In Pace Christi

Chiavegato Alessio

Chiavegato Alessio
Data di nascita : 19/11/1887
Luogo di nascita : S. Pietro di Legnago VR/I
Voti temporanei : 25/12/1914
Voti perpetui : 25/04/1922
Data decesso : 29/09/1960
Luogo decesso : Morulem/UG

L'ultimo anno e la morte edificante di Fr. Alessio sono raccontati con ab­bondanza di particolari dal suo Superiore, P. Benetazzo, in una lettera ai fa­miliari.

«I suoi gravi disturbi al cuore incominciarono l’anno scorso (1959) in Set­tembre. Il caro Fratello, vedendo che ero solo in Missione, e sapendomi aggra­vato da mille occupazioni, dissimulava i suoi acciacchi, e si studiava in tutti i modi di rendersi utile come poteva. Non c'era modo di farlo stare in riposo: finché le gambe lo reggevano era presente ovunque fosse utile il suo consiglio e il suo aiuto.

Ma la notte del 16 Ottobre ebbe un attacco di dolori così forti che si sentì costretto ad invocare aiuto. La Madre Superiora lo soccorse come poté per cal­margli i dolori. Al mattino, appena celebrato, corsi a Kalongo a chiamare Padre Ambrosoli, medico. Venne con la sua auto e decise di portare con sé il malato, per poterlo assistere e curare.

Si riprese bene, e dopo pochi giorni si sentiva già meglio e smaniava dalla voglia di tornare alla sua cara Morulem. Quando ai primi di Novembre l'an­dai a trovare mi disse: "Vengo a casa. Mi sento bene. Posso essere ancora utile a qualche cosa". Non si poteva obbiettare. Il medico accondiscese, e lo riportai a Morulem.

In quei giorni Fr. Fanti stava pitturando la chiesa. Fr. Alessio era felice ed entusiasta, sembrava ringiovanito: quella chiesa, nella quale aveva tanto lavo­rato e pregato, stava diventando bella.

Senonché il 25 Novembre ricade ancora, e bisogna riportarlo a Kalongo, da dove, ristabilitosi, può tornare a passare con noi il Natale. Passa i primi mesi del nuovo anno discretamente. Sentendosi un po' in forza vuol sempre fare qualche cosa, e non si adatta mai a star seduto in riposo: quasi teme di non guadagnarsi il pane.

Ai primi di Aprile una nuova ricaduta dà l'inizio al suo doloroso calvario, che doveva portarlo alla tomba. Il P. Tupone, che si trova qui occasionalmen­te, gli amministra gli ultimi Sacramenti, che il Fratello riceve con grande pace e serenità. Ci edifica tanto la sua calma e il suo abbandono in Dio in questi momenti.

L'Estrema Unzione lo fortifica e risana; e dopo qualche giorno è di nuovo in piedi, e aiutandosi con un bastone va ancora in Chiesa, anche se gli costa gran fatica salire i tre gradini per entrare.

Al mattino è lì, ai piedi di Gesù, primo fra tutti, con in mano il suo rosa­rio, che non si stanca mai di sgranare. Sta seduto al suo posto, e lì riceve la S. Comunione.

Il 24 Giugno, con un supremo sforzo, aiutato da Fr. Gregori, si porta in chiesa per l'ultima volta. Era la festa del S. Cuore, il commiato del figlio ama­to dal Padre tenerissimo.

L'indomani riceve la Comunione in camera, seduto sopra una sedia a sdraio; e così tutti i giorni fino alla morte. Alle nove lo portavamo fuori, sotto la veranda. Lì si sentiva quasi umiliato dal riposo forzato, vedendo noi correre a destra e a sinistra, occupati in mille faccende. Passava le lunghe ore alter­nando i rosari con qualche lettura.

In seguito si aperse una piaga al decubito, cui seguirono altre alle gambe estremamente gonfie, dalle quali usciva copioso siero. Non dava cenno di sof­frire, non lasciava intravvedere a nessuno quali pene avesse. A chi lo visitava chiedeva preghiere per avere forza e pazienza.

Il giorno dell'Assunta volle venire un'ultima volta a pranzo con noi. C'era un sorso di vino, quel giorno, e l'assaggiò anche lui per partecipare alla nostra gioia di vederlo ancora a tavola con noi.

Qualche giorno dopo non si sentì più di uscire di stanza: gli costava trop­po reggersi in piedi; e così alternava le ore tra il letto e la sedia, moltiplicando rosari e preghiere fino a stancarsi. Anche lo stomaco lo faceva soffrire tanto. Prendeva pochissimo, perché gli era assai difficile la digestione.

Per rendergli meno opprimente la sua croce, ci studiavamo di passare qual­che mezz'ora con lui. Amava conversare delle nostre occupazioni, interessarsi dell'andamento della Missione, delle scuole e delle costruzioni. La vita del Mis­sionario autentico, che aveva vissuto per tanti anni, l'amava ancora, e gli era assai gravoso abbandonarla.

La morte la sapeva ormai vicina; sentiva le forze mancargli di giorno in giorno, e vedeva la sua forte muscolatura assottigliarsi irrimediabilmente. Nel­l'ultima visita di P. Ambrosoli declinò l'offerta di essere trasportato a Kalongo per cure. "Ormai - disse - non c'è più nulla da fare. Ho lavorato, pregato e sof­ferto qui; e qui voglio morire. Pregate solo perché muoia bene".

Il 2 Settembre cominciammo ad assisterlo giorno e notte. Non aveva più forze, pur conservando piena lucidità di mente. Non prendeva che mezza tazza di caffè e latte, due cucchiai di semolino e qualche goccia di birra per quietare lo stomaco. Anche le braccia e le mani erano gonfie e piagate, così da impe­dirgli persino di portare il bicchiere alla bocca.

Quanto soffrisse, il Signore solo lo sa. Mai un lamento. Le notti le passava quasi completamente insonni. Mi chiedeva la benedizione prima del calar della notte, e mi raccomandava di pregare perché potesse dormire.

La sera dell'8 Settembre, festa della Natività di Maria, volle confessarsi e chiese il Viatico. "Mi sento morire - disse. - La Madonna mi chiama ". Ma an­che questa volta il Viatico lo rinfrancò. Il Signore voleva purificarlo ancora di più. Ancora 21 giorni di martirio, di pene indicibili, di pazienza eroica, di me­riti immensi.

Quanta pena vedere quel corpo così ridotto e straziato dai dolori. "Signore, pazienza!" - ripeteva. Quando nel dormiveglia gli cadeva a terra il rosario, suo­nava il campanello per chiamarci a raccoglierlo. Quando i dolori lo tormenta­vano di più, stringendo il rosario e fissando la statuetta della Madonna che aveva dinanzi, ripeteva: "Ave, Maria".

La sera del 28 Settembre mi disse: "Padre, voglio confessarmi... Non ho più forze, non ho più vita; me ne vado". Lo confessai e l'aiutai a rinnovare l'offerta della vita per il Papa e la Chiesa, per l'amata Congregazione e per i poveri Labwor che tanto amava.

Lo fece con tanta generosità, direi con gioia, quasi a suggellare e com­pletare l'offerta totale di se stesso al Signore. Gli parlai del Paradiso, di Gesù, e della Madonna che sarebbe andato a vedere tra poco. Era lieto, sereno, di fronte alla morte. Mi disse di salutare i suoi parenti, che attende in Paradiso, chiese preghiere e suffragi per l'anima sua.

Ebbe poi mezz'ora di quiete, ma subito si destò oppresso da gravi dolori. Vol­le essere aiutato a mettersi sulla sedia, sperando di trovare sollievo, ma in­vano. Fu rimesso a letto: si sentiva sfinito.

All'una e mezza chiese un po' d'acqua. Era alla fine. Recitate le preghiere degli agonizzanti, impartii la benedizione papale. Poi egli ebbe dei tremiti in tutto il corpo, sbarrò gli occhi, e non disse più nulla. Era spirato. Erano le 1,50 del 29 Settembre, festa di S. Michele Arcangelo. Erano presenti anche P. Di Bari e Fr. Battistata.

La notizia si diffuse subito ovunque. Al mattino i ragazzi della scuola e i catecumeni, in religioso e mesto silenzio, pulirono e infiorarono la Missione per il viaggio di addio del caro Fratello.

Alle 4 pomeridiane ogni cosa era pronta. La cara salma, portata in auto addobbata di fiori, entrò a spalla nella chiesa piena di fedeli. I dodici confratel­li presenti cantarono la Messa da morto, mentre fuori cadeva una pioggia scro­sciante a ristorare i campi. Era l'ultimo dono di Fr. Alessio alla sua cara Missione.

P. Bizzarro parlò ai fedeli commossi della bontà, laboriosità e spirito di pre­ghiera del caro scomparso. Fuori pioveva ancora. Fr. Alessio voleva passare ancora una notte, l'ultima, in chiesa, ai piedi di Gesù; e ci riuscì, perché or­mai si faceva sera, e la pioggia continuava.

L'indomani, Venerdì 30 Settembre, dopo la Messa da morto, mentre il sole coi suoi primi raggi riscaldava la brezza del mattino, Fr. Alessio si avviò al cimitero, sua ultima modesta dimora, dove ora riposa tra i suoi moretti che ha tanto amato, e per i quali ha offerto la vita.

Nessun Labwor dimenticherà mai il suo benefattore, che con grandi sacrifici e privazioni ha dato inizio a questa Missione portandola col suo lavoro al presente florido stato. L'amore di cui era amato è testimoniato dalle dieci San­te Messe che i cristiani hanno già offerto in suo suffragio.

Io lo penso già in cielo, dove prega per i suoi cari, la Congregazione e i moretti che ha tanto amato».

 

Fr. Alessio Chiavegato era nato a S. Pietro di Legnago (Verona) il 19 No­vembre 1887. L'idea di dedicarsi alle Missioni gli venne fin da giovane, e la mamma, al conoscerla, ne fece una malattia, perché amava teneramente tutti i suoi dodici figli, e temeva i pericoli della vita missionaria in Africa.

Entrato nella Casa Madre nel 1912, vi fece la vestizione a Natale e la pro­fessione due anni dopo. Imbarcatosi per la Missione nel Dicembre 1920, fu a Loa, Gulu, Moyo e Lira.

Rimpatriò soltanto in Marzo 1932 per curarsi di un'ernia e di una borsite ad un ginocchio. In questo periodo ebbe un forte attacco di malaria. Passò le vacanze a Thiene.

Ripartì da Genova il 5 Novembre 1933, e lavorò a Nyapea, Rangole, Kalongo, Kitgum, Gulu e Morulem, dove rimase dal 13 Marzo 1949 alla morte.

Quarant’anni quasi ininterrotti di vita missionaria spesi nell'umiltà e nel sacrificio, fra la cura delle case e le costruzioni, giustificano le virtù e la se­renità dimostrate nel corso della lunga malattia che l'avvicinava al premio eterno. R.I.P.

Da Bollettino n. 56, gennaio 1961, pp. 334-37