tra Kassala e Gedaref nel Sudan nord-orientale. Un apostolato molto difficile, che svolse con puntiglio e prudenza, curando la «parte spirituale» degli operai e delle maestranze con il suo forte interesse all'aspetto sociale e aziendale. Il titolare dell'impresa, Ing. Torno, gli espresse la simpatia e la stima di tutto il personale del cantiere. Padre Broggini, che non smentisce mai se stesso, riferendosi anche ad apprezzamenti giuntigli in quei giorni dalle Visitandine di San Sebastian, scrive al P. Generale: «Mi fa ridere il vedere esageratamente sopravvalutato il mio povero lavoro... Se il Signore, che è verità, potesse darmi il centesimo delle lodi umane, mi reputerei fortunato... In maggio, per invito di P. Rizzi, feci e diedi gli esercizi spirituali ai Padri e alle Suore del Comboni, che mi hanno tanto edificato». In successive lettere chiede immagini sacre e crocifissi da distribuire ed appendere nelle baracche degli operai. Chiede anche la visita di un Padre di Khartoum «per aiutare me nel lavoro non eccessivo, ma per dare libertà a questi poveri italiani per la S. Pasqua e a me la possibilità di confessarmi. Finora ho potuto confessarmi ogni mese. Gli operai mi vogliono bene; vorrei che mi ascoltassero di più». Le sue lettere rivelano alcuni aspetti del suo animo profondamente buono, che solo chi lo conosceva bene poteva scoprire dietro ai suoi atteggiamenti ruvidi e talvolta irritanti. Al Padre Generale dà un resoconto esatto della sua situazione finanziaria, chiede il permesso di trattenere una piccolissima parte del suo salario e mette il resto a disposizione dei confratelli ammalati a Verona. A Kasm el Girba e più tardi a Roseires e Aroma, era solo e lontano dai confratelli, ma non cessò mai di considerarsi legato alla Congregazione e alle sue regole. Alla fine del 1964 ritornò in Italia e fu addetto alla chiesetta di Via Pasta a Milano, ma dopo pochi mesi ottenne il permesso di ritornare in Sudan. Rimase nella zona di Khartoum e fu superiore a Khartoum North e a Shambat, procuratore regionale e cappellano degli Italiani ad Aroma. La sua salute andava deperendo sensibilmente e parecchie volte dovette ritornare in Italia per brevi periodi di cura, fino a che nel 1976 dovette abbandonare definitivamente l'Africa. Passò gli ultimi anni quasi sempre a Milano o Gordola. Costretto all'inazione da due infarti, uno a Milano nel 1978 e uno a Gordola nel 1979 (eccetto quando era richiesto per il ministero delle confessioni per il quale era sempre disponibile in casa e fuori), la sua mente acuta si occupò e preoccupò eccessivamente dei grandi cambiamenti avvenuti nella società e nella Chiesa durante gli ultimi anni. Attaccato, com'era, a quelle tradizioni di vita religiosa e di fede intensa che aveva vissuto per tanti anni, non riuscì a condividere il rinnovamento conciliare e questo suo disagio a volte si esprimeva in giudizi molto severi - anch'essi segno del suo appassionato attaccamento alla fede, alla Chiesa e alla Congregazione. Certe tendenze pericolose nel campo della dottrina, certe esagerazioni o interpretazioni errate (almeno secondo lui) dei documenti capitolari e conciliari, certi abusi nella liturgia o nel comportamento dei sacerdoti e religiosi... lo irritavano e accendevano il suo spirito battagliero, e in quei momenti cercava qualunque occasione per lanciare le sue frecciate. Un esempio ricordato da lui stesso: «Dopo una di queste baraonde liturgiche con chitarre e tamburi dissi agli scolastici che il loro tamburo era l'esatto simbolo della loro testa - il vacuo tra due pelli d'asino». Rispondendo ad uno scolastico che aveva osato censurarlo, P. Broggini, allora Probus Vir, della Regione di Khartoum si firmò «P. C. Broggini, Prob(um) Vir(us) », e ne diede la spiegazione nel poscritto: «Il Probus Vir di Khartoum si è ricordato di essere anche PROBUM VIRUS. Nelle nostre lingue nilotiche e sudaniche la stessa parola che significa veleno, significa anche medicina, rimedio. Con questa intenzione la presente lettera fu scritta e va intesa». Possiamo credere che tutte le battaglie di questo «burbero benefico» erano ispirate dalla stessa intenzione. Mi sembra doveroso riferire che circa un anno fa P. Broggini assicurò il Padre Generale «di essere contento e soddisfatto fondamentalmente del nuovo nome della Congregazione e anche della linea che il Capitolo in modo generale aveva preso: la fondazione comboniana e l'ispirazione al Cuore di Gesù». Nel 1978 scriveva a P. Peano, Vicario Generale: «I passi fatti ultimamente (= apertura al Sud Sudan, N.d.R.) e la partenza di P. Nebel mi danno una grande consolazione e mi riaprono alla speranza. Amo il Sud Sudan, la mia prima missione. Sono sempre pronto a tornare là dove ho lavorato in passato e ne farò richiesta appena il cuore e il medico me lo permetteranno». Aveva 74 anni. Il medico non glielo permise e il cuore, provato a lungo da mille stenti e sofferenze, cedette e gli aprì le porte del Cielo.
(P. Felice Centis, mccj)
Da Mccj Bulletin n. 134, gennaio 1982, pp.70-73