Ci permettiamo di riprodurre quasi per intero la commovente commemorazione pubblicata il 30 Novembre dal « Servizio Informazioni Chiesa Orientale ».
Il 13 novembre c. m., verso le ore 21, serenamente spirava a Roma, nella clinica Quisisana, per un grave attacco di uricemia, dal quale era stato colpito dopo un intervento chirurgico subito alcuni giorni prima e felicemente superato, S. E. R. Mons. Pietro Villa, Vescovo titolare di Listra, Ausiliare di S. Em.za R. il Signor Cardinale Eugenio Tisserant, Decano del Sacro Collegio, Vescovo Suburbicario di Ostia, Porto e Santa Rufina.
L'illustre Prelato era Consultore della Sacra Congregazione « Pro Ecclesia Orientali ». Per circa ventitré anni ne era stato preziosissimo collaboratore, all'estero ed in Curia, come Prefetto Apostolico di Gondar (Etiopia), prima, e come Officiale e Presidente dell'Ufficio Amministrativo, dopo.
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Umile, riservato, sempre attivo ed in piedi, anche quando il male, che lo affliggeva sino a procurargli sofferenze che gli si leggevano nel volto, avrebbe richiesto un lungo periodo di riposo.
La sua fibra robusta e soprattutto il forte carattere, unito ad una cristallina rettitudine nel servire, con entusiasmo e dedizione, la Santa Chiesa, gli avevano dato la passione del lavoro, e vi accudiva senza mai risparmiarsi, lieto di adempiere fino in fondo il suo dovere, come un soldato che, fedele alla consegna, affrontava impavido qualsiasi difficoltà.
Militare era anche nel portamento, egli, che aveva fatto il suo regolare servizio di leva, conseguendo, prima di essere sacerdote, il grado di tenente nell'esercito - arma di fanteria.
Aveva la sua linea, sempre retta - mai obliqua; - a volte pareva quasi rude nel tratto e brusco in una discussione; ma chi gli sapeva leggere nell'animo, si accorgeva subito che Mons. Villa nascondeva un cuore d'oro sotto forme, che in un primo momento talvolta sarebbero sembrate piuttosto aspre. Seppe essere generoso senza far chiasso, attendendo solo da Dio, che “videt in abscondito”, riconoscimento e ricompensa.
Non si metteva mai in mostra; restava sempre nell'ombra, presente però dove ci fosse da intervenire per le anime e per la Chiesa.
Non amava le parole eleganti, le frasi fatte o le espressioni letterarie di forma e vuote di significato. Erano per lui fronzoli, che bisognava troncare dai rami della pianta, che voleva crescesse robusta e portasse frutti, anche tutto anno - se possibile - senza sosta alcuna.
Gli ripugnavano i complimenti o le esteriorità, e si atteneva al principio evangelico « Est, est; non, non ». Mai una finzione; la verità sempre, anche quando questa avrebbe potuto dispiacere. Esponeva con chiarezza matematica il suo punto di vista, ed a volte insisteva in quelle che egli riteneva « coram Domino » giuste ragioni.
Si rimetteva, però, subito alle decisioni prese dai Superiori, anche se non collimavano con il suo parere, e le eseguiva con entusiasmo e docilità. Per questo era sempre sereno e tranquillo, non preoccupato del futuro, e intento a far tutto il bene che poteva, anche le più piccole cose che, fedele al principio ascetico «age quod agis », adempiva con precisione, ordine e metodo.
Intraprese lunghi e strapazzosi viaggi per incarico della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, dalla quale dipendeva, e mise a profitto delle Diocesi e Parrocchie, dei Seminari ed Istituti religiosi la sua vasta esperienza ed il suo intuito di uomo positivo e pratico, che guarda alla realtà dei fatti e delle azioni senza lasciarsi ingannare dalle apparenze o dagli orpelli, o dominare da simpatie od antipatie.
La prima attività di apostolato
S. E. Mons. Villa era nato a Milano il 18 gennaio 1889 da Luigi e da Serafina Parravicini. Dopo aver frequentato le scuole statali e finita la prima liceale, invece di iscriversi all'Università, sentendosi chiamato allo stato ecclesiastico, varcò nell'ottobre 1905 la soglia del seminario di Monza, passando, nel 1907, al seminario maggiore di Milano, dove fece il corso teologico, e venne ordinato sacerdote il 10 giugno 1911.
Fu inviato come coadiutore nella parrocchia di S. Vittore in Corpo a Milano, e si occupò dell'azione cattolica parrocchiale, divenendo assistente ecclesiastico del circolo giovanile dei « SS. Vittore e Carlo ». Fondò il bollettino parrocchiale « La Face », che si pubblica tuttora, ed un doposcuola per i giovani delle scuole elementari e medie.
Durante la prima guerra mondiale fu richiamato alle armi e prestò servizio come tenente di fanteria, per quasi quattro anni, tre dei quali in prima linea, combattendo valorosamente e conseguendo la croce di guerra.
Appena congedato, ritornò alla sua parrocchia; ma vi rimase solo tre anni, perché il Signore lo chiamava alla vita religiosa, e in ottobre 1922 entrò nella Congregazione dei Figli del Sacro Cuore di Verona.
Compì il suo noviziato a Venegono (Varese), emise la professione religiosa il 13 novembre 1923, e in luglio 1926 fu inviato nella missione di Khartoum (Sudan Anglo-Egiziano).
Gli venne affidato l'incarico di istituire in questa città una Procura Centrale per tutte le Missioni dipendenti dalla sua Congregazione: ciò che egli portò a termine con rara perizia e sollecitudine.
Fondò anche un grande collegio di studi superiori, che prese il nome dal fondatore del suo Istituto religioso, il « Comboni College »: al secondo anno di vita contava duecento alunni; l'anno appresso 300; oggi più di mille.
I suoi amici di Milano, rimastigli sempre affezionati, volendo fargli un dono, gli domandarono che cosa avesse gradito.
« Un battello per facilitare sul Nilo il trasporto dei Missionari e dei materiali per le costruzioni che dobbiamo intraprendere » rispose il dinamico P. Villa. Ed ebbe il battello, che fu chiamato « Pio » dal nome di Pio XI di s. m. (milanese anche lui e Papa delle Missioni) e rese utilissimi servizi ai missionari.
Tornato in Italia nel 1931 per prendere parte al Capitolo Generale, venne eletto Assistente Generale e Procuratore Generale, con sede a Roma.
Fu richiamato alle armi nel 1935 e nominato Tenente Cappellano prestò servizio a Mogadiscio, e in seguito nella Marina, imbarcato su navi da guerra.
Il 28 luglio 1937 fu nominato, con Decreto della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, Prefetto Apostolico di Gondar (Etiopia).
Prefetto Apostolico di Gondar
Fece il solenne ingresso il 17 ottobre 1937, cominciando subito un lavoro da pioniere.
Seppe cattivarsi la stima e l'ammirazione anche degli stessi copti (etiopi dissidenti) e dei musulmani. Un vecchio sacerdote dissidente abissino, dopo aver conosciuto Mons. Villa, espresse il desiderio di unirsi alla Chiesa di Roma.
Sorsero, a breve distanza di tempo, l'una dopo l'altra, chiesette e cappelle-scuole, in varie località, dove gli indigeni vivevano completamente abbandonati.
Così a Kukù, ad Adi Arcai, a Debra Tabor, Azozò, Metemma, Debra Marcos, Celgà, Danghila, Kerker, Gorgorà (sul lago Tana), Debiwar e, poi, la Cattedrale a Gondar città. In località dove non era mai penetrato un missionario cattolico, come tra i pagani Scingalla (nel bassopiano occidentale) si recò per la prima volta un sacerdote di Roma: Mons. Villa.
Era abilissimo nel trovare aiuti. Faceva concorrere le ditte, gli operai, i soldati. I suoi fratelli coadiutori facevano da muratori, da falegnami; egli stesso dirigeva i lavori ed animava con l'esempio, con la parola, con un sorriso, con un’esortazione.
« Bisogna far presto », scriveva, « perché verrà la stagione delle piogge e non si potrà più costruire ».
Intanto, chiamò nella sua Prefettura le Suore Orsoline di S. Carlo (di Milano) e le Pie Madri della Nigrizia.
Ai missionari ed alle suore fa apprendere la lingua amarica, ed egli stesso la comincia a parlare già correntemente.
Il popolo lo segue con entusiasmo.
«La messe è molta, ma gli operai sono pochi»; e per preparare questi operai evangelici scrive il 17 febbraio 1940 che sta facendo sorgere « un seminario minore » che spera di inaugurare « in ottobre prossimo ».
Ma la seconda guerra mondiale era già scoppiata e cominciò a far sentire i suoi effetti anche laggiù, stroncando un'attività così promettente. I bombardamenti e gli incendi distrussero gli edifici sacri e i locali scolastici e di abitazione per i missionari e le suore; fecero il loro ingresso nel territorio le truppe inglesi, ed il Prefetto Apostolico, che non aveva voluto abbandonare il suo gregge e, sfidando ogni pericolo - anche la morte stessa - era rimasto sul posto, venne espulso perché cittadino italiano e, quindi, appartenente ad una nazione nemica.
Fu deportato il 15 febbraio 1942 a Saganeiti (Eritrea) insieme ai missionari superstiti (uno era rimasto ucciso, altri feriti).
Durante la sua deportazione muore in Italia (ad Albavilla, Prov. di Como) il 27 novembre 1942, la sua mamma col pensiero al figlio lontano. Toccherà all’Ufficio Informazioni del Vaticano darne la dolorosa notizia a Mons. Villa, che soffrì tanto nell'apprenderla.
Dopo circa un anno, il 31 agosto 1943, poté rientrare in Italia, sperando, inutilmente, di ottenere - per via diplomatica e con l'intervento diretto della Santa Sede - il permesso di ritornare in Etiopia.
Nella Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale
Fu subito ammesso a prestare servizio come Minutante, occupandosi degli Affari d'Etiopia e dei Copti.
Quando il Cardinale Tisserant, allora Segretario del Sacro Dicastero, divenne, il 18 febbraio 1946, Vescovo Suburbicario di Porto e S. Rufina (ed in seguito, il 13 gennaio 1951, anche di Ostia), Mons. Villa fu eletto Vescovo titolare di Listra e nominato suo Ausiliare, pur continuando a rimanere nello stesso Dicastero per accudire principalmente all'Ufficio Amministrativo, di cui venne nominato Presidente «ex Audientia SS.mi » del 23 marzo 1946.
La sua capacità e, nello stesso tempo, la sua umiltà e semplicità, hanno lasciato un'impronta indelebile ed un ricordo incancellabile nella Sacra Congregazione. Tutta la settimana era per lui lavorativa; non conosceva la Domenica se non per recarsi nelle Diocesi Suburbicarie a celebrare funziona religiose, visitare sacerdoti e parrocchie di campagna, servire le anime.
La sua giornata, tre volte la settimana, si distingueva - per vari anni - in mattino per il lavoro, ed in pomeriggio per il riposo o una passeggiatina. Infatti, ogni lunedì, mercoledì e venerdì era nella Curia di Porto e S. Rufina tutta la mattinata; il pomeriggio alla Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale per minutare lettere, scrivere la contabilità con una tecnica e chiarezza da far capire in un colpo d'occhio le cifre anche a chi non ha pratica.
Per le costruzioni dei Seminari, delle Case Canoniche, degli Episcopi, degli Asili, degli Istituti d'istruzione, ospedali, ecc. il suo avviso era sempre limpido ed esatto. Studiava le pratiche con accuratezza, e spesso, prima di esprimere un giudizio nelle iniziative di maggior onere finanziario, non esitava ad intraprendere lunghi e scomodi viaggi per andare a rendersi conto della situazione «in loco».
Così fu due volte in Egitto, in Eritrea ed in Grecia; due volte in Sicilia per la Diocesi di Piana degli Albanesi; una diecina di volte in Calabria per la Diocesi italo-albanese di Lungro, dove i mezzi e le vie di comunicazione non sono sempre agevoli, specialmente per visitare le parrocchie bizantino-albanesi che spesso si trovano appollaiate sui monti o sono raggiungibili per strade ripide e scomode, come Casalnuovo Lucano, o addirittura mulattiere come Farneta.
In tal modo la Sacra Congregazione ha potuto far sorgere numerose opere indispensabili alla vita religiosa ed adattate ai tempi: a Roma, come l'Istituto Internazionale di S. Elena per le bambine profughe dalla Russia od orfane; in Egitto, come il Seminario Interrituale di Meadi; in Grecia, come il Seminario Interrituale di Atene; a Piana degli Albanesi, come l'Episcopio ed il Seminario: nella Diocesi di Lungro, come le case canoniche e Asili di Lungro, di Acquaformosa, Etanina, S. Demetrio Corone, Vaccarizzo Albanese, S. Basile, S. Giorgio Albanese, Casalnuovo Lucano, Civita, Macchia Albanese, S. Sofia di Epiro, ecc.
Egli vi portava il contributo della sua esperienza e della sua competenza. Era, infatti, un costruttore ed un organizzatore, e non conosceva mai soste.
Il suo aiuto alla Sacra Congregazione fu sempre prezioso.
Essendo accresciute, dopo la seconda guerra mondiale, le necessità delle missioni dipendenti dallo stesso Sacro Dicastero, numerose erano le domande di sussidi. Egli, difensore della cassa, nell'esprimere il parere dal lato tecnico e pratico circa l'utilità o meno dell'opera, insisteva perché le spese non superassero mai le offerte ricevute o che fondatamente si sarebbero potute attendere dai benefattori; e pregava di non imbarcarsi mai in oneri finanziari o di andare incontro a debiti.
Per diffondere la conoscenza delle notizie di carattere missionario riguardanti l'Oriente e i territori dipendenti dalla Sacra Congregazione, propose la pubblicazione di un bollettino mensile, il S.I.C.O. (Servizio Informazioni Chiesa Orientale), che lo ebbe tra i primi collaboratori e di cui fu l'organizzatore. Il S.I.C.O. fa conoscere ed amare l'Oriente Cristiano ed i problemi unionistici, ed
procurato maggiori aiuti ed incrementi alle nostre opere missionarie.
Attività pastorale
Vescovo Ausiliare dell'Em.mo Card. Tisserant, ricevette la consacrazione episcopale il 1 maggio 1946 a Roma, nella Basilica di S. Carlo al Corso, dove fecero corona i maggiori esponenti lombardi della Curia, come il defunto Card. Caccia Dominioni, gli Ecc.mi Mons. Gustavo Testa, oggi Cardinale, Angelo Rotta, Venini; i compianti Monsignori Bernareggi e Trezzi, Mons. Camagni, i componenti della Ven. Arciconfraternita dei Ss. Ambrogio e Carlo, di cui più tardi verrà scelto Primicerio, ed altri.
S'ispirò, nella sua vita episcopale, agli esempi del suo S. Carlo e fu, come venne scritto del Borromeo dal Cardinale Seripando, da Trento, il 28 luglio 1562, a Paolo Manuzio: « huomo di fructo et non di fiore; uomo di fatti et non di parole ».
Sempre fedelissimo al suo Cardinale e leale, sapeva rimanere indietro e ritrarsi in silenzio, dopo avere speso le sue energie migliori per il bene delle diocesi suburbicarie.
A lui interessava fare e non apparire; fu il braccio sempre operoso del Cardinale Vescovo, che dava la mente e le direttive, e trovava in Mons. Villa un esecutore intelligente, instancabile, sicuro fino al sacrificio.
La Cattedrale della Storta, le parrocchie e le cappelle aumentate di numero in modo straordinario, il clero più che raddoppiato, le scuole e gli istituti delle Diocesi di Porto e S. Rufina, che non avevano mai avuto, prima di ora, un tanto felice sviluppo, cantano, con le cifre e con i fatti, lo zelo non solo del Cardinale, ma anche del suo Vescovo Ausiliare, che fu, sino all'ultimo, il più vicino ed affezionato collaboratore e chiamò al suo fianco l'attuale Vicario Generale, che aveva conosciuto ed apprezzato durante la seconda guerra mondiale, ed al quale volentieri cedette la carica di Vicario, ad un semplice cenno suo Cardinale, che voleva risparmiare le già stanche forze del suo Ausiliare, di cui voleva a lungo godere l'aiuto, il consiglio, la presenza.
S'incontravano, del resto, anche nel carattere: ambedue volitivi e militari. non solo per aver prestato servizio sotto le armi durante la prima guerra mondiale, ma soprattutto per il senso dell'onore, della disciplina e dell'onestà.
Mons. Villa sembrava quasi tagliato col fendente: uomo tutto di un pezzo, che poteva apparire duro, ed era, invece, cortese, delicato e modesto con una venatura di arguzia che incantava e con un sorriso da fanciullo, che edificava.
Visse povero e ritirato, di vita profondamente interiore, senza chiedere mai nulla per sé.
Fu invece, cercato dagli altri, e lo vollero anche Vice Presidente dell'Associazione Nazionale per soccorrere i Missionari italiani all'estero. Partecipò sempre alle sedute, portando, nelle delibere, il frutto del suo equilibrio e della sua esperienza missionaria.
L'Ordine Equestre del Santo Sepolcro lo nominò Gran Priore Coadiutore dello stesso Ordine per l'Italia.
Il Cardinale Amleto Giovanni Cicognani, successore del Cardinale Tisserant alla Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, lo invitava sovente per chiedergli il parere o per dargli incarichi di fiducia, che adempiva con coscienza fino allo scrupolo. Le sue decisioni erano dettate dalla visione della realtà e dal bene delle anime.
Mons. Villa non era capace di mutare il senso delle parole; non amava figure retoriche, e si distingueva per il senso della concretezza.
Era insomma, come il pane di casa, di puro frumento; era acqua pura, attinta da una polla, scaturita dalla terra vergine e non ricavata con formule chimiche in un gabinetto di alchimia.
Maneggiò molto denaro, esatto e scrupoloso sino al centesimo: «E' denaro degli altri; è denaro della Chiesa», ripeteva. Finì i suoi giorni, ritirato in una modestissima cameretta di un istituto religioso, senza avere altra pretesa se non quella di non chiamare mai nessuno per un servizio, nemmeno quando era gravemente sofferente, e lasciando erede la sua Congregazione dei Comboniani. Erede di che? Possedeva solo i suoi effetti personali e la vettura che adoperava. Il suo peculio non fu sufficiente per pagare i funerali.
Il pio transito e i funerali
Il pio transito avvenne la sera del 13 v. m., qualche ora dopo avere chiesto la benedizione al suo Cardinale, che si era recato al suo capezzale.
Era entrato in clinica senza nemmeno avvertire la sua famiglia «secundum carnem»; le sue sorelle ed il fratello si trovavano a Milano, e furono chiamati a Roma dopo il suo trapasso.
Egli, che si era distaccato dalla famiglia facendosi religioso missionario, era sempre vissuto nella pratica costante dei suoi voti, pur in mezzo agli alti uffici, cui il Signore lo aveva chiamato nella sua Congregazione e fuori.
I funerali riuscirono imponenti, il 16 di questo mese, nella Basilica di S. Carlo al Corso, a Roma, dove 14 anni prima era stato consacrato Vescovo.
Il Card. Tisserant, che gli aveva conferito allora nella gioia la pienezza del sacerdozio, impartì con le lagrime l'assoluzione al tumulo.
Pontificò la S. Messa «de requie» S. E. Mons. Diego Venini, Arcivescovo titolare di Adana, Elemosiniere Segreto di Sua Santità, assistito dai sacerdoti e chierici Comboniani, fungendo da presbitero assistente Mons. Tito Mancini, Vicario Generale delle Diocesi Suburbicarie di Ostia, Porto e S. Rufina, legato da antica amicizia con Mons. Villa.
Intervenuti anche gli Em.mi Cardinali Pizzardo, Valeri, Gonfalonieri e Gustavo Testa. Rappresentati i Cardinali Amleto Cicognani, Segretario della S. C. per la Chiesa Orientale, Micara e Canali. Notato anche l'Incaricato di Affari di Etiopia presso la Santa Sede.
Fra i presenti era pure il Comm. Brusati, Direttore Generale del Banco Ambrosiano, venuto appositamente da Milano (uno dei primi giovani che frequentarono l'Oratorio festivo fondato da Mons. Villa, e rimastogli sempre affezionato). Innumerevoli le rappresentanze e il popolo.
La salma riposa nella Cappella dei Comboniani, al Verano, in attesa di venire trasferita alla Cattedrale della Storta, dove verrà tumulato nel «Sepulchrum Episcoporum», fatto ricavare da Mons. Villa, per disposizione del suo Cardinale Vescovo, nel sotterraneo della Cattedrale, che rimane il monumento «aere perennius» del Card. Tisserant e del suo Ausiliare.
Amore della Congregazione
Alla commemorazione del S.I.C.O., che mette in luce il carattere e l'attività di Mons. Villa soprattutto a servizio della S. C. per la Chiesa Orientale, dobbiamo aggiungere una parola sul suo amore alla Congregazione, di cui si considerò sempre figlio.
Era profondamente attaccato alla sua famiglia religiosa. Frequentava spesso la nostra casa di Roma, che considerava come sua, e non mancava mai nelle nostre feste.
Accorreva ad ossequiare i Superiori Maggiori, appena sapeva della loro presenza in Roma. Desiderava ricevere il Bollettino e la Famiglia Comboniani per essere al corrente delle nostre notizie ed era sempre pronto, ad ogni richiesta, a dare il suo consiglio e la sua opera per la Congregazione.
Durante una crisi cardiaca nell'Agosto scorso offrì la vita per la sua Diocesi, per la Congregazione e per la sua Arciconfraternita. Ripresosi, tornò subito al suo lavoro.
Poco prima della morte confidava al M. R. P. Gasparini che, date le sue condizioni di salute, pensava di dimettersi dall’ufficio di Ausiliare e ritirarsi in una casa della Congregazione. E sentendosi dire che poteva rimanere a S. Carlo dove la carica di Primicerio non gli dava molto lavoro, rispondeva che quell’ufficio non era abbastanza importante da tenerlo fuori di Congregazione. «Il mio posto è là. Io sono sempre Giglio del S. Cuore».
Da Bollettino n.56, gennaio 1961, p.326-34