In Pace Christi

Magnani Paolo

Magnani Paolo
Data di nascita : 22/03/1932
Luogo di nascita : Novafeltria PS/I
Voti temporanei : 15/09/1958
Voti perpetui : 15/09/1964
Data decesso : 22/03/1973
Luogo decesso : Shafinna/ETH

La sera di giovedì 22 marzo 1973, verso le ore 7.00, Fr. Paolo, come al solito, scese nella piccola centrale elettrica per mettere in azione la turbina.

I Padri Giuseppe Dalla Vecchia (appena tornato da Awassa) e Rodolfo Cipollone, che si trovavano su in casa, dopo un po’ si accorsero che la luce, appena venuta, se ne andava e pensarono che il Fratello stesse facendo qualche controllo; ma poi, vedendo che tardava più del solito, decisero di andare alla centrale. Purtroppo trovarono Fr. Paolo accasciato a terra esanime. Tentarono la respirazione artificiale ma invano.

Con l'aiuto di alcuni maestri e operai accorsi, lo trasportarono alla casa delle Suore, dove gli fu anche praticata un’iniezione, ma il Fratello era già spirato giù alla centrale.

La causa della morte rimane un po' misteriosa. È da escludersi si tratti di morte violenta (folgorazione o altro) perché si trovava lontano dal generatore e non rivelava, come non ne ha rivelato in seguito, alcun segno di una simile morte. Si pensa sia morto per embolia, perché non presentava neanche segni di attacco cardiaco.

Bisogna notare che alcuni mesi fa aveva avuto un forte svenimento che gli aveva lasciato parte della faccia quasi paralizzata. Mandato da un neurologo dell'Asmara, gli era stata prescritta una cura che Fr. Paolo aveva continuato a fare regolarmente. La paresi era scomparsa e lui aveva ripreso la vita normale, ma la sua salute rimaneva un po' cagionevole ed era di nuovo soggetto a svenimenti.

Fr. Paolo era consapevole del suo stato di salute, anzi, a detta di uno dei Padri di Shafinna, a volte lasciava capire che pensava alla morte come a una possibilità non tanto remota.

Un altro Padre, con il quale Fr. Paolo si confidava spiritualmente, appena ricevuta la notizia della sua morte, ha scritto: «Più volte ho avuto l'occasione di conversare col caro Fratello su temi spirituali e apostolici, dai quali si sentiva profondamente preso e animato. Ne ho sempre riportato una grande ammirazione per il lavoro intenso che il Signore operava nell'anima sua. Non c'è alcun dubbio: era preparatissimo alla morte. Voglio anche dire con sicurezza che nel fondo del suo cuore era nato, e si faceva sempre più forte in lui, il desiderio dell'eternità».

La morte lo ha raggiunto mentre recitava il Rosario presso la piccola centrale S. Maria, per la quale aveva molto lavorato.

La notizia della sua morte, diffusasi rapidamente, cominciò a portare gente alla missione fin dalle prime ore della notte e molti passarono la notte in veglia. Commovente, tra gli altri, il fatto che duecento bambini (non ancora cristiani) di una scuoletta del bosco che raggiungevano, di buon mattino, la missione dopo due ore e mezzo di cammino, quel giorno, tutti in fila rendevano omaggio alla salma del Fratello.

I funerali si sono svolti venerdì pomeriggio, 23 marzo (giorno del suo 41° compleanno), con la partecipazione di tutti i missionari e le missionarie della Prefettura e grande massa di gente, cristiani e non cristiani. Si notavano bene, anche in chiesa, i berretti dei musulmani. E furono presenti tutto il giorno due sacerdoti ortodossi, con i quali il Fratello aveva stretto amicizia.

Fr. Paolo, come ne aveva ripetutamente espresso il desiderio, è stato sepolto nel comprensorio della missione, vicino al posto della futura chiesa.

I Sidamo hanno scavato la fossa e lo hanno seppellito con la faccia volta verso il sole nascente secondo il loro costume. Altri commoventi riti sidamo cristianizzati sono stati parte della cerimonia funebre.

Alla fine, sempre secondo il costume sidamo, tutta la gente si è seduta sul prato in attesa del congedo del capo-famiglia, P. Emilio Ceccarini, che ha ringraziato tutti della partecipazione e ha congedato l'assemblea, che tornerà a radunarsi nel trigesimo della morte.

La partecipazione della gente è stata davvero commovente e non solo partecipazione di massa, anonima, ma sentita e di tutti; tutti infatti cercavano di avvicinare i Padri e dare le loro condoglianze: «Non siate tristi, egli non è morto, è solo partito». Parole nuove che avevano religiosamente raccolto dalla bocca del Padre che aveva parlato durante la Messa funebre.

In questa generale partecipazione ci sembra di dover vedere l'apprezzamento dei Sidamo per l'opera dei missionari venuti per fare loro del bene, per vivere e morire in mezzo a loro.

Fr. Paolo poi si era particolarmente fatto amare da tutti per il suo tratto facile e affabile, per le sue buone parole, per la sua carità. Ormai lo consideravano come uno della loro comunità, per cui hanno considerato come naturale e hanno molto apprezzato il fatto che sia rimasto in mezzo a loro anche da morto. E certo per molti anni non verrà meno la loro preghiera sulla tomba di Abba Paulón, la cui memoria sarà in benedizione.

Fr. Magnani è morto prematuramente a soli 41 anni, che doveva compiere il giorno dopo la sua improvvisa scomparsa, essendo nato a Novafeltria (Pesaro) il 23.3.1932. Entrato nel Noviziato di Gozzano il 19.10.1956, vi aveva fatto i primi voti il 15.9.1958 e subito dopo era partito per il Sudan, dove lavorò ad El Obeid fino all'aprile 1967. Dopo un breve periodo a Roma (aprile 67-maggio 68) e qualche mese a Londra, per lo studio dell'inglese, alla fine del 1968 fu destinato all'Etiopia, alla missione di Shafinna tra i Sidamo.

Entusiasta della sua vocazione missionaria, aveva accolto particolarmente volentieri la sua destinazione tra i Sidamo, dove la sua perdita sarà fortemente sentita.

Autodidatta, sapeva fare un po' di tutto e lo faceva molto bene. «II Signore mi aiuta molto - aveva scritto qualche anno fa - quando penso che non ho mai avuto un mestiere in mano; ora mi arrangio in tutto... Dicono che il Signore non fa più tanti miracoli, come una volta, ma nel mio caso devo dire il contrario; il Signore è sempre buono».

Da Bollettino n. 102, agosto 1973, pp. 77-79

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Fr. Paolo Magnani

L’UOMO, IL MISSIONARIO, IL SANTO

 

 

 

 

Fr. Paolo Magnani era di corporatura media, esile e, negli ultimi anni, quasi calvo. In lui spiccavano gli occhi e la bocca: sembrava nato per vedere e per dialogare, per comunicare, insomma. Era pieno di buone maniere: chi non lo conosceva, lo poteva giudicare, al primo incontro, eccessivo nel gestire e nell’arte di avvicinare la gente. Ma alla sua naturale propensione all’incontro si univa una scelta precisa: essere per gli altri. Era figlio di modestissimi coltivatori, eppure sembrava il rampollo di una famiglia benestante.

 

 

La vocazione di Paolo

 

Ciò che colpisce in fr. Paolo Magnani, innanzitutto, è la lucida coerenza presente nei momenti decisivi della sua vita: quelli in cui una persona prende le decisioni per la vita e dice i sì ed i no che hanno un significato oltre il fatto, perché sono carichi di conseguenze per il fine che si vuol raggiungere. Quando l’intenzione di dedicare a Dio la vita, nel servizio missionario, fu conosciuta, si creò intorno a Paolo un cerchio di incomprensione. Ma era un atteggiamento che nasceva principalmente dall’affetto e che, in ogni modo, non lo isolò mai dagli altri.

Più si sentiva solo, più viveva in comunità con gli altri. Coerenza, solitudine e comunione sono le note di questi anni nel suo mondo spirituale. Se includiamo nella comunione il suo rapporto con Dio, comprendiamo il cammino da lui percorso.

Per essere coerenti bisogna, prima di ogni cosa, essere sicuri di essere stati scelti e chiamati da Dio. Fin dalle prime pagine del diario questo è l’elemento dominante: sembra quasi che il diario sia stato scritto solo per questo. Siamo introdotti subito alla conoscenza di un suo coetaneo, carissimo amico e seminarista: Peppino. “Peppino è partito per il seminario. E’ venuto a salutarmi a casa: io ho fatto finta di niente, ma dentro di me ho sentito tanto dispiacere. Se fosse possibile come ci andrei volentieri in seminario! Ma io sono povero e i miei non hanno i mezzi…”

La volontà di lasciare la casa per darsi a Dio ci è rivelata in queste poche righe, a dieci anni: l’età considerata dagli psicologi come la prima di serenità ed equilibrio. Sebbene Dio si ritenga libero di chiamare ad ogni età, normalmente segue questa legge e concede una luce in questi anni. L’intenzione di seguire l’amico è logica, perché Paolo non poteva avere altra soluzione concreta per realizzare il suo nascente ideale.

Così è sempre Peppino, incontrato durante le vacanze, che gli dà l’occasione per una specificazione della sua donazione. E c’è l’incontro con la cartolina che viene dai Missionari della Consolata di Torino e poi col Piccolo Missionario dei Comboniani con la sua lettera e la risposta di p. Giacomo Andriollo. Sono lettere che fanno respirare l’aria dei Fioretti di San Francesco. Poi le prime lotte, i primi contrasti, la disponibilità a fuggire pur di seguire la sua vocazione anche se il suo affetto per i familiari è intensissimo.

Nonostante tutto sta con gli altri, ha bisogno della loro compagnia, e intanto vive in una continua ricerca di luce. Persino dal suo futuro Istituto e dal parroco – i normali interpreti della vocazione – riceve rifiuti ed incomprensione fino all’invito di fare altre scelte di vita. Ma egli prendeva ogni ostacolo come prova di vocazione autentica, non come segno che il Signore avesse cambiato progetto della sua vita.

“Tornando dalla messa con Peppino, gli ho parlato della mia relazione con i missionari. Non si è mostrato molto soddisfatto e mi ha detto che potevo aspettare, perciò non gli dirà più nulla. Di fronte a lui mi accontento di essere semplicemente buono; di fronte agli altri desidero essere uno qualunque”.

 

 

La croce

 

In casa e tra gli amici c’è chi lo deride, chi si arrabbia: “Fai bene a lasciare di lavorare la terra su per quei ronchi...”. “Il missionario… altro che lavorare la terra, altro che abitare sui ronchi…”. “Mi dicono che, facendo il prete, non sono neanche un uomo. Questa frase mi ferisce”.

Chi lo capisce è la mamma, ma è malata e ne prevede presto la fine. “Amo tanto la mamma e vorrei starle sempre vicino…”.

Poi c’è l’espulsione dal noviziato di Firenze con accuse pesanti, calunniose. Dare un giudizio su questo periodo, breve ma intenso, è difficile. Viene da pensare alle prove che Dio permette fra persone che agiscono in perfetta buona fede. Si tratta di quel tipo di prova, talora vero per tutte e due le parti coinvolte, in cui si condivide più da vicino la sorte di Gesù abbandonato dai suoi.

Lascia quel luogo santo distrutto dal dolore. Ha con sé, caparra di ritorno ad ogni costo, la veste talare avvolta in un pacco. “Passai davanti alla Madonnina; non le dissi niente con la bocca, ma so di averle detto tutto con lo sguardo e con gli occhi… Gesù, lasciami piangere su questa mia sventura”. Vocazione e croce. Momento di fede, come San paolo: “So in chi ho creduto”.

 

 

La vita missionaria

 

Quando Paolo Magnani emise la sua consacrazione a Dio per la missione, aveva ventisei anni compiuti. Aveva raggiunto una maturità umana e spirituale nel severo itinerario che abbiamo brevemente tracciato.

Definì la vita missionaria con una poesia, scritta come era in grado di esprimersi, ma dai sentimenti molto profondi. “E’ primavera”. Sì, la sua vita missionaria avrebbe coinciso con la “sua” primavera. Una primavera senza estate e senza autunno, ma ricca di frutti, anche se a lui sembrava di avere le mani vuote.

La preghiera intensa e personale, come la coscienza di una salute cagionevole, gli facevano intuire una prossima chiamata. Non poteva esprimere meglio i valori della sua vita missionaria che con le parole: “E’ primavera”., che esprimono gioia per la meta raggiunta, ma che diventa anche lode al Signore.

Di fronte alla sproporzionata grandezza dell’opera di evangelizzazione sente la sua povertà e comprende che cosa significhi essere a servizio di Dio. Paolo è il vero discepolo che lascia al suo Maestro di decidere chi deve seminare nella sofferenza e chi deve raccogliere nell’esultanza.

 

 

L’uomo del dialogo

 

Nei giorni precedenti alla sua entrata definitiva scrisse nel suo diario:

“Le notti cominciano ad essere il tempo dei sospiri… La pena per i miei è tanta... Penso spesso come farò a comunicare la mia decisione al papà… Cerco di mostrarmi brillante, qualche volta esagero in questo… Nessuno sa cosa sto maturando dentro…”. In questa confidenza scorgiamo che il suo dramma consisteva nel non poter entrare in dialogo con le persone amate.

Nella vita di missione si manifestò in tutta la sua bellezza questa sua capacità di stare con gli altri. La sua presenza in comunità dava serenità all’ambiente, e l’attenzione per le persone si manifestava perfino nel predisporre orari, oggetti, lavoro secondo le persone e le circostanze.

Nei due posti dove passò i momenti più significativi della sua vita missionaria, El Obeid e Shafinna, è ricordato come il missionario che accoglie col sorriso. Passava lunghe ore con i vecchi sidamo, tanto che qualcuno pensava che avesse una predisposizione particolare per quell’età. Ma poi ci si accorse che diverse altre categorie usufruivano delle sue attenzioni e pensavano di godere dei suoi favori: i ragazzi, gli ammalati, ed in modo particolare le mamme che portavano i loro bambini all’infermeria, i suoi operai.

Viveva praticamente in continuo contatto con loro e metteva la medesima premura ed attenzione nelle più diverse circostanze. Il motivo che portò, spiegando perché ornasse di fiori una veranda dove gli ammalati attendevano il turno di essere ricevuti dalla Suora infermiera, è questo:

“Non è lo stesso ricevere una persona in un posto sporco e in uno pulito; in uno solo pulito ed in un altro pulito e bello. I sidamo vivono a contatto con questa magnifica natura, e quando ci ospitano nelle loro case ci riservano il posto d’onore. Perché non dobbiamo anche noi manifestare stima ed affetto per loro, anche in queste cose?”.

Fratel Luigi Lunardi, che aveva progettato e dirigeva i lavori nella scuola della sua missione di Shafinna, lo incoraggiava quando lo sentiva deluso per la sua incapacità nel portare avanti complessi lavori in muratura. Gli portava questo argomento: “Tu, Paolo, sai fare molte cose che io ed altri non riusciremmo mai a compiere. Riesci a capire la gente, a stare con loro, a convincerli e consolarli. Non è forse questo più importante di un po’ di tecnica?

Il suo dialogo non era frivolo e limitato ai convenevoli. Partiva da un equilibrato incontro umano, entrava nei problemi della vita, trovava gli spazi per l’annuncio in modo molto immediato e comprensibile delle verità che, prima di essere scritte, erano vissute nella sua vita e manifestate nei suoi atteggiamenti.

Bisognava riconoscergli una particolare maestria nel parlare dei suoi e del suo ambiente di vita, da giovane, senza alcuna pretesa, ma con la naturalezza di chi, incontrando un amico, lo informa su ciò che ambedue hanno sempre  conosciuto ed amato.

Don Marino Gatti, un suo amico sacerdote, andò a Shafinna per condividere con lui un po’ di vita missionaria. Scoprì che fr. Paolo non aveva la puerile pretesa di voler morire alla propria cultura per presentarsi senza storia e senza vincoli, quasi questa fosse una condizione indispensabile all’adattamento apostolico. Paolo partiva dalla dura esperienza del duro lavoro dei suoi ronchi per stimolare i suoi ragazzi ad impegno altrettanto serio, in una terra molto più generosa e fertile.

 

 

Uomo ecumenico

 

Nell’incontro religioso ed ecumenico, fr. Paolo seppe emergere ed ottenere, talora, quello che nemmeno i confratelli sacerdoti erano riusciti. Divenne amico di un sacerdote della Chiesa ortodossa d’Etiopia, che viveva in un santuarietto sulle colline sovrastanti la missione. Dai primi incontri si passò allo scambio di visite, alla simpatia e stima reciproca, alla comprensione completa.

Fra loro non fecero certo dispute teologiche e non risalirono alla storia del Concilio di Calcedonia dove nacque il motivo della divisione. Paolo sapeva del desiderio del suo amico di avere un’immagine della Madonna. Lui stesso la disegnò su una tela, eseguendo l’effigie della Kidane Maheret (Madonna della misericordia), venerata in Etiopia. Fu un’amicizia interrotta solo dalla morte, ed allora era già stata aperta una scuola della missione nella zona del santuario ortodosso, in piena armonia e comprensione.

 

 

Lavoro: momento di evangelizzazione

 

Le circostanze della vita non avevano permesso a fr. Paolo di conseguire una specializzazione. Era dotato di intelligenza viva e di capacità eclettica per apprendere le cose. Diceva: “Il Signore mi aiuta molto quando penso che non ho mai avuto un mestiere ed ora mi arrangio in tutto… Dicono che il Signore non fa più miracoli, come una volta, ma nel mio caso devo dire il contrario. Il Signore è sempre buono”.

In Sudan, ad El Obeid, partecipò alla costruzione e decorazione della cattedrale: Venne inviato in Italia dal suo Vescovo, mons. Mason, ed in breve apprese l’arte di collocare in parete le tessere dei mosaici. Portò a termine il lavoro che esige applicazione, sforzo, metodicità ed inventiva, nel modo più soddisfacente.

In Etiopia era disponibile per qualsiasi lavoro: vi si applicava con gioia ed entusiasmo chiedendo continuamente consiglio ai confratelli più preparati di lui. Fr. Paolo era una persona realizzata. Egli fa parte di quella schiera di Fratelli comboniani che hanno reso una testimonianza ormai secolare di vita religiosa ed apostolica espressa principalmente nel lavoro.

Per comprendere pienamente questi suoi anni di maturità è necessario risalire alla giovinezza in cui maturò vocazione e impegno di vita. Gli anni della ricerca del lavoro lontano da casa, dei padroni difficili, dei licenziamenti, della disoccupazione, della fame, dell’esperienza di mendicante, della condivisione del pranzo con le sorelle Piera e Gina, di quel Natale del 1952 che trova Paolo, a vent’anni compiuti, a vivere nella sua carne il mistero della povertà e della solitudine di Cristo… “Sono povero come Te, e al posto del freddo ti offro la fame”…Il diario ci ha aperto un’ampia finestra su questo aspetto.

Dalla gioia di essere povero, all’esempio dato in Africa per strappare dalla necessità, con un lavoro dignitoso, i giovani che incontrava, il salto è logico. E’ quella logica evangelica che chiede un impegno personale e lascia poi al Padre provvido di compiere i miracoli della sua Provvidenza.

E quando, finalmente, trova il “paradiso in terra” nella casa dell’avvocato Sansoni, scocca l’ora di lasciare e partire… “da quando hanno saputo che voglio farmi missionario, mi vogliono ancora più bene. Soltanto la mamma della Signora continua a dirmi che è un peccato che un giovane come me si chiuda in un convento”,

Paolo non si chiuse: si aprì. A coloro che incontrerà proporrà molto spontaneamente i tesori della sua esperienza di giovane in cerca di lavoro. Nell’incontro sul lavoro con i suoi operai troverà il modo di dialogare privilegiando le loro persone che restavano sempre il centro d’interesse. Crescendo l’opera, aumentava anche la comprensione che essi avevano della loro dignità, del significato dell’opera stessa per loro e per la gente del paese.

L’evangelizzazione del mondo contemporaneo, spesso secolarizzato ma in ogni modo in cerca di conquiste tecniche e di progresso, non può avvenire in modo eminente che durante l’operare. Oltre che al linguaggio del lavoro, deve inserirsi il linguaggio con le persone: un dialogo rivelatore delle intenzioni, delle speranze, delle motivazioni che ispirano il nostro operare.

L’opera di fr. Paolo prendeva così la sua funzione insostituibile nella comunità apostolica. Egli diventava il ministro laicale principale nel quale la parola del Regno di Dio incominciava a tradursi in espressioni di vita e penetrava nel cuore degli uomini.

 

 

Il dialogo con Dio

 

E’ l’angolo più sacro e più recondito della vita di fr. Paolo. Vi possiamo trovare le radici della sua azione e delle sue scelte. Sappiamo che nel dialogo con il Dio Uno e Trino ogni credente non trova solo il modello, ma anche il principio per ogni dialogo nella comunità.

La figura di due madri: la Madonna e la sua mamma terrena hanno un posto importante nella sua maturazione e scoperta di Dio. Nella mamma Paolo trovò un sostegno ed un esempio splendido di fede: ce ne ha lasciato un ritratto spirituale nel dialogo.

“Mamma è morta, dopo una dolorosa malattia, in una casa non sua, su di un letto non suo, il vestito e le scarpe che si portò nella tomba non erano suoi… Povera mamma mia!… Era tanto buona con i poveri, e di gran cuore. Quanta roba passò tra le sue mani nel periodo di fame dopo la guerra! Tutto dava per amor di Dio e a suffragio della anime del Purgatorio. Diceva che la Provvidenza c’è e ci avrebbe aiutato in altra maniera… Anche malata pensava sempre agli altri e non si concedeva riposo. Non si lamentava della sua povertà, per questo il Signore le chiese proprio tutto”. Questa è stata la maestra di fr. Paolo.

La fiducia nella Madonna diventa una componente della sua vita di pietà. Con la mamma ammalata recita il rosario. Nelle difficoltà per la sua vocazione, la invoca e, ventiquattrenne ha un sogno che traccia il programma e le tappe della sua vita, come abbiamo visto nel diario.

Negli anni giovanili ricorre anche alle penitenze corporali per essere leale con Dio: “Prego e faccio penitenza, e penso tanto alla mia vocazione… Oggi sono stato nel boschetto, ho pregato e mi sono battuto con un pezzo di corda… Mi sono trattenuto più del solito in chiesa. Ho parlato molto chiaro al Signore nel SS. Sacramento…”.

 

 

Fedele fino alla fine

 

Nella sua donazione a Dio, Paolo non ebbe ripensamenti. La sua scelta era maturata attraverso circostanze e contrattempi nel periodo di diversi anni. La preghiera lo aveva guidato a capire le poche cose che, diventate “comprensibili e leggere da incomprensibili e dure che erano”. Queste cose costituiranno la trama della sua esistenza. Sarà missionario, religioso, comboniano e fratello: tutto questo era il suo mondo ed era la sola cosa importante nella sua vita. Per questo doveva restarle fedele fino alla fine. Non fu il suo un ripetere monotono di atti e di comportamenti, ma una ricerca, nella novità e nel cambiamento, di mantenere le promesse fatte a Dio.

Morì la sera del suo quarantunesimo compleanno. I suoi funerali costituirono un giorno indimenticabile di comunione nella missione di Shafinna. Intorno a lui c’erano tutti: confratelli, suore, catechisti, cristiani, non cristiani. E la sua memoria perdura , ora, e nel tempo come caparra di una maggior comprensione ed unità che il Signore aveva creato anche attraverso di lui, dell’umile Fratello Paolo Magnani.

Presagendo l’incontro col Signore ormai vicino, aveva scritto su un foglio:

 

“Signore, abbi pietà di me

Mentre sono in questa valle di lacrime

Non mi abbandonare sulla strada…

Tu, o Signore

Mi hai dato le cose migliori

Le più preziose le serbasti per me”

 

Insieme al Signore sempre fedele, anche in Paolo abbiamo l’esempio che sulla terra vi sono ancora dei “testimoni fedeli”. Questa duplice fedeltà, del Signore e dei suoi servi, è una freccia di direzione per chi è ancora sulla strada; e costituisce la sola risposta valida alla fedeltà che il Padre ha già dimostrato agli uomini. Ed è anche l’unica prova che l’uomo può esibire di fronte alla diffidenza dalla quale, ogni giorno, è circondato. Sì, la fedeltà è ancora possibile e solo essa rende la vita felice e sicura. E’ questo l’ultimo messaggio di Paolo Magnani, fratello missionario comboniano.

A distanza di 25 anni dalla morte, possiamo constatare che il seme gettato in terra sudanese ed etiopica sta dando i suoi frutti: la presenza di Paolo è memoria, sempre attuale, in coloro che l’hanno conosciuto. Veramente la sua solidarietà fraterna è stata espressa senza vincoli e senza confini, e la sua vita è stato un autentico messaggio di umana e cristiana bontà.