«1910 Primavera: frequentavo il I° corso di Teologia a Graz quando il Rev. P. Zorn, reduce dalla missione del Sudan (Kayango e Lul), ci tenne una conferenza con proiezioni sulla vita missionaria. Sentivo già poca attrattiva per la vita da prete secolare e mi sentii subito chiamato alla vita missionaria. Ne parlai col mio confessore francescano, già missionario in Cina. Mi incoraggiò nel mio desiderio, ma mi raccomandò di entrare in un istituto missionario religioso coi voti... Siccome mi sentivo inclinato alla missione della Nigrizia, decisi di fare domanda per essere accettato nell'Istituto di Verona e andai a Messendorf (Graz), dove in quel tempo era Superiore P. Wilfling e dove si trovava in vacanze P. Zorn, per procurarmi l'accettazione del Superiore Generale. Tutti e due mi consigliarono di fare domanda. Fui accettato da P. Federico Vianello per il Noviziato di Verona.
A Verona
Alla fine dell'anno scolastico ne informai il Rettore del Seminario. Cominciarono le perplessità intorno alla mia scelta. Il Rettore era contrario alla scelta dell'Istituto di Verona di origine «scura». P. Zorn mi aveva detto che era stato fondato da dei Gesuiti per la missione del Sudan. Secondo il Rettore quell'Istituto rimanda i missionari ammalati alle loro case, come hanno fatto col P. Dichtl da lui conosciuto. Mi disse di pensarci bene sopra prima di decidermi.
Mi decisi ad andare a Verona. Sentivo un’inclinazione fortissima verso Verona, senza sapermela spiegare. Si continuava a dissuadermi - non dai miei genitori che soffrivano in silenzio - ma dal parroco che diceva alla gente che io ero un matto. Le mie perplessità durarono fino a Settembre, ultimo mese delle vacanze; non mi sentivo ancora deciso sul da farsi. Un giorno, durante la S. Messa, domandai al Signore colla massima insistenza qualche segno chiaro sulla via da prendere. Ritornato a casa mi incontrai alla porta col postino che mi consegnò una cartolina coll'invito di P. Vianello a venire possibilmente in settembre per fare gli Esercizi Spirituali in preparazione alla Vestizione. Vi vidi il segno chiesto e per cominciare con un atto di ubbidienza volli arrivare ancora in settembre, cioè il 30 settembre 1910. Per grazia di Dio in tutta la mia vita non ho mai avuto un dubbio sulla mia vocazione missionaria nel nostro Istituto».
(Così lo stesso P. Nebel parla della sua vocazione missionaria in «Ricordi degli anni 1910-1971»).
La tinozza gelata
Nato a Kòflach (Graz, Austria) da Francesco e da Veronica Woldrich il 12.12.1888, fu battezzato lo stesso giorno della nascita in casa dal suo stesso papà, «...essendo assai debole, mio padre temeva che campassi nemmeno un paio di giorni per portarmi in chiesa per il Battesimo, e per assicurare il Paradiso al suo primogenito mi battezzò lui stesso e tacque e fui poi battezzato un'altra volta dal Curato...» (Ricordi pag. 55).
Arturo non era un colosso di salute, anzi era di costituzione fisica piuttosto cagionevole. Prima di compiere gli undici anni, ben quattro volte era stato colpito dalla polmonite, nonostante le cure della madre che lo teneva al riparo dalla neve e dalla pioggia. Ma il padre, stanco di vedere il suo primogenito chiuso come in una serra, sperimentò una sua cura: un mattino in cui il figlio aveva febbre alta lo tirò fuori dal letto caldo e lo tuffò in una tinozza di acqua gelata che si trovava in cortile, poi subito lo ricoprì con un piumino molto caldo. La guarigione fu immediata.
Terminate le elementari, Arturo sentì la vocazione sacerdotale. Per prepararsi ad entrare in Seminario, frequentò le scuole superiori in una cittadina a 6 km. dal suo paese. Partiva al mattino con la cartella e il tascapane e tornava alla sera, sempre a piedi. «Non ho mai perso un giorno di scuola. Neanche quelle mattine in cui il termometro all'ingresso dell'edificio segnava meno 20. La cura della tinozza gelata era stata efficace».
Al confino
Dopo le medie, Arturo entrò nel seminario di Graz, da dove passò a Verona. Fece la vestizione il 1° novembre 1910 e la professione due anni dopo; il 9 agosto 1914 fu ordinato sacerdote. L'Austria era già in guerra, ma il p. Vianello volle che andasse al suo paese per dare questa consolazione ai genitori. Fu una festa intima, di famiglia, ma alla messa solenne della domenica predicò il p. Wilfling.
Ritornato frettolosamente in Italia, fu a Verona e Roma, finché, come austriaco, fu confinato in Sardegna, imbarcandosi il 10 ottobre 1917 per Golfo Aranci. Il facchino che gli portava la valigia, lo accompagnò direttamente in Seminario, dove il vescovo di Nuoro, a corto di professori, richiamati sotto le armi, gli affidò l'insegnamento di greco, matematica e altre materie, secondo il bisogno. E dire che durante il noviziato aveva espresso le sue due difficoltà ad accettare la volontà di Dio a suo riguardo: trovarsi in paese nemico, in caso di guerra, e fare l'insegnante in Europa. Gli toccarono tutte e due!
Tra i Dinka
Restò in Sardegna fino al febbraio 1919, quando poté rientrare a Roma e, dopo una visita alla famiglia, fu inviato a Thiene e a S. Vito al Tagliamento; nel 1921, dato che non poteva avere subito il permesso per il Sudan, fu inviato ad Ellwangen (Würtemberg), finché nel 1923 fu destinato ad aprire la prima stazione tra i Dinka con p. Olivetti. Ne fece la prima conoscenza sul battello da Khartoum a Wau. «Mi ero appena ritirato in cabina, stanco di guardare il paesaggio monotono, quando p. Firisin mi chiamò fuori, indicandomi un esemplare di quella tribù. Era un pastore che custodiva la sua mandria di bovini presso il fiume, vestito nel costume nazionale, fermo su una gamba sola, e l'altra appoggiata al ginocchio, appoggiato alla sua lancia. Tutto intento alla guardia della sua mandria, non degnò neppure di uno sguardo il battello con i suoi 5 barconi a rimorchio».
La prima stazione tra i Dinka fu aperta per espresso desiderio di p. Meroni e invito delle autorità locali, che volevano far breccia tra i Dinka. Ma sul posto i missionari temevano per l'insalubrità del clima, giudicato peggiore di altre località, e dove pure erano morti molti missionari. Invece tra i Dinka, in 40 anni circa, vi morì soltanto una suora.
Quando arrivò a Wau alla fine di agosto 1923, la zona Dinka era allagata. La fondazione della prima missione a Kwajok avvenne il 31 dicembre 1923. Non furono inizi facili. Nell'ottobre del 1924, recatosi a Wau per far provviste, p. Nebel si vide affidare dal commissionario due ragazzi Dinka per la scuola: due ragazzi orfani raccolti dall'ufficiale inglese. «Ritornai con loro al nostro "porto", una casetta sulla sponda del fiume Jur, meno allagata del resto. Erano i primi catecumeni Dinka. In novembre venne in visita mons. Stoppani, che ci portò la compagnia di un Fratello. Durante la stagione asciutta ci visitò il governatore a cavallo, con una trentina di portatori. Si mostrò soddisfatto per l'impianto, meravigliato di vedere al lavoro anche i Dinka. La stessa meraviglia espressero anche vari ufficiali dei distretti vicini, che mai prima di allora si erano adattati al lavoro e a fare da portatori.
35 anni di missione
P. Nebel venne in Europa in vacanza e per salute nel 1933 e nel 1948. Ma il 31 dicembre 1948 fu invitato a Kwajok per il 25° della fondazione, cantò la messa solenne e fu «l'eroe del giorno»! In 25 anni si contavano oltre 2.000 battesimi, 80 matrimoni, 800 catecumeni, e l'avvio di altre due stazioni tra i Malual e i Tuie, a Nyamlel e Mayen. Non vi furono conversioni in massa, data la diffidenza e l'ostinazione propria di tribù di pastori. Ci si aspettava di peggio, dopo l'esperienza tra gli Scilluk. Infine trionfò la grazia e i progressi migliori di quanto ci si aspettasse.
P. Nebel fu in seguito per qualche tempo a Rumbek e al Bussere. Nella primavera del 1955 passò a Warap, dove rimase due anni. Tra l'ottobre 1957 e il marzo 1958 passò successivamente a Raffili, Bussere, Aweil e Wau finché, dopo un passaggio da Tonj a Thiet, il 30 agosto 1958 rimpatriò. «Che ricordi, e che nostalgia! Avevo il presentimento che non vi sarei più ritornato. Quanti distacchi in 35 anni, senza dimora stabile negli ultimi 10 anni, come gli Apostoli, qua e là. Riandando colla fantasia agli eventi lieti e tristi della mia vita missionaria, avevo un rimorso: di non aver saputo trovare un metodo adatto alle condizioni del popolo. Finora si era badato soprattutto all'educazione scolastica della gioventù. Gli scolari venivano da lontano, ed erano alloggiati, nutriti, vestiti alla scuola. Fatte poche eccezioni, non volevano più ritornare poi alla vita stentata dei villaggi. Quasi tutti cercavano impiego come scrivani, infermieri, veterinari, soldati o nella polizia. I villaggi conservavano il loro aspetto tradizionale, senza chiari segni di vita cristiana. Fu una partenza amara».
Impaziente di morire
In Italia fu assegnato a varie comunità come confessore, specialmente a Venegono e Roma. La vista che andava attenuandosi e l'udito che l'obbligò all'uso di un apparecchio (che però quasi mai usava), non gli permettevano molte attività di ministero. Comprese che avrebbe dovuto aiutare l'opera missionaria tra i suoi Dinka soprattutto con la preghiera. «Ma se sapessi pregare bene e sempre! Ma la mia testa! La mia povera testa!».
«Un altro guaio: il pensiero della morte mi cagiona alle volte una vera gioia! Ma perché? Mi pare vi entri molto l'impazienza nel portare le debolezze della vecchiaia... In fondo, non porto la croce imposta dal Signore a mezzo delle miserie della vecchiaia e dico quasi: sono stufo di questa vita, Signore, lasciami venire!»
Sentì molto il distacco dei giovani, e dei cristiani in genere, dallo spirito della Chiesa, quasi di abbandono del sacro e della fede, teologi compresi, e la mancanza di vocazioni. Sentiva vivamente che il mondo era malato, e che avrebbe potuto guarire soltanto con un ritorno totale e sincero al Vangelo, praticato integralmente.
Mentre era a Roma fu affetto da una indisposizione abbastanza grave, e data anche la sua età, volle ricevere il sacramento degli infermi, ma in forma solenne, dal parroco, presente tutta la comunità, perché gli sembrava di dover dare questo esempio. Invece si riebbe e fu mandato al centro assistenza malati di Verona, sempre sognando il suo Sudan e i suoi Dinka. E la Provvidenza gli apri la strada.
Gol al 90°
Uno dei suoi allievi, divenuto ministro della cultura e informazione nel Sudan meridionale, gli ottenne il permesso di entrata come esperto della lingua Dinka. E così, a 90 anni, il 20 gennaio 1978 p. Nebel prese l'aereo che lo portò a Khartoum. Un suo compagno di missione, abbracciandolo, in segno di addio gli disse: «Tu parti perché sei un missile pieno di combustibile. Il combustibile è l'amore per il Signore e per le anime».
Purtroppo il caro padre dovette rientrare, questa volta per motivi di salute. Il 23 maggio 1980 ritornò al centro ammalati di Verona, dove il Signore lo chiamò a sé il 10 aprile 1981. Le ultime parole scritte con la sua mano malferma sul suo taccuino di note personali sono: «Deo gratias!».
Quanto scritto potrebbe far supporre che la sua sia stata una vita idilliaca, un tranquillo passaggio attraverso il tempo e le vicende umane. In realtà fu ben diversa. Piccolo ed esile di statura, aveva una vitalità vivacissima, e spesso esplodeva. Chi lo conosceva lo lasciava sfogare, e tutto tornava come prima, come se nulla fosse successo, anche se era tenace nelle sue idee.
Bisognava saperlo comprendere e lasciarlo sfogare, ma la sua lunga vita è caratterizzata da frequenti impennate e incomprensioni. Ciò spiega anche i suoi frequenti passaggi da una comunità all'altra. Ma sempre, dominante su qualunque sua esuberanza di carattere, emergeva il suo spirito di fede, la sua pietà, la sua dedizione al lavoro, anche materiale, specialmente negli ultimi anni, in cui si occupava delle api e dell'orto, attività cui poteva dedicarsi nonostante le sue menomazioni di vista e udito.
Ma p. Nebel, nonostante la sua corporatura bassa e mingherlina, sarà ricordato come «grande» fra una tribù di giganti, per il suo amore al popolo Dinka e per i suoi studi di lingua ed etnografia della tribù.
Nota: Diamo una lista dei libri di p. Nebel che sono stati pubblicati:
dinka dictionary, Verona 1954, pp. 504.
dinka folklore, in Archiv für Cölkerkunde, pp. 27, 69-144.
dinka-english e english-dinka dictionary, EMI, Bologna 1979, pp. 206.
dinka grammar (Rek-Malual), Verona 1978, pp. 563.
i dinka sono così, e in tedesco mein leben unter den dinka, EMI, Bologna1968, pp. 270.
Inoltre vi sono vari altri scritti ciclostilati, specialmente per uso scolastico, come testi di lettura ecc.
(a cura di P. Leonzio Bano. mccj)
Da Mccj Bulletin n. 133, ottobre 1981, pp.70-74
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P. Nebel Artur (12.12.1888 – 10.04.1981)
„Frühling 1910: Ich hatte gerade mein Theologiestudium im Priesterseminar von Graz begonnen, als uns der Sudanmissionar P. Bernhard Zorn einen Missionsvortrag hielt und Lichtbilder zeigte. Schon damals zog mich das Leben eines Diözesanpriesters nicht besonders an, wohl aber der Missionsberuf. Ich sprach mit meinem Spiritual, einem ehemaligen Chinamissionar. Dieser ermutigte mich dazu, gab mir aber den Rat, ein Missionsinstitut mit Gelübden zu wählen. Da ich mich von der Nigrizia-Mission angezogen fühlte, entschloss ich mich, um Aufnahme in Verona anzusuchen und begab mich nach Messendorf. P. Wilfling war damals der Hausobere und P. Zorn machte dort Urlaub. Beide rieten mir, an den Generaloberen zu schreiben und um Aufnahme zu bitten. P. Federico Vianello nahm mich ins Noviziat von Verona auf.
Am Ende des Schuljahres informierte ich den Seminarregens. Nun aber begannen die Schwierigkeiten. Der Regens widersetzte sich der Wahl des Instituts von Verona wegen seines “unklaren” Ursprungs. P. Zorn hatte mir gesagt, dass es von Jesuiten für die Sudanmission gegründet worden war. Der Regens behauptete zudem, dass jenes Institut die Missionare nach Hause schickt, wenn sie krank werden. So hätten sie es mit P. Dichtl gemacht, den er gut kannte. Ich solle mir die Sache gut überlegen.
Ich aber entschied mich für Verona. Ich fühlte mich unwiderstehlich dorthin gezogen, ohne aber zu wissen warum. Mir wurde aber weiterhin von Verona abgeraten – nicht von meinen Eltern, die innerlich litten – aber von meinem Pfarrer, der zu den Leuten sagte, ich sei verrückt. Meine Unsicherheiten dauerten bis September, meinem letzten Ferienmonat. Ich war immer noch unentschlossen. Eines Tages bat ich den Herrn bei der heiligen Messe, mir ein klares Zeichen zu geben, welchen Weg ich wählen soll. Als ich nach Hause kam, traf ich vor der Haustür den Briefträger, der mir eine Postkarte von P. Vianello überreichte. Dieser lud mich ein, womöglich im September zu kommen, um an den Einkleidungsexerzitien teilnehmen zu können. Das war das Zeichen, um das ich den Herrn gebeten hatte. Um mit einem Gehorsamsakt zu beginnen, wollte ich am 30. September 1910 in Verona sein.“ (P. Artur Nebel).
P. Artur wurde in Köflach, Graz, Österreich am 12. Dezember 1888 geboren. Das Kind wurde am gleichen Tag zuhause von seinem Vater getauft. Es war nämlich sehr schwächlich und der Vater fürchtete, dass es bis zur Taufe in der Kirche zu spät sein könnte. Zudem wollte er seinem Erstgeborenen den Einzug ins Paradies sichern. Er hat davon zu niemandem etwas gesagt, so dass das Kind dann auch vom Kuraten in der Pfarrkirche getauft wurde.“
Der junge Artur spürte schon länger den Wunsch, Priester zu werden. Um sich auf den Eintritt ins Seminar vorzubereiten, besuchte er in einem nahe gelegenen Städtchen die Mittelschule. Nach ihrem Abschluss wurde er im Knabenseminar von Graz aufgenommen und vom Priesterseminar begab er sich dann nach Verona. Am 1. November 1910 wurde er eingekleidet und legte zwei Jahre später am 1. November 1912 die zeitlichen und am 1. November 1915 die ewigen Gelübde ab. Am 9. August 1914 wurde er zum Priester geweiht. In Österreich war bereits der erste Weltkrieg ausgebrochen. P. Vianello drängte den Neupriester, trotzdem in seine Heimat zu fahren, um mit seinen Eltern und seinen Verwandten die Primiz zu feiern. P. Wilfling hielt die Festpredigt.
Eiligst kehrte er nach Italien zurück und begab sich nach Verona und dann nach Rom. Nachdem er österreichischer Staatsbürger war, wurde er 1917 nach Sardinien verbannt. Der Gepäcksträger begleitete ihn bis zum Seminar. Der Bischof der Diözese Nuoro war damals auf der Suche nach Professoren, da einige zum Militär einberufen worden waren. Er bat P. Nebel, Griechisch, Mathematik und andere Fächer nach Bedarf zu unterrichten. Im Februar 1919 konnte er nach Rom zurückkehren. Nach einem kurzen Besuch in seiner Heimat, wurde er nach Thiene und San Vito al Tagliamento versetzt. 1921 kam er nach Ellwangen, da die Einreiseerlaubnis in den Sudan auf sich warten ließ.
1923 reiste er in den Sudan aus, um mit P. Olivetti die erste Missionsstation unter dem Dinkastamm zu eröffnen. Bei der Teilung der Kongregation hatte er sich für den italienischen Zweig entschieden. Die erste Mission unter den Dinka wurde auf ausdrücklichen Wunsch von P. Meroni und auf Einladung der Kolonialbehörde gegründet, um den Stamm auf ihre Seite zu bringen.
Als P. Nebel im August 1923 in Wau ankam, stand das Gebiet der Dinka unter Wasser. Am 31. Dezember 1923 wurde die Mission Kwajok gegründet. Die Anfänge waren schwierig. Im Oktober 1924 reiste P. Nebel nach Wau, um Lebensmittel einzukaufen. Dort vertraute ihm der Kommissär zwei Dinkabuben für seine Schule an: zwei Waisen, um die sich der englische Beamte angenommen hatte. Die beiden waren die ersten Dinka-Katechumenen. Im November besuchte Mons. Stoppani die Mission und brachte einen Bruder mit. Während der Trockenperiode stattete auch der Gouverneur der Mission einen Besuch ab. Er war überrascht vom Fortschritt der Mission und wunderte sich, Dinka bei der Arbeit zu sehen.
P. Nebel kam 1933 und 1948 nach Europa auf Heimaturlaub und für eine gründliche ärztliche Untersuchung. Am 31. Dezember 1948 kehrte er nach Kwajok zurück, um das goldene Gründungsjubiläum der Mission zu feiern. P. Nebel war der Held des Tages. In den 25 Jahren wurden 2000 Taufen gespendet, 80 Ehen geschlossen und 800 Katechumenen bereiteten sich auf die Taufe vor. In dieser Zeit wurden auch die Missionen Nyamlel und Mayen eröffnet. Massenbekehrungen hat es nie gegeben, denn die Hirtenvölker sind misstrauisch und starrköpfig. Nach den Erfahrungen mit den Schilluk, hatte man sich alles schlimmer vorgestellt. Schließlich hat die Gnade Gottes triumphiert und die Erfolge übertrafen die Erwartungen.
Anschließend wurde P. Nebel in mehreren Missionen eingesetzt, bis er am 30. August 1958 nach Europa zurückkehrte. In Italien arbeitete er in verschiedenen Häusern als Lehrer, besonders in Venegono und Rom. Eine auftretende Schwerhörigkeit und schwindende Sehkraft erlaubten es ihm nicht mehr, Aushilfen zu übernehmen. So betrachtete er immer mehr als seine Aufgabe, für die Dinka zu beten. Er litt sehr darunter, dass sich die Jugend und die Christen ganz im Allgemeinen immer mehr von der Kirche entfernten und die Berufe abnahmen. Wegen gesundheitlicher Probleme wurde er ins Krankenzentrum von Verona gebracht. Er träumte aber ununterbrochen, noch einmal in den Sudan und zu den Dinka zurückkehren zu dürfen. Die Vorsehung öffnete ihm dazu den Weg.
Einer seiner Schüler, der Kultur- und Informationsminister im Südsudan wurde, verschaffte ihm die Erlaubnis, als Fachmann der Dinka-Sprache einzureisen. Im Alter von 90 Jahren, am 20. Januar 1978, bestieg er das Flugzeug, das ihn nach Khartum brachte. Einer seiner Mitmissionare umarmte ihn und verabschiedete sich mit den Worten: "Du reist ab, da du eine Rakete voller Treibstoff bist. Der Treibstoff ist Liebe für den Herrn und die Seelen".
Leider musste der gute Pater aus gesundheitlichen Gründen bald den Sudan wieder verlassen. Am 23. Mai 1980 kam er im Krankenzentrum von Verona an, von wo ihn der Herr am 10. April 1981 in sein himmlisches Reich holte. Die letzten Worte, die er mit zittriger Hand in sein Notizbuch geschrieben hatte, waren: "Deo gratias!"
Dieser Nachruf könnte den Eindruck erwecken, das Leben von P. Nebel sei eine Idylle, ein ruhiger Gang durch die Zeit und die Geschichte gewesen. In Wirklichkeit war es ganz anders. Er war klein und schmächtig, aber äußerst lebhaft und brauste leicht auf. Wer ihn kannte, erlaubte ihm, den Dampf abzulassen, und bald kehrte wieder Ruhe ein, als ob nichts geschehen wäre. Er konnte aber hartnäckig an seinen Ideen festhalten. Man musste ihn zu nehmen wissen. Sein langes Leben war gekennzeichnet von häufigen Höhen und Tiefen. Dies erklärt auch seinen häufigen Wechsel der Gemeinschaft. Aber sein Glaubensgeist, seine Frömmigkeit, sein Arbeitseifer, auch bei körperlichen Arbeiten, behielten immer die Oberhand.
P. Nebel wird aber trotz seiner kleinen und schmächtigen Gestalt beim Stamm von Riesen (Dinka) als "Großer" in Erinnerung bleiben, dank seiner Liebe zum Volk und seines Beitrags zum Studium der Sprache und Ethnographie. R.I.P.
P. Alois Eder