P. Alessandro Paravisi è morto il 23 luglio 1972 a meno di cinque mesi dal suo 80° compleanno, essendo nato a Bergamo il 17 dicembre 1892. Ebbe la fortuna di celebrare a Venegono nel giugno 1970 il 50° di ordinazione sacerdotale, di cui 28 anni di vita missionaria in Africa e 22 d'attività pastorale in Italia. Entrò a 15 anni nel nostro seminario di Brescia compiendo tutto il ginnasio, come si usava allora, presso i PP. Gesuiti del Collegio Cesare Arici. Compì gli studi filosofici e teologici a Verona, che dovette tuttavia interrompere a causa della prima guerra mondiale, quando i chierici furono adibiti al servizio negli ospedali militari. Il suo cappellano-capo, D. Francesco Manuelli, in una lettera al Superiore Generale, P. Vianello, attestò che il giovane Paravisi tenne sempre «una condotta esemplare ». Per motivi di età (28 anni) e l'urgente bisogno di missionari, al termine della guerra, fu ordinato prete in III teologia, il 29 agosto 1920, da Mons. Giacinto Gaggia vescovo di Brescia, a Monticelli Brusati, dove il presule si trovava in visita pastorale. Proseguì poi gli studi di IV teologia mentre prestava il suo servizio sacerdotale nella nostra casa di Brescia.
Nel 1922 partiva per la missione, assegnato alla tribù dei Madi, prima a Loa nel Sudan e poi a Moyo rimanendovi ben 13 anni consecutivi. Moyo era stata fondata nel 1917, ma a causa della guerra solo verso il 1920 si poté iniziarvi un lavoro sistematico di ampio respiro. Questa nuova era per la conversione dei Madi coincise con l'arrivo di P. Pietro Foglio che fu appunto il maestro di vita missionaria di P. Paravisi. Data la vastità del territorio in cui era sparsa la tribù Madi, era imperativo, per creare contatti umani con tutti, essere sempre in moto. I missionari si davano il turno in queste visite sistematiche ed ininterrotte alle piccole comunità cristiane che andavano sorgendo in tutte le direzioni. P. Paravisi ricorderà con nostalgia e con soddisfazione i «safari», come pure ricorderà con piacere le belle nidiate di catecumeni che lo assediavano alla missione - negli intervalli tra un safari e l'altro - per sentire la Parola di Dio.
Nel 1935 si prese la prima vacanza. Rinfrancato in salute, nella primavera del 1936 fece ritorno alla sua Africa, dove gli fu assegnato un nuovo campo di lavoro: Angal, tra la tribù degli Alùr. Nonostante i suoi 44 anni si mise di lena a studiare una nuova lingua. Questa nuova esperienza gli costò molto, ma ebbe più tardi a dichiarare che era stata un'esperienza molto valida: conoscere e confrontare valori, qualità ed anche difetti di varie tribù è sempre un arricchimento per un missionario. La sua permanenza tra gli Alùr·durò quasi 10 anni e nel 1945 fece ritorno tra i Madi. Passati due anni a Moyo, fu convenuto con i Superiori di dividere in due la vastissima parrocchia che comprendeva tutta la tribù Madi che si aggirava intorno alle 40-45.000 persone.
La nuova fondazione fu affidata a P. Paravisi, a Pakèle, nella regione centrale dei Madi, là dove 35 anni prima (1912) era sorta la missione di Palàaro, abbandonata nel 1917 per motivi sanitari, essendo la zona allora infestata dalla mosca tse-tse, sostituita da Moyo.
Missionari e popolo sono unanimi nell'affermare che nel triennio in cui vi rimase P. Paravisi (1947-1950) si ebbe a Pakèle uno straordinario movimento di conversioni, ed eccezionale fu pure il numero dei matrimoni celebrati. Forse il Signore volle con questo successo coronare la vita missionaria di questo modesto ed infaticabile servitore ritenuto da molti – e anche deriso – come un sempliciotto, mentre era uno strumento disponibile al soffio dello Spirito per compiere cose anche meravigliose. Scosso seriamente nella salute, nel 1950 si ritirò in patria, dove peraltro continuò con zelo a svolgere il ministero sacerdotale, prima nelle chiese annesse alla nostra Casa di Crema e di Brescia, poi a Venegono, dove si acquistò una certa notorietà per il vigore con cui predicava le giornate missionarie. Proseguì in questo lavoro pesante ed impegnativo fino all'età di 76 anni quando Superiori e medici gli imposero assoluto riposo.
Passò gli ultimi anni prima a Venegono, poi a Gordola in Svizzera, infine nella casa di cura di Arco. Se si dovesse classificare il tipo di missionario che fu P. Paravisi lo si potrebbe mettere nell'ordine degli «sgobboni», quelli che, senza tante esigenze, nel lavoro silenzioso e costante, hanno praticato «l'inserimento» nel popolo che evangelizzavano ancora prima che se ne inventasse il nome. P. Paravisi fu sempre un grande entusiasta della vocazione missionaria e dichiarava che i 28 anni passati in Africa furono senz'altro i più belli della sua vita. R.I.P.
Da Bollettino n. 100, gennaio 1973, p. 67-68