Nacque a Semonzo del Grappa (comune di Borso, provincia di Treviso, ma diocesi di Padova), il 13 novembre 1903. Dal Seminario di Padova, dove fece i primi studi, dopo la prima liceo entrava in noviziato a Venegono nel settembre 1921, e subito si diede a conoscere per un carattere entusiasta, generoso e ottimista, doti che non smentì mai in tutta la vita. Fatta la prima professione il 1° novembre 1923, passava a Verona per completarvi con lode il liceo e la teologia, ricevendovi l'ordinazione sacerdotale il 15 luglio 1928.
Dopo un anno di intensissimo lavoro a Verona, nell'ottobre 1929 partiva per Port Sudan, prodigandosi per dar vita a quella incipiente stazione, col ministero e soprattutto con l'insegnare lui stesso nella scuola parecchie ore al giorno. La sua salute, già scossa dall'eccessivo lavoro che si era addossato in patria, ebbe un crollo pauroso, che costrinse i medici ad obbligarlo a lasciare il Sudan, benché lui non volesse persuadersi di essere minato dal male e volesse restare a tutti i costi.
Ritornato in Italia, dopo un periodo di riposo in Cairo, le cure apprestategli e più ancora il suo ottimismo, gli diedero tanto di salute da poter essere occupato dai superiori in svariate incombenze: prima a Thiene come Superiore; poi come P. Spirituale dello Scolasticato di Verona, succedendo al venerato P. Vianello, e dal 1939 anche come Segretario Generale, partecipando così in pieno, con i Superiori e Scolastici, alle ansie e vicissitudini della guerra.
Da Venegono, dove aveva accompagnato lo Scolasticato teologico come Superiore, nel 1949 passava a dirigere la nuova casa di Zahle nel Libano, e l'anno seguente quella del Cairo, come Superiore Regionale d'Egitto. In tale qualità partecipava all’8° Capitolo Generale, e i Superiori gli affidavano la direzione delle nostre Scuole Apostoliche, tanto ripromettendosi da lui per l'incremento delle nostre vocazioni.
Di P. Giacomo (com'era comunemente chiamato), scrive il suo parroco:
"Informato che la mamma si era aggravata e aveva già ricevuto il S. Viatico e l'Estrema Unzione, corse tosto a Semonzo, quando egli stesso avrebbe avuto estremo bisogno di curarsi per la nefrite acuta che avanzava rapidamente.
"Lunedì mattina 7 dicembre u.s., vigilia della grande festa di Maria, egli era in chiesa prima di tutti, attendeva alle confessioni dei fedeli e subito dopo la S. Messa inforcava la bicicletta con l'agilità d'un giovanotto e via a portare ancora una volta il S. Viatico alla mamma diletta. Alla sera, benché si sentisse stremato di forze, ritornò in parrocchia per aiutare nelle confessioni.
"« Non ne posso più », diceva alla sorella nell'ultimo incontro. «Ma allora, se non puoi, non andare... fermati qui ». - « No, ho promesso di andare e devo andare». E partì, ma arrivò a Verona ormai disfatto dalla stanchezza e dal male. L'11 dicembre, lo stesso Superiore Generale lo accompagnò ad Arco, in quella casa di riposo dei Missionari Comboniani, ma era ormai troppo tardi. Fino alla domenica seguente resistette il corpo affranto, mentre lo spirito era sempre pronto ad ogni sacrificio. Pareva che fosse cosa da nulla, tanto la sua indomita energia e la sua inesauribile giovialità potevano trarre in inganno gli altri.
"Ma verso sera, dopo aver cenato come il solito, si sentì male. Dieci minuti dopo, quel grande cuore aveva cessato di battere. Si fece appena in tempo ad amministrargli l'Assoluzione e l'Estrema Unzione. Era il 13 dicembre 1953.
"II giorno seguente la salma, pietosamente composta dai confratelli, fu trasportata a Verona nella Casa Madre delle Missioni Africane, e martedì mattina, nella bella chiesa dell'Istituto, si svolsero le solenni esequie con la partecipazione di tutti i Padri e Seminaristi Comboniani di Verona, Superiori e rappresentanze delle altre Case, alcune Pie Madri della Nigrizia, il fratello Ermanno (il quale da poco tempo tornato dalla Francia aveva avuto la consolazione di rivedere il P. Giacomo dopo 7 anni), la sorella Stellina, i nipotini allievi missionari, gli altri nipoti e parenti, nonché una quarantina di Semonzesi col Parroco e due Suore dell'Asilo.
"Il canto gregoriano eseguito devotamente, le melodie e armonie di quel capolavoro unico nel suo genere che è la Messa da Requiem di Perosi, furono l'espressione commovente del suffragio e dell'amore che Padri e Scolastici Comboniani vollero rendere al loro amatissimo confratello e venerato maestro.
"Sì, veramente maestro incomparabile, perché non bisogna dimenticare che P. Giacomo fu l'educatore di molti giovani missionari. Fu una guida illuminata, un maestro di spirito sapiente, un donatore di fiducia e di coraggio, un plasmatore di anime che aveva il dono di formare alle più generose virtù col sorriso sulle labbra, con la facezia innocente e benefica che dissipa le malinconie e suadeva la pratica del «Servite Domino in laetitia». Di quante vocazioni egli è stato il valido sostegno, lo sprone efficace, talvolta il salvatore.
"Tutti quelli che sono stati da lui condotti quasi per mano fino alla soglia del sacerdozio e dell'apostolato missionario, con quanto affetto e con quanta riconoscenza ricordano il P. Giacomo! Egli è morto, ma il suo spirito vive ancora nei suoi figli, ch'egli ha formato allo zelo, alla generosità, al santo ottimismo che non si scoraggia per le difficoltà, che è sempre contento purché si possa far del bene e lavorare per il Signore.
"Chi non ha letto nel Piccolo Missionario le «Risposte di P. Giacomo» nelle quali il caro Padre con la sua parola bonaria, spesso faceta, sempre illuminata, scioglieva difficoltà, dissipava dubbi, incoraggiava i timidi, tutti spronava alla generosità nel corrispondere alla divina chiamata?
"Ed ora che aveva da poco intrapreso la sua nuova missione nelle Case di formazione d'Italia, ora che la sua opera preziosa sembrava maggiormente necessaria, il Signore nei suoi altissimi disegni lo ha giudicato maturo per il cielo. Il caro, l'amabile P. Giacomo, il portatore di gioia e serenità, colui che era amato e venerato da tutti come un padre, come un fratello, come un amico, colui che non aveva nemici perché nessuno poteva resistere al fascino della sua allegra, scoppiettante, invincibile bontà, colui che seminava il bene dovunque andava, ci ha lasciato...
"P. Giacomo era di una generosità difficilmente eguagliatale, infiammato di amore per Iddio e per le anime. Così umile, così semplice, e insieme così ricco di virtù, di intelligenza e di tutte quelle doti, anche naturali, che conquistano le anime...
"Anche a Semonzo venne celebrata in suo suffragio una solennissima ufficiatura martedì 22 dicembre, nel settimo giorno della sua sepoltura. Tutta la popolazione ha partecipato in massa e innumerevoli sono state le SS. Comunioni di suffragio. Senonché è nel cuore di tutti la convinzione che, oltre ai suffragi, doverosi perché i giudizi di Dio sono sempre impenetrabili, possiamo guardare a P. Giacomo come ad un celeste protettore che dal cielo veglierà su di noi e sulla sua Congregazione missionaria, ottenendoci il dono di tanti nuovi missionari simili a lui, brucianti come lui della fiamma dell'apostolato missionario ".
Sì, che il Signore continui a dare alla nostra Congregazione tanti di questi uomini. Perché, se non è difficile fissare sulla carta il curriculum vitae di p. Giacomo, (anche perché le sue condizioni di salute non gli permisero attività per le quali avrebbe pure avuto spiccate attitudini), impossibile è invece dire quanto bene egli abbia fatto, in modi altrettanto svariati quanto erano ricche e versatili le sue doti.
Ebbe abbondante il dono della parola, che sfruttò, non solo nella direzione spirituale e nella conversazione piacevolissima, ma anche nella predicazione e soprattutto negli scritti, che con tanta facilità e freschezza gli fluivano dalla penna. Il suo ottimismo poi era infettivo, e forse pochi altri attirarono come lui la simpatia e fiducia anche di esterni, che ricorrevano a lui con grande confidenza, pur nutrendo al tempo stesso verso di lui rispetto e venerazione.
Se la sua parola facile e avvincente entusiasmava, leniva dolori e rasserenava (proverbiale resterà la cura che si prendeva degli ammalati), più ancora sapeva amare, donarsi e sacrificarsi senza misura, con uno spirito di fede che non si smentì mai. E seppe anche perdonare, sempre e cordialmente, perché il suo grande cuore lo portava ad essere soprattutto buono e indulgente. Però le tracce profonde che ha lasciato in coloro che l'hanno praticato e che si sono serviti del suo consiglio e della sua direzione ci convincono che la sua opera non era solo quella d'un uomo dotato d'una personalità spiccata, ma anche di un uomo di Dio, che amava molto il Signore e che non sapeva negare nulla a nessuno.
Alla fin fine, forse, anche noi il missionario ce lo immaginiamo un po' così, com'era P. Giacomo. Morì a 50 anni, come il Comboni. E non ebbe forse del Comboni l'ardore, l'amore per l'Africa, il grande cuore?
Da Bollettino n.42, marzo 1954, p.656-59