In Pace Christi

Capovilla Agostino

Capovilla Agostino
Data di nascita : 27/07/1898
Luogo di nascita : Crespano del Grappa TV/I
Voti temporanei : 01/11/1915
Voti perpetui : 11/02/1921
Data ordinazione : 24/07/1921
Data decesso : 08/11/1975
Luogo decesso : Verona/I

Nato a Crespano del Grappa (Treviso) il 27.7.1898, dopo la seconda liceale frequentata nel Seminario di Padova, entrò nel Noviziato della nostra Congre­gazione a Verona e ricevette l'abito religioso 1’1.11.1913. Due anni più tardi emise i primi voti.

Dopo la parentesi del servizio militare, durante la prima guerra mondiale, fece la professione perpetua l’11 febbraio 1921 e venne ordinato sacerdote il 24 luglio 1921.

Questi i semplici dati anagrafici che registrano solo le tappe salienti che con­ducono al sacerdozio. Non ci dicono - non ce lo possono dire - le tappe che P. Agostino percorse per arrivare a quella perfezione religiosa e sacerdotale che quanti ebbero la fortuna di conoscerlo negli ultimi anni della sua vita, possono testimoniare.

Alte e delicate cariche

Non c'è bisogno di tessere l'elogio della sua vita perché i suoi esempi ri­marranno indelebili nella nostra mente. È una figura, la sua, che lascia un vuoto profondo nella Congregazione perché egli ha vissuto per più dì cinquanta anni la vita della Congregazione occupando cariche numerose e spesso delicate.

Cominciò, subito dopo l'ordinazione, con l'essere segretario dell'allora Supe­riore Generale P. Paolo Meroni. Visse e soffrì le dolorose vicende della separa­zione dei confratelli di lingua tedesca, ma ebbe la gioia di vedere, prima della sua morte, i primi passi decisivi verso la riunione.

Nelle successive cariche di Economo Generale, Direttore di Nigrizia, Vicario Generale, Procuratore Generale, Superiore Regionale in Egitto e in Etiopia, di­mostrò un carattere forte, un ingegno non comune, sode virtù, un attaccamento amoroso alla Congregazione.

Ma dove P. Capovilla lasciò un'impronta spiccata fu nella formazione dei missionari, nel lavoro assiduo per la causa di beatificazione di Mons. Comboni, nella dedizione al dovere.

Molti furono formati all'apostolato missionario dalla sua pedagogia che aveva per direttive il Vangelo e la propria abnegazione. La sua mano era forte, ma non pochi gli scrivevano anche ultimamente, attestandogli la loro gratitudine. Il suo impegno per la beatificazione di Mons. Comboni si è tradotto in un lavoro fatto seriamente e in profondità. Amava Mons. Comboni e confidava in lui come un figlio si confida al proprio padre. Da lui anzi ricevette speciali grazie personali.

Uomo del dovere

P. Capovilla è stato anche uomo del dovere. Era instancabile nel lavoro e nella preghiera, le due preoccupazioni primarie di un missionario. Il tutto e sempre per la gloria di Dio e il bene delle anime.

Gli ultimi sei anni della sua vita, trascorsi nel segreto del confessionale nella Chiesa di S. Tornio a Verona, affinarono la sua anima. Dio lo preparava per l'incontro finale.

Il suo cuore era pieno di amore per Gesù nell'Eucarestia e prima di ritirarsi in camera per il riposo passava almeno un quarto d'ora in Chiesa davanti al Tabernacolo. Finita l'adorazione si recava all'altare della Madonna a dare l'ultimo saluto della giornata alla Mamma Celeste. L'amore che aveva per Gesù si sforzava di trasmetterlo alle anime che si accostavano al suo confessionale. Ed erano nu­merose, specialmente i sacerdoti ricorrevano al suo ministero di riconciliazione. E non si può dire che fosse di manica larga. Ciò che attirava i penitenti al suo confessionale era il fascino delle sue virtù sacerdotali.

Dal cielo, ora, continui la sua opera di intercessione di pace alle anime nostre che avvertono la mancanza della sua presenza ma si confortano al pensiero che egli rimane unito a noi nella grande luce di Dio.

P. G. Briani, FSCJ

 

Vorremmo aggiungere qui la testimonianza stilata da P. Leonzio Bano che conobbe P. Capovilla per molti anni e da vicino.

 

Lo conobbi - scrive il Confratello - la prima volta a Brescia, quando mi trovavo nella scuola apostolica verso il 1917-18 e frequentavo il ginnasio al Collegio Arici. Lo scolastico Salazer (quello noto per la musica) ci indirizzava allo scolastico Capovilla per i nostri problemi di scuola, specie per le traduzioni latine.

In guerra

Capovilla era allora soldato di artiglieria. Appena poteva usufruire d'una licenza, si recava a Savona, dove era il noviziato, per incontrare il suo ex P. Mae­stro, P. Bernabé, uomo d'acciaio che lo aveva fortemente plasmato, e poi a Bre­scia, dove si trovava P. Vianello. I nostri religiosi, anche novizi, anziché trascor­rere la licenza in famiglia, venivano quasi tutti a passare almeno alcuni giorni nella casa religiosa.

Ricordo che egli ci descriveva i giorni terribili dell'offensiva del giugno 1918, quando stava per cedere il fronte del Piave-Montello-Grappa. Diceva che i can­noni sparavano in continuità, giorno e notte, sul Piave per distruggere ponti e passerelle nemiche, fino a diventare incandescenti.

Gli spari, i disagi, il maltempo di quei giorni provocarono a Capovilla, ancora scolastico, un'otite purulenta, per cui fu mandato all'ospedale e un dottore o chirurgo militare l'operò all'orecchio, per togliere la causa dell'infezione. Nel fare il taglio alla guancia gli recise uno dei nervi facciali, per cui rimase con la bocca storta. Si cercò di riparare il guaio con altri interventi, ma sia per l'arre­tratezza dei mezzi di allora che per l'imperizia dell'operatore, la bocca rimase storta. Fu questa una menomazione che gli fu di grave ostacolo e forse gli pre­cluse la via a posti di maggiore responsabilità. Egli tuttavia la sopportò con di­sinvoltura. Per questo si lasciò la barba, ma non riusciva a coprire il difetto soprattutto quando rideva, e il suo sorriso non era mai... dolce, ma quasi ironico, senza colpa sua, si capisce.

Perdette anche completamente l'uso d'un orecchio, per cui confessando o parlando doveva voltare l'orecchio «buono», altrimenti non capiva.

Prima dell'operazione era un bel giovanotto, alto, slanciato, che faceva la sua bella figura, sia in divisa militare che con la veste. Dopo la menomazione fisica sembrò molto deperito in confronto di prima.

Lavoratore instancabile

In questo periodo fu a lungo a Brescia in convalescenza. Alla fine, congedatosi, andò con gli scolastici a Verona, dove fu ordinato nel 1921 con P. Uberti e P. Tomasin.

Fui con P. Capovilla a Verona dal 1921 (ottobre) al 1927. Con la partenza di P. Uberti per la missione del Bahr el Ghazal prese la direzione di NIGRIZIA nel 1922. Più tardi, con la partenza di Fr. Cagol che fungeva da economo a Ve­rona, lo sostituì come economo della casa e, poi nel 1921 assunse l'interim del­l'economato generale, perché P. Bertola, il titolare, era entrato tra i camaldolesi.

Il suo lavoro in questo periodo fu intensissimo essendo il solo Padre della casa in grado di aiutare P. Meroni, P. Vianello, P. Vignato e P. Heymans. Lui solo si prestava per il servizio, allora pesante, di Messe, funzioni, benedizioni alla sera, confessioni in casa e fuori. Alle volte dopo una giornata intensissima, leggeva le preghiere della benedizione con voce stanca. Lo si vedeva sfinito dal lavoro, ma era sempre pronto e disponibile; non si tirava mai indietro. Passarono degli anni prima che altri fossero disponibili.

La causa di Mons. Comboni

Nel 1923 usci la biografia di Mons. Comboni scritta dal Grancelli, monumento e fonte autorevole che sfondò parecchi ostacoli. P. Capovilla, come direttore della tipografia, ne corresse anche le bozze.

Iniziato il processo per la causa di beatificazione del Comboni, il lavoro gravò soprattutto sulle spalle di P. Capovilla. A Verona prima, poi in Egitto e a Khartoum, lavorò a nome e per incarico dei rispettivi ordinari. Col caldo di questi paesi, cercare ed ascoltare i vari testimoni, vagliarne le deposizioni, quasi tutte per interprete, valutarle, scriverle a mano, fu un lavoro opprimente. Ma P. Ca­povilla lo portò a termine felicemente.

Nel frattempo, d'accordo col Superiore Generale P. Meroni e P. Villa, Procu­ratore della missione di Khartoum per il sud, esaminarono la situazione religiosa e scolastica, in crisi, dopo le misure prese da Mons. Silvestri. A P. Capovilla con P. Meroni e P. Villa, prima ancora della nomina del nuovo Vicario Apostolico, si deve l'apertura del Collegio Comboni di Khartoum nel 1929, con una nuova costruzione, grazie al lascito della signora Vittoria Tramps, deceduta poco prima a Cairo. Essa aveva lasciato tutti i suoi beni immobili di Khartoum, case e terreni, metà a noi e metà alle Pie Madri.

P. Capovilla è quindi uno dei benemeriti del Comboni College di Khartoum. Lo posso dire con certezza, perché ci vissi in mezzo. Arrivai a Khartoum accompa­gnando il primo gruppo di «Brothers of the Sacred Heart» canadesi che erano destinati al Collegio.

Rividi P. Capovilla nel 1939, durante la mia prima vacanza in Italia, quando Hitler invase la Polonia. Era a Verona superiore e vicario generale, occupato con la stampa dei suoi libri. Lavorava molto, essendo anche superiore degli scolastici. Si vedeva però che era uomo dal polso forte, e che non risparmiava di correggere, anche se non sempre dopo sentita la parte interessata.

Visita alle missioni

Alla fine della guerra lo rividi a Khartoum quando fu mandato in visita da P. Vignato. Lo accompagnai dappertutto, anche dalle autorità, a varie riprese. Non si può dire che fosse un diplomatico, tutt'altro. Era un apostolo di vecchio stampo che vedeva solo le vie di Dio. Purtroppo non parlava quasi nessuna lingua estera. Dovendogli fare da interprete, non mi era sempre facile far sentire ad orecchi delicati le parole forti del missionario.

Ammirammo tutti il suo attaccamento all'Istituto, il lavoro fatto da lui, e dai confratelli, ma forse era un po' troppo pronto a calcare la mano quando sa­rebbe stato meglio lasciar correre, anche perché non sempre era poi del tutto vero quello che qualcuno gli diceva. Credo che questa visita gli abbia precluso l'eventualità di essere superiore generale.

Da Khartoum andò a Juba con un aereo militare. Gli trovai il posto per mezzo di amici aviatori, d'accordo col governo inglese, e l'accompagnai all'aeroporto e sull'apparecchio. Non c'erano sedili se non per il pilota e gli fu detto dì sedersi sul fondo dell'apparecchio, per terra, sul ferro. Aveva una faccia triste, gli sem­brava poco sicuro. Fece scalo a Malakal, senza poter vedere i missionari e ripartì subito per Juba.

Lo rividi al suo ritorno dall'Uganda. Ormai l'impronta della sua visita era segnata. Egli ne scrisse un bellissimo libro, che è una vera storia o diario del suo viaggio, ma più ancora delle nostre opere di allora. E tutto in lode ai nostri mis­sionari, senza le ombre, si capisce, dato lo scopo dello scritto.

Soffrì con altri per i cambiamenti e innovazioni introdotti nella Congregazione, specie con le nuove fondazioni fuori Italia, Europa ed America Latina. Però sep­pe tacere ed affidare le sue speranze a Dio.

Con me fu sempre paterno, comprensivo, e dimostrò in varie occasioni fiducia e pazienza. Vorrei ora ricordare un'altra sua benemerenza, che temo sia quasi ignorata.

Fedele ministro di Dio

Dopo la prima guerra mondiale, vedendo espandersi altri Istituti, P. Meronì fu indotto a moltiplicare le scuole apostoliche (Trento, Padova, Sulmona, Troia, Riccione, Thiene), ma P. Vianello pensò si dovesse anche diffondere un periodico per ragazzi.

Arrivava allora a Verona il mensile americano dei Verbiti di Techny, Ill, in­titolato «THE LITTLE MISSIONARY», veramente ben fatto, su carta patinata, illustrato. Questo periodico ispirò l'edizione de IL PICCOLO MISSIONARIO, di cui Padre Capovilla fu primo redattore. Nonostante la veste sbiadita e misera degli inizi, con l'aiuto di alcuni scrittori esterni, il periodico ebbe fortuna, finché P. Giacomo Andriollo lo arricchì della sua collaborazione.

Oltre la intensa vita di preghiera, frutto di profonde convinzioni, la pratica delle virtù tradizionali senza tentennamenti e compromessi, l'odio al peccato sotto qualunque forma (quando ad esempio sentiva bestemmiare, pronunciava subito almeno altrettante giaculatorie, a voce alta, se era tra noi, o interveniva, potendolo, col bestemmiatore), e la convinzione del dovere da compiere a qualunque costo, era ammirabile per la mole di lavoro che riusciva a compiere e per il modo esatto con cui lo compiva, da vero competente. Ricordo ancora l'ammirazione che ne aveva un noto avvocato dì Crema che l'incontrò per un importante affare alla stazione e in un'ora riuscì a spiegargli tutto, e trovare piena comprensione dei termini e imbrogli legali del caso.

P. Capovilla fu un grande lavoratore e realizzatore, anche se stroncò con al­trettanto vigore qualche iniziativa o progetto di confratelli, meno conformi secon­do lui alla nostra tradizione. Ha lavorato sodo, con sapienza, generosità, dedi­zione e retta intenzione. Egli non vedeva umanamente ma con la luce di Dio.

P. L. Bano, FSCJ

Da Bollettino n. 112, marzo 1976, pp. 64-69